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Essere e determinismo.

Aperto da iano, 22 Settembre 2021, 00:10:55 AM

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iano

#15
Un possibile modo di riassumere il tema di questa discussione, secondo quanto mi suggeriscono i post di JE, è che la distinzione fra causalità ed essere è giustificata dalla nostra vista corta.
Vediamo infatti bene che la causalità implica l'essere, ma non il viceversa.
Partire dall'essere è proprio della percezione.
Ma si può ugualmente partire dal rapporto di casualità andando a cercare poi i termini posti in rapporto.
Questo è proprio della scienza contemporanea, di cui perciò si lamenta una aumentata astrattezza, come se non si accontentasse di basarsi sui fatti, ma li ipotizzasse per andarli poi a cercare.
Nei due processi inversi, per un verso abbiamo un essere che si presenta a noi tanto solido ,quanto non sappiamo perché tale si presenti,
Nell'altro verso troviamo un essere che ha consistenza di fantasma, seppur giunti ad esso attraverso sicuro sentiero. È come se ciò che si gonfia, tronfio di se', in un percorso, si sgonfia nell'altro, e viceversa. Man mano che la scienza procede per il suo verso vediamo una crescente invadenza della matematica, come se ciò che sembrava servire solo a descrivere inizi ad assumere pari consistenza di ciò che prima si limitava a descrivere.
Ma in un caso o nell'altro, fuori dalle apparenze generate dal verso , gli esseri sono i termini di una relazione di causalità, e ciò che conta è la relazione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Una relazione che si genera attraverso la percezione pone l'essere in primo piano , perché è il risultato evidente di un processo ignoto.
In una relazione che nasce da indagine scientifica , dove tutto è per lo più noto, tutti i termini in gioco mostrano perciò pari consistenza, senza che nulla risalti per causa di ignoranza.
Va da se' allora che in quest'ultimo caso è l'essere a perdere solidità, mentre l'astratto, ponendosi al pari dell'essere sembra timidamente uscire , per converso, dalla condizione di puro fantasma.
Di ciò che possiamo dire resteremo sempre incerti, in quanto di esso è possibile dubitare.
Non siamo in grado invece di dubitare su ciò che ci appare senza che siamo di esso in grado di dire.
Questo non saper dire ci fa' apparire l'essere in diverso grado solido.
Questo diverso grado di apparenza ci dice già quanto sia semplicistico definire l'essere come ciò che è.
Se l'essere è ciò che è, e non potrebbe diversamente essere che tale, ciò implicherebbe dover avere pari certezze nella percezione di ogni essere. Ma così è solo se per semplificare si disegna la realtà in bianco e nero, dimenticandosi poi che di un disegno si tratta.
Questa dimenticanza è già inclusa nella percezione sensibile, ma non tanto da non riuscire a modificarla nella misura in cui qualcosa ci sembra di recuperare in memoria.
La percezione è dimostrato che si possa in parte modificare secondo libero arbitrio, nei limiti in cui ne scorgiamo i meccanismi, ed è possibile scorgerli perché essi si riducono ad una relazione fra realtà è soggetto che media fra essi.
Realtà e soggetto sono i termini di una relazione, è solo in tal senso esistono.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

JE

Ciao Iano,


il limite della causalità é proprio quello di necessitare di un prima.


Niente prima, niente dopo.


Per ciò non può dire nulla dell'essere in quanto non ha nessun strumento per metterlo in relazione al non essere.


(per essere inteso la totalità della realtà).


lo spazio negativo é sempre la fondazione del positivo;


Puoi in maniera deterministica guardare nella tua stanza e sapermi enumerare tutti i contenuti, ma se ti chiedo tutte le cose che non ci sono (0) allora la nostra percezione non é d'aiuto; bisogna andare sull'astratto.


Invero ti riconosco che tutto il linguaggio umano é "conosciuto ed imparato" nel contesto della causalità, e che parlare di creazione senza spaziotempo è controintuitivo e anzi, sbagliato. Però usare un linguaggio "consono" in materia richiede di parlare in termini lunghi e fare giri di parole complessi, mentre le parole a cui siamo abituati rendono meglio il concetto e paragone a ciò che conosciamo - e possiamo conoscere per via non astratta.


Il tutto presuppone il non tutto, il non tutto implica immediatamente il tutto. Questo il fulcro del mio pensiero a riguardo.


Grazie per avere intrattenuto il pensiero.




iano

#18
Citazione di: JE il 14 Ottobre 2021, 14:15:29 PM
Ciao Iano,


il limite della causalità é proprio quello di necessitare di un prima.


Niente prima, niente dopo.


Per ciò non può dire nulla dell'essere in quanto non ha nessun strumento per metterlo in relazione al non essere.


(per essere inteso la totalità della realtà).


lo spazio negativo é sempre la fondazione del positivo;


Puoi in maniera deterministica guardare nella tua stanza e sapermi enumerare tutti i contenuti, ma se ti chiedo tutte le cose che non ci sono (0) allora la nostra percezione non é d'aiuto; bisogna andare sull'astratto.


Invero ti riconosco che tutto il linguaggio umano é "conosciuto ed imparato" nel contesto della causalità, e che parlare di creazione senza spaziotempo è controintuitivo e anzi, sbagliato. Però usare un linguaggio "consono" in materia richiede di parlare in termini lunghi e fare giri di parole complessi, mentre le parole a cui siamo abituati rendono meglio il concetto e paragone a ciò che conosciamo - e possiamo conoscere per via non astratta.


Il tutto presuppone il non tutto, il non tutto implica immediatamente il tutto. Questo il fulcro del mio pensiero a riguardo.


Grazie per avere intrattenuto il pensiero.
Tutte le cose nascono insieme al loro opposto e perciò possiamo escludere che esse siano parte della realtà se vogliamo legare la sua esistenza alla sua coerenza. Se è non può anche non essere. Le cose che nascono non sono quindi se non come nostre costruzioni e per questo possiamo dire che nascono, perché nascono dalla nostra relazione con la realtà.
Che le cose attinenti alla realtà abbiano una nascita al di fuori di un percorso che le costituisce come nostre costruzioni è una non necessità. Perché mai consideriamo necessariamente che abbiano una nascita?
La realtà muta senza alcun dubbio, ma ciò che riguarda direttamente noi e' la dinamica della nostra interazione con essa, la quale non richiede necessariamente un suo mutamento.
Basta riguardarla da una prospettiva diversa per vederla mutare.
Che il tempo sia una discriminante necessaria fra essere e causalità dipende solo da una nostra relativa prospettiva. Come facciamo infatti con tanta sicumera a basarci su un tempo che certamente percepiamo, ma non sappiamo ben dire poi cosa sia.
Ciò equivarrebbe a fondare la realtà su una nostra relativa percezione .
Sarebbe cioè come fondare la realtà sulla nostra interazione con essa.
Ciò non è accettabile.
Il determinismo è solo un modo di vedere la realtà da una data prospettiva, la quale può essere mutata.
Se io scrivo una frase ci metto del tempo, ma la frase ha un senso solo nella sua unità atemporale, anche se nella frase possiamo distinguere termini che vengono prima e che vengono dopo.
La realtà è un po' come una frase dove c'è un prima e un dopo che però non sono necessariamente portatori di senso se non relativamente.
Noi traiamo solo dati dalla realtà e li interpretiamo, e il tempo entra a far parte della realtà come interpretazione. Non possiamo dire cosa sia il tempo perché il percorso interpretativo, seppur nostro, non ci è noto.
Quando il percorso ci è meglio noto, come nella "percezione di secondo livello" , come l'ha definita Ipazia, quella scientifica, il tempo , pur continuando ad avere una parte, si mostra un concetto molto flessibile, dove un "prima e un dopo" acquista un significato diverso da quello secondo il quale affermi che la causalità, venendo dopo, non possa dire nulla su ciò che viene prima, l'essere.
È il prima e il dopo di una logica corretta, ma non attinente alla realtà in modo univoco.
Possiamo quindi invertire il senso del prima e dopo per vedere l'effetto che fa', e ciò è possibile perché ogni costruzione può essere , in quanto tale, decostruita e riformata.
Tutto ciò è astratto, ma il nostro rapporto con la realtà non può fare a meno di astrazioni, perché è un rapporto indiretto.


Se ogni cosa nasce insieme alla sua negazione, ciò su cui convengo, bisogna poi trarne le conseguenze, come ho provato a fare., per non lasciare che la questione si ammanti di aurea mistica.



Su ciò di cui non possiamo dire non possiamo dubitare.
Ma del tempo abbiamo iniziato a dubitare perché nell'ambito scientifico di esso abbiamo iniziato a dire.
Fra i vari dubbi rimane anche quello che il tempo di cui diciamo sia lo stesso di cui abbiamo percezione.
Ciò perché dovremmo mettere a confronto due percorsi dei quali solo uno è noto.
Certamente ci sono analogie, se usiamo lo stesso termine per i risultati dei due percorsi, ma non è certo una novità che noi uomini usiamo lo stesso termine per indicare cose diverse.
Ciò ha un senso perché il significato di un termine dipende dal contesto e i contesti possibili sono tanti.
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iano

#19
L'essere e la causalità sono troppo strani se ben li considerate per essere cose del tutto attinenti alla realtà.
Non sono il fondamento della realtà, ma il relativo fondamento, non necessario, ma relativamente sufficiente, della nostra interazione con la realtà.
Mostrano infatti un sottofondo di arbitrarietà ogni volta che proviamo  a indagarli  più da vicino.
Una arbitrarietà che denuncia un artificio.
Sonno artifici infatti i risultati della nostra interazione con la realtà e l'essere e la casualità ne sono magnifici esempi.
Ogni cosa nasce insieme alla sua negazione, e ciò sembra un artificio, perché infatti lo è.
Sula realtà possiamo fare solo ipotesi, ed essa stessa è al minimo una ipotesi di comodo.
Ad ogni ipotesi, in quanto arbitraria, corrisponde una sua negazione.
Ma la "vera" realtà, se esiste fuori dalle ipotesi, non ammette la sua negazione.
Anche questa in verità è essa stessa una ipotesi, ma pare essere necessaria, e quindi la assumiamo.


Se tali ragionamenti possono apparire solo nichilistici è perché manchiamo di considerare che, se ciò che finora abbiamo impropriamente confuso con la realtà, essendo un artificio, gli artisti però siamo noi.
Non è un arte del tutto libera.Esiste una condizione inalienabile in fati: la realtà.
Ma è comunque un arte relativamente libera.
Ciò significa che ci sono diversi modi di fare la stessa cosa, e questa cosa è la nostra interazione con la realtà.
La scienza stessa è un buon esempio di come si possa interagire in modo diverso nei fatti ( ma non nella sostanza) con la realtà.
Possiamo giocare con buona libertà con termini come spazio, tempo, essere, caso, casualità, che assumono significato diverso al cambiare del contesto scelto.
A me questa prospettiva sembra tutto meno che nichilista.
E anzi mi sembra che apra prospettive "da far paura".
Fra percezione e scienza passa solo un salto di coscienza, ma questi salti non sono finiti.
Ciò che noi siamo lo esplicitiamo sempre di più, portandolo letteralmente fuori di noi.
Non solo vacilla la certezza che ci ha fatto percepire come individui, ma la distinzione stessa fra organico ed inorganico nel momento in cui le possiamo vedere come costruzioni materiali che svolgono una funzione la cui ridefinizione ridefinisce l'individuo stesso.
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iano

#20
Ma mi rendo conto di ricadere nello stesso errore delle sorti magnifiche e progressive parlando di salti di coscienza.
Meglio parlare di un mix variabile di consapevolezza e ignoranza con nessuna tendenza necessariamente definita.
Anzi ci vedo meglio un andamento ciclico.
In effetti a ben pensarci dopo un salto di coscienza esemplificato dalla scienza, sembra toccarci adesso un salto opposto il quale , come io credo, ci istruisce bene indirettamente  sul come nasca "l'essere".
Infatti gli algoritmi imperversano sempre più in rete.
Noi agiamo in base ai loro risultati, ma ignoriamo il percorso che ad essi ha portato.
Perché quel risultato? Perché è così.
Un è così perché è così che riecheggia l'essere in quanto tale, e tale, e non altrimenti che tale, perché nulla altro possiamo dire , come fosse il risultato di un algoritmo.
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Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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