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essere e divenire

Aperto da sgiombo, 01 Maggio 2017, 16:36:46 PM

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sgiombo

Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM


Bisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla). In questo senso non si può definire l'Essere sulla base di ciò che non è poichè appunto al di fuori di esso non vi è niente; si può però, come accade spesso, tentare di definire l'Essere sulla base di ciò che non è sottintendendo l'avverbio "solo" (o solamente); in tal modo se dico che l'Essere "non è rosso" non significa che è di un altro colore, ma che non è "solo" rosso ma anche di tutti gli altri colori, e così via. Ad alcuni (moltissimi) sembra che in tal modo l'Essere e il nulla coincidano e poichè entrambi non possono essere definiti non riescono a concepire qualcosa che non abbia limiti e quindi definizione, ma la differenza sostanziale e decisiva sta nel fatto che se il nulla non può avere definizioni o attributi perchè è, appunto, nulla, l'essere non può averne perchè ce li ha tutti; dire che l'Essere non si può definire significa solo che ogni definizione che gli si attribuisce, escludendo tutto ciò che in tale definizione non è compreso, limiterebbe l'Essere e lo negherebbe nella sua qualità di "Tutto ciò che è". A volte si possono trovare testi o dottrine in cui l'Essere viene chiamato "Nulla", ma con questo non si intende che è niente, bensì che non è nulla (niente) di particolare, di definito, di delimitato.
CitazioneOnde potersi intendere, anche il concetto di "definizione" va definito (sic!) nel suo significato.
Può infatti essere inteso come "finitezza, presenza di limiti o confini (fisica, reale, nell' ambito della realtà)", e allora a mio parere è non tanto incompatibile con (contraddittorio rispetto a) "essere" (generalissimamente inteso, nella maniera più indeterminata), quanto con "(essere) indefinito" o "essere (infinito)"; con "tutto ciò che è" purché ciò che è sia infinito (infinitamente steso nel tempo e/o nello sazio o per qualche altro aspetto, o anche per ogni e qualsiasi aspetto), dal momento che se invece fosse finito (per definizione; sic!) avrebbe limiti: per esempio se oltre al rosso esistessero solo il giallo e il blu lo spettro dei colori reali (e se inoltre esistessero solo colori, allora anche il "tutto reale" in assoluto) sarebbe finito e definito dalla somma di rosso + giallo + blu).
 
Oppure si può intendere come "stabilimento del significato, operazione di comprensione teorica di un concetto (nell' ambito del pensiero circa la realtà)"; e in questo secondo caso (la definizione de-) l' "essere" non solo non è incompatibile con il "non essere", ma ne necessita, dal momento che nessun concetto può essere compreso o spiegato per quello che è (nel suo significato, che per l' appunto viene stabilito per definizione) se non mediante altri concetti da esso diversi, mettendolo con questi in determinate relazioni, compresa la relazione di contrarietà col suo opposto; (pretendere di) predicarlo congiuntamente al quale (per esempio l' "essere definito" di "tutto ciò che è reale, essendo questo infinito") sarebbe autocontraddittorio, logicamente scorretto, senza senso: nemmeno si tratterebbe di autentica "predicazione" ma di meri flatus vocis o scarabocchi a seconda che pronunciati o scritti).
 
"Omnis determinatio est negatio" (Spinoza).


Dall'Essere inteso in tal modo proviene il divenire (o se vuoi l'essere scritto con la e minuscola), che altro non è che una "espressione" dell'essere, una sua "manifestazione", che non intacca però per nulla la sua totalità, che rimane tale e immutabile. Il "divenire" lo possiamo definire genericamente come "ciò che dell'Essere si manifesta" quindi che "esiste" (nel senso etimologico di ex-stare, stare fuori, venire alla luce), quindi se l'Essere è "tutto ciò che è" l'essere è "tutto ciò che esiste". Questo "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente":  ente è il suffisso dei participi presenti dei verbi attivi (essente, esistente ecc.) sostantivato, che identifica qualcosa che è "in progress", qualcosa connotato dal senso dell'attualità e che partecipa costantemente di una azione (foss'anche solo quella dell'esistere), dunque qualcosa condizionato dal moto, dalla mutazione, che si può collocare solo nel mondo del divenire. L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" oppure, se vuoi, lo possiamo chiamare maya, oppure mondo fenomenico, mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli". Il nome e le definizioni che diamo all'ente cane, o all'ente albero, o all'ente uomo è una mera convenzione  umana che serve per categorizzare gli enti e piegarli in qualche modo alle necessità conoscitive umane.
CitazioneA me sembra che più semplicemente e comprensibilmente si possa affermare che empiricamente si constata che un aspetto del' essere del "tutto reale", della realtà (in toto) è il mutamento o divenire: la realtà (tutto ciò che esiste) muta in continuazione, più o meno rapidamente, con apparente fissità relativa e imitata di talune "cose" (perfino dei buchi neri, ammesso che esistano: contrariamente a qualcun altro del forum mi permetto di dubitare anche di quanto affermano i premi Nobel per la fisica e di sottoporlo a critica razionale) comunque per periodi di tempo limitati, finiti.
 
Mi sembra che quanto affermi sia un modo per me più complicato e astruso per dire semplicemente questo (ovviamente se ben l' intendo).


Cerco ora di affrontare il tuo quesito centrale di dove si possa ravvisare l'essere al di là delle cause e delle condizioni esterne ad esso che ne determinano il divenire, e la risposta è talmente ovvia che è del tutto normale che non ci si pensi mai dandola talmente per scontata da trascurarla del tutto. L'essere dell'uomo lo si ravvisa dal semplice fatto che, qualsiasi siano le condizioni esterne in cui gli sarà dato vivere, quindi divenire, rimarrà sempre e comunque un "ente" uomo; il suo essere uomo rimane immutabile indipendentemente da tutto quello che accade intorno a lui, e  lo stesso discorso vale ovviamente per l'ente delfino, l'ente cipresso e tutti gli altri.
Per quanto possano variare le condizioni esterne durante la sua gravidanza sarà impossibile che da una cavalla possa nascere qualcosa di diverso da un cavallo, o che da una donna possa nascere un bambino con le ali o con le branchie. Poi se si vuole si può approfondire il discorso notando ad esempio che, a parità di condizioni esterne, l'essere di ogni ente non è mai uguale all'essere di un altro ente della stessa specie (non esistono due uomini identici come non esistono due ciliegi identici) ma al momento mi sembra che possa essere sufficiente come spunto di riflessione. Dunque se molte cause del divenire degli enti sono esterne agli enti stessi (e alcune sono indispensabili perchè senza acqua, aria e cibo animali e piante non potrebbero affatto divenire e senza i riti della riproduzione non potrebbero nemmeno manifestarsi) tali cause sono solo "accidenti" che non determinano affatto ciò che un ente è, ma tracciano solo alcuni limiti della sua manifestazione. Sono invece determinanti le cause interne all'ente stesso per fare in modo che questo si manifesti per quello che è, e fra l'altro queste condizionano anche la reazione alle cause esterne (l'essere di un uomo e quello di un passerotto reagiscono in un modo completamente differente ai medesimi stimoli esterni), e in definitiva si può dire nel caso di specie che l'essere di ogni ente rimane immutabile (e solitamente riconoscibile) mentre l'involucro del medesimo diviene e si trasforma fino a disgregarsi completamente.  Dunque è corretto, a mio avviso, considerare trascendente l'essere poiché non muta mentre è immanente la manifestazione progressiva (il divenire) dello stesso che ne rappresenta, comunque, un riflesso.
CitazioneAnche questa distinzione fra "sostanza" immutabile e uniforme e "accidenti" variabili e mutevoli mi sembra presentare uno slittamento semantico (foriero di malintesi) fra realtà e pensiero circa la realtà (o forse si potrebbe rivelare, dopo un complicato processo di "traduzione", un modo di dire le stesse cose che vado ad esporre, ma in una maniera a mio parere decisamente più arzigogolata e oscura): l' essere dell' uomo, come l' essere di qualsiasi altro concetto (arbitrariamente stabilito per definizione) rimarrà sempre e comunque tale (una volta che sia stato definito; salvo eventuali "riforme semantiche", o ridefinizioni, come eccezionalmente accade, per motivi di comprensione e comunicazione) nell' ambito del pensiero circa la realtà, non della realtà in quanto tale ma solo in quanto pensata, per l'appunto, per (in seguito ad, come risultato di) astrazione da parte del pensiero che lo definisce, distinguendolo da altri aspetti ("cose", enti ed eventi) della realtà in mutamento; e inoltre prescindendo da (non prendendo in considerazione il) lo stesso mutamento dell' ente reale (della denotazione) che il concetto stesso significa: dal fatto che prima (anzi, per meglio dire: ...dopo) ci sono (o meglio: divengono) solo uno (fra tantissimi) spermatozoo e un uovo, poi un gamete, poi un embrione, poi un feto, poi un neonato, poi un bambino, poi un ragazzo, poi un giovane adulto, poi un adulto maturo, poi un anziano, poi solo un cadavere, poi solo  dei vermi, della polvere, delle ossa, ecc., poi...( senza fine).


Phil

Citazione di: donquixote il 03 Maggio 2017, 00:49:35 AM
L'Essere, parlando rigorosamente, non esiste (nel senso etimologico che non "sta fuori" non si manifesta) ma allo stesso tempo è il necessario principio e fondamento di tutto ciò che esiste perchè semplicemente è
Su questa necessità mi sembra sia necessario indagare a fondo: è una necessità logica, onto-logica o mito-logica?


Citazione di: donquixote il 03 Maggio 2017, 00:49:35 AM
il divenire, per darsi, ha bisogno necessariamente di qualcosa che divenga.
Concordo, ma ciò che diviene, che muta, sono semplicemente gli enti (ognuno con i suoi modi e i suoi tempi), o, se preferiamo un nome singolare, l'esistente, da intendere come tutto ciò che esiste. Non c'è alcun bisogno logico di postulare un ridondante meta-esistente che giochi a ritrarsi, che sia indefinibile, ma di cui nondimeno teorizziamo la perfetta totalità (e questa descrizione lascia trasparire l'atavico influsso del mito, amico delle maiuscole  ;) ).

Citazione di: donquixote il 03 Maggio 2017, 00:49:35 AM
Se l'Essere fosse solo un'astrazione concettuale, un supposto insieme teorico e inventato di tutti gli esistenti, significherebbe che ogni esistente sarebbe principio a se stesso e dunque completamente indipendente da tutti gli altri, cosa che invece non è affatto poichè non si può dare un qualsiasi ente che non dipenda da qualcosa di esterno ad esso.
Se poniamo l'Essere come sterile astrazione totalizzante non ne consegue che "ogni esistente sarebbe principio a se stesso", ma anzi che ogni esistente è inserito in una catena di interdipendenza, di causazione reciproca e, in una parola, di divenire immanente... ovviamente, al netto dell'arbitraria identificazione umana degli enti.
Facendo una dimostrazione per assurdo: la scienza, se non erro, ragiona escludendo totalmente il concetto di Essere, eppure la sua spiegazione del mondo, degli enti e degli eventi, per ora, non lascia trapelare nessuna necessità logica o epistemologica di un (pre)supposto Essere (quindi, rasoiata in agguato... ;D ).

Citazione di: donquixote il 03 Maggio 2017, 00:49:35 AM
Solo l'Essere è principio di sè e di tutto ciò che esiste, che si manifesta, che diviene.
Come possiamo predicare sensatamente questa caratteristica (non di poco valore...) se in fondo l'Essere è una congettura imperscrutabile? Sappiamo con certezza che è il principio assoluto, oppure ne abbiamo solo bisogno come spiegazione assoluta, che eviti l'impasse del regresso logico all'infinito? Tuttavia, una soluzione artificiosa, non dimostrata, non risolve lo scacco della ragione, lo dissimula consolatoriamente...

myfriend

#32
@sariputra

Se l'Essere è "Tutto ciò che è" ne consegue necessariamente che anche il suo mutare è l'Essere. Il 'mutare' diventa quindi semplicemente un 'modo' dell'Essere, ossia "mutare per essere". Questa formula concettuale però crea non pochi grattacapi, per esempio quando andiamo a considerare che , essendo l'essere "tutto ciò che è", presenta  un evidente conflitto in se stesso che si manifesta con caratteristiche che, al giudizio del pensiero, appaiono contraddittorie. Se l'Essere è "tutto ciò che è" come formulare un'etica visto che non viene posta nessuna differenza tra , per es., la compassione e l'omicidio, essendo ambedue "modalità dell'essere"? In definitiva un simile concetto omnicomprensivo ("Tutto è l'essere") appare perfettamente "inutile", in quanto noi percepiamo una relazione conflittuale con le cose esterne all'ipotetico 'essere umano', e non possiamo in alcun modo percepire la 'totalità dell'Essere ' così da poter superare il conflitto inerente al nostro personale 'essere'...

No, Sari....non ci siamo.
Il "suo mutare" non è l'Essere, ma è la "manifestazione delle qualità dell'Essere".
E le "qualità" dell'Essere si manifestano - in quella che noi chiamiamo Realtà oggettiva - attraverso e mediante l'"evoluzione".
E' vero che la compassione e l'omicidio sono entrambe "qualità" dell'Essere. Ma è anche vero che tali qualità si sono manifestati in momenti differenti dell'evoluzione. E questo è fondamentale per formulare un'etica.
Perchè è fondamentale?
Perchè l'omicidio si è manifestato a un certo stadio evolutivo (quello del regno vegetale e animale dove ci sono i predatori e le prede).
La compassione si è manifestata in un altro stadio evolutivo (l'homo sapiens).
Il regno animale vive quindi una sua etica legata al suo stadio evolutivo (in cui l'omicidio è del tutto lecito).
L'homo sapiens (che è uno stadio evolutivo successivo), invece, è chiamato a formulare un'etica a partire dalle specifiche qualità che si sono manifestate nel suo stadio evolutivo (e cioè la creatività e la compassione).

L'errore nasce dal fatto di non vedere che l'Essere si manifesta con "qualità" diverse a seconda dello stadio evolutivo.
Ed è del tutto ovvio (almeno per me) che l'homo è chiamato a formulare un'etica a partire dalle specifiche qualità dell'Essere che si sono manifestate nel suo stadio evolutivo (e cioè la compassione e la creatività). E siccome l'omicidio è una qualità dell'Essere che si è manifestata in uno stadio evolutivo precedente (la nostra natura inferiore) ne consegue che l'omicidio, al nostro livello evolutivo, è immorale. Pur essendo l'omicidio, in termini generali, una qualità dell'Essere esattamente come lo sono la compassione e la creatività.  ;)
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Sariputra

#33
Continuamente, impercettibilmente, tutte le cose cambiano. Una primavera non è mai uguale a quelle già vissute. Quando l'inverno, attardandosi, dà posto al nuovo cielo d'Aprile, un senso di incompiutezza si insinua nell'animo di molte persone. Nulla "è" come ce l'aspettavamo, nulla come ricordavamo. I colori, per quanto magici, sembrano sempre un pò sbiaditi, un pò consunti. Sembra quasi che l'autore di una splendida pittura serbi per sé la maggior parte del colore e usi il rimanente molto diluito. Quel fiore è rosso, ma non di quel tono che ci saremmo aspettati dopo innumerevoli giorni di grigio piombo.
Viene a volte da chiedersi se la primavera che si fece largo dolcemente tra le tenebre della Preistoria sia stata così avara di mostrarsi, di farsi ammirare ed amare dagli spiriti della Terra e del Cielo come quelle che vediamo susseguirsi ai nostri giorni. I giapponesi usavano organizzare gite lunghissime solo per ammirare la fioritura dei ciliegi, quindi attaccare ai rami, folgoranti di luce, piccole strisce di carta con voti e preghiere per gli dei dei boschi. Che tristezza sarebbe vedere, ai nostri giorni, un gruppo di giovani che, protetti da comodi stivali di plastica, andassero per le campagne, ricoperte di letame e diserbanti, per pregare davanti ad una Madonna, inchiodata sull'ultima vite visibile ad occhio nudo. Che squallido sentore di morte emanerebbe da quei corpi giovani e bene in salute, che malinconica solitudine dagli occhi , un pò lavati dalla pioggia, della signora dei campi. Tale è l'impressione che suscita lo scorrere del tempo tra le nostre case. Innumerevoli alberi tagliati per dare luce a violenti cartelli pubblicitari sull'uso più accurato dei dentifrici contro la carie. Macchie grigie d'asfalto ovunque: tra l'erba, le rocce, le acque. Edifici mostruosi che s'elevano a barriera del sole. Vetri azzurrognoli che si riflettono tra loro all'infinito, con grotteschi volti carnosi e ammiccanti all'interno. Con tutto ciò non è certamente facile per la bellezza mostrare, a coloro che vogliono vedere, il proprio volto di maschera.
E forse, piangente, l'angelo del bene e del male se ne sta seduto sulla più alta vetta ad ammirare l'opera del suo Padrone scivolare vieppiù verso il mare, donde sorse e prese forma, e quivi, con inaudito fragore, schiantarvisi, lasciando solo bolle fluorescenti.
E poi...nel racconto...
Le espressioni della volgarità erano innumerevoli...la volgarità dell'eleganza, della santità, la volgarità dell'ultima moda, la volgarità dell'erudizione, la volgarità dell'avorio, la volgarità delle teorie presuntuose, la volgarità della follia, della civetteria, la volgarità del gatto persiano, la volgarità dei ricchi, dei monarchi, degli insetti che trafiggono con il loro pungiglione...
La reincarnazione era la punizione della volgarità. E la principale, o per meglio dire la sola, vera fonte della stessa era la smania di vivere...
(Yukio Mishima -"La caduta dell'angelo" )

https://www.youtube.com/watch?v=jIjOAWXZJSI
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

davintro

#34
essere e divenire convivono nel piano dell'essere contingente, piano che però non può essere assolutizzato, perché ciò che è contingente richiede per render ragione di sé, di ciò che esiste come necessità, mentre se la contingenza fosse l'unica realtà possibile, allora sarebbe autosufficiente, quindi necessaria, senza derivare il proprio essere da altro da sé, perché di altro oltre la "contingenza" (le virgolette a questo punto sono decisive...) sarebbe nulla. Ma in questo caso la contingenza si negherebbe in quanto tale. Questa convivenza si costituisce come la presenza di un mutamento che in ogni ente sviluppa la natura, l'essenza propria dell'ente, che lo costituisce come tale e permette al linguaggio di poter definire in tal modo tale ente, essenza che può essere considerata come l'elemento che permane. Il punto è che questa dialettica tra mutamento e permanenza si costituisce in modo diverso sulla base dei gradi gerarchici della realtà: quanto più si sale nella gerarchia, ci si avvicina all'essere nel senso pieno del termine, tanto più prevarrà l'elemento di permanenza, tanto più ci si riferisce all'essere in senso vuoto, tanto più prevarrà l'aspetto del divenire, ma fintanto che si esiste si resta sempre in qualche modo legati a un'idea di permanenza. La pietra, la pianta, l'animale, l'uomo partecipano tutti dell'Essere, in quanto tutti possiedono una loro natura, l'essenza in base a cui attribuiamo loro certe proprietà, ma occupano livelli diversi dell'ordine, l'uomo possiede un carattere di permanenza maggiore della pietra e della pianta, in virtù della sua essenza di razionalità e libero arbitrio, che permette all'uomo di resistere con maggior forza ai tentativi dell'esterno di manipolarlo, non solo con il suo corpo, ma anche con la ragione, che lo porta a criticare e rifiutare di dare l'assenso a opinioni ritenute false, perché l'essenza permanente che costituisce l'uomo come "uomo" è l'anima razionale. La pietra o la pianta possono reagire al tentativo di operare in loro manipolazioni solo in virtù della loro materialità, nella pietra l'essenza è data dalla forma intesa solo come forma geometrica che unifica una materia, la pianta occupa un livello superiore alla pietra, in quanto in essa la forma è vivente e non solo contorno geometrico, ma è priva di razionalità, come la pietra può offrire come resistenza a tentativi esterni di manipolazione solo la sua massa, massa che la tecnologia umana può facilmente piegare. La permanenza, lungi dall'essere solo un'astrazione, è in realtà ciò che vi è di più concreto nell'ente, perché costituisce quell'elemento che porta un ente a partecipare, ad essere adeguato all'idea dell'Essere puramente in atto, necessariamente esistente, mentre il divenire presuppone la componente di "potenza", cioè di indeterminazione, di irrealtà, qualcosa diviene fintanto che possiede delle potenzialità insite nella propria natura non ancora realizzate. l'uomo non è atto puro, infatti diviene, ma è adeguato all'idea dell'essere immutabile in misura maggiore della pianta e della pietra (ma la pianta in misura maggiore della pietra).

Questo discorso presuppone qualcosa che sembra controintuitivo, più che altro alla luce del nostro linguaggio nel quale è insensato dire che qualcosa è "più essere" di un'altra, l'essere è solo una copula, non una categoria che una cosa possiede più o meno. Invece il fatto che il rapporto essere-divenire muti alla luce dei diversi gradi di adeguazione all'idea di Essere pieno, implica che l'essere sia anche una categoria giudicabile in rapporti quantitativi (seppur alla luce di una scansione qualitativa e discreta tra le varie forme di esistenza), e qui l'ontologia si lega alla logica modale: quanto più l'esistenza di qualcosa è necessaria tanto più si può che dire che possiede l'essere in misura maggiore, tanto più qualcosa è contingente, cioè diviene, tanto più è privo di essere, e il massimo grado della contingenza dovrebbe coincidere con il Non-essere. Il mancato rilevamento del carattere quantitativo dell'essere è stato forse l'errore di fondo dell'eleatismo. Il fondo di verità dell'eleatismo è il nesso tra divenire e non-essere, quanto più qualcosa diviene si riconduce al non-essere, ma l'errore sta nel confondere un'opposizione logico concettuale, essere-non essere, con un'incompatibilità ontologica, escludendo che il divenire possa porsi come fenomeno interno all'essere che però rimane tale, tagliando fuori il nulla. Caldo e freddo sono certamente opposti così come essere e non-essere, ma ciò non impedisce che una cosa sia più o meno calda e più o meno fredda, caldo e freddo si escludono reciprocamente, ma convivono come elementi, concetti che introducono una tensione polare all'interno di uno stesso ente, e allo stesso modo, essere e non-essere convivono in ogni ente contingente, producendo mutamento, il non-essere fa sì che in ogni cosa resti una potenzialità e quindi il divenire, l'essere mantiene l'essenza permanente della cosa, seppur non pienamente reale. Parmenide confonde "essere" e "realtà", (e cade nel monismo) e non tiene conto del carattere ideale dell'essere, carattere che fa si che l'essere sia presente in ogni ente, che però non può pretendere di esaurire in sé stesso la pienezza dell'essere. Uomo, pietra, pianta, partecipano dell'essere, ma nell'uomo la maggior somiglianza all'Essere totalmente Attuale e immutabile, costituita dalla sua spiritualità, cioè la razionalità, fa sì che l'uomo sia "essere" in misura maggiore della pianta e della pietra, e la pianta lo sia nei confronti della pietra, tutti possiedono l'essere, ma nessuno è "l'essere"

Sariputra

#35
Che poi signori, diciamocela tutta come sta la faccenda...se 'essere' e 'divenire' alla fine sono solo delle espressioni verbali per indicare l'andazzo della vita, ognuno si sceglie il verbo che più gli aggrada, che sento più conforme al suo stato d'animo e carattere. Così ci troviamo gli ottimisti che portano sempre l''essere' ben stampato sulla maglietta ( pure sotto il maglione quando fa freddo...) e , appena discuti con loro ...voilà, vola via il maglione e appare la scritta ! Sono convinti che ci sia qualcosa che permanga, non la sanno indicare bene, ma ne sono convinti...se no...che ottimisti sarebbero? E ci sono i pessimisti che invece, quando l'incontri , hanno sempre quell'aria melanconica di chi ha già perso tutto ( pure l'essere...) e , se per caso ti invitano a discuterne, parlano sempre di quel che è passato e di quanto era bella la giovinezza ( che si fugge tuttavia...) e di come non ci sia proprio nulla d' aspettarsi di permanente; a questi la vita sembra sempre sfuggire dalle mani come in quelle di chi vuole trattenere l'acqua del mare...I primi sono solidi ( della solidità tipica dell'essere), mentre i secondi son quasi evanescenti, tanto che, se li osservi da una certa distanza , paiono sbuffi di fumo cinerino che s'alzano e si disperdono in cielo...Di solito, i primi riempion chiese e templi e feste politiche...i secondi invece...beh, i secondi son generalmente attaccati al cannello delle botti, ma non per ubriacarsi ( per quello alla fine bisogna credere alla solidità dell'essere...) bensì per sognar di farlo! Ma, purtroppo per loro, son così pessimisti che sanno già che passerà pure l'euforia dell'ubriacatura, lasciando in bocca, insieme all'amaro sapore dello svanire di tutte le cose, pure quello del proprio vomito... Ma se l'essere non può separarsi dal non-essere per poter essere ( come sapientemente descrittoci da davintro..), neppure l'ottimista può separarsi dal pessimista per restar ottimista...e allora vedi, fermi sul ciglio delle strade, gli ottimisti che rincuorano i pessimisti. Son così zelanti, gli ottimisti, che vanno per le case e gli ospedali  a rincuorar i pessimisti...e gli dicono, proprio mentre questi stan evaporando verso il soffitto:" Stai tranquillo che qualcosa permane: il tuo 'essere' ( pessimista)...permane!". E' proprio per questo motivo che i pessimisti, quando li vedon arrivare con il viso sorridente, nascondono il proprio sotto le lenzuola e fingon di dormire. Quale maledizione peggiore si potrebbe augurare al tristo pessimista?..Addirittura il permanere per sempre!...Non sottovalutiamo il potere dell'ottimismo e del pessimismo nel formular filosofie. Parmenide me lo vedo solido, roccioso, ottimista e permanente. Eraclito ( ma probabilmente sembra che fosse il discepolo Cratilo...) un pò così, sempre con la bocca storta a metter la punta del piede dentro e fuori l'acqua del fiume...eppure ambedue credevano nell'Uno ( almeno così pare...) solo che...per uno, l'Uno era fermo, e per l'altro non faceva che smenarsi ( e questa signori è una bella differenza, altro che sofismi filosofici...). Come provar a far l'amore con una donna che se ne sta immobile o viceversa che non si ferma un attimo. Quale delle due opzioni sarà da preferire? Ambedue paion presentar delle controindicazioni pratiche, non vi sembra? Forse la prima appare più semplice , ma sicuramente meno soddisfacente...mentre la seconda più complessa ( se non sta mai ferma...) ma potenzialmente molto più soddisfacente... ::)

P.S. Lou, non leggere la parte finale, ti prego!...

P.S.II  Di solito al pessimista capita sempre quella che non sta mai ferma, ovviamente... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: davintro il 04 Maggio 2017, 00:43:25 AM
essere e divenire convivono nel piano dell'essere contingente, piano che però non può essere assolutizzato, perché ciò che è contingente richiede per render ragione di sé, di ciò che esiste come necessità, mentre se la contingenza fosse l'unica realtà possibile, allora sarebbe autosufficiente, quindi necessaria, senza derivare il proprio essere da altro da sé, perché di altro oltre la "contingenza" (le virgolette a questo punto sono decisive...) sarebbe nulla. Ma in questo caso la contingenza si negherebbe in quanto tale.
CitazioneMa perché mai essere e divenire dovrebbero essere contingenti, non autosufficienti, ovvero richiedere l' esistenza o l' accadimento di qualcosaltro di necessario per poter accadere realmente?
 
Nella realtà si dà solo l' essere/accadere o il non essere/non accadere di qualsiasi cosa (ente o evento).
Contingenza e necessità di enti e/o eventi sono solo considerazioni del pensiero circa la realtà
 
Perché mai dovrebbe esserci bisogno di altro (preteso necessario) oltre a ciò che di fatto é/accade (preteso contingente)?
Come si dimostra questa affermazione?
Forse col fatto che si potrebbe anche pensare (in maniera logicamente corretta, come "ipotesi sensata") che ciò che é/accade non é/non accade e invece é/accade qualcosaltro (compresa l' ipotesi sensata del nulla, del non essere/accadere di alcunché)?
Questa non mi sembra affatto una dimostrazione: il fatto di potere (anche) pensare che ciò che é/accade non è/nonaccade non "scalfisce" minimamente, non ha alcuna conseguenza o implicazione per, non "c' entra per nulla" con il il fatto dell' essere/accadere di ciò che é/accade; non implica affatto alcuna necessità che sia/accada qualcosaltro di necessario ovvero di non pensabile (sensatamente, in maniera logicamente corretta, non autocontraddittoria) non essere/non accadere. Anche perché (con buona pace di sant' Anselmo d' Aosta) non vi è nulla di (pensabile e di) determinato che necessiti di essere/accadere, ma è necessario che sia/accada unicamente ciò che è/accade qualsiasi cosa sia, cioè del tutto indeterminatamente, inidiscriminatamente.



Questa convivenza si costituisce come la presenza di un mutamento che in ogni ente sviluppa la natura, l'essenza propria dell'ente, che lo costituisce come tale e permette al linguaggio di poter definire in tal modo tale ente, essenza che può essere considerata come l'elemento che permane.
CitazioneMa questa "essenza" permanente dell' ente (di ciascun "ente" considerabile nell' ambito del divenire reale; che è permanente soltanto in quanto fissata "una volta per tutte" del pensiero, salvo rare "ridefinizioni") non è altro che il concetto con il quale per l' appunto il linguaggio (pensiero linguistico) definisce, stabilisce o "costituisce" arbitrariamente per definizione che cosa è (=che cosa sia considerato essere, nell' ambito del pensiero linguistico stesso) ciascun ente "isolandolo o delimitandolo", cioé attribuendogli convenzionalmente dei "margini" o "confini" (questo è il significato etimologico di "definire") mentalmente dal resto del divenire reale.



Il punto è che questa dialettica tra mutamento e permanenza si costituisce in modo diverso sulla base dei gradi gerarchici della realtà: quanto più si sale nella gerarchia, ci si avvicina all'essere nel senso pieno del termine, tanto più prevarrà l'elemento di permanenza, tanto più ci si riferisce all'essere in senso vuoto, tanto più prevarrà l'aspetto del divenire, ma fintanto che si esiste si resta sempre in qualche modo legati a un'idea di permanenza. La pietra, la pianta, l'animale, l'uomo partecipano tutti dell'Essere, in quanto tutti possiedono una loro natura, l'essenza in base a cui attribuiamo loro certe proprietà, ma occupano livelli diversi dell'ordine, l'uomo possiede un carattere di permanenza maggiore della pietra e della pianta, in virtù della sua essenza di razionalità e libero arbitrio, che permette all'uomo di resistere con maggior forza ai tentativi dell'esterno di manipolarlo, non solo con il suo corpo, ma anche con la ragione, che lo porta a criticare e rifiutare di dare l'assenso a opinioni ritenute false, perché l'essenza permanente che costituisce l'uomo come "uomo" è l'anima razionale. La pietra o la pianta possono reagire al tentativo di operare in loro manipolazioni solo in virtù della loro materialità, nella pietra l'essenza è data dalla forma intesa solo come forma geometrica che unifica una materia, la pianta occupa un livello superiore alla pietra, in quanto in essa la forma è vivente e non solo contorno geometrico, ma è priva di razionalità, come la pietra può offrire come resistenza a tentativi esterni di manipolazione solo la sua massa, massa che la tecnologia umana può facilmente piegare. La permanenza, lungi dall'essere solo un'astrazione, è in realtà ciò che vi è di più concreto nell'ente, perché costituisce quell'elemento che porta un ente a partecipare, ad essere adeguato all'idea dell'Essere puramente in atto, necessariamente esistente, mentre il divenire presuppone la componente di "potenza", cioè di indeterminazione, di irrealtà, qualcosa diviene fintanto che possiede delle potenzialità insite nella propria natura non ancora realizzate. l'uomo non è atto puro, infatti diviene, ma è adeguato all'idea dell'essere immutabile in misura maggiore della pianta e della pietra (ma la pianta in misura maggiore della pietra).
CitazioneSono ben fiero della razionalità umana e la considero la cosa più importante in natura.
Ma ciò vale unicamente per me (per noi), è una valutazione del tutto soggettiva, arbitraria, che non ha nulla di oggettivo: oggettivamente tutto ciò che è/accade può benissimo essere pensato non essere/non accadere: tutto parimenti, indiscriminatamente, qualsiasi cosa: dal minerale alla ragione e ai sentimenti, valori, ideali umani.
 
Oggettivamente non esiste alcuna gerarchia fra gli enti/eventi reali.
 
Non c' è bisogno per nessun ente e/o evento di alcun "elemento di permanenza", di nessun "adeguatezza all'idea dell' Essere puramente in atto, necessariamente esistente" per poter essere/accadere realmente, di fatto.
Ciò che è/accade é/accade senza alcun bisogno di essere adeguato all'idea dell'Essere puramente in atto, necessariamente esistente: ciò che è/accade: del tutto parimenti qualsiasi cosa sia/accada, indiscriminatamente, si tratti dei più alti ideali umani o del più umile e banale granello di sabbia (e anzi di fatto la permanenza temporale di molti oggetti minerali, come sassi, rocce, è ben maggiore di quella di qualsiasi animale e in particolare di qualsiasi uomo).



Questo discorso presuppone qualcosa che sembra controintuitivo, più che altro alla luce del nostro linguaggio nel quale è insensato dire che qualcosa è "più essere" di un'altra, l'essere è solo una copula, non una categoria che una cosa possiede più o meno. Invece il fatto che il rapporto essere-divenire muti alla luce dei diversi gradi di adeguazione all'idea di Essere pieno, implica che l'essere sia anche una categoria giudicabile in rapporti quantitativi (seppur alla luce di una scansione qualitativa e discreta tra le varie forme di esistenza), e qui l'ontologia si lega alla logica modale: quanto più l'esistenza di qualcosa è necessaria tanto più si può che dire che possiede l'essere in misura maggiore, tanto più qualcosa è contingente, cioè diviene, tanto più è privo di essere, e il massimo grado della contingenza dovrebbe coincidere con il Non-essere.
CitazioneSecondo logica non esiste "alcun qualcosa" di necessario (essere/accadere) a priori, nulla di necessariamente essente/accadente realmente, se non indiscriminatamente, del tutto indeterminatamente (qualsiasi cosa sia), ciò che di fatto é/accade: questa è l' unica necessità logica a priori (predicabile anche in negativo come necessario non essere/non accadere solamente di tutto ciò che non é/non accade, qualsiasi cosa non sia/non accada).
Sempre con buna pace di sant' Anselmo d' Aosta).



Il mancato rilevamento del carattere quantitativo dell'essere è stato forse l'errore di fondo dell'eleatismo. Il fondo di verità dell'eleatismo è il nesso tra divenire e non-essere, quanto più qualcosa diviene si riconduce al non-essere, ma l'errore sta nel confondere un'opposizione logico concettuale, essere-non essere, con un'incompatibilità ontologica, escludendo che il divenire possa porsi come fenomeno interno all'essere che però rimane tale, tagliando fuori il nulla. Caldo e freddo sono certamente opposti così come essere e non-essere, ma ciò non impedisce che una cosa sia più o meno calda e più o meno fredda, caldo e freddo si escludono reciprocamente, ma convivono come elementi, concetti che introducono una tensione polare all'interno di uno stesso ente, e allo stesso modo, essere e non-essere convivono in ogni ente contingente, producendo mutamento, il non-essere fa sì che in ogni cosa resti una potenzialità e quindi il divenire, l'essere mantiene l'essenza permanente della cosa, seppur non pienamente reale. Parmenide confonde "essere" e "realtà", (e cade nel monismo) e non tiene conto del carattere ideale dell'essere, carattere che fa si che l'essere sia presente in ogni ente, che però non può pretendere di esaurire in sé stesso la pienezza dell'essere. Uomo, pietra, pianta, partecipano dell'essere, ma nell'uomo la maggior somiglianza all'Essere totalmente Attuale e immutabile, costituita dalla sua spiritualità, cioè la razionalità, fa sì che l'uomo sia "essere" in misura maggiore della pianta e della pietra, e la pianta lo sia nei confronti della pietra, tutti possiedono l'essere, ma nessuno è "l'essere"
CitazioneIl divenire può porsi in maniera logicamente corretta (pensarsi correttamente, sensatamente) e accadere nella realtà come aspetto dell' essere (della realtà) che però rimane tale, non identificandosi contraddittoriamente col non essere (di alcunché di reale).
 
L' essere di ogni ente è presente nella realtà in divenire in quanto suo aspetto o caratteristica arbitrariamente considerabile, "definibile" (cioè letteralmente ed etimologicamente "che possa essere distinta dal resto della realtà in divenire mediante limiti" o "confini") nell' ambito del pensiero circa la realtà.
 
Resto sempre più convinto che la distinzione (non confusione) fra "realtà (in generale)" e (in particolare realtà del) "pensiero" sia il punto nodale più importante e fondamentale della filosofia:
 
di ciò che è reale/accade realmente può anche darsi che non sia pensato essere reale/accadere realmente (oltre che lo sia pensato) e può anche darsi che sia pensato non essere reale/non accadere realmente (oltre che sia pensato esserlo), mentre di ciò che non è/non accade realmente può anche darsi che sia pensato essere/accadere realmente (oltre che non lo sia pensato);
 
e
 
di ciò che è pensato essere/accadere realmente può anche darsi che non sia/non accada realmente (oltre che sia/accada realmente), e che sia pensato non essere/non accadere realmente (oltre che essere/accadere realmente), mentre di ciò che è pensato non essere/non accadere realmente può anche darsi che sia/accada realmente (oltre che non sia non accada realmente), e che sia pensato essere/accadere realmente.

myfriend

#37
@sgiombo

Perché mai dovrebbe esserci bisogno di altro (preteso necessario) oltre a ciò che di fatto é/accade (preteso contingente)?
Come si dimostra questa affermazione?


Dalla qualità delle domande si deduce tutto.  ;)

Facciamo così.
Prova a guardare un quadro....uno che ti piace. Uno qualunque. Ad esempio "La Gioconda".
L'hai guardato? Bene!
Ora dimostrami che non l'ha dipinto un pittore. Dimostrami che "prima" di quel quadro (e "dietro" quel quadro) non c'è una "mente" che l'ha concepito e disegnato. Dimostrami che quel quadro è il semplice frutto di "ciò che accade da sè" senza che ci sia bisogno di altro.  :D

Se riuscirai a dimostrarmelo, allora possiamo dire che il "contingente" semplicemente accade e non ha bisogno di altro.  :D

La verità è che quando guardiamo un quadro riteniamo del tutto sensato chiederci "chi e cosa c'è dietro quel quadro. Chi l'ha fatto e perchè?".

Quando, invece, guardiamo la "Realtà" pretendiamo di dire che dietro la "Realtà" non c'è  niente e che la Realtà si autodetermina da sola.  :D

Due modi diversi di pensare che denotano solamente una "scelta ideologica" per supportare una visione del mondo e della Realtà priva di ogni senso (il "nichilismo").
Questa è la tua "fede", sgiombo.
Una fede che ti porta a dire che un quadro (il contingente) si è fatto da sè.
E ora la domanda: dobbiamo ridere o dobbiamo piangere?  :D

Se c'è una "creazione" (contingente) ci deve necessariamente essere un "creatore" (l'essere immutabile). Perchè questa è la logica che impregna tutto l'universo e ogni cosa che appartiene all'universo (la pianta nasce dal seme, i pianeti nascono da una stella, il quadro nasce da un pittore, un sasso nasce da un pianeta, la materia nasce dall'energia, l'energia nasce dalla Coscienza eterna e immutabile) (Non sono un "creazionista". Il termine "nascere" l'ho usato al posto di "manifestarsi a seguito di una trasformazione"...poichè nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto cambia forma). Questa è la logica che pervade tutto l'universo. Ma se questa è la logica che pervade tutto l'universo, come puoi sostenere che l'universo nel suo complesso (cioè la "Realtà"...il "contingente") sfugga a questa logica e si è fatto da sè senza bisogno che derivi da qualcos'altro, senza bisogno che ci sia UN altro "dietro le quinte"? Se ogni cosa nell'universo funziona secondo questa legge (creatore e creato) come possiamo sostenere che l'universo stesso, invece, nel suo complesso sfugge a questa logica? Sarebbe piuttosto illogico e bizzarro da un punto di vista puramente filosofico sostenere una simile "fede". Non credi?  :D
Sarebbe come dire che tutti i "contenuti" seguono una stessa logica, ma il "contenitore", nel suo complesso, (che è la somma dei contenuti...cioè non è "altro" rispetto ai contenuti, ma è l'insieme dei contenuti) non segue alcuna logica, ma si è fatto da sè in modo del tutto spontaneo e casuale.
E' una filosofia illogica e bizzarra. Una filosofia così a me fa un po' ridere. E lo dico col massimo rispetto.  :D

Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Sariputra

@Sgiombo scrive: 
Ma questa "essenza" permanente dell' ente (di ciascun "ente" considerabile nell' ambito del divenire reale; che è permanente soltanto in quanto fissata "una volta per tutte" del pensiero, salvo rare "ridefinizioni") non è altro che il concetto con il quale per l' appunto il linguaggio (pensiero linguistico) definisce, stabilisce o "costituisce" arbitrariamente per definizione che cosa è (=che cosa sia considerato essere, nell' ambito del pensiero linguistico stesso) ciascun ente "isolandolo o delimitandolo", cioé attribuendogli convenzionalmente dei "margini" o "confini" (questo è il significato etimologico di "definire") mentalmente dal resto del divenire reale.


Concordo con Sgiombo che "essenza permanente" può essere intesa solo in senso di concetto linguistico, necessario per definire e delimitare in senso convenzionale il mutare  reale delle cose ( divenire delle cose, dei fenomeni che mi paiono termini di più immediata comprensione del termine 'ente'...problema mio ovviamente  ;D ). E' necessaria per 'l'intelligibilità' umana del mutare ma non per il 'mutare' in sè delle cose. Non c'è alcun motivo per cui sia necessario qualcosa di permanente, per giustificare l'impermanenza. Anzi, alla mia modesta riflessione, appare problematico conciliare proprio il concetto di permanenza con l'impermanenza ( mutare, divenire) dei fenomeni che colpiscono la mia percezione e che in definitiva potrebbero pure risolversi semplicemente in essa.
Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...).Il pensiero tenta di 'fissarlo' in enti pretendendo che la determinazione concettuale indichi una 'permanenza', che mi appare più simile ad un'illusione...
( Ovviamnte spero di aver bene interpretato il pensiero di Sgiombo...altrimenti dovrò fare un fioretto questa sera... :( ).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Lou

"Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...)."
Sì chiaro, ma per me è palese che questo "si trasforma senza posa" significa proprio la permanenza del divenire. :-\
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Sariputra

#40
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 16:38:36 PM"Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...)." Sì chiaro, ma per me è palese che questo "si trasforma senza posa" significa proprio la permanenza del divenire. :-\

Però percepiamo il divenire del reale, ma non possiamo sapere se questo divenire ha avuto un inizio e avrà una fine. Quindi  dire che il divenire permane non è dimostrabile, a parer mio...( è assai probabile che il divenire continui, permanga, ma non possiamo esserne certi...).
Per questo mi sembra più corretto dire " Tutto passa" che non dire " Eterno divenire" ( Se non in senso poetico, per accentuare nel lettore la visione del divenire...)
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Lou

Sì, è che mi suona innaturale un inizio e una fine del divenire, trovo più ragionevole l'idea (indimostrabile forse) che siano gli enti, cioè le cose che sono soggette al passare e passano, non il passare stesso. Del resto, nutro la convinzione che una volta che una cosa è passata e finita l'accadere continua anche dopo di lei.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Sariputra

#42
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 17:33:56 PMSì, è che mi suona innaturale un inizio e una fine del divenire, trovo più ragionevole l'idea (indimostrabile forse) che siano gli enti, cioè le cose che sono soggette al passare e passano, non il passare stesso. Del resto, nutro la convinzione che una volta che una cosa è passata e finita l'accadere continua anche dopo di lei.

Esatto Lou, anche per me sono le cose, i fenomeni che passano e non c'è un 'divenire' senza il divenire delle cose ( o enti se preferisci). Il passare può essere inteso solo in riferimento a ciò che passa. Quindi dire 'il divenire di tutte le cose' è da intendere come che tutte le cose presentano la caratteristica di passare, di mutare . Siccome tutte manifestano questa caratteristica  si dice che tutte le cose sono impermanenti, cioè sono prive della caratteristica di essere permanenti, stabili , durevoli, dotate di un' "essenza" durevole, indipendente dalle altre e che non muta. "Essenza" che è 'vista' o ipotizzata solo dal pensiero, ma che è altro da ciò che effettivamente diviene.
Sulla strada del bosco
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Trattiene rondini nei capelli.

Lou

È che non porre a sfondo uno o più principi stabili pensare è mal di mare. :)
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 04 Maggio 2017, 16:22:28 PM
@Sgiombo scrive:
Ma questa "essenza" permanente dell' ente (di ciascun "ente" considerabile nell' ambito del divenire reale; che è permanente soltanto in quanto fissata "una volta per tutte" del pensiero, salvo rare "ridefinizioni") non è altro che il concetto con il quale per l' appunto il linguaggio (pensiero linguistico) definisce, stabilisce o "costituisce" arbitrariamente per definizione che cosa è (=che cosa sia considerato essere, nell' ambito del pensiero linguistico stesso) ciascun ente "isolandolo o delimitandolo", cioé attribuendogli convenzionalmente dei "margini" o "confini" (questo è il significato etimologico di "definire") mentalmente dal resto del divenire reale.


Concordo con Sgiombo che "essenza permanente" può essere intesa solo in senso di concetto linguistico, necessario per definire e delimitare in senso convenzionale il mutare  reale delle cose ( divenire delle cose, dei fenomeni che mi paiono termini di più immediata comprensione del termine 'ente'...problema mio ovviamente  ;D ). E' necessaria per 'l'intelligibilità' umana del mutare ma non per il 'mutare' in sè delle cose. Non c'è alcun motivo per cui sia necessario qualcosa di permanente, per giustificare l'impermanenza. Anzi, alla mia modesta riflessione, appare problematico conciliare proprio il concetto di permanenza con l'impermanenza ( mutare, divenire) dei fenomeni che colpiscono la mia percezione e che in definitiva potrebbero pure risolversi semplicemente in essa.
Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...).Il pensiero tenta di 'fissarlo' in enti pretendendo che la determinazione concettuale indichi una 'permanenza', che mi appare più simile ad un'illusione...
( Ovviamnte spero di aver bene interpretato il pensiero di Sgiombo...altrimenti dovrò fare un fioretto questa sera... :( ).
CitazioneBeviti pure un buon bicchiere o due (meglio comunque non esagerare) di prosecco, stasera, che mi hai inteso benissimo!

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