Dualismo e capacità di immedesimazione

Aperto da viator, 10 Maggio 2020, 18:13:59 PM

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giopap

Citazione di: davintro il 11 Maggio 2020, 16:13:49 PM

concordo sulla distinzione tra razionalità teoretica e ragionevolezza pratica, nel senso che nell'ambito di quest'ultima, in cui si è necessitati a prendere una qualunque decisione riguardo l'agire, si considerano diverse ipotesi teoriche con i vari dati necessari a cui appellarsi per fare una scelta, e si dovrà adottare l'ipotesi più probabilmente valida, senza pretendere di attribuirle una certezza assoluta strettamente razionale circa la sua verità, proprio perché il dubbio portato alle estreme conseguenze paralizzerebbe l'azione, rendendo impossibile il conseguimento degli obiettivi che la prassi quotidiana impone: non ho bisogno della certezza assoluta che le auto siano reali e non mie allucinazioni, per tenerne conto quando attraverso la strada, mi accontento che la loro realtà abbia un determinato livello di probabilità perché influiscano il mio agire.


Fin qui perfettamente d' accordo senza alcun dubbio da parte mia.

Citazione di: davintro il 11 Maggio 2020, 16:13:49 PM
Però nel caso della passività dell'Io circa le proprie percezioni come argomento per riconoscere l'esistenza di una trascendenza che si opporrebbe al corso spontaneo della produzione di fenomeni da parte dell'Io, la ragionevolezza pratica non centra nulla, il rilevamento della passività è il frutto di un'analisi fenomenologica sui vissuti, che può svolgersi su un piano puramente contemplativo e "disinteressato", un piano teoretico che cerca di mettere a fuoco un livello massimamente certo nella sua verità, senza alcun interesse pratico, che invece porterebbe a fermarsi alla mera probabilità circa il valore di verità delle conclusioni.


Qui mi trovo un po' incerta.

Almeno apparentemente, se percepisco me stessa come soggetto del mio agire, o almeno volere agire, e del mio sentire (soggetto che ovviamente non può identificarsi con i fenomeni mentali persistendo anche in loro assenza, ma deve essere qualcosa di in sé, noumeno kantiano), i movimenti che non impedita da altro riesco a imprimere ai miei muscoli e dunque al mio corpo tendo ad attribuirli appunto a me stessa come soggetto attivo; mentre l' impatto del muro con conseguente dolore, che vorrei evitare, lo subisco passivamente da altro che la mia stessa soggettività (qualcosa di desiderante agire ben diversamente da me se pure desiderante qualcosa, se anche non privo di volontà), da qualcosa di oggettivo diverso da me-soggetto (e pur esso cosa in sé o noumeno kantiano).
Non saprei decidermi se sia credibile anche in alternativa (se si tratti di un' ipotesi logicamente corretta, non autocontraddittoria, sensata) che si tratti sempre della medesima entità in sé (me stessa) che, oltre a non volere (almeno consapevolmente) sbattere contro il muro, determina (inconsapevolmente) i fenomeni costituenti il muro contro i quali il mio corpo (ugualmente costìtuito da fenomeni) va a sbattere.

Non mi ero mai posta il problema e ti ringrazio per lo spunto di riflessione che mi offri.

iano

#16
Citazione di: viator il 10 Maggio 2020, 18:13:59 PM
Secondo voi è possibile - da un punto di vista psicofilosofico - estraniarsi, astrarre dal sè soggettuale e riuscire ad "immedesimarsi" sensorialmente in "altro dal sè".........concretizzando come "vera" (sempre sensorialmente) la "realtà" binaria e duale (ed addirittura poi molteplice) dell'esistente ? Saluti.
Fra se' e altro da se esiste  un confine (poniamo sia così).
Diversamente non potremmo distinguerli.
Quando questo confine si sposta , però rimane.
Il rischio è dedurre non correttamente dalla permanenza del confine , una situazione statica.
Possiamo avere solo indizi di un altro da noi , e il miglior indizio è che noi siamo sempre altro dal noi che eravamo un attimo fa'.
In definitiva quindi il netto confine che abbiamo posto in premessa è mobile  , più che netto.
Possiamo avere certezza solo di noi stessi , al punto che quando avessimo
l'impressione di essere contemporaneamente al di qua e al di là' del confine , stiamo solo acquisendo migliore confidenza coi nostri vasti possedimenti.😊
Non è facile capire quindi se stiamo esplorando vecchi o nuovi possedimenti .
Anche il catasto della coscienza ha la sua inefficiente burocrazia.
Alla fine il confine di fatto rimane solo un ipotesi.


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

viator

Salve iano. Citandoti : "Fra se' e altro da se esiste  un confine (poniamo sia così).
Diversamente non potremmo distinguerli"
.

A prescindere dalla mia (personale) convinzione monistica della mancanza di confini tra gli enti e le manifestazioni (è la nostra intrinseca limitatezza che "ci fa vedere" (nel senso speculare di "impedirci di notare la mancanza di") tutti i confini tra le singole, relative ed innumerevoli "realtà"............la mancata dististinzione di confini (anche considerandoli esistenti) può comunque dipendere dalla loro distanza dal "noi" (appunto in funzione della limitatezza sia dei nostri sensi che delle nostre menti).


In definitiva, delle tre l'una (o - al limite - due o tutte e tre): la sbarra di confine :

       
  • c'è, noi abbiamo una ottima vista, ma c'è anche molta nebbia;
  • c'è ma noi abbiamo una vista piuttosto cattiva;
  • non c'è.
Saluti.



Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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