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essere e divenire

Aperto da sgiombo, 01 Maggio 2017, 16:36:46 PM

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sgiombo

Copio-incollo dall' altra discussione aperta, perché mi sembra si stia "spontaneamente delineando" un argomento diverso da quello su Nietzsche: : l' uomo e il suo diritto al futuro

Re:Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.
« Risposta #123 il: Oggi alle 13:21:01 » (DONQUIXOTE)


CitazioneCitazione da: Sariputra - Oggi alle 12:40:17

CitazioneMa può "essere" un soggetto che continuamente muta? In quale momento del mutamento il soggetto "è"? Se diciamo che l'essere "è" proprio perché diviene dobbiamo necessarmente inserire il non-essere nell'essere del soggetto, altrimenti il mutamento è impossibile...almeno così, a naso, mi sembra. Temo però che siamo andando fuori dalla discussione proposta dall'amico Garbino...



Solo un accenno per evitare l'OT: non "tutto" l'essere muta, ma solo ciò che è passibile di mutazione. Vi è, necessariamente, una "parte" (notare le virgolette che sono importanti) dell'essere che è immutabile poichè eterno (ovvero fuori dal tempo, non condizionabile da esso) Quindi l'essere sempre è e sempre muta (e non è affatto una contraddizione).



CitazioneSecondo me il divenire o mutamento può essere (inteso come) assoluto, integrale, senza alcunché di fisso e immutabile, caotico; cioé come l' esatto contrario dell' immutabilità ovvero dell' "essere fisso, immutabile (altrettanto) assoluto, integrale, senza alcunché di cangiante" (l' "essere parmenideo", perfettamente uniforme, non distinguibile in diverse "parti", per lo meno  per quanto riguarda il tempo; non necessariamente in senso "parmenideo" anche per quanto riguarda lo spazio).

Oppure si può considerare una sorta di sintesi dialettica fra "essere fisso, assoluto o integrale" da una parte (tesi) e "divenire assoluto, integrale dall' altra parte (antitesi), e cioé un "divenire o mutamento relativo, parziale" ovvero ordinato secondo modalità o leggi generali-astratte universali e costanti, astraibili da parte del pensiero rispetto ai particolari-concreti mutevoli.
Analogamente alle vocali o ai colori "intermedi" (le vocali "e" intermedia fra "a" e "i", "o" intermedia fra "a" e "u" e l' "uipsilon" dell' alfabeto greco -non esiste in  italiano, venendo traslitterato talora con una "u" sormontata da due puntini, similmente a una dieresi- intermedio fra "i" e "u"; i colori "verde" intermedio fra "blu" e "giallo", "aracione" intermedio fra "rosso" e "giallo" e "viola" intermedio fra "rosso" e "blu"), la sintesi fra essere fisso assoluto-integrale e mutamento assoluto-integrale, cioé il divenire relativo o parziale ovvero fissità relativa parziale può essere inteso in due accezioni, l' una relativamente più affine all' essere completamente fisso e immutabile (divenire "maggiormente" ordinato secondo leggi "meccanicistiche laplaciane" tali da consentire in linea terica o di principio il calcolo e la conoscenza indiretta -anche- di ciascun singolo evento particolare concreto passato o futuro a partire dal presente), l' altra più affine al mutare caotico (divenire "in minor misura" ordinato secondo leggi "probabilistiche statistiche" tali da consentire in linea teorica o di principio solo il calcolo e la conoscenza indiretta delle proporzioni in cui accadono diversi eventi particolari concreti reciprocamente alternativi in serie "abbastanza numerose" di singoli casi).

Non é dimostrabile né mostrabile quale di queste tre (o quattro, considerando i due possibili sottoinsiemi di divenire ordinato o parziale - relativo = di essere fisso parziale - relativo) caratteristiche presenti la realtà di fatto (ciò che é reale/accade realmente, al di là di ciò che invece é solo pensabile essere reale/accadere realmente).
Ma credo di poter dire che possibilità di conoscenza scientifica e di (sensata) valutazione etica dell' agire possa darsi solo ed unicamente in caso di divenire ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti.

Sariputra

Se l'essere non può essere ( esistere) se non mutando ( quindi nel divenire) si stabilisce che il divenire non-è in quanto solo l'essere "è" e diviene per essere. Infatti il "divenire" non ha natura propria ma è semplicemente il mutare dei soggetti e di 'tutto'.
Però, rovesciando il discorso, in un certo senso, come sarebbe possibile il mutamento dell'essere se non mutassero ( attorno all'essere/esternamente all'essere soggetto) tutte le cose?
Se i pianeti non ruotassero , le stagioni non si alternassero, i costituenti psico-fisici non si alterassero negli esseri senzienti e quelli fisici negli insenzienti non si darebbe alcun 'essere' nemmeno al soggetto, sarebbe solo 'fissità' senza esistenza o pura 'trascendenza'. Ma se il mio essere (mutevole) dipende dall'essere (mutevole) di ciò che non sono io/soggetto  ( cioè dal mutare di tutto ciò che mi circonda secondo leggi che possono essere causali o caotiche...) il mio essere/esistere si può stabilire solo 'in dipendenza' da ciò che non sono 'io'. Il mio essere si può stabilire solo in relazione a ciò che non è 'mio'. Sari, per 'essere' Sari, non può essere Sgiombo, il tetto d casa o il cagnazzo fuori porta. Per questo ho affermato, in varie discussione, che a me pare che 'essere' non può essere separato dal suo stesso 'non-essere', in quanto è proprio il 'non-essere (Sgiombo, il tetto, il cane, ecc.) che permette a Sari di 'essere'. E' proprio per questo che a me il concetto di 'essere' è sempre stato assai indigesto, perché, al di là della formulazione verbale, non riesco a vedere da nessuna parte questo 'essere', ma solo un'infinità di 'parti' in relazione dipendente tra loro. Sono d'accordo con Sgiombo che , le stesse 'parti', sembrano all'uomo/soggetto/parte mutare secondo leggi prevedibili e ripetitive e questo permetti il loro studio scientifico e la formulazione di un'etica, altrimenti impossibile in presenza di un 'puro caos'...
A mio parere il concetto di "essere" determina e ha determinato un fortissimo antropocentrismo, mentre il concetto ( seppur convenzionale) di 'divenire' relativizza questa innata e potente spinta della ragione 'che desidera essere' umana...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Garbino

Essere e divenire.

X Sgiombo

Mi dispiace che tu abbia considerato la possibilità di inserire un nuovo post su un argomento aperto in un altra discussione. Per altro non è affatto vero che l' argomento devii dall' argomento principale della discussione. Ma se tu non intendi intervenire su una discussione su Nietzsche per altri motivi, che sia. Non sta a me decidere sull' opportunità o meno delle tue scelte.

Per quanto riguarda il contesto, anzi penso che sia vantaggioso avere più discussioni che trattano dell' argomento perché, a mio avviso, rappresenta il nuovo confine della filosofia. L' ambito in cui si può delineare qualcosa di veramente nuovo e a cui Nietzsche ha dato un notevole contributo. Premesso ciò mi accingo a valutare le tue considerazioni che comunque mi sembrano ben poste e che sinceramente mi aspettavo, conoscendo più o meno il tuo modo di posizionarti nel pensiero filosofico.

La mia considerazione sulle tre o quattro ipotesi di divenire che tu hai delineato è che mentre la prima è accettabile in toto, per quanto riguarda la seconda la terza e la quarta le ritengo poco probabili. Il ritenere cioè che, per quanto riguarda la seconda e la terza, vi possa essere qualcosa di immutabile nel campo fisico, è un' ipotesi discutibile e comunque non dimostrabile, compreso il paragone attinente ai colori. Quello che io temo è che si riaprirebbe la strada ad un qualcosa di metafisico anche nel campo fisico, se non addirittura nel campo metafisico. E cioè qualcosa di immutabile che non sia disposto a mutare.

Mentre la quarta non è accettabile perché determinerebbe uno status già definito e imprescindibile per lo stesso divenire che non sarebbe più un divenire ma un divenire per uno scopo che, a mio avviso, manca nell' accadere. Capisco che sia la più vicina al tuo modo di pensare, ma da come la poni nella frase finale, mi sembra che le altre ipotesi proprio non esistano come possibilità. Ma posso anche sbagliarmi.

X Sariputra

Concordo pienamente con quanto da te affermato. Ma infatti se si continua ad usare il termine essere è soltanto perché si è abituati a farlo, ma naturalmente 'ciò che è divenendo' è, ma non possiamo più chiamarlo essere. Come ho detto bisognerà rivedere tutta la terminologia o capirsi bene su ciò che intendiamo, se lo scopo è quello di capirci. Altrimenti tutto andrà in frantumi e saremmo di nuovo a punto e a capo.

Garbino Vento di Tempesta.

donquixote

Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 17:32:23 PM
Se l'essere non può essere ( esistere) se non mutando ( quindi nel divenire) si stabilisce che il divenire non-è in quanto solo l'essere "è" e diviene per essere. Infatti il "divenire" non ha natura propria ma è semplicemente il mutare dei soggetti e di 'tutto'.
Però, rovesciando il discorso, in un certo senso, come sarebbe possibile il mutamento dell'essere se non mutassero ( attorno all'essere/esternamente all'essere soggetto) tutte le cose?
Se i pianeti non ruotassero , le stagioni non si alternassero, i costituenti psico-fisici non si alterassero negli esseri senzienti e quelli fisici negli insenzienti non si darebbe alcun 'essere' nemmeno al soggetto, sarebbe solo 'fissità' senza esistenza o pura 'trascendenza'. Ma se il mio essere (mutevole) dipende dall'essere (mutevole) di ciò che non sono io/soggetto  ( cioè dal mutare di tutto ciò che mi circonda secondo leggi che possono essere causali o caotiche...) il mio essere/esistere si può stabilire solo 'in dipendenza' da ciò che non sono 'io'. Il mio essere si può stabilire solo in relazione a ciò che non è 'mio'. Sari, per 'essere' Sari, non può essere Sgiombo, il tetto d casa o il cagnazzo fuori porta. Per questo ho affermato, in varie discussione, che a me pare che 'essere' non può essere separato dal suo stesso 'non-essere', in quanto è proprio il 'non-essere (Sgiombo, il tetto, il cane, ecc.) che permette a Sari di 'essere'. E' proprio per questo che a me il concetto di 'essere' è sempre stato assai indigesto, perché, al di là della formulazione verbale, non riesco a vedere da nessuna parte questo 'essere', ma solo un'infinità di 'parti' in relazione dipendente tra loro. Sono d'accordo con Sgiombo che , le stesse 'parti', sembrano all'uomo/soggetto/parte mutare secondo leggi prevedibili e ripetitive e questo permetti il loro studio scientifico e la formulazione di un'etica, altrimenti impossibile in presenza di un 'puro caos'...
A mio parere il concetto di "essere" determina e ha determinato un fortissimo antropocentrismo, mentre il concetto ( seppur convenzionale) di 'divenire' relativizza questa innata e potente spinta della ragione 'che desidera essere' umana...
Il tuo ragionamento appare estremamente contraddittorio perchè per definire l'essere di qualcosa sulla base di ciò che non è bisognerebbe prima definire tutto quello che "non è" quella cosa, ma se si applica il medesimo ragionamento ad ogni ente allora non si può che concludere che tutto "non è", che poi sarebbe come dire che tutto è nulla e siccome il nulla non ha né può avere alcun attributo non può nemmeno divenire e dunque sparirebbe anche il divenire stesso. Tu puoi chiamarlo come vuoi ma non puoi prescindere dall'essere, anche perchè ammesso e non concesso che tu riesca a conoscere, di un qualcosa, tutto ciò che questo "non è" ti mancherebbe di conoscere comunque quello che effettivamente è poichè ogni ente ha sue qualità e caratteristiche peculiari e uniche, che non appartengono a nessun altro ente. Che ogni ente dipenda da tutti gli altri (in proporzione variabile) per il proprio divenire è fuori di dubbio, ma ogni ente diviene in un modo suo proprio e differente da tutti gli altri, ragione per cui logica vuole che vi sia qualcosa in questo ente che lo fa essere quello che è e non altro. Come dicevo nell'altro topic ciò che diviene è una "parte" dell'essere, e il divenire è la  manifestazione dell'essere nello spazio/tempo che si rinnova costantemente e che comunque presuppone un essere "non manifestato", non condizionato dallo spazio/tempo e quindi non diveniente, che è il suo principio, la sua origine. Si era discusso nel vecchio forum di questo argomento, e se interessa la puoi trovare qui.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Sariputra

#4
Citazione di: donquixote il 01 Maggio 2017, 22:55:07 PM
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 17:32:23 PMSe l'essere non può essere ( esistere) se non mutando ( quindi nel divenire) si stabilisce che il divenire non-è in quanto solo l'essere "è" e diviene per essere. Infatti il "divenire" non ha natura propria ma è semplicemente il mutare dei soggetti e di 'tutto'. Però, rovesciando il discorso, in un certo senso, come sarebbe possibile il mutamento dell'essere se non mutassero ( attorno all'essere/esternamente all'essere soggetto) tutte le cose? Se i pianeti non ruotassero , le stagioni non si alternassero, i costituenti psico-fisici non si alterassero negli esseri senzienti e quelli fisici negli insenzienti non si darebbe alcun 'essere' nemmeno al soggetto, sarebbe solo 'fissità' senza esistenza o pura 'trascendenza'. Ma se il mio essere (mutevole) dipende dall'essere (mutevole) di ciò che non sono io/soggetto ( cioè dal mutare di tutto ciò che mi circonda secondo leggi che possono essere causali o caotiche...) il mio essere/esistere si può stabilire solo 'in dipendenza' da ciò che non sono 'io'. Il mio essere si può stabilire solo in relazione a ciò che non è 'mio'. Sari, per 'essere' Sari, non può essere Sgiombo, il tetto d casa o il cagnazzo fuori porta. Per questo ho affermato, in varie discussione, che a me pare che 'essere' non può essere separato dal suo stesso 'non-essere', in quanto è proprio il 'non-essere (Sgiombo, il tetto, il cane, ecc.) che permette a Sari di 'essere'. E' proprio per questo che a me il concetto di 'essere' è sempre stato assai indigesto, perché, al di là della formulazione verbale, non riesco a vedere da nessuna parte questo 'essere', ma solo un'infinità di 'parti' in relazione dipendente tra loro. Sono d'accordo con Sgiombo che , le stesse 'parti', sembrano all'uomo/soggetto/parte mutare secondo leggi prevedibili e ripetitive e questo permetti il loro studio scientifico e la formulazione di un'etica, altrimenti impossibile in presenza di un 'puro caos'... A mio parere il concetto di "essere" determina e ha determinato un fortissimo antropocentrismo, mentre il concetto ( seppur convenzionale) di 'divenire' relativizza questa innata e potente spinta della ragione 'che desidera essere' umana...
Il tuo ragionamento appare estremamente contraddittorio perchè per definire l'essere di qualcosa sulla base di ciò che non è bisognerebbe prima definire tutto quello che "non è" quella cosa, ma se si applica il medesimo ragionamento ad ogni ente allora non si può che concludere che tutto "non è", che poi sarebbe come dire che tutto è nulla e siccome il nulla non ha né può avere alcun attributo non può nemmeno divenire e dunque sparirebbe anche il divenire stesso. Tu puoi chiamarlo come vuoi ma non puoi prescindere dall'essere, anche perchè ammesso e non concesso che tu riesca a conoscere, di un qualcosa, tutto ciò che questo "non è" ti mancherebbe di conoscere comunque quello che effettivamente è poichè ogni ente ha sue qualità e caratteristiche peculiari e uniche, che non appartengono a nessun altro ente. Che ogni ente dipenda da tutti gli altri (in proporzione variabile) per il proprio divenire è fuori di dubbio, ma ogni ente diviene in un modo suo proprio e differente da tutti gli altri, ragione per cui logica vuole che vi sia qualcosa in questo ente che lo fa essere quello che è e non altro. Come dicevo nell'altro topic ciò che diviene è una "parte" dell'essere, e il divenire è la manifestazione dell'essere nello spazio/tempo che si rinnova costantemente e che comunque presuppone un essere "non manifestato", non condizionato dallo spazio/tempo e quindi non diveniente, che è il suo principio, la sua origine. Si era discusso nel vecchio forum di questo argomento, e se interessa la puoi trovare qui.

Mi sembra però che pure l'essere non può essere stabilito in assenza di ciò che non è essere. Se s'intende l'essere come qualcosa che dispone di una natura propria, dovrebbe sempre conservare lo stato e la forma che le sono propri. Ma questo non avviene, perché nessuna cosa ( esteriore e interiore) mantiene la propria forma e il proprio stato, ossia è soggetta al  "divenire" e quindi al mutare della propria forma e del proprio stato...( le caratterististiche uniche e peculiari di cui parli non sono proprietà dell'essere ma delle parti che determinano l'essere ; parti che mutano in continuazione...)solo ipotizzando che l'essere mantenga un "quid" ( un essere "non manifestato" che citi) che non muta mai si può dare un significato al termine "essere" ( ma questo quid non può essere che di natura trascendente...). Ogni essere viene ad essere (esistere) determinato da cause e condizioni che non gli sono propri ( non è una proprietà dell'essere la sua originazione) e che non gli appartengono se non come cause . Ma un essere ( dato in sé) può "venire ad essere"? Quando 'viene ad essere' la sua esistenza  e origine stessa è dipendente da cause che lo determinano e lui stesso è causa di ulteriore manifestarsi del 'divenire' dell'essere. Ma, al di fuori di queste cause e condizioni, dov'è possibile ravvisare l'"essere"?  Se non come necessità linguistica ( verbo 'essere') per dare un senso alle nostre designazioni?
Se ci fosse un essere dovrebbe esserci pure qualcosa che appartenga all'essere. Non mi sembra però che sia possibile trovare qualcosa che appartenga all'essere  al netto delle parti/cause e condizioni che convenzionalmente chiamiamo 'essere'... La semplice 'presenza' inoperativa degli 'enti' ( da quel poco che capisco del termine 'ente'... :( ) non può aver alcun significato per le cause e condizioni che determinano l'essere. Le cause infatti  devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...). Se si obietta che ciò che sottostà ad una modifica è l'impermanente , e che il permanente non lo è,  si potrebbe far presente  che, poichè solo ciò che muta e diviene è effettivamente visibile, ciò che non muta può essere uguagliato al non-esistente...ossia 'per essere' bisogna necessariamente 'divenire', ma divenendo neghiamo la presenza ( come permanente, sostanziale e immutabile) dell'essere. A questa contraddizione  mi sembra ci trascini il pensiero che, per il solo fatto di definire un termine, istintivamente è portato a pensare che esista sempre qualcosa di reale inerente al termine. Mentre "essere" mi appare per quello che effettivamente e correttamente è, ossia un verbo, una necessità linguistica... Ovviamente altra cosa se postuliamo l'essere come trascendente il divenire...allora qui il termine 'essere' mi sembra inappropriato e si dovrebbe chiamare per il significato che vuol intendere, cioè il termine "Dio" o "anima"...ma questo non può che "essere indeterminato"...
Non mi sembra che , rimettendo l''essere' nella giusta prospettiva ( verbale), si scada nell'illusione e nell'irrealtà. Si supera, a mio parere una concezione statica della realtà e s'intravede un dinamismo fatto di realtà 'in relazione'. Sul valore per l'uomo di questa realtà fatta di relazione dinamica mi sono già espresso negativamente in altra discussione...

P.S. Spero di esser stato comprensibile. Vista l'ora...
Sulla strada del bosco
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acquario69

CitazioneLe cause infatti  devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...)


Secondo me quello della Causa concepita in questo modo e' sbagliato perché in questo caso si farebbe solo riferimento all'effetto, escludendo proprio cio che lo "produce" (cioè' la Causa) senza la quale non potrebbe esserci appunto nessun effetto

Quindi se e' la Causa l'agente "produttore" allora dovrebbe significare che questa non può essere soggetta ad alcuna modifica.

Ma ci si potrebbe pero chiedere:
E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione?

Risposta:
Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione

———————

Domanda a donquixote:

Ritieni che possa esserci una certa analogia la comparazione simbolica del sole e i suoi raggi con l'essere e il suo divenire?...oppure no?

Sariputra

#6
Citazione di: acquario69 il 02 Maggio 2017, 03:04:31 AM
CitazioneLe cause infatti devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...)
Secondo me quello della Causa concepita in questo modo e' sbagliato perché in questo caso si farebbe solo riferimento all'effetto, escludendo proprio cio che lo "produce" (cioè' la Causa) senza la quale non potrebbe esserci appunto nessun effetto Quindi se e' la Causa l'agente "produttore" allora dovrebbe significare che questa non può essere soggetta ad alcuna modifica. Ma ci si potrebbe pero chiedere: E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione? Risposta: Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione ——————— Domanda a donquixote: Ritieni che possa esserci una certa analogia la comparazione simbolica del sole e i suoi raggi con l'essere e il suo divenire?...oppure no?

Se però sostituisci la Causa ( maiuscolo) con le cause e concepisci queste cause come, a loro volta, effetti di altre cause e quindi non determini una 'dualità' tra causa ed effetto ma un 'processo' dinamico superi la difficoltà, a mio parere.
Se invece intendi la Causa ( maiuscolo) come non soggetta ad alcuna modifica ( ossia permanente) non puoi che intenderla in senso trascendente...
Se la causa non potesse modificarsi non potrebbe generare alcun effetto ( fermo restando che 'causa'' ed effetti' sono solo termini convenzionali per definire il processo del divenire, il mutare delle cose, quello che i nostri sensi  e la mente percepiscono come mutamento...).
L'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non  a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...).
Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...).
Senza questa analisi il sole non è correttamente inteso come sole.
Sulla strada del bosco
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Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: Garbino il 01 Maggio 2017, 18:07:48 PM
Essere e divenire.

X Sgiombo

Mi dispiace che tu abbia considerato la possibilità di inserire un nuovo post su un argomento aperto in un altra discussione. Per altro non è affatto vero che l' argomento devii dall' argomento principale della discussione. Ma se tu non intendi intervenire su una discussione su Nietzsche per altri motivi, che sia. Non sta a me decidere sull' opportunità o meno delle tue scelte.

Per quanto riguarda il contesto, anzi penso che sia vantaggioso avere più discussioni che trattano dell' argomento perché, a mio avviso, rappresenta il nuovo confine della filosofia. L' ambito in cui si può delineare qualcosa di veramente nuovo e a cui Nietzsche ha dato un notevole contributo. Premesso ciò mi accingo a valutare le tue considerazioni che comunque mi sembrano ben poste e che sinceramente mi aspettavo, conoscendo più o meno il tuo modo di posizionarti nel pensiero filosofico.

La mia considerazione sulle tre o quattro ipotesi di divenire che tu hai delineato è che mentre la prima è accettabile in toto, per quanto riguarda la seconda la terza e la quarta le ritengo poco probabili. Il ritenere cioè che, per quanto riguarda la seconda e la terza, vi possa essere qualcosa di immutabile nel campo fisico, è un' ipotesi discutibile e comunque non dimostrabile, compreso il paragone attinente ai colori. Quello che io temo è che si riaprirebbe la strada ad un qualcosa di metafisico anche nel campo fisico, se non addirittura nel campo metafisico. E cioè qualcosa di immutabile che non sia disposto a mutare.

Mentre la quarta non è accettabile perché determinerebbe uno status già definito e imprescindibile per lo stesso divenire che non sarebbe più un divenire ma un divenire per uno scopo che, a mio avviso, manca nell' accadere. Capisco che sia la più vicina al tuo modo di pensare, ma da come la poni nella frase finale, mi sembra che le altre ipotesi proprio non esistano come possibilità. Ma posso anche sbagliarmi.

X Sariputra

Concordo pienamente con quanto da te affermato. Ma infatti se si continua ad usare il termine essere è soltanto perché si è abituati a farlo, ma naturalmente 'ciò che è divenendo' è, ma non possiamo più chiamarlo essere. Come ho detto bisognerà rivedere tutta la terminologia o capirsi bene su ciò che intendiamo, se lo scopo è quello di capirci. Altrimenti tutto andrà in frantumi e saremmo di nuovo a punto e a capo.

Garbino Vento di Tempesta.
CitazioneHo aperto un' altra discussione per il semplice fatto che non ho mai letto (né ho alcuna intenzione di leggere in futuro) nulla di Nietzche (conseguentemente "di regola" non leggo le discussioni su di lui; ma per Sariputra, che ho in grande considerazione, a volte faccio eccezioni) e dunque in quella su questo filosofo rischiavo di dire molte sciocchezze infondate; d' altra parte la questione "essere fisso" / "mutamento" mi interessa indipendentemente da come possa averla trattata Nietzche.

Ho proposto le tre (o quattro)* varianti sulla realtà da un punto di vista meramente ipotetico o teorico.
Dunque era fondamentale, imprescindibile la loro intrinseca coerenza logica o non autocontraddittorietà; e infatti del tutto non autocontraddittoria, logicamente corretta, sensata é anche la possibilità di astrarre nell' ambito del mutamento modalità o leggi universali e costanti (e dunque non mutevoli, fisse, contrariamente agli aspetti particolari concreti degli eventi, del divenire): non vedo proprio cosa ci potrebbe essere di illogico o autocontraddittorio; e nemmeno di "metafisico"!
Ma non vedo nemmeno perché mai si dovrebbe negare per forza la possibilità che sia reale/divenga realmente "qualcosa di metafisico": perché mai la realtà dovrebbe essere limitata necessaiamente al fisico (naturale – materiale)?
Le mie ipotesi sono con ogni probabilità incompatibili con la filosofia di Nietzche, ma ciò non significa di per sé che siano illogiche o che "non esistano come possibilità"; cioè che siano impossibili (= impensabili in maniera logicamente corretta, non autocontraddittoria, sensata).

Non ho invece considerato nell'intervento iniziale di questa discussione la questione di come stiano o meno di fatto le cose in realtà (anche se ho accennato che in caso di mutamento non è dimostrabile -me l' ha insegnato proprio il mio più "venerato" maestro, David Hume!- se questo sia ordinato (in uno dei due modi alternativi) o caotico.

La fissità senz' altro ed il caos con ogni verosimiglianza mi sembrano comunque incompatibili con la realtà di noi come uomini biologici e come soggetti di esperienza cosciente e di conoscenza, cioè a posteriori se si ammette che noi, le nostre esperienze, i nostri pensieri, le nostre eventuali conoscenze (vere) esistiamo (o meglio: diveniamo): fatti che sarebbero in contraddizione del tutto evidentemente con la "fissità-immutabilità dell' essere", ma credo pure con il "mutamento caotico" (che per lo meno dubito assai sarebbe compatibile con la nostra esistenza di soggetti di coscienza, oltre che senz' altro di noi come uomini appartenenti al regno animale nell' ambito della natura con la sua evoluzione biologica).

Non vedo invece alcuna traccia di finalismo (nel divenire naturale) nelle ipotesi da me proposte.

_________________
* Già è molto significativo, a proposito della fondamentale questione dei rapporti fra realtà e pensiero circa la realtà, questa ambiguità: la realtà non solo é/o diviene di fatto come è e/o diviene di fatto (in un unico modo) e tuttavia può essere "intenzionata" o "considerata" teoricamente in diversi modi alternativi (anche se non in infiniti modi, del tutto indiscriminatamente ad libitum); ma addirittura può esserlo (può essere diversamente valutata) anche solo in quanto ipotizzata, pensata essere o accadere (mentalmente, nell' ambito del pensiero), almeno in qualche variante dei modi in cui ciò è teoricamente ammissibile.


*************************


@Sariputra e Doquixote

Secondo me se si dà (realmente) mutamento (caotico oppure ordinato), allora l' "essere" non è che astrazione (considerazione menale, teorica) di ciò che accade alla o nella realtà in un determinato istante prescindendo (nel pensiero di essa) dal (fatto reale costituito dal) suo continuo trasformarsi: la realtà diviene continuamente (non è mai fissa), anche se il pensiero può considerarne, o per così dire metaforicamente "ritagliarne", parti per come accadono in qualsiasi istante del divenire stesso (= "sono"; nel pensiero, come oggetti di considerazione teorica), prescindendo dal (ignorando deliberatamente il) tempo (lo scorrere degli istanti) precedente e successivo.

sgiombo

Citazione di: acquario69 il 02 Maggio 2017, 03:04:31 AM
CitazioneLe cause infatti  devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...)


Secondo me quello della Causa concepita in questo modo e' sbagliato perché in questo caso si farebbe solo riferimento all'effetto, escludendo proprio cio che lo "produce" (cioè' la Causa) senza la quale non potrebbe esserci appunto nessun effetto

Quindi se e' la Causa l'agente "produttore" allora dovrebbe significare che questa non può essere soggetta ad alcuna modifica.

Ma ci si potrebbe pero chiedere:
E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione?

Risposta:
Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione

Citazione 
In caso di divenire ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti nulla vieta (nell' ambito del pensiero circa la realtà, da parte del pensiero) di distinguere nella realtà (che cause ed effetti costituiscono insieme, congiuntamente) le cause (ciascuna causa) dagli effetti (da ciascun effetto).
 
In oltre in caso di divenire ordinato si darebbe una "concatenazione di cause ed effetti" nell' ambito della quale il "ruolo deterministico" di ciascun "evento" sarebbe relativo: ogni causa di qualche effetto sarebbe a sua volta effetto di qualche altra causa e viceversa: le cause modificano, o meglio determinano, (i loro) effetti ma sono (state) a loro volta modificate, o meglio determinate, da altre cause (in quanto effetti di queste ultime).
 
Non è inoltre chiaro il nesso (che non sia logicamente contraddittorio) che dovrebbe sussistere fra ciò che chiami "realtà" simultanea e fissa e ciò che chiami "manifestazione apparente" diacronica, in successione, diveniente.
A meno che per "realtà" simultanea, fissa, immutabile non intenda mere astrazioni da parte del pensiero di aspetti istantanei (e magari parziali anche spazialmente) del divenire reale.



acquario69

Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 08:49:57 AM
Se però sostituisci la Causa ( maiuscolo) con le cause e concepisci queste cause come, a loro volta, effetti di altre cause e quindi non determini una 'dualità' tra causa ed effetto ma un 'processo' dinamico superi la difficoltà, a mio parere.
Se invece intendi la Causa ( maiuscolo) come non soggetta ad alcuna modifica ( ossia permanente) non puoi che intenderla in senso trascendente...
Se la causa non potesse modificarsi non potrebbe generare alcun effetto ( fermo restando che 'causa'' ed effetti' sono solo termini convenzionali per definire il processo del divenire, il mutare delle cose, quello che i nostri sensi  e la mente percepiscono come mutamento...).
L'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non  a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...).
Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...).
Senza questa analisi il sole è correttamente inteso come sole.

Si ho capito la differenza tra Causa e cause...io pero non nego la prima e che se dovessi dargli una possibile definizione direi che e' appunto la Causa di tutte le cause 

L'esempio simbolico del sole ed i suoi raggi che avevo in mente io e' molto diversa.

ultima cosa...nessuna negazione all'interdipendenza ma non ce',se cosi ci si può esprimere,solo il divenire.

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 08:49:57 AM

L'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non  a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...).
Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...).
Senza questa analisi il sole è correttamente inteso come sole.
Citazione(Credo che ci sia un evidente errore di stampa nell' ultima frase ove manca la negazione: "...il sole non é correttamente...).

Non mi é del tutto chiara la tua distinzione fra l' "avere una natura propria o un essere" e un "apparire" (da parte del sole e di tutte le altre "cose-eventi").
Riesco a intenderla unicamente nel senso che l'"apparire" sia la possibile considerazione mentale, teorica (la pensabilità, eventuale conoscibilità: "omnis determinatio est negatio", Spinoza) di enti/eventi reali, e l' "essere" o la "natura propria" sia il loro essere reali/accadere realmente".

Intendi anche tu questo o qualcos altro?

acquario69

CitazioneNon è inoltre chiaro il nesso (che non sia logicamente contraddittorio) che dovrebbe sussistere fra ciò che chiami "realtà" simultanea e fissa e ciò che chiami "manifestazione apparente" diacronica, in successione, diveniente.

A meno che per "realtà" simultanea, fissa, immutabile non intenda mere astrazioni da parte del pensiero di aspetti istantanei (e magari parziali anche spazialmente) del divenire reale.


si lo so che non e' chiaro per niente.. inoltre si tratta di concepire due cose contemporaneamente e pure in contraddizione tra loro!  :o

Sariputra

Citazione di: sgiombo il 02 Maggio 2017, 09:41:26 AM
Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 08:49:57 AML'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...). Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...). Senza questa analisi il sole è correttamente inteso come sole.
Citazione(Credo che ci sia un evidente errore di stampa nell' ultima frase ove manca la negazione: "...il sole non é correttamente...). Non mi é del tutto chiara la tua distinzione fra l' "avere una natura propria o un essere" e un "apparire" (da parte del sole e di tutte le altre "cose-eventi"). Riesco a intenderla unicamente nel senso che l'"apparire" sia la possibile considerazione mentale, teorica (la pensabilità, eventuale conoscibilità: "omnis determinatio est negatio", Spinoza) di enti/eventi reali, e l' "essere" o la "natura propria" sia il loro essere reali/accadere realmente". Intendi anche tu questo o qualcos altro?

Sì, ho corretto l'evidente errore di battitura... :-[
L'apparire lo intendo come la costruzione mentale , sulla base delle impressioni sensoriali, del 'sole'. L''essere' o 'natura propria' lo intendo come un'astrazione concettuale, in quanto , essendo ( il sole )  in totale dipendenza  da altro, non può disporre di alcuna 'natura propria' ma solo di una natura 'dipendente'...Non significa che (il sole) non è 'reale' ma che la sua è una 'realtà dipendente'. Al netto di tutto ciò che concorre a formare il concetto di 'sole' non è dato trovare alcun 'essere sole'...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

green demetr

Brevi risposte a Sgiombo, Sariputra, Garbino, Don Quixote, Acquario


x sgiombo

come sai dovremmo per onor del vero fare i solito distinguo.

Da una parte il tuo punto di vista (scientifico) del fenomeno mentale che corrisponde biunivocamente al fenomeno sensibile.
Dall'altra parte il mio che invece ritiene il fenomeno mentale contenente/riflettente il fenomeno sensibile.

Ma il caotico, se fosse tale, sarebbe comunque originario.
Sia perchè riguarda l'entropia dell'universo a un livello scientifico, sia perchè riguarda l'impossibilità della "cosa in sè" stessa.
Che poi sarebbero i nostri 2 punti di vista.

La seconda ipotesi sarebbe leggibile secondo un liguaggio formale matematico, dove si ipotizza (e quindi si dà) un tutto universale, e al cui interno vi sono tutte le funzioni variabili ipotizzabili tra le sue parti.
All'interno del linguaggio formale ovviamente si situa quella che è la "teoria del caos"(scientifica), ovvero quella serie di equazioni che ritrovano statisticamente una ordinazione nelle varie forme entropiche.

L'unica etica che vi ravviso è però solo quella riduzionista, dove appunto il ricercato deve essere per forza un dato sensibile, ovvero passibile di ulteriori trattamenti. Nella mia visione rientra nel problema della "Tecnica". Non faccio un distinguo tra Tecnica e Tecnologia, come la maggior parte dei filosofi fa: ritengo infatti come Heidegger che il problema sia connaturato nell'uomo.(ovvero strutturato nella relazione fra immanenza e storia, come apertura del mondo, come memoria del fare e dell'agire, 

che automaticamente diventa costume e quindi Etica (ripetizione in greco).

Il problema è sempre lo stesso, che si dimentica chi parla, ovvero l'interrogante come direbbe Heidegger, ovvero la riflessione di ogni medietà, e anche la tecnica rientra nel dominio del soggetto, con tutte i vari problemi politici connessi.

x sariputra

la tua ipotesi è corretta però solo dal punto di vista umano, non certo divino, come potrebbe ciò che è (Da sempre) divenire, qualcosa che non sia ancora se stesso? Appunto una contraddizione in termini.
Per quanto riguarda l'uomo: chi d'altronde garantisce che l'uomo sia il divenire all'interno di un essere?
Chi garantisce che siamo veramente gocce di mare?
La tua controtesi non ha senso, infatti una goccia di mare non è mai il mare, e nemmeno l'insieme delle gocce potrà mai essere il mare. Infatti l'addizione della precarietà delle gocce avrà come somma una precarietà, ma il mare non ha precarietà in quanto da sempre è l'originario.
La controtesi che riguarda l'uomo ha invece senso, ma ritenevo che l'avessi già espressa nella tesi che effettivamente risultava ambigua.(l'essere e l'uomo non sono la stessa cosa).
Ovviamente avendo senso ritengo fondata la tua ipotesi che l'antropocentrismo derivi anche da una (errata però a mio avviso) visione dell'essere.

Ps
Per inciso "anche" perchè non è solo una questione di irrigidimento dell' "io", ma ci sarebbe da considerare anche la questione dell'agire, e dell'etos stesso. (che non è mai per sempre, ma mutevole come i costumi).
Ovviamente nella distinzione tra essere e uomo vi è tutto il discorso di Heidegger.
E anche la tua posizione Sari rientra in quel grande errore della metafisica occidentale: credere di essere Dio.

x garbino
"Quello che io temo è che si riaprirebbe la strada ad un qualcosa di metafisico anche nel campo fisico, se non addirittura nel campo metafisico. E cioè qualcosa di immutabile che non sia disposto a mutare."
 
Da quando è nata la scienza caro Garbino, non si è mai posta il problema del mutamento. Anche dopo il lavoro di Kuhn sui modelli, la scienza ha sempre fatto spallucce dimostrado sempre di essere spavalda e ipocrita (visto che di fatto il modello è sempre cambiato).


Sono d'accordo che la scienza si metta uno scopo, ma credo che sia quello semplice della accumulazione dei dati sensibili.
Il problema è che per ottenere quell'accumulo si disinteressa di interrogarsi sul suo costituirsi, e apre quindi ai risultati del capitalismo più sfrenato. (si tratterebbe del problema tecnica-tecnologia, o se vuoi il pasoliniano progresso-sviluppo).
Ma ovviamente sono d'accordo con te, anche se la considerazione è spoglia delle mie considerazioni, di fatto è un ritorno alla metafisica classica monolitica.

Ma se tu e Sariputra doveste aver ragione, allora saremmo di fronte sì alla frantumazione.
Invece vi sono questioni che travalicano le gocce di mare, non dico il mare stesso, perchè evidentemente pensereste a qualcosa di monolitico, intendo la questione delle trascendenze, ossia dei sentimenti, la complessità dell'amore, dell'amicizia, dell'odio finanche, sono un irrisolvibile puzle se considerassimo le gocce di mare a sè stanti.
E invece possiamo benissimo indagare il rapporto fra le parti, e notare che qualcosa le trascende.
(per tornare a nietzche un momento, la prima cosa che le trascende è l'utile e la soppravivenza, ma nietzche ne fa subito una questione valoriale, e nello smascherare le etiche, e la loro ipocrisia, nel contempo addita un futuro trascendente, di nuovi valori).
D'altronde anche il termine re-lato, indica che "qualcosa" torna indietro.


Sono d'accordo don quixote.

rimane questo dilemma
"ragione per cui logica vuole che vi sia qualcosa in questo ente che lo fa essere quello che è e non altro."

bisogna fare attenzione, perchè questo ente è quello che è, non per un proprio divenire in sè, ma per una incidenza casuale di relazioni con altri enti.
Se un ente incontra un altro ente, diviene un altro ente, lui stesso.
Questo puzle ovviamente andrebbe contro a qualsiasi filosofia naturalista.(dell'in-sè, degli infiniti auton-, delle autocoscienze).


x acquario
"Ma ci si potrebbe pero chiedere:
E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione?

Risposta:
Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione."

Ma allora avrebbe ragione sgiombo a dire che la causa sarebbe passibile di modifica, lo sarebbe in caso di una manifestazione modificata.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Garbino

Essere e divenire

X Green Demetr.

Mio caro Green, ma cosa ce ne può importare degli scopi della scienza nell' ambito capitalistico. D' altronde saremmo ancora nel Medio Evo senza la pioggia di miliardi che vengono investiti nella ricerca soltanto con fini di ritorno economico e di potere in tutti settori del mondo economico. Noi siamo solo compratori, possibili clienti, nient' altro. Ed allora??? Che fare?? Per il momento aggiornare le nostre conoscenze che la scienza ci trasmette, senza però perdere il filo etico di un programma filosofico che mira al superamento della necessità di credere in qualcosa, sia esso di carattere religioso o di carattere scientifico che si presenti come un dogma. E soprattutto porsi in modo critico nei confronti di tutto ciò che viene fatto passare per vero. Non mi sembra che vi possano essere strade diverse.  Bisogna superare il capitalismo, se lo si vuole superare, rendendosi ben conto che nulla sarà come prima, o accettarlo così com' è, con tutti i pro e i contro che esso comporta.

Per quanto riguarda invece la frantumazione devo sinceramente confessare che mi sembra sia già avvenuta. E che si continui a rimanere avvinghiati alle proprie credenze proprio perché non si può fare a meno di esse. Ma allora cos' è la liberazione. Quand' è che l' uomo potrà superare i limiti stabiliti dal contesto ideologico, dalle morali, dal linguaggio, se non si incomincia a valutare che bisogna rimettere mano a tutto? 
The answer my friend is blowing in the wind, the answer is blowing in the wind.

Garbino Vento di Tempesta.

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