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Essere ed esistere

Aperto da Jacopus, 29 Giugno 2024, 15:23:12 PM

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Jacopus

Visto che altrove spesso emerge questo binomio e visto che esso è uno dei temi principali della filosofia dai tempi dell'antica Grecia (niente di bizzarro quindi), e visto che è stato ripreso fortemente dalla fenomenologia heideggeriana, direi che una discussione è opportuna. Personalmente credo che il binomio rifletta quello fra anima e corpo, con una visuale meno gretta e meno materialista. In ogni caso è importante discuterne ed è tutt'altro che materia per squinternati.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Donalduck

Citazione di: Jacopus il 29 Giugno 2024, 15:23:12 PMVisto che altrove spesso emerge questo binomio e visto che esso è uno dei temi principali della filosofia dai tempi dell'antica Grecia (niente di bizzarro quindi), e visto che è stato ripreso fortemente dalla fenomenologia heideggeriana, direi che una discussione è opportuna. Personalmente credo che il binomio rifletta quello fra anima e corpo, con una visuale meno gretta e meno materialista. In ogni caso è importante discuterne ed è tutt'altro che materia per squinternati.
Mi pare che per avviare la discussione sarebbe opportuno che cominciassi tu a dire cosa pensi, a cominciare dalle ardue definizioni dei termini che vuoi mettere in discussione e dallo specificare quali siano secondo te i problemi filosofici connessi (personalmente, preferirei sapere quello che TU pensi, alla luce delle tue conoscenze e delle tue speculazioni piuttosto che aver a che fare con citazioni di filosofi più o meno noti e di interpretazioni del loro pensiero).

bobmax

Sì Jacopus, sono convinto che sia indispensabile una chiara distinzione tra esistere e essere.
Senza averla presente, non si può neppure iniziare a filosofare. In quanto la filosofia è proprio questa indagine dell'esistere, avendo come traguardo l'essere.

Esistere è lo stare. E si sta sempre necessariamente in un luogo. Che può essere spaziale, temporale, mentale, ma sempre un luogo è necessario perché qualcosa esista.
Inoltre, l'esistente è tale, cioè è qualcosa, perché nega qualsiasi altro qualcosa. È cioè proprio questo specifico, unico qualcosa e non qualcos'altro.
L'esistente, concretamente o solo idealmente non importa, sta davanti ad un possibile osservatore. È oggetto per un soggetto.

Viceversa l'Essere non sta. Perciò non necessita di un luogo. Non è oggetto.
Non nega, se non la stessa possibilità di negare.
È negazione della negazione.

Ma allora di che parliamo?
Questo Essere è un Nulla!

Infatti.

E perché dovremmo occuparcene?

Perché indagando l'esistere ci ritroviamo proprio a che fare con il Nulla. Ossia arriviamo inevitabilmente al confine dell'esistenza, dove è il limite, che potrebbe essere proprio sul Nulla...
Nulla che però in qualche modo regge questo stesso esistere, permette la esistenza. Perciò questo Nulla è pure l'Essere.

Riflettere sul limite che rimanda all'Essere è lo scopo della filosofia. E poiché il limite è oggetto metafisico, la filosofia è metafisica.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

#3
Essere è un verbo che assegna: esistenza, identità e attributi (predicati). In quanto verbo non ha alcun obbligo ontologico. L'esistenza è invece empiricamente verificabile è quindi ha significato ontologico.

Tutte le declinazioni dell'essere metafisico sono state demolite dal progresso ontologico, che viene tacciato per tale motivo di nichilismo, mentre è solo la presa d'atto di quello che c'è. E di quello che non c'è.

Tra gli ultimi giapponesi dell'Essere il filosofo recentemente scomparso Emanuele Severino, che identifica il nichilismo col divenire ( e il suo inverarsi nella tecnica), riportando la questione alle dispute elleniche. Va però tenuto conto che se allora tali dispute avevano senso, oggi sono solo fossili metafisici in rotta di collisione con quello che in 2500 anni si è appreso in campo ontologico, falsificando fin l'ultima ipotesi di "cosa in sé e per sé", non esperibile in alcun ente.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Il_Dubbio

Io dico: questa è (verbo essere) una pietra 

sto dicendo quindi cos'è quell'oggetto. Quell'oggetto è una pietra.

Mentre se dico solo che esiste ciò non implica che essa sia una pietra. 

Essenziale è che esista non cosa sia.

L'essere quindi è la condizione con la quale riconosciamo le cose che esistono.
Ma esistono cose di cui non ci rendiamo conto cosa siano.

iano

#5
L'essere mi odora  di assoluto e l'esistente mi puzza di relativo, per cui ci sta la corrispondenza con la coppia anima/corpo, anche se io preferisco partire da quella inodore fra realtà e sue rappresentazioni, cercando in seconda battuta eventualmente un ruolo per l'anima.
Che ruolo ritagliare dunque all'anima in questo quadro per renderlo meno asettico?

Se ''noi'' viviamo la realtà in modo indiretto, apparendoci essa più o meno virtuale in relazione alla coscienza che di questo modo di viverla abbiamo , noi ci percepiamo comunque come parte di quella rappresentazione.
Quindi chi è in effetti questo ''noi'' a cui ci ''autoriferiamo'' ?
La realtà non è come ci appare, ma neanche noi allora siamo come ci percepiamo, e possiamo dire la prima parte in discorso propriamente realtà, e la seconda anima, tenendo conto che questo sdoppiamento della realtà è l'unica cosa che conosciamo in modo diretto della realtà, essendovi direttamente coinvolti.
Se così stanno le cose lo sdoppiamento della realtà è e resta resta il solo mistero, non essendo più un mistero quello dell'autocoscienza.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#6
Come fà cioè un osservatore ad osservarsi senza che la sua esistenza appaia contraddittoria?
La risposta è che l'osservatore non si osserva direttamente, ma attraverso una rappresentazione della realtà comprensiva di una sua rappresentazione.
Osservatore è non meno dell'osservato, mentre ciò che sta in mezzo è l'esistente che il loro rapporto produce.
Il paradosso dell'autocoscienza insiemi a tanti altri paradossi sparisce quando smettiamo di confondere la realtà con la rappresentazione della realtà attraverso cui viviamo in modo indiretto la realtà.
Nel misura in cui la confusione sparisce ''la realtà'' ci apparirà sempre più virtule, come un astratta rappresentazione, quello che in effetti è.
Ma non è propriamente la realtà ad essere virtuale, ma ciò che abbiamo confuso con la realtà.
E il problema del nichilismo sta tutto qua.
Non è il mondo che sparisce, ma quella che sparisce è la nostra confusione.
Confusione da non intendere in senso del tutto negativo, anzi.
Fin tanto che questa confusione non è stata disvelata, divenendo oggetto della nostra conoscenza, noi vivevamo nel paradiso, e nella misura in cui la confusione rimane continuiamo  a viverci ancora.
Più che comprensibile dunque il disappunto degli annichilisti, ma alla fine bisogna scegliere fra paradiso e amore del sapere.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Pio

L' essere è. Il non essere non è. L'essere è di fronte a me; Il non essere  dietro di me. L'essere mi attrae; il non essere mi trattiene. L'essere inspira; il non essere espira. L'essere è la terra; il non essere il cielo. Come può la terra essere senza cielo? Questa apparente dualità è il grande mistero. Parrebbe di doverla ricondurre ad unità; ma può colui che avanza restare fermo nello stesso momento? Io sono dice l'essere; tu non sei dice il non essere. Che miseria! È meglio per me essere o è meglio non essere?
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

Alberto Knox

Citazione di: iano il 30 Giugno 2024, 01:09:44 AMCome fà cioè un osservatore ad osservarsi senza che la sua esistenza appaia contraddittoria?
La risposta è che l'osservatore non si osserva direttamente, ma attraverso una rappresentazione della realtà comprensiva di una sua rappresentazione.

in che modo l'osservatore diventa oggetto di se stesso se non tramite la coscienza? la coscienza è qualcosa di straordinario. è qualcosa del nostro essere che può salire al di sopra dell essere ed osservarsi, introspezione, esame di coscienza ne sono chiari esempi. Con il termine osservatore di se stesso non mi riferisco ad un immagine di noi vista dall esterno ma dall interno. il problema è ; come la chiamate la vostra interiorità?
Quando l'uomo si raccoglie nella sua interiorità allora può vedere se stesso, può vedere se sta fingendo nella vita, se è autentico, se ha agito nel bene o nel male , può rivedere le propie azioni e giudicarle. Questo è ciò che in grado di fare la coscienza.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#9
Citazione di: Alberto Knox il 30 Giugno 2024, 11:13:54 AMla coscienza è qualcosa di straordinario. è qualcosa del nostro essere che può salire al di sopra dell essere ed osservarsi, introspezione, esame di coscienza ne sono chiari esempi. Con il termine osservatore di se stesso non mi riferisco ad un immagine di noi vista dall esterno ma dall interno. il problema è ; come la chiamate la vostra interiorità?

Il problema è che secondo me questa ipotesi di ''esaltazione della coscienza'' a malapena spiega la coscienza di se, e rende complicato spiegare ogni altra cosa, se non introducendo una pletora di altre ipotesi ad hoc ogni volta.
Al contrario mi sembra che la sola ipotesi di una coscienza come cosa ordinaria, e in se non necessaria, spieghi molte cose, come ho provato ad esemplificare.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

Citazione di: iano il 30 Giugno 2024, 11:55:33 AMIl problema è che secondo me questa ipotesi di ''esaltazione della coscienza'' a malapena spiega la coscienza di se, e rende complicato spiegare ogni altra cosa, se non introducendo una pletora di altre ipotesi ad hoc ogni volta.
Al contrario mi sembra che la sola ipotesi di una coscienza come cosa ordinaria, e in se non necessaria, spieghi molte cose, come ho provato ad esemplificare.
non ho capito in che modo dunque l'essere diviene oggetto di se stesso.
Citazione di: iano il 30 Giugno 2024, 01:09:44 AMattraverso una rappresentazione della realtà comprensiva di una sua rappresentazione.
la rappresentazione della realtà estesa  che abbiamo è pensata, è la res cogitans come diceva Cartesio. Quello che tu vuoi dire è che non esiste la realtà ma solo una sua rappresentazione.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Citazione di: iano il 30 Giugno 2024, 01:09:44 AMLa risposta è che l'osservatore non si osserva direttamente, ma attraverso una rappresentazione della realtà comprensiva di una sua rappresentazione.
riprova e controlla iano :D
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

bobmax

In qualsiasi direzione si inoltri, il ricercatore inevitabilmente si ritrova prima o poi davanti il limite.

Sarà un limite assoluto, cioè insuperabile perché effettivamente metafisico?
Oppure si tratta invece soltanto di uno stop temporaneo, che un domani sarà superato?
È cioè davvero proprio il Nulla che si annuncia là dietro?
Oppure no, al di là vi è invece ancora qualcosa?

Il ricercatore non può saperlo.
Non può averne alcuna conferma definitiva. Perché anche il limite più tenacemente insuperabile, potrebbe un domani essere superato.

Comunque sia, l'incontro con il limite è inevitabile, se la ricerca è sincera, cioè animata dalla fede nella Verità.

E ciò che conta è proprio il riconoscimento del limite, la sua possibilità di essere limite metafisico.
È su questa "possibilità" che nasce la filosofia.
Possibilità che allude all'Essere, ma di cui non vi è alcuna prova definitiva.
D'altronde come potrebbe mai essere provato l'assoluto?
Non è questa pretesa una assurdità?

Ciò che conta davvero però è cosa accade al ricercatore, quando si ritrova davanti al limite.

E ogni direzione di indagine porta inevitabilmente al limite. È solo necessaria la fede nella Verità.

Voglio capire cosa sia davvero la vita, confrontandola con la non vita?
Senza accontentarmi dell'ovvio?
Ecco infine il limite!

Mi interessa sapere cosa sia davvero un oggetto finito? E come questo possa, che so, muoversi?
Ecco ancora il limite!

Mi chiedo la "vera" ragione dell'etica?
Di nuovo il limite!

Vorrei poter dire chi sia davvero colui che amo? Chi sia veramente?
Limite!

L'esistenza offre una infinità di occasioni per percepire l'Essere.
Che resta tuttavia Nulla.
Sono solo io, in perfetta solitudine, a essere richiesto di colmare questo Nulla.

PS
La filosofia o è questa o non è.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

#13
L'essere nasce metafisicamente, insieme all'anatema del non-essere (evolutosi poi in tormentone nichilista), con Parmenide, che evidentemente ne aveva le scatole piene di non-essenti imperversanti non solo nella superstizione, ma pure nell'aurea location dei filosofi.

Come spesso accade, il suo erede ed estimatore più celebre anche presso i contemporanei, invece che proseguire la missione del maestro, aggravò ulteriormente la sindrome ontologica, standardizzando forme ideali nel mondo delle idee, che sciaguratamente prenderanno il sopravvento sugli essenti che ci sono.

A questo punto il danno era compiuto; l'essere si dissociò virulentemente dall'esistere, e nacquero le religioni del Libro che sull'essere metafisico inventarono tutto e il contrario di tutto.

L'inizio della redenzione lo dobbiamo ad un ebreo, scomunicato da tutte le religioni, che, pur proseguendo l'epopea dell'essere, divenuto Supremo paradigma di tutti i paradigmi, introdusse una mina letale a scoppio ritardato: Deus sive Natura.

Con la Natura inizia il ritorno a casa (i bigotti scomunicatori avevano visto giusto) e nel giro di un paio di secoli si arrivò al Natura sine Deus. Portando nella tomba con sè pure il dualismo millenario, contrapponente essere ed esistere, con sottomissione del secondo al primo.

La diatriba ha pure un fondamento antico nella contraddizione tra essere e divenire, Parmenide ed Eraclito, che nella visione manichea degli antichi ideologi della ontologia dura e pura erano contrapposti in maniera inconciliabile. In realtà Eraclito lanciò un elemento di mediazione, il logos, che da ciambella divenne nodo scorsoio, riportando acqua all'ontologia metafisica antropocentrica per i secoli a venire.

La soluzione, già intravista da Anassimandro e dal polemos eracliteo, è nella dialettica tra gli essenti che si svolge nella cosmica dimensione del tempo, somigliante molto al relativismo spazio-temporale della fisica moderna, capace di rinnovare l'ontologia includendovi la temporalità. L'Oscuro l'aveva probabilmente già intuito per conto suo, ma i frammenti di seconda mano rimasti non sono così chiari da liberarli dalle fazioni esegetiche.

La questione autocoscienziale mi pare l'ennesima lana caprina, come ho già commentato in più discussioni. L'evoluzione attraverso il snc è arrivata per necessità (sopravvivenza), intrinseca al bailamme evolutivo, a costringere gli essenti vivi ad essere autocoscienti. Che poi usino l'autocoscienza bene o male sono cavoli loro, non inficianti minimamente il decorso cosmico. O assai poco, in una specie animale (che ignora quasi tutto di altre autocoscienze) di uno sparuto frammento di cosmo, che avrebbe tutto l'interesse ad usare questo esito evolutivo - il suo esserci autocosciente - meglio di come solitamente fa.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

Citazione di: Alberto Knox il 30 Giugno 2024, 12:29:46 PMnon ho capito in che modo dunque l'essere diviene oggetto di se stesso.la rappresentazione della realtà estesa  che abbiamo è pensata, è la res cogitans come diceva Cartesio. Quello che tu vuoi dire è che non esiste la realtà ma solo una sua rappresentazione.

Tu puoi criticare quello che dico, ma non dirmi quello che devo dire. La rappresentazione della realtà è un indizio, se non una prova della sua esistenza.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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