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Esistono le cose?

Aperto da iano, 18 Luglio 2021, 00:35:15 AM

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Ipazia

Il noumeno è una superstizione. E' la superstizione dellla cosa in assenza di divenire. Come afferma LW solo i fatti (cose in divenire) sono indagabili, non le cose (in sè). Il sussistere di stato di cose "paraccarro" è commensurabile col sussistere dello stato di cose "homo" assai più delle particelle subatomiche e delle loro cosiddette funzioni. Usando un termine più fisico-chimico possiamo dire che gli stati di aggregazione della materia dialogano tra loro in base ad analogie fisico-chimico-biologiche che non è lecito ignorare, o stiracchiare metafisicamente, quando si studia e definisce la realtà
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

Citazione di: bobmax il 22 Luglio 2021, 12:09:04 PM
L'oggettività dell'esistente non può essere superata, perché se lo fosse non vi sarebbe più alcun esistente.

E comunque non può neppure non esservi alcun esistente, perché l'esistenza consiste proprio nell'esserci di qualcosa.

Difatti, pure la famosa 'fondamentale' domanda: "Perché c'è qualcosa invece che nulla?" è in realtà un pensiero vuoto, che si auto contraddice.
Perché l'esserci è esserci di qualcosa!

Per cui la questione non è relativa all'esistente, sia esso oggetto oppure soggetto, ma all'esserci in quanto tale.

È l'esserci reale, per davvero, o non è invece solo una apparenza?
Io chi sono?

Dovunque ci inoltriamo alla ricerca della Verità, immancabilmente ci troviamo davanti ad un limite, dove il pensiero razionale deve necessariamente arrestarsi.

L'ipotesi più probabile, a mio avviso, è che questo esserci altro non sia che il sogno di Dio.
L'a verità non è raggiungibile, ma solo ipotizzabile.
Esiste qualcosa, ma cosa?
Esiste la realtà o anche Dio, esistiamo noi ,e sono tutte ipotesi dalle quali partire per ricavare l'esistenza di ogni cosa che sorge dall'interazione fra noi e la realtà, e che perciò entra a far parte della realtà.
Prima di questa interazione non c'è nulla se non noi e la realtà.
L'esistenza è una ipotesi necessaria per spiegare i risultati della nostra esperienza.
Tuttavia sta a noi decidere quante ipotesi vogliamo usare.
Se dell'esistenza diamo una definizione cosa cosa in se', allora stiamo facendo infinite ipotesi, una per ogni cosa.
Non è elegante , e sopratutto tutte queste cose entrano fra loro in contraddizione.
Ci complichiamo la vita, perché siamo costretti poi ad ammettere diversi gradi di esistenza.
Le idee esistono, ma non hanno lo stesso grado di esistenza di una palla da biliardo.
Ma nel momento in cui ammettiamo che sia le idee che le palle da biliardo sono tutti prodotti della nostra interazione con la realtà, allora esse esistono allo,stesso,grado.
Cambia solo il tipo di interazione.
L'esperienza particolare che facciamo o il particolare esperimento da laboratorio che approntiamo.
Tutte le cose che esistono, che vengono prodotte come sopra detto, sono relazionate fra loro perché derivano tutte a partire dalla,stessa realtà.
La,realtà non è fatta di quelle cose, se non nella misura in cui in cui derivano dal nostro rapporto con la realtà, e finché noi ci saremo, loro ci saranno.
O finché noi non decidere o di accantonarle.


Possiamo decidere che esiste una azione a distanza secondo la quale le masse sì attraggono reciprocamente all'interno di uno spazio.
Possiamo decidere che quello spazio non esiste e che esiste invece uno spazio- tempo le cui geometrie curve le palle,da biliardo seguono muovendosi.
Possiamo decidere che esiste una funzione di onda di probabilità etc...
In effetti tutto ciò noi lo facciamo senza ammettere di farlo.
Perché?
Perché noi ci illudiamo di muoverci per gradi verso la verità, come se questo fosse il nostro vero scopo.
Allora diremo che ha ragione Einstein e torto Newton, però continuiamo a lanciare razzi sui pianeti come se dicesse il vero Newton. Diremo che una cosa possa avere un esistenza duplice, onda e particella.
In breve ammettiamo, o,taciamo, ogni stranezze e accettiamo ogni contraddizione, come se nulla fosse, pur di far salva la nostra cara definizione di esistenza delle cose come cose in se'.
Esse in effetti esistono, ma non esistono in se'.
Non esistono necessariamente in se', e se si ammette ciò sparisce ogni contraddizione e non saremo più costretti ad imbarazzati silenzi.
In se' esiste la realtà, ed esistiamo noi.
Ma non significa nulla se non che queste sono le ipotesi di cui non possiamo fare a meno.
Quelle sufficienti e necessarie dalle quali poter derivare l'esistenza di ogni altra cosa.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#47
Il rapporto tra linguaggio e realtà si chiama logica ed è stato abbondantemente sviscerato da una scienza di nome semantica che nella sua santa trinità pone: referente (la cosa, non in sè ma per noi ), significato (concetto della cosa), e significante (simbolo grafico e fonetico della cosa, variabile secondo gli idiomi).

Fisicamente, e di conseguenza metafisicamente, dice LW, la cosa non esiste, ma esistono stati di cose, processi. La semantica si occupa di definire il campo di esistenza di questi "stati di cose", riducendoli convenzionalmente a "oggetti", con cui permettere il funzionamento del linguaggio nei suoi usi conoscitivi e comunicativi. I dizionari sono garanti del buon esito dell'operazione.

Mi pare tutto molto semplice e funzionante da svariate migliaia di anni.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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iano

Citazione di: Ipazia il 24 Luglio 2021, 00:05:21 AM
Il rapporto tra linguaggio e realtà si chiama logica ed è stato abbondantemente sviscerato da una scienza di nome semantica che nella sua santa trinità pone: referente (la cosa, non in sè ma per noi ), significato (concetto della cosa), e significante (simbolo grafico e fonetico della cosa, variabile secondo gli idiomi).

Fisicamente, e di conseguenza metafisicamente, dice LW, la cosa non esiste, ma esistono stati di cose, processi. La semantica si occupa di definire il campo di esistenza di questi "stati di cose", riducendoli convenzionalmente a "oggetti", con cui permettere il funzionamento del linguaggio nei suoi usi conoscitivi e comunicativi. I dizionari sono garanti del buon esito dell'operazione.

Mi pare tutto molto semplice e funzionante da svariate migliaia di anni.
Se si intende far scaturire l'essere dal divenire mi trovo d'accordo.
Ma se si crede di poter fare ciò salvando l'essere in se', non vedo come ci si possa riuscire.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#49
L'essere in sè, ovvero la "cosa", das Ding, si salva delimitando funzionalmente il suo ambito semantico attraverso un accordo intersoggettivo denominato "definizione". Lo si fa attraverso un processo epistemico sempre in progress che non esclude costanze nel tempo fornite dalla realtà/natura con chiarezza ed evidenza al nostro apparato sensoriale e cognitivo.

Tale scelta toglie alla cosa ogni residuo metafisico rendendola per quello che è: per noi e non in sè.

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iano

#50
Citazione di: Ipazia il 24 Luglio 2021, 10:01:15 AM
L'essere in sè, ovvero la "cosa", das Ding, si salva delimitando funzionalmente il suo ambito semantico attraverso un accordo intersoggettivo denominato "definizione". Lo si fa attraverso un processo epistemico sempre in progress che non esclude costanze nel tempo fornite dalla realtà/natura con chiarezza ed evidenza al nostro apparato sensoriale e cognitivo.

Tale scelta toglie alla cosa ogni residuo metafisico rendendola per quello che è: per noi e non in sè.
Esatto. Il rosso certamente esiste per noi, ma poi tocca digerire coerentemente la palla da biliardo come fatta della stessa sostanza . Se intendi questo concordo.
Occorre rendersi conto che il problema nasce da sistemi percettivi, non intesi come individuali, ma dell'umanità, alternativi , ma non in concorrenza.
Sul sistema sensoriale non occorre alcun accordo poiché esso è stato ereditato allo stesso modo da tutti noi.
In tale ambito si esagera quando si pone l'accento sulla soggettività.
Sul sistema scientifico le dinamiche che portano all'accordo sono sotto i nostri occhi e ad esso ogni soggettività partecipa.
Qualunque cosa si riuscirà a trarre da tutto ciò è incredibilmente presuntuoso credere di poter giungere alla verità, in quanto essa, qualunque cosa sia, non può essere il frutto di un accordo grazie a un ritocco definitorio che soddisfi tutti.
La, ricerca della verità spinge tale processo e al tempo stesso lo ostacola fino a bloccarlo.
Tutto quello che possiamo ottenere in ambito scientifico non ha una sostanza diversa da un rosso che, con tutta evidenza non ha nulla a che fare con la verità.
Esso però esiste, allo stesso modo che esiste una palla da biliardo, perché entrambe nascono dallo stesso tipo di processo di interazione con la realtà, motivo per cui possiamo dirci vivi.
Esse nascono da un accordo intersoggettivo che non può mai dirsi definitivo e che va' inteso in senso lato, laddove un accordo non richiede necessariamente un uso della coscienza.
Non sappiamo come abbiamo raggiunto un accordo sul rosso e non potremo certo modificarlo anche quando convenissimo tutti di volerlo fare., perciò esso sembra avere una esistenza in se'.
Ma assumere l'esistenza in se' come definizione di essere non è cosa ne' giusta ne' sbagliata se non nella misura delle sue conseguenze che in ambito scientifico sembrano essere quelle di non farci sentire , noi, in sintonia con le nostre esperienze, cioè coi fatti, fatti che non si possono negare, e che vanno comunque avanti, con noi e senza di noi.
Ciò che intuisco è che per agevolare un processo virtuoso in tal senso occorre togliere concretezza all'essere.
Considerare cioè i diversi gradi dell'esistente senza fare il tipo per alcuni di essi, da portare ad esempio dell'essere, la classica palla da biliardo, e nascondere, tacere su altri tipi che meno sì prestino a sostenere l'essere in se'.
È vero che rosso e palla hanno la stessa sostanza, ma servirà' meglio la causa il portare la palla alla consistenza del rosso, che non il viceversa.
Basta leggere molti dei post presenti in questa discussione per rendersi conto della difficoltà che l'operazione comporta.
Una ridefinizione dell'essere viene avversata come un annullamento dell'essere, come provocatoriamente io stesso ho lasciato intendere con la domanda "esistono le cose?".
Certo che esistono. Non vi è mai stato alcun dubbio.
Esse spariscono quando chiudiamo gli occhi?
Se intendiamo gli occhi di ogni individuo la risposta ragionevole è no.
Se intendiamo gli occhi dell'umanità, a vedere con i quali ho cercato con questa discussione di invitare a fare, la risposta è sì.
Magari poi sarebbe più corretto allargare la platea in discorso a tutti i viventi, ma per il nostro scopo sarebbe stata solo una complicazione inutile.
Non sappiamo chi sono i viventi e non sappiamo cos'è la realtà, perché noi possiamo indagare solo i loro rapporti reciproci i quali ci dicono poco e nulla degli uni come dell'altra.
E perché mai dovrebbero dircelo?

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