Domande sul senso critico e la Conoscenza

Aperto da acquario69, 09 Maggio 2017, 07:56:47 AM

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acquario69

Riprendo il tema sul senso critico ma non solo,anche alla conoscenza..che mi sembra vi sia una certa relazione (cosi mi sembra)

maral scrive:
CitazioneMa la critica bisogna saperla fare, occorre che sia fondata e non può fondarsi sui propri modi interiori e personali di sentire, anche se a questi farà inevitabilmente riferimento. Per criticare sensatamente occorre cominciare con il mettere in discussione i propri modi di sentire o almeno a sospenderli, cosa comunque difficile. Poi occorre che si conosca a fondo quello che si intende criticare e gli studi in merito, poiché quello che pensiamo, per quanto originale, non è nato per la prima volta nella nostra testa stanotte, e ancora bisogna rifletterci sopra cosicché non si finisca per criticare per il solo intimo piacere di farlo. 
Come poi la scuola dovrebbe e potrebbe aiutare a crescere criticamente è appunto un tema interessantissimo.

Trovo ragionevoli le tue considerazioni sul senso critico..ma secondo te da questi presupposti si potrà mai arrivare ad una conclusione che comporta la conoscenza della "cosa in se" o se non piuttosto un ripresentarsi ogni volta, cosi da rimettere sempre tutto in discussione in un processo senza fine?

Se si avvalora questa ipotesi sopra allora si dovrebbe dire che non esiste nessuna conoscenza ma che tutto e' inconoscibile (?)..nonostante pero non si capisca il motivo che spinge comunque al chiederci delle cose o in definitiva alla conoscenza stessa.

ma se esiste in noi questa tensione alla conoscenza allora si dovrebbe presumere che questa esista,perche se cosi non fosse da dove e per quale motivo si originerebbe?

Sul fatto che determinate cose ci risultano inconoscibili non vuol dire che non esistano ma che non siamo arrivati ancora conoscerle..sei d'accordo?

io credo (ma sono qui apposta per discuterne criticamente  :)  ) che la conoscenza significa apprendere (o com-prendere?) cio che già esiste ed e' sempre esistito,indipendentemente da noi e indipendentemente dal soggetto 

sgiombo

Il fatto che la conoscenza umanamente conseguibile sia inevitabilmente limitata, relativa non significa che sia (assolutamente, "illimitatamente") nulla, che non esista proprio o che sia impossibile che accada.

acquario69

Citazione di: sgiombo il 09 Maggio 2017, 11:18:38 AM
Il fatto che la conoscenza umanamente conseguibile sia inevitabilmente limitata, relativa non significa che sia (assolutamente, "illimitatamente") nulla, che non esista proprio o che sia impossibile che accada.

Ma a me non mi pare di aver detto che la conoscenza umana (sia pur limitata) non esista o che sia impossibile...io ho detto che la conoscenza (cioè arrivare al conoscere l'esistenza di qualcosa) esiste indipendentemente da noi..in questo caso diciamo che per conoscenza e' l'identificazione con la cosa conosciuta (conoscente e conosciuto non sono separati..da qui il termine com-prendere,prendere a se')

maral

#3
Ti ringrazio Acquario per questa domanda che mi permette di affrontare direttamente un argomento a cui tengo molto, ma che ho sempre trattato a margine di altri temi, spesso polemizzando con Sgiombo. Cercherò per chiarezza, di partire fissando quelli che per me sono alcuni punti fondamentali per come attualmente si può tentare una conoscenza della conoscenza, partendo dalle tue osservazioni.
Ritengo che la conoscenza della cosa in sé, che identifico come conoscenza della totalità della cosa, sia una contraddizione che si può risolvere solo intendendola come un processo sempre in atto e quindi senza fine. Questo non significa che non è possibile alcuna conoscenza, ma che la conoscenza è appunto un processo di continuo apprendimento e comprensione che non può mai essere definitivo, non è mai un fatto assoluto, dato una volta per tutte, in quanto sarà sempre affetto da una parzialità che è dovuta alla prospettiva soggettiva in cui proprio per poter conoscere inevitabilmente ci si trova posti. La ragione che ci spinge a conoscere, pur consapevoli della inevitabile limitatezza che dà forma a ogni conoscenza, non dovrebbe a mio avviso più essere intesa come un'adesione alla realtà della cosa, ma come un indicarci reciprocamente le cose nel significato (essere fatto a segno) in cui le possiamo intendere nel mondo in cui viviamo. Le parole e i discorsi con cui le combiniamo, i testi che scriviamo sono i nostri mezzi di conoscenza fondamentali che abbiamo a disposizione, ma non riproducono comunque mai la cosa per come è in sé e per sé, bensì appunto ce ne fanno cenno l'uno all'altro, tra soggetti appartenenti a una stessa cultura e che praticano lo stesso linguaggio, la richiamano in presenza (la cosa che è sempre assente).
La conoscenza umana è fondamentalmente linguistica (anche quando usa il corpo, che è il  primo strumento di conoscenza) e ha un carattere originariamente connotativo atto a coordinarci a fare insieme qualcosa il cui progetto evoca e respinge il nostro umano venire a sapere di dover morire (la prima conoscenza possibile che sempre evoca la morte) e il terrore e il dolore che ne consegue. L'aspetto denotativo dei linguaggi si sviluppa poi su questa base connotativa al fine di rendere il gesto che indica sempre più preciso e quindi sempre più efficace il nostro fare, sempre più precisamente e analiticamente definibile, ma questa precisione non è nella descrizione della cosa in sé, bensì nella modulazione del gesto che la indica. E ogni cultura ha i suoi modi per realizzare questa precisione denotativa del gesto, sono riti, procedure ed esercizi da imparare e ripetere e proprio questi riti, procedure ed esercizi vengono a costituire le fondamenta della cultura stessa, la base condivisa e condivisibile di un reciproco farsi cenno l'un l'altro per sopravvivere.
Dovrebbe apparirti chiaro a questo punto il motivo per cui il processo di conoscenza, pur non permettendo di conoscere la realtà del suo oggetto, è fondamentale per l'essere umano tanto da perseguirla continuamente, anche se ognuno è già sempre nella verità e solo vuole sapere di esserlo. Conoscere è il modo che l'uomo ha a disposizione per tentare di sopravvivere  propriamente nel mondo, aggiustando la sua postura, i suoi gesti, il suo parlare per trovare un orientamento nel suo errare lungo il cammino che percorre, sentirsi così sicuro grazie alla risposta degli altri che ci corrispondono, anche se non vedrà mai l'oggetto in sé che questi gesti evocano e se capiterà sarà solo per un attimo, un attimo che per un po' lascerà un segno, ma che poi verrà dimenticato, come tutto il resto, e si potrà solo invocarlo a ripetersi, magari facendo festa. La conoscenza è anche (e forse soprattutto) questo: il lavoro per preparare la festa. Solo gli esseri umani infatti celebrano la festa.

green demetr

Per senso critico, io intendo la capacità analitica di comprensione. Tanto essa sarà maggiore, tanto il soggetto sarà più definito.
Più il soggetto è consapevole, più aumenta la sua capacità razionale.
Quindi la razionalità è proporzionale al senso critico.

Ed è lì che la battaglia intellettuale diviene aspra a mio vedere.
Per esempio non capisco perchè Maral debba escludere il nostro modo di sentire.
E' invece proprio il modo di sentire che decide ampiamente della qualità della comprensione.
In quanto ogni nostro sentire è legato alla formazione di quello che noi chiamiamo Io, ossia il soggetto.
L'esautorazione dell'Io, del soggetto, con le sue emozioni, con le sue relazioni, a cosa porterebbe?
Lo hanno descritto ampiamente (fra gli altri) Focault e Agamben, che parlano chiaramente di bio-potere.

Ma andiamo a fare qualche considerazione su alcune domande che hai portato all'attenzione (e che per me andrebbero ri-comprese ovviamente), qui mi limito dunque a qualche nota a margine).

cit acquario
"si potrà mai arrivare ad una conclusione che comporta la conoscenza della "cosa in se" o se non piuttosto un ripresentarsi ogni 

volta, cosi da rimettere sempre tutto in discussione in un processo senza fine?"

Vedi la cosa in sè risponde ad un modo di pensare dualista, se io conosco solo una parte, ciò significa che vi è sempre un intero da qualche altra parte.
Di fatto per il pensiero dualista non si arriverà mai ad una sintesi, perciò la cosa in sè non verrà mai raggiunta.
A mio modo di vedere è semplicemente l'effetto dell'applicazione di una logica. (quella dualista appunto).
Il punto (per me e per esempio) è qui non vi è alcuna consapevolezza, e dunque nessun senso critico.

cit acquario
"Se si avvalora questa ipotesi sopra allora si dovrebbe dire che non esiste nessuna conoscenza ma che tutto e' inconoscibile (?)..nonostante pero non si capisca il motivo che spinge comunque al chiederci delle cose o in definitiva alla conoscenza stessa."

Esatto acquario, come vedi se ci limitiamo a farne una questione di mera consocenza, non intendiamo minimamente le nostre esigenze 

come uomini, esigenze che ogni essere umano ha in sè come potenziale, come scelta. (la scelta di senso, la scelta valoriale).

cit acquario
"ma se esiste in noi questa tensione alla conoscenza allora si dovrebbe presumere che questa esista,perche se cosi non fosse da dove e per quale motivo si originerebbe?"

Esatto! Ma è proprio nell'origine che si decide della destinalità dell'uomo. (ossia nelle sue scelte, nelle sue emozioni).
In questo senso la com-prensione, ossia la quantità di "cose" disvelate, maggiore sarà, maggiore sarà il suo grado di suscitare emozioni e possibilità di scelta. (e in quel delta di possibilità che risiede nella criticità, la battaglia intellettuale, se sufficientemente intesa).
Se invece cerchiamo un sistema formale (dualista, riduzionista etc.) che sostituisca la nostra capacità critica, andremo verso errori, ed errabondaggio sempre pià disumani. In quanto l'errare è sempre dell'uomo, non di alcuna logia, matesi, geometria.

cit acquario
"Sul fatto che determinate cose ci risultano inconoscibili non vuol dire che non esistano ma che non siamo arrivati ancora conoscerle..sei d'accordo?"
Ascolta, è su questo genere di domande, che a mio parere l'uomo rischia di immolare la sua libertà.
Non tanto per la domanda in sè, che penso chiunque possa ragionevolmente attendere che venga posta e risolta.
Quanto per la logica che la domina.(di cui sopra)


cit acquario
"(ma sono qui apposta per discuterne criticamente  :)  ) che la conoscenza significa apprendere (o com-prendere?) cio che già esiste ed e' sempre esistito,indipendentemente da noi e indipendentemente dal soggetto."

Possiamo ragionevolmente concordare che questo tipo di conoscenza (che non dipende dal soggetto, ma dall'esperimento di laboratorio)sia valida ed esistente.
Ma il fatto di sostiuire le emozioni umane con le sue leggi, per dare adito al nuovo pensiero ideologico disumano, a me non suscita l'idea di "pensiero critico."

ciao!

ps leggo ora la risposta di maral (con cui non concordo per tutto quanto scritto sopra, e con cui concordo nella teoria delle prassi), trovo bizzarro che a entrambi è venuta l'idea dell'erranza umana. Mi ha fatto sorridere. :)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Citazione di: acquario69 il 09 Maggio 2017, 12:34:31 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Maggio 2017, 11:18:38 AM
Il fatto che la conoscenza umanamente conseguibile sia inevitabilmente limitata, relativa non significa che sia (assolutamente, "illimitatamente") nulla, che non esista proprio o che sia impossibile che accada.

Ma a me non mi pare di aver detto che la conoscenza umana (sia pur limitata) non esista o che sia impossibile...io ho detto che la conoscenza (cioè arrivare al conoscere l'esistenza di qualcosa) esiste indipendentemente da noi..in questo caso diciamo che per conoscenza e' l'identificazione con la cosa conosciuta (conoscente e conosciuto non sono separati..da qui il termine com-prendere,prendere a se')
CitazioneLe tue parole:

"Se si avvalora questa ipotesi sopra allora si dovrebbe dire che non esiste nessuna conoscenza ma che tutto e' inconoscibile (?)..nonostante pero non si capisca il motivo che spinge comunque al chiederci delle cose o in definitiva alla conoscenza stessa".

Mi sembrava significassero  che la conoscenza umana sia impossibile.

Comunque secondo me la conoscenza non é un' identificazione fra conoscente e cosa conosciuta (peraltro secondo me impossibile; il che mi induce ulteriormente a dubitare che tu intenda la conoscenza possibile ...ma se lo neghi tu...). 

acquario69

Citazione@Sgiombo

Le tue parole:


"Se si avvalora questa ipotesi sopra allora si dovrebbe dire che non esiste nessuna conoscenza ma che tutto e' inconoscibile (?)..nonostante pero non si capisca il motivo che spinge comunque al chiederci delle cose o in definitiva alla conoscenza stessa".

Mi sembrava significassero che la conoscenza umana sia impossibile.


Comunque secondo me la conoscenza non é un' identificazione fra conoscente e cosa conosciuta (peraltro secondo me impossibile; il che mi induce ulteriormente a dubitare che tu intenda la conoscenza possibile ...ma se lo neghi tu...). 


infatti,quando dico:
Se si avvalora questa ipotesi sopra allora si dovrebbe dire che non esiste nessuna conoscenza ma che tutto e' inconoscibile (?)..nonostante pero non si capisca il motivo che spinge comunque al chiederci delle cose o in definitiva alla conoscenza stessa.

Si riferisce appunto al fatto di intendere (non io ma in risposta alle cose che diceva Maral all'inizio e poi confermate da lui anche dopo) che la conoscenza e' sempre un processo continuo e mai definitivo...Io pero contestavo questo punto (non lo avvaloravo) ..e percio mi chiedevo a mia volta come era possibile e se questo non comportasse appunto al contrario che tutto e' poi inconoscibile.

e poi proseguivo e mi chiedevo:
se tutto risulterebbe inconoscibile e' quantomeno curioso (almeno per me) considerare che l'uomo e' spinto alla conoscenza..alla ricerca.
secondo me questo sottintende che vi sia "l'oggetto" della sua stessa ricerca...una sua mancanza e non una dualità 

-----
ora e in generale vorrei provare a dire cosa intendo io per conoscenza intesa come identificazione tra conoscente e conosciuto portando ad esempio l'opera di un artigiano e la sua creazione.

qualunque sia il suo operare e qualunque sia la sua opera,non ha bisogno di leggere e "imparare" attraverso il libretto dell'istruzioni, (come invece facciamo noi con quelle dell'ikea!) procedera spedito, non formulera' teorie.
Costui in quel tempo (che non e' tempo) sarà una medesima cosa con l'oggetto creato.

detto cio...si può dire che questo e' un esempio di cosa sia la conoscenza ? (punto interrogativo)

sgiombo

#7
Citazione di: acquario69 il 09 Maggio 2017, 15:15:18 PM


infatti,quando dico:
Se si avvalora questa ipotesi sopra allora si dovrebbe dire che non esiste nessuna conoscenza ma che tutto e' inconoscibile (?)..nonostante pero non si capisca il motivo che spinge comunque al chiederci delle cose o in definitiva alla conoscenza stessa.

Si riferisce appunto al fatto di intendere (non io ma in risposta alle cose che diceva Maral all'inizio e poi confermate da lui anche dopo) che la conoscenza e' sempre un processo continuo e mai definitivo...Io pero contestavo questo punto (non lo avvaloravo) ..e percio mi chiedevo a mia volta come era possibile e se questo non comportasse appunto al contrario che tutto e' poi inconoscibile.

e poi proseguivo e mi chiedevo:
se tutto risulterebbe inconoscibile e' quantomeno curioso (almeno per me) considerare che l'uomo e' spinto alla conoscenza..alla ricerca.
secondo me questo sottintende che vi sia "l'oggetto" della sua stessa ricerca...una sua mancanza e non una dualità
CitazioneAnch' io penso, come Maral (ohibò! Ci dev' essere qualcosa che non va...), che la conoscenza umana (in particolare la conoscenza scientifica, per parte mia) non sia e non possa mai essere completa e assoluta.

Non capisco comunque in questo tuo intervento l' ultima frase qui citata:
Secondo me si esiste l' oggetto (anche se qui le virgolette sono per me fonte di oscurità) della ricerca (della conoscenza), allora c' é una dualità fra l' oggetto stesso e il soggetto della ricerca della verità e non una mancanza dell' oggetto (che credo risolverebbe la conoscenza nell' unicità del soggetto).

-----
ora e in generale vorrei provare a dire cosa intendo io per conoscenza intesa come identificazione tra conoscente e conosciuto portando ad esempio l'opera di un artigiano e la sua creazione.

qualunque sia il suo operare e qualunque sia la sua opera,non ha bisogno di leggere e "imparare" attraverso il libretto dell'istruzioni, (come invece facciamo noi con quelle dell'ikea!) procedera spedito, non formulera' teorie.
Costui in quel tempo (che non e' tempo) sarà una medesima cosa con l'oggetto creato.

detto cio...si può dire che questo e' un esempio di cosa sia la conoscenza ? (punto interrogativo)
CitazioneBeh, intanto é per lo meno dubbio che l' artigiano, almeno nel caso delle suo opere più impegnative, proceda spedito, senza fare ipotesi (alcune delle quali scarterà) e progetti teorici.

Inoltre dire che sarà una medesima cosa con l' oggetto realizzato é una mera metafora (...per fortuna dell' artigiano: meno male -per lui e per tutti i virtuosi del violino- che, per esempio, il mio illustre concittadino Antonio Stradivari non é letteralmente diventato il primo strumento musicale che ha creato!).

E poi creare un oggetto di artigianato =/= conoscere (anche se implica necessariamente conoscenze).

Ultimo punto di incomprensione (almeno per ora...): che può mai significare che il tempo in cui la creazione artigianale é compiuta non é un tempo?

myfriend

Citazione di: acquario69 il 09 Maggio 2017, 07:56:47 AM
Riprendo il tema sul senso critico ma non solo,anche alla conoscenza..che mi sembra vi sia una certa relazione (cosi mi sembra)

maral scrive:
CitazioneMa la critica bisogna saperla fare, occorre che sia fondata e non può fondarsi sui propri modi interiori e personali di sentire, anche se a questi farà inevitabilmente riferimento. Per criticare sensatamente occorre cominciare con il mettere in discussione i propri modi di sentire o almeno a sospenderli, cosa comunque difficile. Poi occorre che si conosca a fondo quello che si intende criticare e gli studi in merito, poiché quello che pensiamo, per quanto originale, non è nato per la prima volta nella nostra testa stanotte, e ancora bisogna rifletterci sopra cosicché non si finisca per criticare per il solo intimo piacere di farlo.
Come poi la scuola dovrebbe e potrebbe aiutare a crescere criticamente è appunto un tema interessantissimo.

Trovo ragionevoli le tue considerazioni sul senso critico..ma secondo te da questi presupposti si potrà mai arrivare ad una conclusione che comporta la conoscenza della "cosa in se" o se non piuttosto un ripresentarsi ogni volta, cosi da rimettere sempre tutto in discussione in un processo senza fine?

Se si avvalora questa ipotesi sopra allora si dovrebbe dire che non esiste nessuna conoscenza ma che tutto e' inconoscibile (?)..nonostante pero non si capisca il motivo che spinge comunque al chiederci delle cose o in definitiva alla conoscenza stessa.

ma se esiste in noi questa tensione alla conoscenza allora si dovrebbe presumere che questa esista,perche se cosi non fosse da dove e per quale motivo si originerebbe?

Sul fatto che determinate cose ci risultano inconoscibili non vuol dire che non esistano ma che non siamo arrivati ancora conoscerle..sei d'accordo?

io credo (ma sono qui apposta per discuterne criticamente  :)  ) che la conoscenza significa apprendere (o com-prendere?) cio che già esiste ed e' sempre esistito,indipendentemente da noi e indipendentemente dal soggetto
E' chiaro che il "relativisismo" che afferma "non possiamo conoscere nulla oggettivamente", esclude la conoscenza e, quindi, esclude anche il pensiero critico.
Infatti il pensiero critico fa riferimento a una conoscenza oggettiva e misura le affermazioni altrui a partire dalla conoscenza oggettiva.

Ma si sa che i "relativisti" non possono criticare nemmeno uno che dice che la Terra è piatta. Se infatti non esiste nesuna conoscenza oggettiva, in base a che cosa si può criticare il pensiero di qualocuno?  :D

A me sta storia del "relativismo" fa sorridere.
E' un po' come il bambino piccolo che fa i capricci e dice alla mamma "mamma tu non hai ragione perchè lo dico io".  :D
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

maral

#9
Citazione di: green demetr il 09 Maggio 2017, 13:29:28 PM
Ed è lì che la battaglia intellettuale diviene aspra a mio vedere.
Per esempio non capisco perchè Maral debba escludere il nostro modo di sentire.
E' invece proprio il modo di sentire che decide ampiamente della qualità della comprensione.
In quanto ogni nostro sentire è legato alla formazione di quello che noi chiamiamo Io, ossia il soggetto.
L'esautorazione dell'Io, del soggetto, con le sue emozioni, con le sue relazioni, a cosa porterebbe?
Lo hanno descritto ampiamente (fra gli altri) Focault e Agamben, che parlano chiaramente di bio-potere.
Non mi pare di avere mai escluso il nostro modo di sentire, solo che il soggetto partecipa originariamente di una dimensione relazionale collettiva, da cui va poi differenziandosi assumendo una propria identità singola e dunque un proprio modo di sentire in cui conosce la propria differenza.
Citazione di: myfriend il 09 Maggio 2017, 18:25:37 PM

Ma si sa che i "relativisti" non possono criticare nemmeno uno che dice che la Terra è piatta. Se infatti non esiste nesuna conoscenza oggettiva, in base a che cosa si può criticare il pensiero di qualocuno?  :D

A me sta storia del "relativismo" fa sorridere.
E' un po' come il bambino piccolo che fa i capricci e dice alla mamma "mamma tu non hai ragione perchè lo dico io".  :D
E perché mai si dovrebbe criticarlo, anziché comprenderlo sia pure in modo critico?
Sarà questione di punti di vista, ma a me pare proprio che il bambino piccolo sia quello che crede di vedere indiscutibili verità oggettive assolute, mentre si tratta solo dei suoi fantasmi.
E' che noi vediamo sempre solo i significati e non le cose, anche se vorremmo tanto prendere i significati per cose e li usiamo come fossero cose in sé.

sgiombo

Citazione di: maral il 09 Maggio 2017, 20:07:26 PM
E perché mai si dovrebbe criticarlo, anziché comprenderlo sia pure in modo critico?
Sarà questione di punti di vista, ma a me pare proprio che il bambino piccolo sia quello che crede di vedere indiscutibili verità oggettive assolute, mentre si tratta solo dei suoi fantasmi.
E' che noi vediamo sempre solo i significati e non le cose, anche se vorremmo tanto prendere i significati per cose e li usiamo come fossero cose in sé.
CitazioneA-ri-ohibò!

Dopo essere stato d' accordo (per un attimo) con Maral, ora mi trovo d' accordo anche con Myfriend (in compenso "contro" Maral).

Non c' é più religione...

Ma perché mai per negare il relativismo si dovrebbe cadere nel dogmatismo e nel delirio di onniscienza, sostenendo che si possono conseguire "indiscutibili verità oggettive assolute"?

Noi pensiamo i significati di concetti, i quali possono benissimo denotare (non: devono necessariamente; infatti esiste anche il concetto di ...indovina! Sì, proprio quello di "ippogrifo"!), e non di rado di fatto denotano, cose (enti ed eventi) reali (per esempio ...sì, proprio i cavalli!).

Lo so, sono monotono.

.Quasi quasi mi do all' ippica (eventualmente alata)!

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