Dio può esistere ed essere però malvagio o peggio indifferente?

Aperto da Socrate78, 02 Ottobre 2017, 19:45:22 PM

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Socrate78

Come mai la quasi totalità delle religioni e molte filosofie hanno creduto nel fatto che l'essenza del mondo, rappresentata da Dio o da un'energia primordiale, sia positiva ed obbedisca all'Amore?
A me sembra il contrario, mi sembra che non sia affatto l'amore a governare il sistema-mondo: infatti l'intera realtà mi sembra una specie di enorme giungla in cui un eventuale Dio, o principio primo, abbia gettato gli enti, quasi dicendo loro: "Arrangiatevi, cercate di affermarvi anche senza scrupoli, io non vi aiuto affatto". Un eventuale principio intelligente avrebbe ad esempio creato i virus e i batteri patogeni, essi sono biologicamente dei mostri di egoismo, si adattano e si affermano a danno di interi ecosistemi e proprio quest'istintiva aggressività ha permesso loro di prosperare, come se un eventuale Intelligenza premiasse il male invece del bene.
Non solo, la natura sembra quasi intelligente, procedere con logica dando agli organismi ciò che necessita loro per vivere, ma non si cura del singolo, permette che i deboli e i fragili siano sopraffatti dai più forti, gli animali sono in lotta tra loro per il territorio ma quando hanno terminato il loro ciclo vitale muoiono anche soffrendo, è come se Dio se ne fregasse altamente e usasse solo persone ed animali per la riproduzione, trattandoli come burattini da buttare quando non servono più. Nel mondo il bene e il male si confondono, ad esempio l'estinzione dei dinosauri (male gravissimo) ha favorito altri enti come i mammmiferi e l'uomo, sembra un meccanismo spietato che favorisce gli uni danneggiando gli altri.
Se esistesse una qualche divinità io la vedo simile alla volontà di Schopenhauer, come un qualcosa che crea più dolore che piacere e che alla fine genera opposizione e non unione nel mondo. Siete d'accordo con la mia analisi pessimistica?

Apeiron

Il problema si pone solo se Dio (o gli Dei) è (sono) Persona(e) - giainismo, buddismo, daoismo e alcune forme di induismo non hanno questo problema. Nella Bibbia invece il Libro di Giobbe esplora questa tematica. Questo è il problema della Teodicea e Schopenhuer ha raggiunto le tue stesse conclusioni. Ci sono però due cose da notare:
1) "Dio è buono". L'aggettivo "buono" potrebbe non voler dire la stessa cosa a livello umano e divino. Ossia "Dio è buono" nel senso che è "simile" ad una persona buona.
2) Ti consiglio la lettura di Simone Weil. In sostanza secondo lei, il male nasce dal fatto che Dio si è volontariamente "ritratto" per lasciare vivere gli esseri https://en.wikipedia.org/wiki/Simone_Weil. In questo caso, che ricorda la posizione neo-platonica (con la differenza che l'allontanamento è volontario mentre l'Uno neoplatonico non possiede volontà). Ma ovviamente questo non "risolve" il problema del male. Purtroppo credo che rimarrà un Mistero per sempre (asserire invece che il Male è il fondamento della realtà toglie invece ogni speranza. Per questo io ritengo che sia falso, anche se ovviamente non sono in grado di dimostrarlo).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

 LA GINESTRA, O FIORE DEL DESERTO


Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor nè fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De' tuoi steli abbellir l'erme contrade
Che cingon la cittade
La qual fu donna de' mortali un tempo,
E del perduto impero
Par che col grave e taciturno aspetto
Faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
Lochi e dal mondo abbandonati amante,
E d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi de' potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
E' il gener nostro in cura
All'amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell'uman seme,
Cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell'umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.

Qui mira e qui ti specchia,
Secol superbo e sciocco,
Che il calle insino allora
Dal risorto pensier segnato innanti
Abbandonasti, e volti addietro i passi,
Del ritornar ti vanti,
E proceder il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
Di cui lor sorte rea padre ti fece,
Vanno adulando, ancora
Ch'a ludibrio talora
T'abbian fra se. Non io
Con tal vergogna scenderò sotterra;
Ma il disprezzo piuttosto che si serra
Di te nel petto mio,
Mostrato avrò quanto si possa aperto:
Ben ch'io sappia che obblio
Preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
Mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
Vuoi di novo il pensiero,
Sol per cui risorgemmo
Della barbarie in parte, e per cui solo
Si cresce in civiltà, che sola in meglio
Guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
Dell'aspra sorte e del depresso loco
Che natura ci diè. Per questo il tergo
Vigliaccamente rivolgesti al lume
Che il fe palese: e, fuggitivo, appelli
Vil chi lui segue, e solo
Magnanimo colui
Che se schernendo o gli altri, astuto o folle,
Fin sopra gli astri il mortal grado estolle.

Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell'alma generoso ed alto,
Non chiama se nè stima
Ricco d'or nè gagliardo,
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma se di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest'orbe, promettendo in terra
A popoli che un'onda
Di mar commosso, un fiato
D'aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
Che a sollevar s'ardisce
Gli occhi mortali incontra
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo,
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra se nel soffrir, nè gli odii e l'ire
Fraterne, ancor più gravi
D'ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l'uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che de' mortali
Madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L'umana compagnia,
Tutti fra se confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune. Ed alle offese
Dell'uomo armar la destra, e laccio porre
Al vicino ed inciampo,
Stolto crede così, qual fora in campo
Cinto d'oste contraria, in sul più vivo
Incalzar degli assalti,
Gl'inimici obbliando, acerbe gare
Imprender con gli amici,
E sparger fuga e fulminar col brando
Infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell'orror che primo
Contra l'empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l'onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch'ha in error la sede.

Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
Seggo la notte; e sulla mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro
Per lo vòto Seren brillar il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch'a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare
Veracemente; a cui
L'uomo non pur, ma questo
Globo ove l'uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz'alcun fin remoti
Nodi quasi di stelle,
Ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio
Che sembri allora, o prole
Dell'uomo? E rimembrando
Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
Il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
Che te signora e fine
Credi tu data al Tutto, e quante volte
Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
Granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
Per tua cagion, dell'universe cose
Scender gli autori, e conversar sovente
Co' tuoi piacevolmente, e che i derisi
Sogni rinnovellando, ai saggi insulta
Fin la presente età, che in conoscenza
Ed in civil costume
Sembra tutte avanzar; qual moto allora,
Mortal prole infelice, o qual pensiero
Verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.

Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
Cui là nel tardo autunno
Maturità senz'altra forza atterra,
D'un popol di formiche i dolci alberghi,
Cavati in molle gleba
Con gran lavoro, e l'opre
E le ricchezze che adunate a prova
Con lungo affaticar l'assidua gente
Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre
In un punto; così d'alto piombando,
Dall'utero tonante
Scagliata al ciel, profondo
Di ceneri e di pomici e di sassi
Notte e ruina, infusa
Di bollenti ruscelli,
O pel montano fianco
Furiosa tra l'erba
Di liquefatti massi
E di metalli e d'infocata arena
Scendendo immensa piena,
Le cittadi che il mar là su l'estremo
Lido aspergea, confuse
E infranse e ricoperse
In pochi istanti: onde su quelle or pasce
La capra, e città nove
Sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
Son le sepolte, e le prostrate mura
L'arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
Dell'uom più stima o cura
Che alla formica: e se più rara in quello
Che nell'altra è la strage,
Non avvien ciò d'altronde
Fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.

Ben mille ed ottocento
Anni varcàr poi che spariro, oppressi
Dall'ignea forza, i popolati seggi,
E il villanello intento
Ai vigneti, che a stento in questi campi
Nutre la morta zolla e incenerita,
Ancor leva lo sguardo
Sospettoso alla vetta
Fatal, che nulla mai fatta più mite
Ancor siede tremenda, ancor minaccia
A lui strage ed ai figli ed agli averi
Lor poverelli. E spesso
Il meschino in sul tetto
Dell'ostel villereccio, alla vagante
Aura giacendo tutta notte insonne,
E balzando più volte, esplora il corso
Del temuto bollor, che si riversa
Dall'inesausto grembo
Sull'arenoso dorso, a cui riluce
Di Capri la marina
E di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
Del domestico pozzo ode mai l'acqua
Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
Desta la moglie in fretta, e via, con quanto
Di lor cose rapir posson, fuggendo,
Vede lontano l'usato
Suo nido, e il picciol campo,
Che gli fu dalla fame unico schermo,
Preda al flutto rovente
Che crepitando giunge, e inesorato
Durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
Dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all'aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Ch'alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell'orror della secreta notte
Per li vacui teatri, per li templi
Deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s'aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l'ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
Dopo gli avi i nepoti,
Sta natura ognor verde, anzi procede
Per sì lungo cammino,
Che sembra star. Caggiono i regni intanto,
Passan genti e linguaggi: ella nol vede:
E l'uom d'eternità s'arroga il vanto.

E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco,
Che ritornando al loco
Già noto, stenderà l'avaro lembo
Su tue molli foreste. E piegherai
Sotto il fascio mortal non renitente
Il tuo capo innocente:
Ma non piegato insino allora indarno
Codardamente supplicando innanzi
Al futuro oppressor; ma non eretto
Con forsennato orgoglio inver le stelle,
Nè sul deserto, dove
E la sede e i natali
Non per voler ma per fortuna avesti;
Ma più saggia, ma tanto
Meno inferma dell'uom, quanto le frali
Tue stirpi non credesti
O dal fato o da te fatte immortali. 
(Giacomo Leopardi)

Mario Barbella

#3
Parlare di un Dio che esiste o non esiste si fa un discorso che non ha assolutamente un senso oggettivo (cioè come il parlare di un qualcosa che potrebbe esistere o no), questo vuol dire che non  hanno senso frasi e temi che fanno ricorso all'esistenza di Dio in un senso oggettivo. Si può, invece, impostare un discorso su Dio solo facendo riferimento  a sé medesimo, cioè all'IO e lavorare con o senza una conclusione che soddisfi l'IO stesso. Per  rimaner intimamente soddisfatto l'IO dovrebbe solo penetrare sé stesso. ci pè semplicissimo ma ci provo quando me la sento. :)
Un augurio di buona salute non si nega neppure a... Salvini ! :)
A tavola potrebbe pure mancare il cibo ma... mai il vino ! Si, perché una tavola senza vino è come un cimitero senza morti  ;)  (nota pro cultura (ed anche cucina) mediterranea)

Kobayashi

L'idea che noi abbiamo di Dio viene inevitabilmente dal cristianesimo, e il cristianesimo non ha fatto che riprendere il Dio dei Salmi.
E' nel Salterio che va ritrovata la costruzione di una certa immagine di Dio.
Ma in queste composizioni poetiche qual'è l'elemento dominante? Quello dell'uomo terrorizzato. L'uomo attaccato dai propri nemici, dalla povertà, dalla malattia etc.
Un uomo che si avvicina alla morte in solitudine. Ma l'uomo è un mammifero sociale, non è capace di affrontare il terrore da solo. Ha bisogno di essere accompagnato.
Così invoca l'aiuto di un Dio che gli sta accanto, che c'è, che è lì con lui.
E' un'immagine di Dio che nasce nel deserto, dal terrore specifico del deserto.
Finché l'uomo non si sente del tutto perduto, finché pensa di avere forze a sufficienza per rialzarsi da solo non conoscerà mai questa fede.
Nelle difficoltà normali della vita farà affidamento alla propria ingegnosità, al proprio patrimonio, al proprio nome. Avrà sì fede in queste cose, ma la sua sarà idolatria.
Quando invece non avrà più nulla a cui attaccarsi, ecco l'invocazione al Dio dei Salmi.
A quel punto la questione dell'esistenza di Dio non si pone nemmeno... Il vero problema è superare la notte.

InVerno

Perchè indifferente sarebbe peggio di malvagio? Diresti la stessa cosa di un genitore terreno?. Comunque si, se esistesse un Dio personale e andasse giudicato dalla sua creazione, e giudicato secondo categorie umane, sarebbe sicuramente un "malvagio". Si può relativizzare il male in qualsiasi maniera, razionalizzarlo fino a vederne le più benefiche conseguenze, ma la verità è che gran parte di esso è gratuito e porta in seno altro dolore. Ragionando al di la del bene e del male, questo problema non si pone, ma a quel punto Dio non ha senso di per se. Non dando nessun credito a questioni riguardanti "divinità personali" che ritengo senza senso a priori, posso solo giocare a immaginare questo "processo" divino con Dio alla sbarra degli imputati (con un po di timore, visto che c'è una vasta tradizione addietro) e se dovessi trattarlo alla stregua di un genitore, la prima imputazione che mi viene in mente riguarda la nostra "infanzia", quando esso ci ha permesso o guidato verso lo sterminio dei nostri fratelli "tontoloni" (parlo degli altri cugini ominidi non-sapiens). Diventare (ma non eravamo) figli unici non ci ha portato nessuna saggezza, solo narcisismo e egotismo senza freni, tanto da immaginare che avessimo discendenza dal creatore dell'universo stesso e potessimo parlare con lui a quattrocchi e giudicarlo. Se davanti agli occhi avessimo ancora quegli "orribili" cugini animali, gran parte di queste dispute non sarebbe mai nata innanzitutto risparmiando tempo a noi, e gloriose risate a Lui.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Sariputra

Citazione di: Kobayashi il 03 Ottobre 2017, 09:40:45 AML'idea che noi abbiamo di Dio viene inevitabilmente dal cristianesimo, e il cristianesimo non ha fatto che riprendere il Dio dei Salmi. E' nel Salterio che va ritrovata la costruzione di una certa immagine di Dio. Ma in queste composizioni poetiche qual'è l'elemento dominante? Quello dell'uomo terrorizzato. L'uomo attaccato dai propri nemici, dalla povertà, dalla malattia etc. Un uomo che si avvicina alla morte in solitudine. Ma l'uomo è un mammifero sociale, non è capace di affrontare il terrore da solo. Ha bisogno di essere accompagnato. Così invoca l'aiuto di un Dio che gli sta accanto, che c'è, che è lì con lui. E' un'immagine di Dio che nasce nel deserto, dal terrore specifico del deserto. Finché l'uomo non si sente del tutto perduto, finché pensa di avere forze a sufficienza per rialzarsi da solo non conoscerà mai questa fede. Nelle difficoltà normali della vita farà affidamento alla propria ingegnosità, al proprio patrimonio, al proprio nome. Avrà sì fede in queste cose, ma la sua sarà idolatria. Quando invece non avrà più nulla a cui attaccarsi, ecco l'invocazione al Dio dei Salmi. A quel punto la questione dell'esistenza di Dio non si pone nemmeno... Il vero problema è superare la notte.

Bellissimo! Sono completamente d'accordo. E' nel terrore della propria solitudine di fronte alla morte, nel riuscire "a superare la notte" come ben scrivi, che sorge la fede nell'accompagnamento di un Dio. Un Dio che si nasconde nel deserto, che gioca a nascondino con l'uomo (da qui aridità della vita, idolatria, ecc.). Eh sì, il Salterio è illuminante al proposito... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Citazione di: Kobayashi il 03 Ottobre 2017, 09:40:45 AML'idea che noi abbiamo di Dio viene inevitabilmente dal cristianesimo, e il cristianesimo non ha fatto che riprendere il Dio dei Salmi. E' nel Salterio che va ritrovata la costruzione di una certa immagine di Dio. Ma in queste composizioni poetiche qual'è l'elemento dominante? Quello dell'uomo terrorizzato. L'uomo attaccato dai propri nemici, dalla povertà, dalla malattia etc. Un uomo che si avvicina alla morte in solitudine. Ma l'uomo è un mammifero sociale, non è capace di affrontare il terrore da solo. Ha bisogno di essere accompagnato. Così invoca l'aiuto di un Dio che gli sta accanto, che c'è, che è lì con lui. E' un'immagine di Dio che nasce nel deserto, dal terrore specifico del deserto. Finché l'uomo non si sente del tutto perduto, finché pensa di avere forze a sufficienza per rialzarsi da solo non conoscerà mai questa fede. Nelle difficoltà normali della vita farà affidamento alla propria ingegnosità, al proprio patrimonio, al proprio nome. Avrà sì fede in queste cose, ma la sua sarà idolatria. Quando invece non avrà più nulla a cui attaccarsi, ecco l'invocazione al Dio dei Salmi. A quel punto la questione dell'esistenza di Dio non si pone nemmeno... Il vero problema è superare la notte.

Sì appunto. Mettersi a discutere della teodicea in fin dei conti porta a pochi risultati, al massimo a rendere più "plausibile" la fede. Al massimo si può cercare di dare una "spiegazione" un po' più convincente ma il problema del Male d'altronde è un "mistero". Concordo con te che il Dio Cristiano è proprio il Dio che si pone davanti nel momento più buio della disperazione, quando ogni altra cosa sembra non risolvere il problema. Wittgenstein (ma anche la Weil col suo "Dio che si nasconde e si ritira" - non è una citazione) a mio parere espresse bene la cosa in questo modo scrisse (fonte: http://www3.dbu.edu/mitchell/wittgensteinassessment.htm):  Traduco dall'inglese:"la religione cristiana è solo per l'uomo che necessita di un aiuto infinito, solamente, cioè, per l'uomo che ha l'esperienza di un tormento infinito. Il pianeta intero può soffrire un tormento meno grade di quello di una singola anima. Ciascuno che in questo tormento ha il dono di aprire il suo cuore, anziché contrarlo, accetta i mezzi della salvezza nel suo cuire... Nessun tormento più grande essere sperimentato rispetto a quello che un uomo può sperimentare. Perchè se un uomo si sente perduto, questo è l''ultimo tormento". In ogni caso ritengo che l'esperienza possa portare ad essere cristiani o meno (sempre Wittgenstein: "La vita può educarci a credere in Dio...esperienze, pensieri - la vita può imporci quel concetto in noi"). Alla fine è qui che uno può diventare cristiano, argomentare a favore o contro alla fine serve fino ad un certo punto (non che sia inutile comunque, però credo che se uno ha determinate esperienze il problema della Teodicea in fin dei conti diventa secondario o non se lo pone nemmeno).

P.S. Non so se le frasi di Wittgenstein possono anche, volendo, essere incorporate in altre religioni, tipo alla Bhakti indiana (bhakti=devozione). Magari il Sari conosce frasi simili anche nelle religioni indiane ;) cosa che personalmente ritengo possibile.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

Citazione di: Socrate78 il 02 Ottobre 2017, 19:45:22 PM
Come mai la quasi totalità delle religioni e molte filosofie hanno creduto nel fatto che l'essenza del mondo, rappresentata da Dio o da un'energia primordiale, sia positiva ed obbedisca all'Amore?
A me sembra il contrario, mi sembra che non sia affatto l'amore a governare il sistema-mondo: infatti l'intera realtà mi sembra una specie di enorme giungla in cui un eventuale Dio, o principio primo, abbia gettato gli enti, quasi dicendo loro: "Arrangiatevi, cercate di affermarvi anche senza scrupoli, io non vi aiuto affatto". Un eventuale principio intelligente avrebbe ad esempio creato i virus e i batteri patogeni, essi sono biologicamente dei mostri di egoismo, si adattano e si affermano a danno di interi ecosistemi e proprio quest'istintiva aggressività ha permesso loro di prosperare, come se un eventuale Intelligenza premiasse il male invece del bene.
Non solo, la natura sembra quasi intelligente, procedere con logica dando agli organismi ciò che necessita loro per vivere, ma non si cura del singolo, permette che i deboli e i fragili siano sopraffatti dai più forti, gli animali sono in lotta tra loro per il territorio ma quando hanno terminato il loro ciclo vitale muoiono anche soffrendo, è come se Dio se ne fregasse altamente e usasse solo persone ed animali per la riproduzione, trattandoli come burattini da buttare quando non servono più. Nel mondo il bene e il male si confondono, ad esempio l'estinzione dei dinosauri (male gravissimo) ha favorito altri enti come i mammmiferi e l'uomo, sembra un meccanismo spietato che favorisce gli uni danneggiando gli altri.
Se esistesse una qualche divinità io la vedo simile alla volontà di Schopenhauer, come un qualcosa che crea più dolore che piacere e che alla fine genera opposizione e non unione nel mondo. Siete d'accordo con la mia analisi pessimistica?
ADDA PASSA' 'A NUTTATA
E' un'interpretazione non filosofica che l'amore "faccia girare il mondo", Il Dio metafisico è razionale prima di tutto, poi può seguire giustamente il concetto di esistenza con quello che ne consegue, del tipo: la vita nasce dall'amore.

La razionalità aiuta a capire i dominio e le regole,  i sentimenti e le emozioni sono altrettanto importanti, ma non si possono generare confusioni.
Non so quanti oggi in tutto il mondo avranno referti medici come sentenze di morte, operazioni chirurgiche con alto rischio di non uscirne vivo, quante croci rosse per il mondo suonano per raccogliere moribondi,  o quanto l'uomo si sente in solitudine fra il dolore e la sofferenza di una solitaria stanza o in mezzo alla folla.
Ma so che se Dio esaudisse i desiderata, nessuno morirebbe o proverebbe dolore e sofferenze. Non è questo l'ordine e le regole di questo sistema.

Tolto Dio, togliamo il "capro espiatorio" e rimane comunque dolore e sofferenza: e quindi.........?
Il sistema è comunque indifferente razionalmente. Altro dal punto di vista cristiano sarebbe discutere la "grazia divina",che è infatti
una straordinarietà, quindi oltre la regola. E' proprio questa sembianza di intelligenza insita nella natura che si manifestano regole ed ordine e spesso è oltre la malvagità , è vera e propria crudeltà. Ci sono indicibili sofferenze e alla fine la bilancia è sfavorevole
C'è chi bestemmia Dio e c'è chi benedice..........Io so solo che adda 'a passà  a nuttata, non c'è un dì senza la notte ......deve esserci un senso e il senso non è mai manifesto, ma sempre nascosto e da interpretare.

Carlo Pierini

Citazione di: Socrate78 il 02 Ottobre 2017, 19:45:22 PM
Come mai la quasi totalità delle religioni e molte filosofie hanno creduto nel fatto che l'essenza del mondo, rappresentata da Dio o da un'energia primordiale, sia positiva ed obbedisca all'Amore?


Sarà forse perché in quegli istanti fulminei e fuggitivi in cui l'uomo si è relazionato con Dio si è reso conto che ciò che caratterizzava quella relazione non poteva che esser chiamato amore?

Ma se Dio è amore, perché c'è il male nel Mondo?
...E se il fine del male fosse quello di stimolare le forze del bene fino al loro trionfo finale? Come scrisse Jung: <<Cosa sarebbe mai dopotutto lo Spirito, se non gli si opponessero pulsioni a lui pari?>>.

...E la morte? Come si concilia l'amore con la condanna a morte che pende sul nostro capo fin dalla nascita?
C'è conciliazione SOLO se la morte è un <<passaggio a miglior vita>>, se la morte è <<perfetta letizia>>. Altrimenti la vita è una mostruosità, e Dio è il Sommo Sadico (SS), il Sommo serial killer. Avrebbe ragione Leopardi:

Disprezza te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l'infinita vanità del tutto.
(Leopardi: A se stesso, vv. 13-16)


L'angolo musicale:
MOZART: Voi che sapete, op. Nozze di Figaro
https://youtu.be/NHAjOMp_2sg

maral

Non credo che batteri patogeni e virus siano dei mostri di egoismo, semplicemente vivono per quello che sono e non distruggono ecosistemi (questo semmai è l'uomo da sempre a farlo), ma vi partecipano in cooperazione. D'altra parte anche la patogenicità è un fattore relativo (patogeno per chi?) e sulla patogenicità verso altre specie e pure verso la propria si potrebbe considerare che gli esseri umani non sono secondi a nessuno, neppure ai peggiori virus.
Ma il problema che sollevi qui riguarda il Creatore: come potrebbe un Dio che crea questo mondo con tutte le sue disgrazie, sofferenze e malvagità essere ritenuto amorevole e giusto?
Nella Bibbia c'è un racconto bellissimo e terribile che pone questo problema, è il racconto di Giobbe: che razza di Dio sei, chiede Giobbe dopo che gli sono stati inferti i più terribili dolori, nonostante fosse sempre stato buono, pio e giusto, se permetti che accada tutto questo? Perché? E il bello è che lo chiede pure Cristo, uomo sulla croce, al Padre celeste, di nuovo perché, "Perché mi hai abbandonato?"
E più angosciante ancora è se questo perché della creatura umana non trova una risposta.
Ma Dio risponde a Giobbe e la sua risposta è netta e definitiva nel non dare ragione: chi sei tu, creatura, per rivolgere una tale domanda al tuo creatore, come puoi solo anche lontanamente ritenere di capire.
 
C'è chi dice che gli Dei non esistono perché non si manifestano e questa è la loro sola giustificazione, ma io credo che la faccenda vada intesa in modo diverso: gli Dei non si manifestano perché se si manifestassero sarebbe la fine dell'umano, di quello scarto di libertà in cui l'uomo può esistere. Questo è il loro più alto atto di misericordia nei nostri confronti. Solo che l'esistenza che ci lasciano, per quello che è, è anche dolore e il dolore più grande è mancare a se stessi, a quello che si è. E questo in qualche modo, dipende tutto da noi, non da un Dio che non si manifesta per lasciarci vivere. E' il prezzo da pagare per il fatto di esserci sapendo di esserci in questo mondo enorme, sconvolgente, infinito, mentre continuamente, senza rendercene conto se non in rarissimi istanti, moriamo.
Virus e batteri pare che questo non lo sappiano e per questo non sono egoisti né distruggono ecosistemi.   

sgiombo

Un Dio immensamente buono e onnipotente non può creare un modo che comprende anche dolore.

E un Dio immensamente giusto e onnipotente non può imporre a nessuno, senza ovviamente poter avere (per un' impossibilità logica!) il suo consenso, il rischio del dolore e dell' infelicità.

Ergo: si può credere alle religioni abramitiche (e probabilmente a tante altre che non conosco) solo alla maniera di Tertulliano: "quia absurdum".

Sariputra

#12
La radice pensa: "io sono intelligente,
stupidi rami:
la polvere e la terra sono pieni,
il cielo è vuoto."

R.Tagore da Sfulingo


https://www.youtube.com/watch?v=aLDLpqZdhX0
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

viator

Il Dio dei filosofi ha alcuni sinonimi : l'Uno. il Tutto, Il Mondo, l'Essere....ed infine, per por termine a qualsiasi diatriba,,,,,l'Assoluto.

Il Dio dei credenti invece, al di là di ogni differenza di dettaglio, è semplicemente ciò o (assai più diffusamente) colui che, essendo onnipotente, il credente spera risulti utile ai propri bisogni, alle proprie speranze......persino ai propri egoismi.

Si tratta solo di scegliere quale delle due interpretazioni meglio soddisfa chi le esamini.

Il Dio dei filosofi, sulla base delle sue definizione sopra citate, è qualcosa di extraumano (meglio : sovrumano) ed onnipotente poichè, essendo il tutto, ovviamente tutto include e tutto può. Analogamente per gli altri attributi di carattere totalizzante a lui riconducibilii.......onnisciente, onnipresente etc. Purtroppo esso è invece privo di volontà umanamente intesa. Affermare che esso "vuole" vorrebbe dire trasformare la sua natura intrinseca adattandola alle caratteristiche tipicamente umane quali appunto la capacità di volere. Sarebbe come dire che la natura (cioè un ennesimo sinonimo di Dio) ha voluto il processo evoluzionistico (per chi vi crede) per realizzare un qualche scopo concepito da essa PRIMA di avviare l'evoluzione stessa.
Questo sarebbe un tipico esempio di capovolgimento tra le cause ed i loro effetti, esercizio diffusissimo tra gli umani ma esercitato quasi sempre in modo inconsapevole perchè troppo automatico.


Ciò che lega l'interpretazione filosofica di Dio a quella fideistica è il concetto di Amore. Che in sè non ha nulla a che vedere con quelli di bene, male, compassione etc. cioè nessun legame con l'etica umana.

Ma questo è un argomento troppo ampio per la presente sede. Saluti a tutti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Apeiron

Citazione di: maral il 04 Ottobre 2017, 14:22:57 PMNon credo che batteri patogeni e virus siano dei mostri di egoismo, semplicemente vivono per quello che sono e non distruggono ecosistemi (questo semmai è l'uomo da sempre a farlo), ma vi partecipano in cooperazione. D'altra parte anche la patogenicità è un fattore relativo (patogeno per chi?) e sulla patogenicità verso altre specie e pure verso la propria si potrebbe considerare che gli esseri umani non sono secondi a nessuno, neppure ai peggiori virus. Ma il problema che sollevi qui riguarda il Creatore: come potrebbe un Dio che crea questo mondo con tutte le sue disgrazie, sofferenze e malvagità essere ritenuto amorevole e giusto? Nella Bibbia c'è un racconto bellissimo e terribile che pone questo problema, è il racconto di Giobbe: che razza di Dio sei, chiede Giobbe dopo che gli sono stati inferti i più terribili dolori, nonostante fosse sempre stato buono, pio e giusto, se permetti che accada tutto questo? Perché? E il bello è che lo chiede pure Cristo, uomo sulla croce, al Padre celeste, di nuovo perché, "Perché mi hai abbandonato?" E più angosciante ancora è se questo perché della creatura umana non trova una risposta. Ma Dio risponde a Giobbe e la sua risposta è netta e definitiva nel non dare ragione: chi sei tu, creatura, per rivolgere una tale domanda al tuo creatore, come puoi solo anche lontanamente ritenere di capire. C'è chi dice che gli Dei non esistono perché non si manifestano e questa è la loro sola giustificazione, ma io credo che la faccenda vada intesa in modo diverso: gli Dei non si manifestano perché se si manifestassero sarebbe la fine dell'umano, di quello scarto di libertà in cui l'uomo può esistere. Questo è il loro più alto atto di misericordia nei nostri confronti. Solo che l'esistenza che ci lasciano, per quello che è, è anche dolore e il dolore più grande è mancare a se stessi, a quello che si è. E questo in qualche modo, dipende tutto da noi, non da un Dio che non si manifesta per lasciarci vivere. E' il prezzo da pagare per il fatto di esserci sapendo di esserci in questo mondo enorme, sconvolgente, infinito, mentre continuamente, senza rendercene conto se non in rarissimi istanti, moriamo. Virus e batteri pare che questo non lo sappiano e per questo non sono egoisti né distruggono ecosistemi.

Bella risposta anche questa. Tra l'altro ricorda anche la posizione della Weil, come in questa citazione a lei attribuita: "Dio non poteva creare che nascondendosi, altrimenti non avrebbe potuto esistere che Dio solo. Forse, egli ha lasciato intravvedere di sé solo quanto basta perché dalla fede in lui l'uomo sia spinto a occuparsi dell'uomo.".
Riguardo alle catastrofi naturali, ai batteri e i virus concordo con Maral, ahimé così stanno le cose. Tutto questo è un "Mistero" (uso la "M" maiuscola perchè d'altronde come "mistero" è enorme). Non a caso credo che questa sia la ragione per cui nella Bibba a Giobbe non viene data alcuna spiegazione, sarebbe una cosa troppo pesante per l'uomo da "sopportare".

Citazione di: Sariputra il 04 Ottobre 2017, 15:06:10 PMLa radice pensa: "io sono intelligente, stupidi rami: la polvere e la terra sono pieni, il cielo è vuoto." R.Tagore da Sfulingo https://www.youtube.com/watch?v=aLDLpqZdhX0

Sari: ma questa poesia è un modo per dire che noi (la radice) non possiamo capire le "cose celesti" (il cielo)? In sostanza per Tagore la Teodicea si risolve in modo simile a quello cristiano, ossia accettare il "Mistero". Ha senso la mia interpretazione? ;D

Citazione di: sgiombo il 04 Ottobre 2017, 14:51:01 PMUn Dio immensamente buono e onnipotente non può creare un modo che comprende anche dolore. E un Dio immensamente giusto e onnipotente non può imporre a nessuno, senza ovviamente poter avere (per un' impossibilità logica!) il suo consenso, il rischio del dolore e dell' infelicità. Ergo: si può credere alle religioni abramitiche (e probabilmente a tante altre che non conosco) solo alla maniera di Tertulliano: "quia absurdum".

Più che altro le tue argomentazioni che si ritrovano già nell'antichità non ammettono la possibilità che tale "bontà infinita" possa essere "simile" alla bontà umana, ossia che i nostri concetti applicati non possono essere applicati in modo esatto a Dio (questo tra l'altro è il principio dell'apofatismo). Molti pensatori cristiani d'altronde sono ben consapevoli di questo problema comunque.
Alla fine credo che abbia ragione Wittgenstein: "La vita può educarci a credere in Dio...esperienze, pensieri - la vita può imporci quel concetto in noi".

Segnalo su questo tema: http://www.roangelo.net/logwitt/goats-man-and-god.html.

P.S. Su Tertulliano (forse è fuori tema, quindi lo scrivo nel "post scriptum") voglio fare una precisazione: Il "credo quia absurdum" di Tertulliano è spiegato bene qui https://plato.stanford.edu/entries/fideism/: Tertulliano non aveva come intento quello di lasciar perdere la ragione, bensì il senso della frase era che "è troppo assurdo per essere stato inventato" - era quasi un'esclamazione al fatto che la dottrina cristiana superava la ragione umana. In sostanza il problema viene "ribaltato": è possibile per la ragione umana concepire una tale "assurdità" senza "rivelazioni" dall'alto?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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