Esperimenti mentali sulla felicità (e corollari)

Aperto da sgiombo, 28 Giugno 2018, 19:24:50 PM

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sgiombo

Per "felicità" (più o meno, ma di fatto mai completamente, realizzata) comunemente si intende l' appagamento (più o meno, ma di fatto mai completamente, ottenuto) delle aspirazioni (proprie di ciascuno); per "infelicità" il loro mancato appagamento.
 
Dunque criterio della complessiva felicità o meno di una persona in un certo momento della propria vita può essere il seguente esperimento mentale:
Se ci comparisse davanti una divinità onnipotente e ci proponesse di rivivere (magari un' infinità di volte) la propria vita quale é stata finora, che cosa le risponderemmo?
Se le rispondessimo affermativamente, allora evidentemente la nostra vita (finora) é stata complessivamente felice (o comunque più felice che infelice per lo meno di un minimo di "eccesso di felicità" tale che varrebbe la pena di rifarla tale e quale, tale da compensare gli elementi di infelicità, in qualche misura inevitabili).
Se rispondessimo negativamente, allora evidentemente la nostra vita (finora) é stata complessivamente infelice.
 
 
Si potrebbero poi immaginare ulteriori sviluppi dell' esperimento mentale.
La divinità onnipotente potrebbe chiederci se volessimo in alternativa rinascere senza sapere quale sarà la nostra vita futura o cessare definitivamente di esistere e di vivere consapevolmente.
Personalmente, sebbene alla prima domanda avrei risposto affermativamente (sono complessivamente felice della mia vita quale é stata finora), di fronte a questa seconda proposta risponderei senza esitazioni che preferirei cessare di esistere: del tutto ingiustificato mi sembrerebbe infatti il rischio di vivere una vita infelice, e anche decisamente infelicissima, quali non poche (e comunque sempre troppe!) ci tocca di constatarne intorno a noi.
E coerenza mi imporrebbe, "a mo di corollario", che se avessi la possibilità di generare altri figli me ne dovrei astenere.
Infatti potrebbero essere infelici, e pure tantissimo, e comunque non avrei certo il diritto di imporre loro, senza il loro consenso (che non potrei avere per un' impossibilità logica, assoluta), il rischio dell' infelicità, seppure in alternativa alla possibilità della felicità.
Ma mi imporrebbe anche di porre immediatamente fine alla mia vita in modo il più possibile indolore (eutanasia), dal momento che nulla mi garantirebbe che in futuro il rapporto fra soddisfazioni e insoddisfazioni delle mie aspirazioni non si possa invertire, e dunque "il gioco non varrebbe la candela" (e anzi, con l' avanzare dell' età e i connessi problemi di salute e di efficienza fisica e mentale, il rischio dell' infelicità tenderebbe con ogni probabilità sempre più ad incrementarsi).
Senonché fra le mie (attuali) aspirazioni c' é quella di contribuire (sia "materialmente", economicamente, sia "moralmente", culturalmente, con la mia vicinanza intellettuale e affettiva), nei limiti delle mie possibilità, alla felicità dei miei cari innanzitutto e in varia misura di tutti coloro con cui potrei avere a che fare; e se mi dessi l' eutanasia contravverrei a questo dovere che sento dentro di me lasciando insoddisfatta questa mia importante aspirazione (= mi renderei infelice; moltissimo, anche se per pochissimo tempo, soprattutto in considerazione del persistere dell' infelicità arrecata ad altri ben oltre il brevissimo lasso di tempo della mia sopravvivenza in tal caso).
 
 
Inoltre si può essere felici o infelici in maggiore o minor misura per "fortuna estrinseca" o per "meriti intrinseci".
E mentre nel primo caso -per definizione- si sarebbe soddisfatti o meno della propria vita "in generale", nel secondo si sarebbe soddisfatti o meno di se stessi (e, se felici, qualora la divinità ci chiedesse se vorremmo rinascere così come siamo di fatto nati oppure diversi si sceglierebbe la prima alternativa; se insoddisfatti di noi stessi probabilmente la seconda).
Cioè nel secondo caso si sarebbe contenti oppure scontenti di sé, di essere come si é. Cosa che con tutta evidenza non può essere autonomamente scelta ma si subisce, inevitabilmente impotenti di fronte alla sorte; infatti anche nel caso si decida di cambiare, di compiere sforzi per mutare la propria personalità, cosa certamente non impossibile per lo meno in linea teorica, di principio, tuttavia questa decisione sarebbe o (immediatamente) casuale, fortuita, oppure determinata dal come si era al momento di compierla, comunque non per propria libera scelta ma fortuitamente (oppure per scelta altrui deliberata, per chi creda in un Dio creatore o qualcosa di simile: in ogni caso non per una libera scelta propria).
 
 
N.B.: Da questo "fatalismo di ultima istanza" non consegue affatto necessariamente una passività pratica, come molti erroneamente credono.
Il fatto che si sia nati "virtuosi" (per dirlo con gli antichi Stoici) oppure malvagi (o tali da decidere di diventare "virtuosi" oppure malvagi) non per merito proprio (ma casualmente, per "puro culo" o "pura sfiga" a seconda dei casi) non implica affatto necessariamente che se si é in maggiore o minor misura "virtuosi" ci si impegni di meno (che se non si fosse consapevoli di questo fatto) nell' operare bene, nel combattere il male, nel cercare di imporre ai malvagi le giuste punizioni e ai buoni i giusti premi in maggiore o minor misura (né che se si é più o meno malvagi ci si impegni di meno nell' operare più o meno male, nel combattere il bene, nel cercare di realizzare ingiustizie).


Che ne pensate?
 

cvc

Pur essendo un estimatore degli stoici, tuttavia su qualcosa mi sento di dissentire, sempre che il mio sissentire non sia poi più che altro un precisare o approfondire alcuni punti. Mi sento scettico ad esempio sulla presunta autarchia stoica riguardo alla felicità. Per lo stoico la sua felicità dipende solo da se stesso, dalla sua scelta morale. Credo invece che la felicità abbia almeno due ingredienti: l'individuo con le sue buone scelte e l'ambiente favorevole. Credo che come diceva Bonaparte il talento (in questo caso la saggezza) da solo non basta, occorre anche l'opportunità (fornita dall'ambiente). Io posso si essere vietuoso, ma se sono circondato da sventure difficilmente potrò essere felice appieno. Posso sopportarle, diventare apatico nei loro confronti e vedere in questa sorta di serenità un successo personale e compiacermene. Ma questa è felicità? Siamo noi che facciamo la nostra vita, ma è anche la vita a fare noi stessi.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

viator

Salve Sgiombo :Si potrebbero poi immaginare ulteriori sviluppi dell' esperimento mentale.La divinità onnipotente potrebbe chiederci se volessimo in alternativa rinascere.......

Non capisco : si tratterebbe di rinascere da inconsapevoli dell'esistenza precedente, oppure di rinascere conservando la memoria passata ?

o cessare definitivamente di esistere e di vivere consapevolmente.

Anche qui : vivere consapevolmente la nuova vita nel senso di farlo ricordandosi della vita precedente ?
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

sgiombo

Con quanto scritto da CVC concordo: la forza d' animo é importante ma non onnipotente e la felicità non dipende solo da noi.



Chiarimenti a Viator:

Si potrebbero poi immaginare ulteriori sviluppi dell' esperimento mentale.La divinità onnipotente potrebbe chiederci se volessimo in alternativa rinascere.......

Non capisco : si tratterebbe di rinascere da inconsapevoli dell'esistenza precedente, oppure di rinascere conservando la memoria passata ?


Rinascere "alla maniera della metempsicosi", in una nuova vita senza traccia di memoria dell' attuale (Precedente rispetto alla nuova).


o cessare definitivamente di esistere e di vivere consapevolmente.

Anche qui : vivere consapevolmente la nuova vita nel senso di farlo ricordandosi della vita precedente ?

Ovviamente se si cessa di esistere e di vivere consapevolmente non ci si può certo ricordare della vita precedentemente vissuta e finita (per ricordare bisogna innanzitutto esserci e d essere dotato di coscienza, che del ricordare sono conditiones sine qua non).

paul11

#4
Citazione di: sgiombo il 28 Giugno 2018, 19:24:50 PM
Per "felicità" (più o meno, ma di fatto mai completamente, realizzata) comunemente si intende l' appagamento (più o meno, ma di fatto mai completamente, ottenuto) delle aspirazioni (proprie di ciascuno); per "infelicità" il loro mancato appagamento.

.......................

Che ne pensate?

cia Sgiombo,
da tempo ho imparato e forse capito che la felicità non deve perseguire scopi, bensì sottrarre il gesto agli scopi.
Parecchio tempo fa in tre ore da 1.500 metri ero salito in montagna ad una vetta di circa 3.000   e poi ridisceso come un camoscio .
Oggi ammesso che ci riuscissi impiegherei almeno un'intera giornata.Ma oggi il fine non è più un traguardo, mi dò un tempo lento, ammiro il paesaggio e respiro lungo e ho imparato a riconoscere fiori, piante ,alberi, mi fermo nel bosco ad ascoltare uccelli e vedere magari scoiattoli.
Ho capito che è proprio un dispositivo culturale occidentale quello di collegare l'azione ad uno scopo e di perdere il cammino che diventa solo strumento.Non è felicità il raggiungimento di scopi, è stress di vittoria o sconfitta, è pensare che bisogna avere per forza dei traguardi da raggiungere e pensiamo che la vita sia fatta di scopi.
A me importa il gesto sottratto allo scopo, ho una visione più "zen" e vedo giovani carrieristi, padri che devono "sistemare " figli,persone che sono sempre preoccupate anche se possono vivere serenamente, di arrivare a qualcosa,ma ogni cosa è invece   già al suo posto , ogni vita, anche i figli, avrà un loro destino l.Una volta che imparano a camminare, è giusto che sbaglino, cadano, e imparino, e vanno lasciati andare per la loro strada.
Capisco l'apprensione che nasce dal sincero affetto, ma attenzione al famoso "attaccamento", la vita è fatta di incontri e addii e affinchè non vi sia amaro in bocca bisogna imparare ad incontrarsi e lasciarsi  e vivere semplicemente i momenti,  i gesti, gli attimi,le parole e i silenzi sono questi che rimarranno nella memoria,quella sensazione di complicità, di accomunamento che dura poco ,forse è questa ,almeno per me, la felicità.
Dio capirà............

Carlo Pierini

Citazione di: sgiombo il 28 Giugno 2018, 19:24:50 PM
Per "felicità" (più o meno, ma di fatto mai completamente, realizzata) comunemente si intende l' appagamento (più o meno, ma di fatto mai completamente, ottenuto) delle aspirazioni (proprie di ciascuno); per "infelicità" il loro mancato appagamento.

Dunque criterio della complessiva felicità o meno di una persona in un certo momento della propria vita può essere il seguente esperimento mentale:
Se ci comparisse davanti una divinità onnipotente e ci proponesse di rivivere (magari un' infinità di volte) la propria vita quale é stata finora, che cosa le risponderemmo?
Se le rispondessimo affermativamente, allora evidentemente la nostra vita (finora) é stata complessivamente felice (o comunque più felice che infelice per lo meno di un minimo di "eccesso di felicità" tale che varrebbe la pena di rifarla tale e quale, tale da compensare gli elementi di infelicità, in qualche misura inevitabili).
Se rispondessimo negativamente, allora evidentemente la nostra vita (finora) é stata complessivamente infelice.


Si potrebbero poi immaginare ulteriori sviluppi dell' esperimento mentale.
La divinità onnipotente potrebbe chiederci se volessimo in alternativa rinascere senza sapere quale sarà la nostra vita futura o cessare definitivamente di esistere e di vivere consapevolmente.
Personalmente, sebbene alla prima domanda avrei risposto affermativamente (sono complessivamente felice della mia vita quale é stata finora), di fronte a questa seconda proposta risponderei senza esitazioni che preferirei cessare di esistere: del tutto ingiustificato mi sembrerebbe infatti il rischio di vivere una vita infelice, e anche decisamente infelicissima, quali non poche (e comunque sempre troppe!) ci tocca di constatarne intorno a noi.
E coerenza mi imporrebbe, "a mo di corollario", che se avessi la possibilità di generare altri figli me ne dovrei astenere.
Infatti potrebbero essere infelici, e pure tantissimo, e comunque non avrei certo il diritto di imporre loro, senza il loro consenso (che non potrei avere per un' impossibilità logica, assoluta), il rischio dell' infelicità, seppure in alternativa alla possibilità della felicità.
Ma mi imporrebbe anche di porre immediatamente fine alla mia vita in modo il più possibile indolore (eutanasia), dal momento che nulla mi garantirebbe che in futuro il rapporto fra soddisfazioni e insoddisfazioni delle mie aspirazioni non si possa invertire, e dunque "il gioco non varrebbe la candela" (e anzi, con l' avanzare dell' età e i connessi problemi di salute e di efficienza fisica e mentale, il rischio dell' infelicità tenderebbe con ogni probabilità sempre più ad incrementarsi).
Senonché fra le mie (attuali) aspirazioni c' é quella di contribuire (sia "materialmente", economicamente, sia "moralmente", culturalmente, con la mia vicinanza intellettuale e affettiva), nei limiti delle mie possibilità, alla felicità dei miei cari innanzitutto e in varia misura di tutti coloro con cui potrei avere a che fare; e se mi dessi l' eutanasia contravverrei a questo dovere che sento dentro di me lasciando insoddisfatta questa mia importante aspirazione (= mi renderei infelice; moltissimo, anche se per pochissimo tempo, soprattutto in considerazione del persistere dell' infelicità arrecata ad altri ben oltre il brevissimo lasso di tempo della mia sopravvivenza in tal caso).


Inoltre si può essere felici o infelici in maggiore o minor misura per "fortuna estrinseca" o per "meriti intrinseci".
E mentre nel primo caso -per definizione- si sarebbe soddisfatti o meno della propria vita "in generale", nel secondo si sarebbe soddisfatti o meno di se stessi (e, se felici, qualora la divinità ci chiedesse se vorremmo rinascere così come siamo di fatto nati oppure diversi si sceglierebbe la prima alternativa; se insoddisfatti di noi stessi probabilmente la seconda).
Cioè nel secondo caso si sarebbe contenti oppure scontenti di sé, di essere come si é. Cosa che con tutta evidenza non può essere autonomamente scelta ma si subisce, inevitabilmente impotenti di fronte alla sorte; infatti anche nel caso si decida di cambiare, di compiere sforzi per mutare la propria personalità, cosa certamente non impossibile per lo meno in linea teorica, di principio, tuttavia questa decisione sarebbe o (immediatamente) casuale, fortuita, oppure determinata dal come si era al momento di compierla, comunque non per propria libera scelta ma fortuitamente (oppure per scelta altrui deliberata, per chi creda in un Dio creatore o qualcosa di simile: in ogni caso non per una libera scelta propria).


N.B.: Da questo "fatalismo di ultima istanza" non consegue affatto necessariamente una passività pratica, come molti erroneamente credono.
Il fatto che si sia nati "virtuosi" (per dirlo con gli antichi Stoici) oppure malvagi (o tali da decidere di diventare "virtuosi" oppure malvagi) non per merito proprio (ma casualmente, per "puro culo" o "pura sfiga" a seconda dei casi) non implica affatto necessariamente che se si é in maggiore o minor misura "virtuosi" ci si impegni di meno (che se non si fosse consapevoli di questo fatto) nell' operare bene, nel combattere il male, nel cercare di imporre ai malvagi le giuste punizioni e ai buoni i giusti premi in maggiore o minor misura (né che se si é più o meno malvagi ci si impegni di meno nell' operare più o meno male, nel combattere il bene, nel cercare di realizzare ingiustizie).


Che ne pensate?


Se mi comparisse davanti il Dio onnipotente del tuo "esperimento", io gli direi di poter rispondere SOLO SE mi dicesse QUALI sono i "comandamenti" più importanti da rispettare per non infognarsi in una vita infelice e SE mi assicurasse che tali comandamenti non vanificano NECESSARIAMENTE il senso più profondo di ciò che chiamiamo LIBERTA'. 
In caso contrario, ...che decida Lui - che la sa più lunga di me - qual'è la cosa migliore da fare.
Ma non perderei l'occasione irripetibile (incontrare Dio non è una cosa di tutti i giorni) per sottoporgli la mia risposta scritta alla domanda: "Cos'è il piacere?" (che pubblicherò in questo NG) affinché mi sottolinei in rosso le eventuali boiate che ho scritto e, se possibile, mi dia qualche "dritta" per capire i motivi dei miei errori e qualche indicazione per superarli.
Insomma, gli direi: "L'hai voluta la bicicletta? ..."

sgiombo

Caro Paul11,

anch' io amo riflettere, godermi la natura, e detesto lo "stress da prestazione" che l' ideologia dominante pretenderebbe di imporre a tutti come indispensabile all' autorealizzazione.

Ma in ogni caso, per te che (almeno in larga misura come me) ami ammirare il paesaggio e respirare lungo e riconoscere fiori, piante, alberi, fermarti nel bosco ad ascoltare uccelli e vedere magari scoiattoli, soddisfare queste aspirazioni é essere felice (e non poterlo fare, cosa che ti auguro ti accada il meno che sia possibile, sarebbe essere infelice).

Chiunque é felice se riesce a realizzare ciò a cui aspira, infelice se non ci riesce, direi per definizione.

Phil

Concordo con paul11 e sgiombo.
Aggiungo che, secondo me, una mossa controproducente nei confronti della felicità, è tematizzarla come qualcosa da raggiungere o da saper (rac)cogliere, pur senza stritolarla (come mi sembra suggerisca paul11), poiché significa (im)porsi il problema del rapporto-relazione con essa, significa creare (e talvolta "nevrotizzare") un "vuoto di partenza", stabilire "un'assenza di base" da cui iniziare la ricerca, più o meno affannosa, del "pieno".
E se la felicità fosse piuttosto qualcosa che capita, che arriva, che è (quasi)1 indipendente da noi, come la pioggia?
Se nello scorrere della vita, degli eventi, nel rintoccare dei "qui ed ora", la felicità fosse un'emozione che può nascere "per caso", ovvero anche senza progettazione o aspettativa (ad esempio, la felicità inattesa di una sorpresa ) oppure essere l'epilogo di una bella situazione, ovvero essere non lo scopo, ma una possibile ripercussione del suo raggiungimento (come superare un esame per cui si è studiato molto: lo scopo è passarlo, la felicità è un eventuale2 effetto collaterale)?
Essere sorpresi dalla felicità che si aggiunge a un evento forse è più coinvolgente che raggiungerla dopo averla desiderata, aspettata e vista avvicinarsi.


Scrivo "quasi" perché la scelta di immergerci nella pioggia sta comunque a noi... certo è che se non piove, il problema non si pone ;)
Sarà capitato anche a voi di ottenere un risultato desiderato e, alla fine, sentirvi  sollevati, sgravati del peso dell'incertezza (dell'esito), fieri e soddisfatti, piuttosto che propriamente "felici"... e magari già "decentrati" sul dopo (i festeggiamenti annessi, o un altro esame, o altri impegni). Ci sono poi i casi in cui l'esito positivo è così "prevedibile", che anche un ottimo risultato viene accolto senza autentica felicità, piuttosto con soddisfazione e orgoglio.

sgiombo

#8
Penso anch' io che la felicità e/o l' infelicità ci tocchino (più o meno a seconda dei casi) in ultima analisi per caso, dal momento che ci troviamo ad essere come siamo e a desiderare ciò che desideriamo in ultima analisi non per nostra libera scelta (anche se decidiamo di cercare di cambiarci, di diventare diversi da come siamo, lo facciamo comunque non per libera scelta ma: o indeterministicamente e cioé per caso-fortuna, oppure in conseguenza deterministica da come siamo, non per nostra libera scelta, al momento di deciderlo).

E infatti ho affermato che ritengo che non sia giusto imporre la vita umana ad altri (fare figli) perché questo inevitabilmente li esporrebbe non per loro ibera scelta al pericolo dell' infelicità.
E infatti al dio onnipotente che mi proponesse di rinascere per un' altra vita risponderei che preferisco l' alternativa di cessare definitivamente di esistere come soggetto cosciente.

Ciò non toglie che il conseguimento di un equilibrio migliore o peggiore fra aspirazioni soddisfatte e insoddisfatte (id est: fra elementi e aspetti di felicità e di infelicità nella nostra vita) dipende in parte (maggiore o minore a seconda dei casi ...comunque più o meno fortunati) anche da noi.
E in particolare dal sapere valutare razionalmente quali insiemi di aspirazioni sono soddifacibili complessivamente in alternativa a quali altri insiemi, attraverso quali mezzi (e a quali "prezzi"), e (cosa soprattutto difficile per la non quantificabilità, e dunque non conosciblità scientifica per lo meno in senso stretto o forte, e non misurabilità della res cogitans) dal sapere il meglio possibile ponderare (metaforicamente) la forza o intensità delle diverse aspirazioni e desideri che abbiamo in modo da stabilire quali insieme realisticamente conseguibli di soddisfazioni (gli uni alternativamente agli altri di essi) diano più e quali meno felicità (=soddisfazione) complessiva.

Maura

Ciao Sgiombo,
arrivo in ritardo con il mio intervento rispetto a questa discussione sulla quale  hai già pubblicato  le tue conclusioni.
Gli interventi successivi al tuo hanno smorzato quel taglio netto che avevi dato tra vita felice ed infelice.
Io penso che non possiamo dividerci tra chi vive una vita in buona parte felice o in buona parte non felice, ma nel corso di essa si alternano momenti di felicità e d'infelicità. Per assurdo possiamo imparare a vivere(=governare) momenti d'infelicità per arrivare poi a godere di un nuovo momento di felicità.
Felicità e infelicità possono avere intensità diverse.
Felicità e infelicità sono diversamente vissute a seconda delle età,  ovviamente ciò che ti rende felice a 1 anno è diverso da ciò che
ti può render felice a 20 anni ecc.
Mi permetto di non essere d'accordo con ciò che affermi
Citazione di: sgiombo il 30 Giugno 2018, 09:32:48 AME infatti ho affermato che ritengo che non sia giusto imporre la vita umana ad altri (fare figli) perché questo inevitabilmente li esporrebbe non per loro ibera scelta al pericolo dell' infelicità. 

Pensa che se i tuoi genitori avessero pensato come te.....tu non ci saresti:
Davvero la tua vita è stata così infelice?
 Ti toglieresti la possibilità di pensare, di dialogare con gli altri, di scambiare idee? (Cito queste attività perchè vedo che sei molto attivo sul forum, ma immagino che sono molti i tuoi interessi)
Tutta la tua vita non ha valore? 
Non lo credo proprio. Tu ci sei, sei importante perchè sei tu.

Maura
P.s.: Non credere che io sia bigotta, anzi ti anticipo che non sono credente, ma sono consapevole di essere un nulla per l''universo, ma molto per chi mi vuol bene.

viator

Salve. Per Sgiombo e Maura : Ricito quanto già citato da Maura : E infatti ho affermato che ritengo che non sia giusto imporre la vita umana ad altri (fare figli) perché questo inevitabilmente li esporrebbe non per loro ibera scelta al pericolo dell' infelicità.. Personalmente credo proprio non esista il pericolo di trovarsi a dover imporre la vita ad un figlio. Come se i figli fossero nostre creature. La vita - figli nostri inclusi - non appartiene a nessuno e nessuno in particolare può evocarla od imporla. Noi possiamo essere la causa che la genera, ma è semplicemente assurdo sostenere di AVER DECISO DI AVERE DEI FIGLI. Questa è solo l'illusione di breve momento che ci viene lasciata. La vita "ci usa" attraverso il sesso per ottenere ciò che vuole. In sostanza l'avere figli ricade tra le situazioni canoniche oggetto delle diatribe sul libero arbitrio (che non esiste) e sul credere di possederlo (opzione scelta da quasi tutti coloro che si soffermano sul singoli atti e "scelte" della propria esistenza senza volere od essere capaci di generalizzare ed approfondire).
Se si fosse responsabili della eventuale infelicità di un figlio, allora si dovrebbe anche esserlo della sua eventuale felicità ! Ma per piacere !! Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

sgiombo

Citazione di: Maura il 30 Giugno 2018, 17:39:09 PM

Mi permetto di non essere d'accordo con ciò che affermi
Citazione di: sgiombo il 30 Giugno 2018, 09:32:48 AME infatti ho affermato che ritengo che non sia giusto imporre la vita umana ad altri (fare figli) perché questo inevitabilmente li esporrebbe non per loro ibera scelta al pericolo dell' infelicità.  

Pensa che se i tuoi genitori avessero pensato come te.....tu non ci saresti:
Davvero la tua vita è stata così infelice?
Ti toglieresti la possibilità di pensare, di dialogare con gli altri, di scambiare idee? (Cito queste attività perchè vedo che sei molto attivo sul forum, ma immagino che sono molti i tuoi interessi)
Tutta la tua vita non ha valore?
Non lo credo proprio. Tu ci sei, sei importante perchè sei tu.

Maura
P.s.: Non credere che io sia bigotta, anzi ti anticipo che non sono credente, ma sono consapevole di essere un nulla per l''universo, ma molto per chi mi vuol bene.
Per la verità ci ho pensato e ci penso molto al fatto che  se i miei genitori avessero pensato come me.....io non ci sarei.

E sono loro grato perché finora sono stato complessivamente felice e non poco (ho scritto infatti che al dio onnipotente che mi proponesse di rivivere una o più volte (al limite infinite volte) la vita che ho vissuto finora risponderei affermativamente).
Peraltro se non mi avessero generato non avrei nemmeno bisogni e aspirazioni da soddisfare e dunque non sarei infelice; e infatti, data l' incertezza circa il futuro, se (per assurdo, ammesso e non concesso) prescindessi dall' aspirazione di essere di aiuto ai miei cari (e in qualche infima misura agli altri genericamente intesi) al dio onnipotente che mi chiedesse se voglio continuare questa vita (finora felice) o iniziarne un' altra oppure cessare di esistere come soggetto cosciente (e autocosciente) risponderei che preferirei la seconda proposta.

Ma se io (e tanti altri) sono stato, almeno finora (...e speriamo bene per il futuro; ma non é detto...) non poco felice, ciò é stato (in ultima analisi) per "puro culo", mentre tanti (troppi!) altri sono infelici.
Per questo credo non sia giusto imporre ad altri (generando figli) il rischio dell' infelicità (sia pure in alternativa alla possibilità della felicità). nell' ovvia impossibilità assoluta (logica!) di chiedere il loro consenso.

Cosa diresti se qualcuno ti imponesse indipendentemente dalla tua volontà di (scusa per la banalità degli esempi, ma non conosco i tuoi desideri e aspirazioni: spero che ben comprenda il senso profondo, non letterale di quanto sto argomentando) di lanciare una moneta sapendo che se esce "testa" diventi rocca e potente con tutte le possibilità (ovviamente non. certezze!) che ne conseguirebbero di vivere bene e felicemente, mentre se esce "croce" vieni sottoposta a terribili torture e poi ammazzata (cosa orrenda che purtroppo di fatto a capita a troppe persone)?
Ma anche (ammesso che sia più probabile la felicità dell' infelicità) se ti si imponesse indipendentemente dalla tua volontà di lanciare due dadi in modo da essere torturata e uccisa se il risultato fosse "2" e diventare ricca e potente (e in ottima salute, ecc.) se il risultato fosse uno degli altri possibili (uno qualsiasi compreso fra "3" e "12" inclusi questi due estremi).

sgiombo

Citazione di: viator il 30 Giugno 2018, 19:07:51 PM
Salve. Per Sgiombo e Maura : Ricito quanto già citato da Maura : E infatti ho affermato che ritengo che non sia giusto imporre la vita umana ad altri (fare figli) perché questo inevitabilmente li esporrebbe non per loro ibera scelta al pericolo dell' infelicità.. Personalmente credo proprio non esista il pericolo di trovarsi a dover imporre la vita ad un figlio. Come se i figli fossero nostre creature. La vita - figli nostri inclusi - non appartiene a nessuno e nessuno in particolare può evocarla od imporla. Noi possiamo essere la causa che la genera, ma è semplicemente assurdo sostenere di AVER DECISO DI AVERE DEI FIGLI. Questa è solo l'illusione di breve momento che ci viene lasciata. La vita "ci usa" attraverso il sesso per ottenere ciò che vuole. In sostanza l'avere figli ricade tra le situazioni canoniche oggetto delle diatribe sul libero arbitrio (che non esiste) e sul credere di possederlo (opzione scelta da quasi tutti coloro che si soffermano sul singoli atti e "scelte" della propria esistenza senza volere od essere capaci di generalizzare ed approfondire).
Se si fosse responsabili della eventuale infelicità di un figlio, allora si dovrebbe anche esserlo della sua eventuale felicità ! Ma per piacere !! Salutoni.
CitazioneConcordo convintamente sull' illusorietà del libero arbitrio.

Ma, come ho già ripetutamente rilevato anche nel forum, nego che dall' esserne consapevoli debba necessariamente conseguire un qualsivoglia indebolimento della volontà e delle aspirazioni di ciascuno.

Esistono anticoncezionali efficacissimi e dagli effetti collaterali minimi (nessun farmaco, nessuna terapia di alcun genere é del tutto priva di effetti collaterali, contrariamente a quanto pretenderebbero antiscientificamente certi "fondamentalisti delle vaccinazioni" e della presunta "malasanità", per il semplice fatto che la perfezione non esiste), e si può sempre scegliere di usarli (salvo improbabili costrizioni estrinseche; per esempio qualora la chiesa cattolica riuscisse a vietarne produzione e vendita); e proprio nulla di nulla cambia in questo per il fatto (di cui sono convintissimo) che si tratterebbe di una scelta deterministica e non liberoarbitraria: non per questo non la farei ugualmente o sarei più titubante nel farla, così come non per questo chi preferisse non usarli non sceglierebbe o sceglierebbe con maggior titubanza di non usarli).

Ciò che ritengo ingiusto nel generare figli non é la responsabilità circa la loro felicità o infelicità (che é questione discutibile e comunque non "manicheisticamente dicotomica", cui si possa rispondere con un "si" o un "no" secchi), ma invece l' imposizione a loro senza il loro consenso del rischio dell' infelicità (sia pure in alternativa alla possibilità della felicità).
Il padre di un figlio che si ammalasse gravemente in tenera età, che soffrisse tantissimo e morisse dopo sofferenze magari di lunga durata (come purtroppo accade) non sarebbe certo responsabile (salvo colpevoli imprudenze da parte sua che le avessero causate, ovviamente) delle mostruose sofferenze del figlio stesso (come non sarebbe responsabile di eventuali fortune e motivi di felicità).
Ma ciò non toglie che ogni genitore impone ai propri figli il rischio dell' infelicità (sia pure in alternativa alla possibilità della felicità) nell' ovvia impossibilità logica, assoluta di averne il consenso. E questo mi sembra sommamente ingiusto, quale che sia la sorte -più o meno fortunata- del figlio, (pensa alle domande con cui ho concluso il precedente intervento in risposta a Maura).

viator

Salve Sgiombo. Dici : "Ma, come ho già ripetutamente rilevato anche nel forum, nego che dall' esserne consapevoli debba necessariamente conseguire un qualsivoglia indebolimento della volontà e delle aspirazioni di ciascuno."[/u].
Ed io ti dico bravo. Infatti anche secondo me una sana ricetta di vita dovrebbe funzionare così. "Pensa da fatalista ma agisci come se tu fossi l'arbitro del mondo". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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