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Discontinuità.

Aperto da iano, 10 Marzo 2020, 05:07:41 AM

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iano

La discontinuità sembra essere il postulato della percezione .
Intanto perché a tal fine occorre distinguere fra osservatore e osservato.
Ma il fatto che la realtà si presti ad apparire scomposta non è prova della sua discontinuità.
La percezione stessa infatti , nei moderni panni della scienza, ci dice che questa scomposizione non è univoca.
La scienza , come se non bastasse , ci dice ancora che la distinzione fra osservatore e osservato non è netta.
Una rigorosa osservazione scientifica dell'universo richiede che esso stia dentro una "scatola"e l'osservatore ne stia fuori.
Ma così non è.
Possiamo azzardare che l'universo non sia statico , e non perché lo percepiamo come tale , ma perché il suo divenire è il vero postulato della percezione , e tale divenire non richiede necessariamente  discontinuità.
Diversamente dovremmo pensare che tale sia l'invadenza dell'osservatore da provocare la scomposizione e ricomposizione della realtà.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

baylham

La percezione risulta da una combinazione di continuità e discontinuità.
La differenza, la distinzione preesiste alla percezione, che è essa stessa una differenza.

viator

Salve. La questione riguarda la distinzione tra gli stati continui e quelli "discreti" (cioè legati a quantità misurabili o percepibili) delle 4 dimensioni fisiche.

Se ne vorrebbe occupare la scienza (in particolare la quantistica) ma l'argomento per il momento è manipolabile solo in via teorica.

Si può sostenere (ma non dimostrare) che il continuo (l'ininterrotto) non esiste poichè non si riesce a trovarne un esempio in natura, ambito in cui tutto risulta scomponibile poichè l'unicità (monismo) resta un concetto astratto.

Le immagini di un filmato appaiono certamente fluire ininterrottamente sinchè non apprendiamo che esse possiedono invece una specifica cadenza (in fotogrammi per secondo).
E lo stesso singolo fotogramma, osservato singolarmente, sembra che finalmente venga stabilmente, immobilmente fissato al nostro sguardo.....ma così non è poichè qualsiasi immagine "fissa" da noi osservata si forma e si mantiene in virtù della costante oscillazione generata dalla specifica frequenza delle onde luminose che la generano. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

green demetr



Citazione di: iano il 10 Marzo 2020, 05:07:41 AM
La discontinuità sembra essere il postulato della percezione .
Intanto perché a tal fine occorre distinguere fra osservatore e osservato.
Ma il fatto che la realtà si presti ad apparire scomposta non è prova della sua discontinuità.
La percezione stessa infatti , nei moderni panni della scienza, ci dice che questa scomposizione non è univoca.
La scienza , come se non bastasse , ci dice ancora che la distinzione fra osservatore e osservato non è netta.
Una rigorosa osservazione scientifica dell'universo richiede che esso stia dentro una "scatola"e l'osservatore ne stia fuori.
Ma così non è.
Possiamo azzardare che l'universo non sia statico , e non perché lo percepiamo come tale , ma perché il suo divenire è il vero postulato della percezione , e tale divenire non richiede necessariamente  discontinuità.
Diversamente dovremmo pensare che tale sia l'invadenza dell'osservatore da provocare la scomposizione e ricomposizione della realtà.

A livello di percezione l'errore sta proprio nell'impossibilità di immaganizzazione di tutti i dati.
Il nostro cervello secondo un processo adattivo (che sia evolutivo o meno non importa) però si è adattato a ricostruire i pochi dati in possesso, per restituirci una visione di quello che chiamiamo reale.
Noi diamo per scontato che il reale sia continuo, in quanto comunque sia il cervello ce lo restituisce tale, e adattivamente possiamo dire che PIU' o MENO è così.

Il vero problema sussiste dunque solo a livello teorico, se è vero che è scientifico solo quello che è RIPRODUCIBILE in laboratorio, allora nel caso del cosmo, la questione è se è possibile fare del cosmo un laboratorio.

E' qui che scoppia una delle questioni incendiarie della fisica e della matematica. Se lo spazio-tempo ossia se il tempo sia un continuum.

La questione infine si risolve solo a questione di matematica avanzata.

Sulla questione nel passato ero rimasto coinvolto, ma non ricordo più chi fossero i protagonisti, probabilmente dedekind e cantor.

perchè in fin dei conti è legata alla matematica stessa, alla numerabilità o meno dell'infinito.

E grazie a Cantor mi sembra che sia possibile misurare l'infinito, dunque in termini assoluti, il cosmo dovrebbe poter essere considerato potenzialmente un laboratorio.

Da qui le spese folli per il CERN etc...

Perchè la questione potenziale della matematica va poi risolta con l'effettiva presenza del continuum temporale. Ricordo che un premio nobel aveva detto che siamo ancora al 18 per cento della ricomposizione di questo continuo.

Beh buon lavoro anche ai fisici. Io sono ancora fermo al trovare l'equazione che fa passare una linea tra 2 punti..... :P
Vai avanti tu che mi vien da ridere

iano

#4
Citazione di: baylham il 10 Marzo 2020, 09:49:16 AM
La percezione risulta da una combinazione di continuità e discontinuità.
La differenza, la distinzione preesiste alla percezione, che è essa stessa una differenza.
Quindi fra un mondo discontinuo oppure continuo esiste una via di mezzo?
Non lo avevo considerato ,
Non credo al momento esita una teoria fisica che abbia assunto ciò come ipotesi.
Oppure si?
Sarebbe interessante trarre le conseguenze , al livello filosofico , di questa interessante ,  per me nuova ipotesi.
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iano

#5
@Green Demetr.
Tu scrivi:

A livello di percezione l'errore sta proprio nell'impossibilità di immaganizzazione di tutti i dati.

Credo non sia facile capire cosa si intenda per  " tutti i dati" , perché non credo si possano individuare ed enumerare di modo che si possa fare poi la conta dei mancanti al processo percettivo , e quindi calcolare il grado di errore
Quindi non parlerei neanche di errore.
Ma questo è vero anche quando percepiamo attraverso la scienza dove ogni singolo dato è affetto da errore prestabilito , ma non c'è un ammanco di dati , essendo comunque questi , in questo caso calcolabile , in numero potenzialmente infinito.
L'errore sarebbe allora sempre di grado infinito e la scienza sarebbe totalmente inesatta.
I dati sono quindi sempre necessariamente in numero finito , e perciò discreti , in quanto , almeno teoricamente , numerabili .
Il limite maggiore poi non è neanche il grado di accettazione / capienza del sistema , ma il fatto che occorre un tempo finito per processarli l e quindi adeguatamente finiti devono essere i dati.
Inoltre il sistema deve decidere come ripartire le sue energie a disposizione , fra acquisizione dati e processamento relativo.
Nel nostro caso l'evoluzione ha deciso di dare molte risorse al processamento (cervello) e poche all'acquisizione ( sensi).
Quindi , essendo i dati in numero finito , almeno presumibilmente ,si può scegliere solo di limitarli , se c'è un buon motivo per farlo.
Ma dare un numero a questi dati mi pare rimanga comunque problematico.
Quindi , non è tanto che noi abbiamo più fantasia rispetto a uno scimpanzé, ma è che noi siamo costretti a lavorare di fantasia , posto che comunque , nel suo piccolo , anche la scimmia va' di fantasia.
Il risultato di questo processo è ciò che noi impropriamente chiamiamo realtà.
Impropriamente perché conosciamo la relatività, più che la imperfezione del processo.
In effetti non credo sia definibile un processo in tal senso perfetto , di modo che si possa immaginare esservi fra realtà è percezione una scala uno a uno.
Lo scimpanzé, come possiamo immaginare , non si pone il problema.
Per lei è come se la scala fosse uno a uno.
Quel che percepisce è.
Ma in parte è stato così anche per noi fino a ...ieri.
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paul11

 Già con Kant,ma anche prima, si parla di intuito, intelletto e rappresentazione.
Il tempo segna il mutamento e lo spazio la coesistenza.
E' come se in ogni attimo scandito dal tempo tutta la sostanza vi passi  e in questo passaggio nel mutamento temporale vi sono parti che non mutano, costanti, e altre che variano mutando.
L'intuito riceve le percezioni empiriche, secondo Kant, aprioristicamente e l'intelletto le rappresenta
nella ragione  in categorie omogenee.
La continuità e discontinuità è il passaggio temporale della sostanza che coesiste spazialmente (potremmo dire che resiste al progressivo incedere del tempo) e muta temporalmente.
Il risultato è una rappresentazione della realtà empirica costruita dall'intelletto.

iano

#7
Citazione di: paul11 il 11 Marzo 2020, 19:46:15 PM
Già con Kant,ma anche prima, si parla di intuito, intelletto e rappresentazione.
Il tempo segna il mutamento e lo spazio la coesistenza.
E' come se in ogni attimo scandito dal tempo tutta la sostanza vi passi  e in questo passaggio nel mutamento temporale vi sono parti che non mutano, costanti, e altre che variano mutando.
L'intuito riceve le percezioni empiriche, secondo Kant, aprioristicamente e l'intelletto le rappresenta
nella ragione  in categorie omogenee.
La continuità e discontinuità è il passaggio temporale della sostanza che coesiste spazialmente (potremmo dire che resiste al progressivo incedere del tempo) e muta temporalmente.
Il risultato è una rappresentazione della realtà empirica costruita dall'intelletto.
Se il mondo fosse fatto di materia ( e aggiungiamoci pure lo spirito per buon peso) ,
spazio e tempo , allora sarebbe certamente discreto , perché tre o quattro cose riusciamo a contarle. 😊
Se però il mondo è continuo , e quindi uno, allora due o tre di quelle cose se le inventa la percezione .
Però se ciò è possibile questo uno deve avere una proprietà, che non ne intacchi l'unicità, la quale genera come causa quelle due o tre cose , alla nostra percezione.
E  da quello che scrivi si può trarre spunto su come queste di generino.
Chiameremmo questa proprietà divenire , se potessimo.
Ma non possiamo senza girare in tondo.
Se invece il mondo è discreto , la fisica sembra dirci che non riusciamo a contarne i pezzi, e non perché troppi ma perché quando ne sondiamo i limiti , questi sembrano diventare diversamente discreti.
Ma questo forse conferma solo il loro essere prodotti di fantasia , da non intendere come prodotti di arbitrarietà, derivando dall'interazione con la realtà.
Quindi alla fine mi pare che l'ipotesi del discontinuo sia la più gettonabile perché al minimo giustifica la presenza di un osservatore.
Questa ipotesi però non ci garantisce che noi possiamo giungere agli atomi  dell'universo.
Inoltre non è paradossale pensare che essi non siano  "immutabili" e anzi potrebbero essere in continuo divenire , pur se in discontinua esistenza.
Così si uniscono l'ipotesi del continuo e del discontinuo, come suggeriva Green Demetr.
Quindi ciò che appare stabile , quando stabile appare, semplicemente appare tale, senza esserlo.
Gli atomi sono quindi tali solo se continuamente instabili , e non possono essere separabili perché non esiste il tempo per farlo..Perché sono se stessi solo per un attimo.
Esistono come atomi solo nel presente , diremmo , se il tempo esistesse.
Che poi chi può dirlo. Magari esiste davvero.😊
Se il mondo è discontinuo , possiamo contarci su'.

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iano

#8
Il tempo quindi esiste ed è continuo , e l'orologio è fatto di atomi , e il tempo è scandito dal ticchettio infinitesimo del loro divenire continuo.Ma discontinua è l'esistenza che si declina in atomi nel presente , cioè  laddove solo è' possibile l'esistenza.
Ciò che percepiamo non è, se non percezione , ma c'è un collegamento fra ciò che percepiamo e ciò che è altro dalla percezione.
Se percepiamo il tempo c'è una causa , una corrispondenza nel reale , di cui purtroppo non possiamo che parlare se non facendo riferimento improprio alla percezione stessa.
Possiamo indurre la realtà a partire dalla percezione perché in effetti ciò che ci appare ingenuamente come realtà altro non è che questa induzione continua, i cui limiti sono la causa della percezione di un mondo che ha elementi di costanza sui quali il mondo si fondi.
L'essere esiste , ma ha esistenza effimera , l'unica possibile.
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green demetr

#9
Citazione di: iano il 11 Marzo 2020, 21:13:33 PM
Il tempo quindi esiste ed è continuo , e l'orologio è fatto di atomi , e il tempo è scandito dal ticchettio infinitesimo del loro divenire continuo.Ma discontinua è l'esistenza che si declina in atomi nel presente , cioè  laddove solo è' possibile l'esistenza.
Ciò che percepiamo non è, se non percezione , ma c'è un collegamento fra ciò che percepiamo e ciò che è altro dalla percezione.
Se percepiamo il tempo c'è una causa , una corrispondenza nel reale , di cui purtroppo non possiamo che parlare se non facendo riferimento improprio alla percezione stessa.
Possiamo indurre la realtà a partire dalla percezione perché in effetti ciò che ci appare ingenuamente come realtà altro non è che questa induzione continua, i cui limiti sono la causa della percezione di un mondo che ha elementi di costanza sui quali il mondo si fondi.
L'essere [size=78%]esiste , ma ha esistenza effimera , l'unica possibile.[/size]


Sì, il punto che non mi torna mai è la consistenza del tempo, non certo dello spazio, perchè è vero che quando arriviamo ai limiti la consistenza è diversamente discreta (livelli dell'entropia), ma appunto come già detto è misurabile grazie ai concetti di transfinito cantoriani.


Siamo d'accordo certamente nel fatto che la realtà è quel processo di progressivo azzeramento (impossibile, ma a noi interessa il delta rispetto alla possibilità dello zero) INDUTTIVO del processo sensoriale e cognitivo.


Cose che ho dovuto studiare qualche anno fa, nel mio anno sabbatico dedicato all'università, per filosofia della percezione, il cui testo fondamentale per capire l'intero spettro delle possibilità è il FISHER, studiato con SOMMA noia  ;D .


In realtà potremmo dibattere a lungo proprio sulla misurabilità che tu presumi impossibile, e che invece scuole come la gestalt e altre molte altre, fanno programmaticamente. Sopratutto tramite esperimenti in laboratorio.


Sul fatto che esistano scienze che includano continuo e discreto nella stessa teoria, non ho dubbi, anche se non so indicarle.


Infatti a seconda del livello entropico, io posso utilizzare entrambe le teorie, come se fossero categoria della matematica, e non della realtà.




Ovviamente le premesse sono diverse, ma le deduzioni che conseguono a mio parere dovrebbero essere ugualmente scientifiche.


Si tratta di legare il calcolo al fenomeno, o epifenomeno come amano chiamarlo questi.


Dove alla fine, ragionando con la mia testa, l'epifenomeno è il calcolo stesso, che lo presume.


Ovviamente suffragato dalla strumentazione del laboratorio stesso. Per cui si necessita di spese altissime, in strumenti di precisione.


Il tempo però cosa sarebbe? appunto la domanda mia sarebbe (forse, perchè sono confuso) ma il tempo è discreto?


(sempre che la teoria dello spazio-tempo eisteniana sia vera, tra parentesi, da molti infatti è messa in dubbio, e in quel caso, che rapporto ha il tempo con il continuum spaziale? etcc).


PS


si scusa quando ho usato dati intendevo dati sensoriali, come scritto nel FISHER TUTTE le scuole di filosofia della percezione sono d'accordo sul fatto che il fascio di percezione, sia un pacchetto di dati, da decifrare e coniugare poi ogni scuola a suo modo, quindi di per sè sono tutti d'accordo che essendo un pacchetto dati, la percezione può tranquillamente essere misurata.


si scusata è un tecnicismo, ma svolgiamolo pure molto liberamente insomma.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

iano

#10
Ciao Green Demetr.
Purtroppo non ho solido testi e studi su cui fondare i miei discorsi.Ma la fantasia è voglia di filosofare non mi manca. Se va' bene , faccio poesia.


Ci sono cose che percepiamo di cui pensiamo di poter dire qualcosa , e altre l come il tempo , di cui non sappiamo dire nulla.
Immagino la differenza dipenda dall'uso della coscienza , senza che questo determini secondo me una diversa qualità percettiva.
C'è una realtà che è causa d ciò che percepiamo.
Possiamo azzardare , inducendola , la natura della realtà, ma purtroppo usando solo parole adatte a descrivere ciò che percepiamo , e quindi non adatte a descrivere la realtà.
Così quando uso termini come continuo e discontinuo non posso esser certo che questi siano possibili attributi della realtà , ma solo della percezione .
Conscio di questi limiti , io azzardo che il tempo , o meglio la sua percezione , abbia come causa il carattere continuo della realtà.
Immagino cioè si tratti di una percezione più "diretta" se così si può dire , rispetto alla percezione della massa che ha origine più mediata.
Questo diverso percorso percettivo lo si può esprimere col concetto di solidità.
Il tempo tutto è meno che solido ,mentre solido e l'attributo della discreta materia , perché certo il mondo non appare come un unico solido blocco.
Ma se solido fa' rima con discreto , allora questo è un indizio sulla continuità del tempo.
Nel balbettare ciò,sto implicitamente e colpevolmente , ammettendo che la percezione è parecchi passi avanti rispetto alla scienza , e che questa arranchi dietro ad essa , facendo null'altro che tentare di esplicitarla.
Il metodo scientifico in se' è la migliore ipotesi che possiamo fare su come funzioni la percezione.
Non c'è quindi fra scienza e percezione una differenza sostanziale , ma la differenza che c'è fra alunno e maestro.
Se vogliamo azzardare di indurre la realtà  , essendo questa una operazione cosciente ,  dobbiamo prima prendere piena coscienza delle modalità con cui ci interfacciamo con essa , consci del fatto che la coscienza non è in se' necessaria a questo interfacciamemto , ma che il suo intervento  lo caratterizza.
Ciò che distingue la scienza dalla percezione è l'uso di un mucchio di simboli e parole , in se' non necessari , e fra queste vi sono i termini continuo e discontinuo .
Io scommetterei su una realtà continua , se così si potesse dire , e non perché lo dice Einstein , ma perché la nostra nuova coscienza (scienza) ci suggerisce che
PER POTER SCOMPORRE A PIACERE LA REALTÀ , col massimo grado di libertà, la sua natura non deve avere una "scomposizione" primaria di base l come ipotizzato dagli atomisti.
Non so' se sono autorizzato in questo caso a chiamare in causa il rasoio di Occam , ma mi pare più facile ridisegnare la natura senza cambiargli i connotati ogni volta.
Quindi in definitiva dovremmo considerare le diverse teorie scientifiche , e il fatto che esse siano basate su ipotesi diverse di continuo discontinuo e altro , una necessità di ridisegnare in continuo la realtà, perché tale necessità deriva dal fatto che il rapporto fra osservatore e osservato e dinamico , di modo che' la loro distinzione è netta , ma solo per un istante.
Siccome però nel continuo non esiste l'istante successivo ad un istante , fuori dall'istante , in un normale intervallo di tempo finito , osservato e osservatore sono parte di un continuo , semmai che se ne possa parlare , dato che un istante a ciò non basta.
Discreto quindi fa' rima con istante , secondo questo indiscreto poeta.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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green demetr

@iano


caro poeta  :) , sono d'accordo anch'io, se dovessi arrischiarmi, la vedrei pressapoco come te, anch'io percepisco il tempo come discreto. Forse è proprio perchè, come la tua bella intuizione ha rischiarato (mi è piaciuta assai) alla fine la percezione è esattamente tutto ciò di cui sappiamo per poter dire "tempo".(tra l'altro ha innescato alcune illuminazioni su altri autori che seguo, Grazie davvero.)


Le strumentazioni tentano poi di dimostrare ciò che il percetto già sà.


Ovviamente è un grosso rischio, come spesso gli scienziati amano dire: l'uomo è in errore.


Diciamo che è l'altra faccia della moneta, molto meno poetica  ;) .
Vai avanti tu che mi vien da ridere