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Del suicidio

Aperto da Eutidemo, 30 Settembre 2019, 15:30:48 PM

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Sariputra

Visto che si parla del suicidio dobbiamo considerare anche un tipo particolare di questo...
Spesso il suicida è anche omicida. Le cronache sono sempre più invase da queste notizie terribili. Il suicida  vuol portare con sé nella morte, vista come risolutoria di ogni problema, le persone più care o quelle che viceversa osteggiano la sua bramata, illusoria forma di felicità. Allora rivolge ai bimbi, o alla compagna, la pistola o il coltello da macellaio e colpisce: "Mi ammazzo!!" urla l'insensato "MI ammazzo! Uccido tutti!!". In questi casi estremi il suicida-omicida rivela la vera causa dell'insano gesto: la frustrazione profonda del proprio desiderio mal riposto. Nessun problema esige una simile raccapricciante soluzione. Non possono esserci giustificazioni a simili atti, se non la pietas che s'impone nel caso di un malato psichico...ma non sembra che questi siano la maggioranza dei casi. Il poliziotto che si suicida dopo aver ammazzato i colleghi; lo studente che si suicida dopo aver sterminato metà classe; il padre di famiglia che uccide i familiari senza aver mai dato segni di squilibrio anzi, stimato e rispettato; l'uomo che ammazza il vicino di casa, e poi s'uccide, perché le foglie del giardino dell'altro cadono nel proprio...che ferocia alberga nell'animo umano! Come una bestia in agguato, sempre pronta al balzo per azzannare e che ignoranza, che profondissima ignoranza rivela questa bestia...
E' possibile odiare così profondamente gli altri da arrivare ad odiare intensamente anche se stessi? O è possibile odiare così intensamente se stessi da arrivare ad odiare così tanto gli altri da considerarli colpevoli del fatto che ci si odia? E' possibile arrivare ad odiare così intensamente la vita stessa da desiderare di sopprimerla? O è forse perché si continua, senza posa, a ripetere a se stessi "Io"..."Io"..."Io"..?
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Eutidemo

#46
Ciao Inverno. :)
A parte il fatto che le armi di Achille furono deposte sulla tomba di Aiace, che, pure, era morto suicida, la stigmatizzazione del suicidio c'è effettivamente stata in molte culture, ma non certo in tutte; ed infatti in molte altre culture il suicidio era "consentito", e, a volte, addirittura "prescritto", sia in "forma rituale", come nella "devotio" romana,  e nel "seppuku" giapponese, sia in "forma libera", come accadde per molti grandi uomini!
Ad esempio, Catone l'Uticense, di cui Dante scrisse: "Libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta." (Purgatorio canto I vv. 70-72); e che, pur essendo morto suicida, Dante "esonerò" dall'Inferno!
Per cui, la stigmatizzazione del suicidio non era poi così diffusa; e, anche dove c'era, soffriva di notevolissime eccezioni.

***
Quanto alla paura che, come scrivi tu, "se rendiamo il suicidio socialmente accettabile, tanti cominceranno a prenderlo alla leggera e a buttarsi dai dirupi per dimostrare qualcosa, o perchè gli hanno rubato la bicicletta", questa, secondo me, è una completa assurdità; ed infatti, come ho scritto altrove, a frenare il 99% degli individui dal suicidio, non è certo la stigmatizzazione sociale, bensì il "sistema limbico", che funge da inibitore cerebrale delle pulsioni suicide.
Tanto è vero che, a parte i cosiddetti "suicidii razionali", che costituiscono la minoranza dei casi, per lo più i suicidii vengono posti in essere a seguito di disfunzioni del "sistema limbico" dovute a lesioni fisiologiche o a cause psicopatologiche (depressione ecc.)

***
Non farei assolutamente paragoni con il controllo delle nascite, l'eutanasia, l'aborto, ecc., che vanno tutti considerati ciascuno per loro conto.

***
E' invece molto interessante quanto scrivi circa una sostanziale disparità di genere, di cui, sinceramente, ignoravo l'esistenza; ed infatti non sapevo che gli uomini riescissero nei loro intenti suicidi con molta più efficacia delle donne, nè conoscevo le cause di tale fenomeno.
Ma se lo dici, ti credo! :)
Però occorre anche vedere se anche i "tentativi" di suicidio siano più numerosi tra gli uomini che tra le donne (che è cosa ben diversa); perchè, se così non fosse, la maggior efficacia maschile nel portare tecnicamente "a buon fine" i propri tentativi di suicidio, ha, ovviamente, cause diverse di quelle da te ipotizzate (anche se, sul momento, non mi vengono in mente quali).

***
Un saluto :)

InVerno

Citazione di: Eutidemo il 08 Ottobre 2019, 15:08:55 PME' invece molto interessante quanto scrivi circa una sostanziale disparità di genere, di cui, sinceramente, ignoravo l'esistenza; ed infatti non sapevo che gli uomini riescissero nei loro intenti suicidi con molta più efficacia delle donne, nè conoscevo le cause di tale fenomeno.
Ma se lo dici, ti credo! :)
Però occorre anche vedere se anche i "tentativi" di suicidio siano più numerosi tra gli uomini che tra le donne (che è cosa ben diversa); perchè, se così non fosse, la maggior efficacia maschile nel portare tecnicamente "a buon fine" i propri tentativi di suicidio, ha, ovviamente, cause diverse di quelle da te ipotizzate (anche se, sul momento, non mi vengono in mente quali).
Non mi piace rispondere linkando wikipedia, ma ho scoperto che c'è una pagina ad hoc con abbastanza riferimenti se vuoi indagare (in inglese purtroppo) perlomeno non mi dovrai credere sulla parola, che è una responsabilità che non voglio :D
https://en.wikipedia.org/wiki/Gender_differences_in_suicide

Saluti !
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Ipazia

Forse è il caso di distinguere un suicidio determinato da profonde e umanamente condivisibili ragioni fisiche o morali dal suicidio dovuto ad una in(a/e)ttitidine alla vita che spesso coinvolge altri nella propria distruttiva tanatofilia. Un suicidio che risarcisce da un suicidio che rapina.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Sariputra

cit.:
...in molte altre culture il suicidio era "consentito", e, a volte, addirittura "prescritto", sia in "forma rituale", come nella "devotio" romana,  e nel "seppuku" giapponese...


"[...]Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! È bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l'esistenza di un valore superiore all'attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! È il Giappone! È il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo."

Queste sono le ultime parole del "discorso al Giappone" tenuto da Yukio Mishima prima di morire, di fronte a qualche migliaia, fra soldati di fanteria e giornalisti di radio e televisione, dal balcone dell'ufficio del Ministero della Difesa.
Lo scrittore giapponese ha occupato l'ufficio del generale Mashita con quattro dei suoi compagni più fidati e si appresta a compiere l'estrema rimostranza contro l'occidentalizzazione del Giappone (nello specifico, Mishima si scaglia contro il Trattato di San Francisco).
I suoi adepti fanno tutti parte del Tate no Kai (Società degli scudi) e fra di loro c'è un nervosissimo Masakatsu Morita. Il 25 novembre, nell'immaginario di Yukio, è un addio già scritto e da tempo deciso. La data, oltre che in alcune lettere agli amici più cari, compare sull'ultimo foglio del suo ultimo romanzo, già concluso in marzo, consegnato al suo editore il giorno precedente come una sorta di testamento letterario.
Per la sua dipartita, Mishima sceglie l'unica morte consona ad un poeta-samurai: il seppuku. Rito suicida tradizionale Giapponese, figlio originario della spada e del sangue di Minamoto no Yorimasa, che nel 1180, dopo aver perso la battaglia di Uji, si trafigge con la propria katana per non cadere nella prigionia e nella vergogna, il seppuku diventa per tradizione la "morte onorevole" che il guerriero si concede per mantenere la sua anima libera dalla vergogna.
Il suicida pratica infatti un profondo e grave taglio (hara) all'altezza del ventre (kiri), luogo dove, secondo la cultura nipponica, risiede l'anima che, grazie al taglio praticato, può volare via pura e incontaminata da dolore e vergogna. La cultura, gli usi, i costumi e le tradizioni del Giappone consistono nel nucleo pulsante dell'arte di Mishima; la loro preservazione e gloria diventano per Yukio un ideale (a)politico, perseguito con tenacia lungo tutta la sua giovane e vigorosa esistenza.
Yukio Mishima, nel giorno della sua morte, è uno scrittore, drammaturgo e poeta giapponese di fama internazionale che conta solo quarantacinque inverni. La pubblicazione di Kamen no Kokuhaku (Confessioni di una maschera) nel 1949 gli aveva spalancato i cancelli della gloria e della fama in ambito letterario: da allora il nome di Yukio Mishima diventa il simbolo di un Giappone che al contrario del significato del proprio nome (Nippon) sta tramontando e si sta globalizzando sempre di più.
Yukio è per molti anni icona di un patriottismo romantico ormai passato e nostalgico, di cui possono essere testimoni Foscolo, D'Annunzio e forse Panagulis. Visto come un nazionalista dagli intellettuali di sinistra e come un anarchico dai pensatori di destra, vive la sua lotta ideologica in estrema solitudine, senza bandiere, slogan o partiti, ma dando spazio alle tradizioni più antiche del Giappone nelle sue opere letterarie e di teatro (i cinque No moderni ne sono un ottimo esempio).
Come in vita, così in morte. Il suo estremo gesto suicida diventa così un ultimo pretesto per omaggiare la cultura nipponica e la figura dell'imperatore, non nella sua accezione politica bensì per il ruolo simbolico che ricopre all'interno della cultura del Giappone. Qualcosa però va storto e il kaishakunin (il nervoso Morita), colui che è responsabile di decapitare il suicida nel momento del seppuku, affinché il volto non gli sia macchiato da smorfie di agonia, sbaglia il colpo di grazia per ben due volte. Deve intervenire Hiroyasu Koga per porre fine al rito, guadagnandosi così il titolo di più recente kaishakunin della storia giapponese. 

Morita, che secondo alcuni critici e biografi, era l'amante omosessuale dfi Yukio non sopporta l'errore commesso e, travolto dall'onda di vergogna, si trafigge anch'egli. I restanti tre si consegnano alle forze dell'ordine e vengono condannati a quattro anni di prigionia per aver occupato illegalmente il ministero.
Il corpo di Yukio giace glorioso in avanti, come vuole la tradizione, e vicino a lui fa capolino il suo biglietto d'addio che recita: – La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre –.

da un articolo di Federico Josè Bottino



La macabra scena degli uffici del ministero della Difesa dove si è consumato il suicidio rituale di Mishima e del suo allievo più caro: le due teste mozzate. Dopo l'harakiri, il taglio profondo del ventre un assistente mozza di netto la testa del suicida per evitare che il volto sia contratto dal dolore


Questo suicidio rituale, molto famoso, di Mishima è un chiarissimo caso di suicidio per dimostrare qualcosa....Fu un suicidio inutile: il Giappone divenne molto velocemente uno dei paesi più consumisti e occidentalizzati del pianeta...e l'incredibile talento letterario di Yukio venne sprecato...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

bobmax

Ciao Eutidemo,
non riesco a spiegarmi.
 
Con "razionale" non intendo che tutto risulti a noi razionale. Vi sono un sacco di avvenimenti che per noi non lo sono affatto! Il mondo sembra infatti per molti versi intriso di irrazionalità.

Ma anche ciò che appare irrazionale, ha senz'altro dietro una motivazione razionale che però non conosciamo.
Se vi fossero eventi davvero irrazionali, per loro essenza, perciò senza alcuna possibile motivazione razionale, il Nulla sarebbe assoluto!
E' per questa ragione che tutto deve essere razionale: è un necessario atto di fede.
 
Se viceversa vogliamo credere che davvero esista l'irrazionale, allora traiamone le inevitabili conseguenze: domina il Caos! Ed è il "razionale" ad essere un'illusione. Perché razionale e irrazionale non possono convivere.
 
Diverso è invece il deciderci e muoverci verso i limiti del razionale, ma questa è tutta un'altra storia che nulla ha a che vedere con l'irrazionalità.

***

Non sto dicendo che il suicidio non liberi, sto dicendo che non vi è nulla da liberare!
Perché non vi è proprio nessuno.

Intendi l'assenza del libero arbitrio come un vincolo, una limitazione, che impedirebbe addirittura il suicidio...
Ma non c'entra nulla!

Non vi è nessun vincolo, nessuna limitazione. Continuiamo a volere e decidere allo stesso modo, con gli stessi esiti, con suicidi e tutto il resto.
L'assenza del libero arbitrio implica solo una cosa: l'io non esiste.

Ma per afferrare ciò dovresti prima fare tabula rasa delle tue certezze...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Eutidemo

Ciao Bob. :)
Sono perfettamente d'accordo con te; ma, il caso del "suicida omicida", non ha niente a che vedere con il "suicidio puro e semplice", che, per antonomasia, significa uccidere solo se stessi, e non anche altre persone.
Ed invero;
- a parte i casi, "orribili" del suicida che, prima di togliersi la vita, commette anche omicidi "con dolo puro";
- secondo me sono "deprecabili" anche i casi del suicida che, dopo essersi tolto la vita, commette omicidi "con dolo eventuale"; come, ad esempio, quelli che si suicidano col gas, senza prima aver tolto la corrente ed aver messo, comunque, un avviso fuori della porta  (oppure che si buttano dalla finestra, senza prima aver verificato che nessuno stia passando di sotto).
Ed infatti, ciascuno è padrone della propria vita e della propria morte, ma non certo di quella altrui!

Un saluto! :)

Eutidemo

Ciao Sariputra. :)
Quello di Mishima fu solo uno delle tante migliaia di "seppuku" che costellano la storia del Giappone (per non parlare dei "kamikaze"); non so se la sua, in particolare, sia da considerarsi una "dimostrazione inutile", e, soprattutto "giustificata", però:

1)
Se la sua fu una "dimostrazione inutile", lo fu pure quella di Catone l'Uticense, di Ian Palach e dei 72 tibetani che negli ultimi dieci anni si sono dati fuoco  in segno di protesta contro la Cina; che, però, è ancora lì ad opprimere il loro Paese.

2)
Però, almeno secondo me, una "dimostrazione" come quelle di cui sopra:
- vale di per sè stessa, a prescindere dal conseguimento o meno del risultato che essa si prefiggeva;
- comunque, ottiene il risultato di suscitare disgusto e disprezzo, in ogni uomo degno di tale nome, per le tirannie che l'hanno provocata, e, solo per questo, costituisce già per di per sè un meritorio risultato.
- in ogni caso, consente a chi muore, di trovare almeno la sua libertà individuale: "libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta!"

3)
In fondo, anche Mishima, pur non essendo certo un martire della Libertà, suicidandosi evitò di dover vivere in un mondo che, ormai, non era più il suo; cosa vuoi che gliene importasse che il suo incredibile talento letterario andasse sprecato!



Un saluto! :)

Eutidemo

Ciao Bob. :)
Non ti preoccupare: forse sono io a non capire, e non tu a non riuscire a spiegarti.

***
Quanto alla "razionalità", infatti, io mi riferivo al comportamento umano determinato dalla "neocorteccia frontale", che, spesso, è in contrasto con le pulsioni istintuali del "sistema limbico"; ed infatti, gli avvenimenti del mondo esterno, che sono indipendenti da noi, non sono nè "razionali" nè "irrazionali".
Accadono e basta! :)

***
Il mondo, invero, a noi può  sembrare per molti versi intriso di "irrazionalità", ma, a ben vedere, si tratta solo di una nostra categoria mentale; o, al massimo, di una locuzione meramente "metaforica" con la quale giudichiamo gli eventi, i quali, di per sè, sono del tutto "neutri", poichè non sono determinati nè dalla "ragione" (almeno quale noi la intendiamo), nè dall'"istinto".

***
Come ti ho detto, come vedi sono io che non ti capisco. :-[
Ed infatti, per me, "razionale" significa semplicemente "rispondente alla esigenza di logicità", connaturata alla conformazione neuronale del nostro cervello; e, in particolare, ai centri di Broca e di Wernicke.
L'aggettivo "razionale" applicato a qualcosa che non sia umano, quindi (sempre parlando a livello fenomenico), per me non ha alcun senso.

***
Quanto al fatto che, se vi fossero eventi "fenomenici" davvero irrazionali, per loro essenza, perciò senza alcuna possibile motivazione razionale, il Nulla sarebbe assoluto, tale affermazione per me non è da considerarsi "errata", ma, semplicemente, "priva di senso"; ed infatti, per me se sarebbe come dire che, se vi fossero colori che pesano meno di un ettogrammo, il Nulla sarebbe assoluto. ;D
Si può avere fede in qualcosa di assurdo, ma non in qualcosa che non ha senso; anche se porta la firma di Hegel (e non solo di lui)!

***
L'"irrazionale" ed il "razionale", sono solo aggettivi che qualificano le modalità del pensiero e dell'agire umano; la trasposizione di tali concetti in un ambito che non sia umano, comporta soltanto una indebita "antropomorfizzazione" di ciò che non è in alcun modo "antropomorfizzabile"!
Attenzione in non cadere in "fallacie nominalistiche", soprattutto se usate in modo improprio!
Cioè, chiedersi se l'Universo sia "razionale" ovvero "irrazionale" (di per sè ed a livello fenomenico), per me equivale a chiedersi  se l'Universo sia "diarroico" ovvero "stitico".  ;D
"It does not make sense!

***
Quanto al fatto che il suicidio non liberi, tu dici  che "non vi è nulla da liberare, perché non vi è proprio nessuno."
Mi dispiace, ma la mia esperienza e la mia ragione mi dicono il contrario; e, cioè, che, parlando di IO individuale, prima di nascere non c'ero, adesso ci sono, e, dopo la morte non ci sarò più di nuovo.
Come accade, provvisoriamente, durante un'anestesia totale (che ho sperimentato più volte); la quale, per quanto efficace, dubito che possa essere più efficace della morte nell'annientare il mio IO individuale.
Il quale, per ora essendo io al momento sveglio e "vigile", indubbiamente c'è!
Altrimenti, spiegami chi diamine sarebbe quello che, adesso, sta scrivendo queste righe; il Nulla?
Attenzione a non confondere le metafore con la realtà (fenomenica).

***
Quanto al nostro libero arbitrio, poichè il nostro sistema limbico è programmato per impedirci, o, almeno, per ostacolare i nostri propositi suicidi, penso che già questo dimostri che esso, in qualche modo ed in qualche misura, c'è; sebbene ammetto che esso possa essere molto "pesantemente" influenzato da numerosi "idola" (tribus, specus, fori, theatri) che hanno determinato il nostro modo di essere e di ragionare.
Sia il mio che il tuo!

***
Quanto al fatto che, per accettare ciò tu sostieni, io dovrei prima fare "tabula rasa" delle mie "certezze", ammesso che io le ritenga davvero tutte "certe" (cosa inesatta) questo è verissimo; come, però, è anche vero l'esatto contrario.
E' come dire che se io fossi d'accordo con te, allora io sarei d'accordo con te; come pure se tu fossi d'accordo con me, allora tu saresti d'accordo con me.
Non mi sembra un argomento molto dimostrativo! ;)

***
Un saluto! :)

Eutidemo

Ciao Ipazia :)
Sono perfettamente d'accordo con te, in quanto occorre "sempre" distinguere l'atto delle sue motivazioni; lo stesso omicidio, invero, può avere motivazioni ignobili (rapina), nobili (tirannicidio), ovvero opinabili (eutanasia).
Allo stesso modo, il suicidio può essere determinato dalle motivazioni più diverse: alcune umanamente condivisibili, altre meno, a seconda della particolare visione di ciascuno.
Un saluto. :)

bobmax

Ciao Eutidemo,
continui a distinguere.
Il che è senz'altro utile, ma solo per l'analisi. Perché poi deve necessariamente seguire la sintesi.
Dove le distinzioni devono trovare il loro accordo.

Se questo non avviene ti ritrovi davanti il deserto.
È il deserto dell'oggettività in sé, dove la lacerazione è creduta "verità" assoluta.

Per esempio, distinguere tra la nostra razionalità e il mondo, considerandoli inconciliabili, rende impossibile qualsiasi ricerca.

Le tue certezze sono la tua prigione.
E ti impediscono di vedere l'assurdità di ciò che le regge.

L'irrazionalità non sta nel processo ma nelle premesse. Perché la logica non ammette deroghe.

Ed è irrazionale credere nell'esistenza dell'io.
Prova a cercarlo questo benedetto 'io', non lo troverai mai!
E se tieni ferma la tua logica potrai ben vedere come l'io sia logicamente impossibile!

Ma ciò causa orrore... e allora si rimane nella tranquillità dell'ovvio, del conosciuto, del certo.
Senza accorgersi di scegliere in questo modo di rimanere all'inferno!

Come ho provato a dire in più occasioni, occorre rispettare la logica, sempre. Questo rispetto non è però fine a se stesso. Ma importante solo per cercare di giungere al limite.
Questo limite non è mai una "verità" scontata. 
Anzi, consiste proprio nello svuotamento di ogni certezza.
E allora, e solo allora, ci è richiesto di andare oltre a questo limite.

La logica si estingue, è servita allo scopo. Così come la libertà che è solo un mezzo, mai un fine.

Ebbene sì, queste righe le sta scrivendo il Nulla!

È Beatitudine...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: bobmax il 09 Ottobre 2019, 08:54:32 AM

L'irrazionalità non sta nel processo ma nelle premesse. Perché la logica non ammette deroghe.


Quale logica ?  Quali premesse la garantiscono esatta ?

Citazione
Ed è irrazionale credere nell'esistenza dell'io.
Prova a cercarlo questo benedetto 'io', non lo troverai mai!

Io lo trovo tutte le mattine al risveglio e in forma più confusa pure di notte quando sogno; ma per quanto confuso, un io-narrante funziona anche nei sogni e ancor più negli incubi. Tant'è che mi risveglio e la logica mi dice tutto il contrario di:

CitazioneE se tieni ferma la tua logica potrai ben vedere come l'io sia logicamente impossibile!
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Sariputra

#57
Catone Uticense non era quello che "diede in prestito" la moglie a tale Quinto Ortensio?.. :( .Ed era così intransigente, anche con se stesso, che metteva a morte tutti gli oppositori politici vicini a Catilina, anche se altri propendevano per pene più miti visto la mancanza di reati commessi?..Già questo spiega molte cose. E infatti io vedo un che di 'intransigente' nell'abito mentale dell'aspirante suicida, in molti casi. Uno che non accetta compromessi , che pone la sua idealità al di sopra di ogni cosa (come Mishima, il cui suicidio, se non fosse tragico e atroce, sarebbe una scena che avrebbe  molto del patetico, quasi del ridicolo, molto "teatrale" , com'era lui in definitiva...).,che non ammette 'interferenze' nella sua volontà...E qui ritorna il discorso sulla super-considerazione che abbiamo del nostro"Io"  illusorio , come scritto da @bobmax...Il suicidio è infatti spesso, quando non indotto da uno stato di prostrazione fisica o mentale dovuto a qualche gravissima malattia, una dimostrazione di volontà di auto-affermarsi e di profonda avversione di questa illusione tenace...
I lama tibetani che si danno fuoco per protesta commettono una grave infrazione al primo precetto buddhista, in cui hanno dichiarato di 'prendere rifugio', ossia quello di cercare di non-nuocere ad alcun essere vivente, compreso se stessi.
Questo fatto è inaccettabile per un monaco buddhista. Il Dalai Lama stesso ha criticato questi atti e invitato a rinunciarvi...
Non è ammissibile per un monaco buddhista porre la libertà (politica in questo caso..) al di sopra della non-violenza... o far uso della violenza per fini politici. Ci sono diversi passi nel Canone che riportano discorsi di Siddhartha molto chiari in proposito...
Resto convinto che questi gesti violenti siano in definitiva inutili... ci sono altre strade (disobbedienza civile, dimostrazioni pacifiche, testimonianza di vita, ecc.) che spesso danno frutti, come nel caso dell'India gandhiana.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Eutidemo

Ciao Bob. :)
Certo che continuo a "distinguere", perchè, a mio avviso, senza "discernimento", di finisce solo per fare una gran confusione "terminologica" e "filosofica"; soprattutto laddove tu scrivi che "all'analisi deve necessariamente seguire la sintesi, dove le distinzioni devono trovare il loro accordo".
Ed infatti, a me pare che tu giochi "nominalisticamente" sul duplice diversissimo significato, che, nella lingua italiana, assume il termine "sintesi", in quanto:
a)
 "Sintesi" può stare a significare il "riassunto" (abstract) di una più vasta esposizione, con la quale si era già proceduto all'"analisi" di un determinato tema.  
b)
"Sintesi", altresì, può anche stare a significare l'accordo finale e dialettico, tra una "tesi" ed una "antitesi", che unifica ed eleva le opposizioni precedenti.
Pertanto, la tua affermazione per la quale "all'analisi deve necessariamente seguire la sintesi, dove le distinzioni devono trovare il loro accordo", confonde "due concetti contrapposizionali" diversi, e "quattro termini semantici differenti": tesi antitesi sintesi e analisi.

***
Forse intendevi dire, parafrasando un po' Hegel, che la "razionalità" del reale,  scaturisce dalla sequenza di:
- "tesi", come momento astratto o momento intellettuale; 
"antitesi", come fase dialettica o momento razionale negativo; 
"sintesi", come momento speculativo o razionale positivo, che unifica ed eleva le opposizioni precedenti.
Ma tutto questo, che, comunque, per me risulta alquanto opinabile, con il mio TOPIC non c'entra assolutamente niente!

***
Quanto al fatto che distinguere tra la nostra razionalità e il mondo, considerandoli inconciliabili, rende impossibile qualsiasi ricerca, per me, senza offesa, anche tale affermazione equivale comunque a "buttarla in caciara" (come si dice dalle mie parti).
Ed invero, il fatto che le nostre specifiche caratteristiche non siano comparabili a quelle del mondo, non rende minimamente inconciliabili l'uomo ed il resto del mondo; nel cui ambito, esistono cose ed esseri i più diversi tra di loro ciascuno con le sue specifiche caratteristiche.
Tra i quali esseri, appunto, c'è l'uomo, che ha (o almeno dovrebbe avere) come "differenza specifica" rispetto agli altri animali, la caratteristica di essere "razionale" (sapiens); ma, il fatto che lo sia lui, non implica che lo sia l'intero mondo FENOMENICO di cui egli fa parte.
Così come l'intera Parigi non è alta 300 metri, solo perchè tale è l'altezza della Torre Eiffel! :)

***
Come ho già scritto, non vedo perchè mai le mie (poche) certezze dovrebbero essere la mia prigione, ed invece le tue certezze non dovrebbero costituire la tua; ed infatti, se ci parliamo al buio attraverso le sbarre, non possiamo sapere chi dei due è dentro una cella e chi ne è fuori. ;)
Ovvero, se, magari, siamo entrambi in una cella diversa! ;D

***
Quanto a non vedere l'assurdità di ciò che regge le mie affermazioni, forse tu non vedi l'assurdità di quel che regge le tue, quando affermi che le tue righe "le sta scrivendo il Nulla!"
Il Nulla non può scrivere nulla, per cui la tua asserzione risulta alquanto autocontraddittoria!

***
Il bello è che, se tu non confondessi il "fenomeno" con il "noumeno", mi pare di capire che, in fondo, potremmo anche essere d'accordo.
Ed infatti, anche io, come scriveva Shakespeare, penso che: "We are such stuff as dreams are made on, and our little life is rounded with a sleep!" (Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e la nostra breve vita è racchiusa nel sonno – La tempesta, atto IV – mi pare che parli Prospero)
Quindi, così come i vari personaggi del sogno, al risveglio, si accorgono di essere tutti UNO, cioè il sognatore, allo stesso modo "credo" che, dopo la morte, anche noi ci risveglieremo tutti in UN SOLO SPIRITO (come diceva San Paolo)!
Ma, così come i personaggi del sogno hanno un loro livello di realtà, sia pure onirica, così pure noi due abbiamo il nostro livello di realtà, sia pure soltanto fisica: ma che non è certo il NULLA!
Siamo mare, ma siamo pure onde; le quali, finchè ancora si ergono sul livello dell'acqua, hanno una loro "esistenza" reale, magari effimera, ma che non sarebbe corretto definire meramente "illusoria" (se non nel senso del Velo di Maya).
Ma, di tutto questo, non ho assolutamente certezza, poichè constatarlo esorbita dalle facoltà umane.

***
Un saluto! :)

Eutidemo

#59
Ciao Sariputra. :)
Tu parli di Marzia,  la quale fu data in sposa giovanissima a Catone l'Uticense, e che, secondo gli usi tradizionali del tempo, il padre, in accordo con Catone, diede poi in sposa ("non certo in prestito") a Quinto Ortensio Ortalo per fini procreativi; dopo la morte di Ortensio lei, vedova, tornò in moglie  Catone, divenendo così, universalmente, un simbolo di fedeltà coniugale.
Tanto è vero che il "cristianissimo" Dante Alighieri, la collocò nel Limbo degli "spiriti magni" (Inf. IV, 128) e la citò anche nel Purgatorio (I, 79) e nel Convivio, dove dice di lei: "Tornò Marzia dal principio del suo vedovaggio a Catone, per che si significa la nobile anima dal principio del senio tornare a Dio. E quale uomo terreno più degno fu di significare Iddio, che Catone? Certo nullo." (Convivio IV, xxviii, 15).
Peraltro è anche vero che Catone l'Uticense, essendo tribuno designato, nel 63 a.C. ottenne dal senato la condanna a morte per alcuni seguaci di Catilina, pena che sarà poi eseguita dall'allora console Cicerone, in opposizione a Cesare, che proponeva pene più miti; e, secondo me, Catone fece bene, perchè si trattava di traditori della Patria, che cercavano di sovvertire la Repubblica Romana (come poi cercò di fare anche Cesare).
Ma si tratta solo di punti di vista, poichè è perfettamente lecito che tu giudichi Catone l'Uticense in modo diverso da me e da Dante; la cui opinione, però, se mi consenti e senza offesa, io preferisco un tantino alla tua.

***
Sono invece d'accordo con te sul fatto che c'è un che di 'intransigente' nell'abito mentale dell'aspirante suicida; ma solo nei casi dei suicidi per motivi politici, non in generale.

***
Quanto a Mishima, mi astengo dal giudicare il suo suicidio, in quanto non sono ben edotto di tutte le sue "effettive" circostanze; ed infatti, come, come ho già ripetutamente scritto, io non sono affatto favorevole al suicidio per principio, in quanto, in molti casi, lo ritengo un atto decisamente riprovevole e reprensibile.
Occorre valutare caso per caso!

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Quanto al fatto che il suicidio, se non indotto da uno stato di prostrazione fisica o mentale dovuto a qualche gravissima malattia, sia sempre una dimostrazione di volontà di auto-affermarsi dell'IO, non sono assolutamente d'accordo; ed infatti, semmai, come mi sembra abbastanza ovvio, è vero l'esatto contrario, e, cioè, che il suicidio è una una dimostrazione della volontà di annientare il proprio IO individuale, non certo di affermarlo!
Altrimenti, sarebbe come dire che il modo migliore di avere una erezione è quello di prendersi a martellate il pene.
Uccidersi per affermare il proprio IO, invero non ha senso alcuno; salvo che in qualche raro  caso di ipertrofia egoica frustrata.

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Quanto al BUDDISMO, lo stesso Buddha, ammise apertamente il suicidio.
Ed infatti, nel Vakkali Sutta (Samyutta Nikāya 22, 87) il monaco Vakkali, "infermo, afflitto, gravemente malato" confida ad altri monaci la sua intenzione di uccidersi con un coltello. Dopo aver appreso dell'intenzione di Vakkali, il Buddha gli fa personalmente visita, per parlare con lui; nel corso del loro colloquio appare evidente che Vakkali è ben progredito sul sentiero verso il Risveglio, avendo già acquisito una cognizione profonda e di prima mano della "natura insoddisfacente dell'esistenza".
Dopo essersi accommiatato da Vakkali,  Buddha durante la notte riceve la visita di "due deva di straordinaria bellezza", venuti a ricordargli che Vakkali era "intento alla liberazione" e che, suicidandosi "sarebbe stato libero come uno ben liberato"; per cui, il giorno dopo il Buddha dà ai monaci un messaggio da consegnare a Vakkali in cui gli racconta della visita di buon auspicio dei deva e lo assicura che la sua sarebbe stata una buona morte.
Vakkali, dopo aver ricevuto questo messaggio dal Buddha, fa, come preannunciato, prende il coltello e si suicida.
Tanto è vero che questo fu il messaggio di Budda, che la tradizione buddista giapponese riferisce di molte altre storie di suicidio dei monaci; sebbene per ragioni e con modalità diverse di quelle dei samurai.

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Ad ogni modo, il caso dei 72 lama tibetani che si sono dati fuoco per protesta non era connesso alla loro religione buddista, in quanto il loro atto, utile o inutile che fosse non era certo finalizzato ad adempiere -o meno- ad un loro precetto religioso, bensì, era semplicemente un atto politico; per cui, il fatto che, così facendo, abbiano infranto o meno il loro credo religioso, non c'entra assolutamente niente col significato del loro gesto, in quanto non è mica che si siano uccisi "in nome della loro religione"!
Altrimenti, alla stessa stregua, dovremmo dire che Ian Palach non avrebbe dovuto darsi fuoco perchè ciò era in contrasto con la sua religione cattolica.
E' esatto, ma cosa c'entra?

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Un saluto! :)

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