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essere e divenire

Aperto da sgiombo, 01 Maggio 2017, 16:36:46 PM

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sgiombo

Citazione di: acquario69 il 02 Maggio 2017, 10:10:38 AM
CitazioneNon è inoltre chiaro il nesso (che non sia logicamente contraddittorio) che dovrebbe sussistere fra ciò che chiami "realtà" simultanea e fissa e ciò che chiami "manifestazione apparente" diacronica, in successione, diveniente.

A meno che per "realtà" simultanea, fissa, immutabile non intenda mere astrazioni da parte del pensiero di aspetti istantanei (e magari parziali anche spazialmente) del divenire reale.


si lo so che non e' chiaro per niente.. inoltre si tratta di concepire due cose contemporaneamente e pure in contraddizione tra loro!  :o
CitazioneCaspita!

Incomunicabiltà totale, assoluta fra noi!

myfriend

#16
Diceva Richard Feynman:

« C'è un fatto, o se volete, una legge, che governa i fenomeni naturali sinora noti. Non ci sono eccezioni a questa legge, per quanto ne sappiamo è esatta. La legge si chiama "conservazione dell'energia", ed è veramente una idea molto astratta, perché è un principio matematico: dice che c'è una grandezza numerica, che non cambia qualsiasi cosa accada. Non descrive un meccanismo, o qualcosa di concreto: è solo un fatto un po' strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato... »

Questo "numero" è la Coscienza cosmica. Essa è "l'essere" immutabile. Tutto il resto (noi compresi) è "manifestazione" di questa Coscienza cosmica immutabile; noi chiamiamo le "manifestazioni" col termine "energia" (o "materia") e le "manifestazioni" sono costantemente "in divenire" o "in trasformazione".

La Fisica, spesso, è molto più chiara di qualunque elucubrazione mentale.  :D
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Sariputra

#17
x sariputra
@Green scrive:
la tua ipotesi è corretta però solo dal punto di vista umano, non certo divino, come potrebbe ciò che è (Da sempre) divenire, qualcosa che non sia ancora se stesso? Appunto una contraddizione in termini.

Chiaro che lo è solo dal punto di vista umano. Non essendo Dio non posso certo avere il punto di vista di Dio...( se c'è qualcosa come il punto di vista di Dio...). Non ci è dato 'vedere' l'origine di questo flusso incessante di mutamento, se ne ha avuto una o se è eterno...speriamo solo che ce l'abbia un'origine ( perché così si potrebbe sperare che abbia pure una fine...).

Per quanto riguarda l'uomo: chi d'altronde garantisce che l'uomo sia il divenire all'interno di un essere?

Non capisco  in che senso intendi "all'interno di un essere". L'uomo io lo vedo all'interno del divenire dei componenti che lo fanno 'uomo' ( compresa la coscienza o autocoscienza) e non c'è un posto per l'"essere" all'interno di questo divenire...nulla di permanente."Sono uomo", ma lo sono finchè ciò che mi compone come uomo mantiene quell'equilibrio di condizioni e cause , al mutare dell'equilibrio "non sono più" e divento qualcos'altro. Si deve usare l'essere per 'fermare' il momento del mutare incessante. E' una necessità semantica, non una realtà, a parer mio.  Il problema casomai è che il pensiero pensa che "uomo" sia una cosa ben definità, ossia dotata di realtà 'indipendente'; indipendente anche dalla relazione con il linguaggio...

Chi garantisce che siamo veramente gocce di mare?

Intendi qualcosa di esterno all'uomo che garantisce che siamo solo gocce di mare? E dove lo troviamo?...Se però osserviamo il continuo mutare delle cose ( esteriori e interiori) non vedo ragione per dubitare che anche noi siamo della stessa natura dipendente e in divenire di tutte le altre. L'eventuale valutazione, per fede, di una natura trascendentale non mi sembra possa competere all'analisi e all'osservazione.

La tua controtesi non ha senso, infatti una goccia di mare non è mai il mare, e nemmeno l'insieme delle gocce potrà mai essere il mare. Infatti l'addizione della precarietà delle gocce avrà come somma una precarietà, ma il mare non ha precarietà in quanto da sempre è l'originario.

Una goccia non è il mare, ma è possibile trovare qualcosa come il mare al netto di ciò che lo costituisce ( l'acqua, i fondali, i pesci, la vegetazione marina, ecc.)? Se via via togliamo, ad uno ad uno, i suoi componenti, le sue cause e le condizioni che ne permettono l'esistenza, non rimane alcun 'mare'. Quindi 'mare' è solo una semplificazione necessaria al linguaggio, una designazione mentale...

La controtesi che riguarda l'uomo ha invece senso, ma ritenevo che l'avessi già espressa nella tesi che effettivamente risultava ambigua.(l'essere e l'uomo non sono la stessa cosa).
Ovviamente avendo senso ritengo fondata la tua ipotesi che l'antropocentrismo derivi anche da una (errata però a mio avviso) visione dell'essere.

Ps
Per inciso "anche" perchè non è solo una questione di irrigidimento dell' "io", ma ci sarebbe da considerare anche la questione dell'agire, e dell'etos stesso. (che non è mai per sempre, ma mutevole come i costumi).


Esatto, proprio perché anche l'agire e l'etos stesso sono in dipendenza da altro, osserviamo la loro mutevolezza...

Ovviamente nella distinzione tra essere e uomo vi è tutto il discorso di Heidegger.

Sono troppo ignorante su questo e quindi non mi esprimo... :-[

E anche la tua posizione Sari rientra in quel grande errore della metafisica occidentale: credere di essere Dio.

Non credo proprio di essere Dio. Sarebbe contraddire la  stessa teoria sull'interdipendenza di tutte le cose. Infatti anche la teoria stessa, sulla dipendenza e relazione, è dipendente da altro...

Ciao :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

green demetr

x sari

Essendo la goccia fatta d'acqua contiene in sè il concetto di mare.
E' una metafora, non è una questione scientifica, che non pensa.
Da un orientalista mi aspettavo meglio.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Garbino il 02 Maggio 2017, 11:11:39 AM
Quand' è che l' uomo potrà superare i limiti stabiliti dal contesto ideologico, dalle morali, dal linguaggio, se non si incomincia a valutare che bisogna rimettere mano a tutto?
The answer my friend is blowing in the wind, the answer is blowing in the wind.
Garbino Vento di Tempesta.

Basterebbe prendere parte contro qualcosa Garbino.
Una canzonetta non risolve proprio niente.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

#20
Citazione di: green demetr il 02 Maggio 2017, 15:13:59 PMx sari Essendo la goccia fatta d'acqua contiene in sè il concetto di mare. E' una metafora, non è una questione scientifica, che non pensa. Da un orientalista mi aspettavo meglio.

Non aspettarti niente, ti prego!...( 'Sta cosa delle aspettative genera solo ansia... :) ).
"Chel che ghe xe de bòn, lo ciapemo...Chel che ghe xe da butàr, lo butemo! " famoso detto della Contea...
Mi piace ( tentare) di 'vivisezionare' i concetti, per capir se c'è qualcosa di effettivo oltre i concetti. Ma non lo trovo questo "in sé" dei concetti, se non prendendo per buoni i concetti o riducendo un processo di relazioni in un termine concettuale... e quindi questo 'in sè' del mare non riesco a trovarlo nella goccia d'acqua e non ho trovato e nemmeno l'in sé dell'essere...tutto vuoto di 'in sè'...e lo cosa 'in sé' non è neppure un male, mi sembra... :) toglie di mezzo la presunzione umana di essere 'in sé' e nel centro...
Attenzione però che non intendo negare l'importanza e la necessità del 'concetto' di una data cosa, ma mi sembra necessario il superamento del concetto di 'in sè' delle cose per pervenire ad una più corretta ( o meno falsa...) comprensione del 'divenire' che è un dato percettivo, a differenza dell'essere che è concettuale...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

#21
Citazione di: myfriend il 02 Maggio 2017, 11:30:36 AM
Diceva Richard Feynman:

« C'è un fatto, o se volete, una legge, che governa i fenomeni naturali sinora noti. Non ci sono eccezioni a questa legge, per quanto ne sappiamo è esatta. La legge si chiama "conservazione dell'energia", ed è veramente una idea molto astratta, perché è un principio matematico: dice che c'è una grandezza numerica, che non cambia qualsiasi cosa accada. Non descrive un meccanismo, o qualcosa di concreto: è solo un fatto un po' strano: possiamo calcolare un certo numero, e quando finiamo di osservare la natura che esegue i suoi giochi, e ricalcoliamo il numero, troviamo che non è cambiato... »

Questo "numero" è la Coscienza cosmica. Essa è "l'essere" immutabile. Tutto il resto (noi compresi) è "manifestazione" di questa Coscienza cosmica immutabile; noi chiamiamo le "manifestazioni" col termine "energia" (o "materia") e le "manifestazioni" sono costantemente "in divenire" o "in trasformazione".
CitazioneDubito assai che Feynman avrebbe approvato questo preteso "corollario" alle sue considerazioni.

Inoltre vorrei far notare un fatto (per me molto importante) rilevato più di due secoli fa da David Hume, e cioé che l' asserzione per la quale vi é una causazione (regolare e costante secondo leggi universali) di fatti (effetti) da altri fatti (cause) non é dimostrabile né verificabile empiricamente: si può credere (e di fatto personalmente credo) a quanto afferma Feynman (in particolare; e la scienza in generale) ma non perché lo si possa razionalmente provare.

La Fisica, spesso, è molto più chiara di qualunque elucubrazione mentale.  :D
CitazioneMa per un razionalista conseguente come me va sempre sottoposta "spietatamente" a critica razionale.

sgiombo

Citazione di: green demetr il 02 Maggio 2017, 10:28:59 AMx sgiombo

come sai dovremmo per onor del vero fare i solito distinguo.

Da una parte il tuo punto di vista (scientifico) del fenomeno mentale che corrisponde biunivocamente al fenomeno sensibile.
Dall'altra parte il mio che invece ritiene il fenomeno mentale contenente/riflettente il fenomeno sensibile.

Ma il caotico, se fosse tale, sarebbe comunque originario.
Sia perchè riguarda l'entropia dell'universo a un livello scientifico, sia perchè riguarda l'impossibilità della "cosa in sè" stessa.
Che poi sarebbero i nostri 2 punti di vista.

La seconda ipotesi sarebbe leggibile secondo un liguaggio formale matematico, dove si ipotizza (e quindi si dà) un tutto universale, e al cui interno vi sono tutte le funzioni variabili ipotizzabili tra le sue parti.
All'interno del linguaggio formale ovviamente si situa quella che è la "teoria del caos"(scientifica), ovvero quella serie di equazioni che ritrovano statisticamente una ordinazione nelle varie forme entropiche.

L'unica etica che vi ravviso è però solo quella riduzionista, dove appunto il ricercato deve essere per forza un dato sensibile, ovvero passibile di ulteriori trattamenti. Nella mia visione rientra nel problema della "Tecnica". Non faccio un distinguo tra Tecnica e Tecnologia, come la maggior parte dei filosofi fa: ritengo infatti come Heidegger che il problema sia connaturato nell'uomo.(ovvero strutturato nella relazione fra immanenza e storia, come apertura del mondo, come memoria del fare e dell'agire,

che automaticamente diventa costume e quindi Etica (ripetizione in greco).

Il problema è sempre lo stesso, che si dimentica chi parla, ovvero l'interrogante come direbbe Heidegger, ovvero la riflessione di ogni medietà, e anche la tecnica rientra nel dominio del soggetto, con tutte i vari problemi politici connessi.
CitazioneFrancamente ci capisco ben poco o nulla.
 
Il mio punto di vista sul mentale (in particolare; e in generale la coscienza, la quale comprende anche i fenomeni materiali: "esse est percipi"!) e i suoi rapporti col corporeo (il materiale in generale; e il cerebrale in particolare) non è e non può essere scientifico (è una questione che va al di là delle fisica (e biologia e fisiologia, ecc.: letteralmente é "metafisica").
Anche se credo in una (indimostrabile) corrispondenza biunivoca fra coscienza e materia (in particolare cerebrale); nonché che sia perfettamente compatibile con le neuroscienze e in grado spiegare i loro risultati.
 
Non capisco cosa possa significare il concetto di "originario" riferito al "caotico", né cosa c' entri l' entropia, né tantomeno perché mai (l' esistenza reale de- ???) la cosa in sé sarebbe impossibile.
 
Mi sembra semplicemente ovvio che il determinismo fisico in generale e le teorie del "caos deterministico" rientrino nell' ipotesi di "divenire ordinato" (cioè mutamento limitato, relativo, parziale"; id est: essere fisso limitato, relativo parziale) che infatti, contrariamente alle ipotesi alternative, ritengo compatibile con la conoscenza scientifica.
 
Invece non capisco proprio per nulla le tue considerazioni circa l' etica (che non vedo in che senso potrebbe mai essere "riduzionista").
 
Su tecnica, tecnologia, Heidegger, Etica (con l' inizale maiuscola), interrogante, medietà, soggetto, ecc. non posso intervenire per totale ignoranza del terzo (al pari di Sariputra), noché della Quarta", del quinto e della sesta).

donquixote

Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 00:26:37 AMMi sembra però che pure l'essere non può essere stabilito in assenza di ciò che non è essere. Se s'intende l'essere come qualcosa che dispone di una natura propria, dovrebbe sempre conservare lo stato e la forma che le sono propri. Ma questo non avviene, perché nessuna cosa ( esteriore e interiore) mantiene la propria forma e il proprio stato, ossia è soggetta al "divenire" e quindi al mutare della propria forma e del proprio stato...( le caratterististiche uniche e peculiari di cui parli non sono proprietà dell'essere ma delle parti che determinano l'essere ; parti che mutano in continuazione...)solo ipotizzando che l'essere mantenga un "quid" ( un essere "non manifestato" che citi) che non muta mai si può dare un significato al termine "essere" ( ma questo quid non può essere che di natura trascendente...). Ogni essere viene ad essere (esistere) determinato da cause e condizioni che non gli sono propri ( non è una proprietà dell'essere la sua originazione) e che non gli appartengono se non come cause . Ma un essere ( dato in sé) può "venire ad essere"? Quando 'viene ad essere' la sua esistenza e origine stessa è dipendente da cause che lo determinano e lui stesso è causa di ulteriore manifestarsi del 'divenire' dell'essere. Ma, al di fuori di queste cause e condizioni, dov'è possibile ravvisare l'"essere"? Se non come necessità linguistica ( verbo 'essere') per dare un senso alle nostre designazioni? Se ci fosse un essere dovrebbe esserci pure qualcosa che appartenga all'essere. Non mi sembra però che sia possibile trovare qualcosa che appartenga all'essere al netto delle parti/cause e condizioni che convenzionalmente chiamiamo 'essere'... La semplice 'presenza' inoperativa degli 'enti' ( da quel poco che capisco del termine 'ente'... :( ) non può aver alcun significato per le cause e condizioni che determinano l'essere. Le cause infatti devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...). Se si obietta che ciò che sottostà ad una modifica è l'impermanente , e che il permanente non lo è, si potrebbe far presente che, poichè solo ciò che muta e diviene è effettivamente visibile, ciò che non muta può essere uguagliato al non-esistente...ossia 'per essere' bisogna necessariamente 'divenire', ma divenendo neghiamo la presenza ( come permanente, sostanziale e immutabile) dell'essere. A questa contraddizione mi sembra ci trascini il pensiero che, per il solo fatto di definire un termine, istintivamente è portato a pensare che esista sempre qualcosa di reale inerente al termine. Mentre "essere" mi appare per quello che effettivamente e correttamente è, ossia un verbo, una necessità linguistica... Ovviamente altra cosa se postuliamo l'essere come trascendente il divenire...allora qui il termine 'essere' mi sembra inappropriato e si dovrebbe chiamare per il significato che vuol intendere, cioè il termine "Dio" o "anima"...ma questo non può che "essere indeterminato"... Non mi sembra che , rimettendo l''essere' nella giusta prospettiva ( verbale), si scada nell'illusione e nell'irrealtà. Si supera, a mio parere una concezione statica della realtà e s'intravede un dinamismo fatto di realtà 'in relazione'. Sul valore per l'uomo di questa realtà fatta di relazione dinamica mi sono già espresso negativamente in altra discussione... P.S. Spero di esser stato comprensibile. Vista l'ora...

Bisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla). In questo senso non si può definire l'Essere sulla base di ciò che non è poichè appunto al di fuori di esso non vi è niente; si può però, come accade spesso, tentare di definire l'Essere sulla base di ciò che non è sottintendendo l'avverbio "solo" (o solamente); in tal modo se dico che l'Essere "non è rosso" non significa che è di un altro colore, ma che non è "solo" rosso ma anche di tutti gli altri colori, e così via. Ad alcuni (moltissimi) sembra che in tal modo l'Essere e il nulla coincidano e poichè entrambi non possono essere definiti non riescono a concepire qualcosa che non abbia limiti e quindi definizione, ma la differenza sostanziale e decisiva sta nel fatto che se il nulla non può avere definizioni o attributi perchè è, appunto, nulla, l'essere non può averne perchè ce li ha tutti; dire che l'Essere non si può definire significa solo che ogni definizione che gli si attribuisce, escludendo tutto ciò che in tale definizione non è compreso, limiterebbe l'Essere e lo negherebbe nella sua qualità di "Tutto ciò che è". A volte si possono trovare testi o dottrine in cui l'Essere viene chiamato "Nulla", ma con questo non si intende che è niente, bensì che non è nulla (niente) di particolare, di definito, di delimitato. Dall'Essere inteso in tal modo proviene il divenire (o se vuoi l'essere scritto con la e minuscola), che altro non è che una "espressione" dell'essere, una sua "manifestazione", che non intacca però per nulla la sua totalità, che rimane tale e immutabile. Il "divenire" lo possiamo definire genericamente come "ciò che dell'Essere si manifesta" quindi che "esiste" (nel senso etimologico di ex-stare, stare fuori, venire alla luce), quindi se l'Essere è "tutto ciò che è" l'essere è "tutto ciò che esiste". Questo "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente":  ente è il suffisso dei participi presenti dei verbi attivi (essente, esistente ecc.) sostantivato, che identifica qualcosa che è "in progress", qualcosa connotato dal senso dell'attualità e che partecipa costantemente di una azione (foss'anche solo quella dell'esistere), dunque qualcosa condizionato dal moto, dalla mutazione, che si può collocare solo nel mondo del divenire. L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" oppure, se vuoi, lo possiamo chiamare maya, oppure mondo fenomenico, mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli". Il nome e le definizioni che diamo all'ente cane, o all'ente albero, o all'ente uomo è una mera convenzione  umana che serve per categorizzare gli enti e piegarli in qualche modo alle necessità conoscitive umane.
Cerco ora di affrontare il tuo quesito centrale di dove si possa ravvisare l'essere al di là delle cause e delle condizioni esterne ad esso che ne determinano il divenire, e la risposta è talmente ovvia che è del tutto normale che non ci si pensi mai dandola talmente per scontata da trascurarla del tutto. L'essere dell'uomo lo si ravvisa dal semplice fatto che, qualsiasi siano le condizioni esterne in cui gli sarà dato vivere, quindi divenire, rimarrà sempre e comunque un "ente" uomo; il suo essere uomo rimane immutabile indipendentemente da tutto quello che accade intorno a lui, e  lo stesso discorso vale ovviamente per l'ente delfino, l'ente cipresso e tutti gli altri.
Per quanto possano variare le condizioni esterne durante la sua gravidanza sarà impossibile che da una cavalla possa nascere qualcosa di diverso da un cavallo, o che da una donna possa nascere un bambino con le ali o con le branchie. Poi se si vuole si può approfondire il discorso notando ad esempio che, a parità di condizioni esterne, l'essere di ogni ente non è mai uguale all'essere di un altro ente della stessa specie (non esistono due uomini identici come non esistono due ciliegi identici) ma al momento mi sembra che possa essere sufficiente come spunto di riflessione. Dunque se molte cause del divenire degli enti sono esterne agli enti stessi (e alcune sono indispensabili perchè senza acqua, aria e cibo animali e piante non potrebbero affatto divenire e senza i riti della riproduzione non potrebbero nemmeno manifestarsi) tali cause sono solo "accidenti" che non determinano affatto ciò che un ente è, ma tracciano solo alcuni limiti della sua manifestazione. Sono invece determinanti le cause interne all'ente stesso per fare in modo che questo si manifesti per quello che è, e fra l'altro queste condizionano anche la reazione alle cause esterne (l'essere di un uomo e quello di un passerotto reagiscono in un modo completamente differente ai medesimi stimoli esterni), e in definitiva si può dire nel caso di specie che l'essere di ogni ente rimane immutabile (e solitamente riconoscibile) mentre l'involucro del medesimo diviene e si trasforma fino a disgregarsi completamente.  Dunque è corretto, a mio avviso, considerare trascendente l'essere poiché non muta mentre è immanente la manifestazione progressiva (il divenire) dello stesso che ne rappresenta, comunque, un riflesso.

p.s. per rispondere ad acquario69: per quanto mi riguarda ho usato frequentemente il sole e i suoi raggi come metafora dell'essere (per dirla con la terminologia induista il sole come Brahman e i raggi come Atman) ma mai per rappresentare o evocare il divenire perchè in questo caso non mi sembra adatta.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Phil

Che differenza c'è fra
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
l'Essere è "tutto ciò che è"
e
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
l'essere è "tutto ciò che esiste"
o meglio, in cosa "tutto ciò che è" differisce da "tutto ciò che esiste"? Si allude alla differenza fra esistenza in generale (anche concettuale, mnemonica, astratta etc. ) ed esistenza esclusivamente empirica? Eppure anche ciò che è astratto ha una sua radice empirica (il cervello umano che pensa tale astrazione...).

Forse allora
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
l'Essere è "tutto ciò che è"
comporta che l'Essere sia semplicemente la totalità degli enti (o esistenti), ovvero l'insieme, costantemente in diveniente corso di aggiornamento, di tutto ciò che è/esiste. Si tratterebbe quindi di nulla di trascendentale, ma solo di un'umana astrazione concettuale omnicomprensiva di tutti i piani dell'esistenza (individuati dall'ente-uomo).

Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
Questo "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente":  
[...]L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" [...] mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli".
Qui l'uso del plurale credo sia d'obbligo: l'ente, secondo me, non è mai "tutto ciò che..."(cit.), non è una totalità, come è invece "l'esistente" (inteso come "tutto ciò che esiste"), ma è solo un elemento parziale, una singolarità del "tutto ciò che...", altrimenti non sarebbe nemmeno declinabile al plurale...
La totalità degli enti, in fondo, esaurisce la totalità dell'Essere attuale; se poi invece si pensa ad un Essere storicizzato, quindi anche passato o futuro, si attiva il fattore "temporalità", e la questione scopre il fianco a una trascendenza metafisica di difficile radicamento epistemologico, più affine alla mitologia monistica o alla poesia (v. Heidegger...).

Lou

#25
CitazioneBisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla).
Non so, a me pare che in primis (cioè prima del parricidio di Parmenide operato da Platone) fosse proprio il nulla a risultare l'escluso da "tutto ciò che è".
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

donquixote

Citazione di: Phil il 02 Maggio 2017, 22:48:28 PMChe differenza c'è fra
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMl'Essere è "tutto ciò che è"
e
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMl'essere è "tutto ciò che esiste"
o meglio, in cosa "tutto ciò che è" differisce da "tutto ciò che esiste"? Si allude alla differenza fra esistenza in generale (anche concettuale, mnemonica, astratta etc. ) ed esistenza esclusivamente empirica? Eppure anche ciò che è astratto ha una sua radice empirica (il cervello umano che pensa tale astrazione...).

La differenza sta nell'attributo e nella condizione. L'Essere è ciò che è, mentre l'essere è ciò che di quello si manifesta, che diviene. L'esistenza è la manifestazione costante e progressiva (e sempre parziale) dell'essere e comprende qualunque cosa sia, appunto, manifesta: empirica, astratta o concettuale che sia. Noi non possiamo sapere nè dire nulla dell'Essere se non che è "tutto ciò che è" e che è il necessario principio della manifestazione, dell'esistenza, del divenire, mentre possiamo descrivere (almeno parzialmente) l'essere quando questo si manifesta sotto le più svariate forme ai nostri sensi, alla nostra mente, al nostro intelletto. 

 
Citazione di: Phil il 02 Maggio 2017, 22:48:28 PMForse allora
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMl'Essere è "tutto ciò che è"
comporta che l'Essere sia semplicemente la totalità degli enti (o esistenti), ovvero l'insieme, costantemente in diveniente corso di aggiornamento, di tutto ciò che è/esiste. Si tratterebbe quindi di nulla di trascendentale, ma solo di un'umana astrazione concettuale omnicomprensiva di tutti i piani dell'esistenza (individuati dall'ente-uomo).

No, l'Essere non è un insieme, una totalità, ma un unicum che si manifesta progressivamente e sempre parzialmente. L'Essere, parlando rigorosamente, non esiste (nel senso etimologico che non "sta fuori" non si manifesta) ma allo stesso tempo è il necessario principio e fondamento di tutto ciò che esiste perchè semplicemente è, e se non fosse, ovvero se non avesse essenza, non potrebbe nemmeno divenire e manifestarsi poiche il divenire, per darsi, ha bisogno necessariamente di qualcosa che divenga. Se l'Essere fosse solo un'astrazione concettuale, un supposto insieme teorico e inventato di tutti gli esistenti, significherebbe che ogni esistente sarebbe principio a se stesso e dunque completamente indipendente da tutti gli altri, cosa che invece non è affatto poichè non si può dare un qualsiasi ente che non dipenda da qualcosa di esterno ad esso. Solo l'Essere è principio di sè e di tutto ciò che esiste, che si manifesta, che diviene.


 
Citazione di: Phil il 02 Maggio 2017, 22:48:28 PM
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMQuesto "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente": [...]L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" [...] mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli".
Qui l'uso del plurale credo sia d'obbligo: l'ente, secondo me, non è mai "tutto ciò che..."(cit.), non è una totalità, come è invece "l'esistente" (inteso come "tutto ciò che esiste"), ma è solo un elemento parziale, una singolarità del "tutto ciò che...", altrimenti non sarebbe nemmeno declinabile al plurale... La totalità degli enti, in fondo, esaurisce la totalità dell'Essere attuale; se poi invece si pensa ad un Essere storicizzato, quindi anche passato o futuro, si attiva il fattore "temporalità", e la questione scopre il fianco a una trascendenza metafisica di difficile radicamento epistemologico, più affine alla mitologia monistica o alla poesia (v. Heidegger...).

Io ho usato "l'ente" al singolare intendendolo come sinonimo di "l'esistente" o "l'essente" e quindi di "totalità della manifestazione dell'Essere", e l'ho distinto dal plurale enti perchè questi ultimi, non avendo "vita propria", sono debitori all'ente della propria esistenza e hanno, se così si può dire, un grado di realtà inferiore rispetto all'ente in quanto pur avendo caratteristiche proprie e riconoscibili sono comunque il risultato di una arbitraria separazione concettuale operata dall'uomo che ha deciso ad esempio i contorni e le limitazioni che definiscono un particolare ente e lo distinguono da un altro.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

donquixote

Citazione di: Lou il 02 Maggio 2017, 22:56:14 PM
CitazioneBisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla).
Non so, a me pare che in primis (cioè prima del parricidio di Parmenide operato da Platone) fosse proprio il nulla a risultare l'escluso da "tutto ciò che è".

Il nulla, essendo appunto nulla (il non essere di Parmenide) non ha alcuna essenza, nè consistenza, quindi non può essere "qualcosa" (se lo fosse contraddirebbe il concetto di nulla) che possa essere esterno all'Essere e da questo escluso dunque il nulla è una mera espressione grammaticale vuota di senso, che non intacca per niente la definizione di Essere come "Tutto ciò che è". Io infatti non ho detto che dall'Essere è escluso "il nulla" (sostantivo) ma che "nulla (niente, nessuna cosa, pronome) è escluso"
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Lou

@donquixote
Capisco la tua distinzione tra nulla e ni-ente (che mi richiama Heidegger)tuttavia non so se si tratta di una mera espressione grammaticale senza referente e perciò priva di senso, nel tuo dire è considerabile in ogni caso concetto e poter quantomeno riuscire a concettualizzare il nulla desta a livello teoretico qualche perplessità poichè in qualche modo, concettualmente, appare.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Sariputra

#29
Se l'Essere è "Tutto ciò che è" ne consegue necessariamente che anche il suo mutare è l'Essere. Il 'mutare' diventa quindi semplicemente un 'modo' dell'Essere, ossia "mutare per essere". Questa formula concettuale però crea non pochi grattacapi, per esempio quando andiamo a considerare che , essendo l'essere "tutto ciò che è", presenta  un evidente conflitto in se stesso che si manifesta con caratteristiche che, al giudizio del pensiero, appaiono contraddittorie. Se l'Essere è "tutto ciò che è" come formulare un'etica visto che non viene posta nessuna differenza tra , per es., la compassione e l'omicidio, essendo ambedue "modalità dell'essere"? In definitiva un simile concetto omnicomprensivo ("Tutto è l'essere") appare perfettamente "inutile", in quanto noi percepiamo una relazione conflittuale con le cose esterne all'ipotetico 'essere umano', e non possiamo in alcun modo percepire la 'totalità dell'Essere ' così da poter superare il conflitto inerente al nostro personale 'essere'...
Sarebbe come dire ad uno schiavo:"Tu e il padrone siete la stessa cosa, ossia semplici modalità dell'Essere". Lo schiavo, tutto felice, va dal padrone a dirgli che sono la stessa cosa in senso ultimo, al che il padrone lo fa frustare e, ai lamenti del poveraccio, risponde che "anche le frustate sono una semplice modalità dell'Essere"...
L'"inutilità" della posizione monista ( 'Tutto è Uno', ovvero 'Tutto è l'Essere') o del monismo metafisico, nell'impossibilità di risolvere il conflitto interno alle modalità stesse dell'Essere, tanto da dover operare una distinzione tra Essere ed essere, assegnando al secondo un carattere di 'apparenza' ( illusione o 'velo di Maya') e al primo un carattere di permanenza e realtà, appare evidente quando si passa dal piano concettuale a quello esistenziale, dove si manifesta una conflittualità dolorosa tra quelle che sono , in teoria, semplici 'manifestazioni' dell'Essere.
Per inciso, quella del giudizio di 'inutilità' è una delle critiche fondamentali che il pensiero filosofico buddhista ( essenzialmente pragmatico) porta al sistema Vedanta di Shankara e al monismo metafisico in generale ( che hanno permesso e giustificato il blocco millenario della società hindu in 'caste')...
Ciao  :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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