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Del suicidio

Aperto da Eutidemo, 30 Settembre 2019, 15:30:48 PM

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Eutidemo

Si tratta di un tema molto delicato e complesso, che può essere esaminato sotto vari aspetti:
- religioso
- giuridico
- etico
- eudaimonistico

***

ASPETTO RELIGIOSO
SANSONE (in ebraico Shimshon, che significa "piccolo sole") era un "Giudice" biblico, descritto nel Libro dei Giudici ai capitoli 13; 14; 15; 16.; la Chiesa lo esalta come un "eroe sacro", e nessuno ha mai avuto niente a che ridire sul fatto che si sia suicidato!
Peraltro, sempre nella BIBBIA, in SIRACIDE 30,17 si legge: "Meglio la morte che una vita amara, il riposo eterno, piuttosto che una malattia cronica.", ovvero, come si legge in QOÈLET  7,1: "... è preferibile la morte al giorno della nascita".
E potrei citare anche altri passi biblici, in tal senso!
Quanto a Gesù, in effetti, non ha mai affrontato in modo specifico il tema; sebbene, a prescindere dagli aspetti "teologici" e "teleologici" della sua condotta (ovviamente molto più elevati e profondi), "sostanzialmente" lui stesso si offrì come vittima sacrificale, in una sorta di suicidio per interposta persona.
Voglio dire che, se io, per incassare una assicurazione (che non paga in caso di suicidio), sparassi con una pistola a salve ad un presidio militare armato di mitragliatrici a via dei Fori Imperiali, quelli mi manderebbero subito all'altro mondo con una raffica di MG 42/59; ed in tal caso, "tecnicamente", non si potrebbe dire che io mi sia suicidato...però "sostanzialmente", SI'.
*
E' vero che il quinto comandamento dice: "Non uccidere", però:
a)
Uccidere se stessi, ed uccidere altre persone (soprattutto se non consenzienti), sono atti completamente diversi; così come costituiscono comportamenti diversi, mangiarsi le unghie, e cercare di mangiare le unghie del prossimo.
b)
In subordine, ammessa (ma assolutamente non concessa) l'indebita omologazione tra "suicidio" ed "omicidio", merita rilevare che in determinate circostanze la dottrina cattolica non solo consente l'omicidio (ad es. per legittima difesa o per stato di necessità), ma, addirittura, lo predica e lo benedice (ad es., secondo San Tommaso, il "tirannicidio" è un dovere sacro); senza considerare che sotto Pio IX, beatificato se non sbaglio nel 3° millennio, furono ESEGUITE sentenze di morte, come giustamente mi ha ricordato un mio saggio amico (Simoncelli, giustiziato il 2 ottobre 1852, colonnello della Guardia civica di Senigallia ed anche altri).
Ed allora, se in determinate circostanze la dottrina cattolica consente l'omicidio, perchè mai in determinate circostanze non dovrebbe consentire anche il suicidio?
*
Ovviamente i testi sacri possono essere interpretati in modo molto diverso a seconda della particolare visione di ciascuno, e non è affatto detto che quello più corretto sia il mio (ci mancherebbe altro); Dio ha una sola voce, ma gli uomini hanno miliardi di orecchie, ciascuna coppia delle quali lo ascolta in modo diverso.
Anzi, a volte, una stessa persona, con un orecchio ci sente una cosa, e con l'altro un'altra.
A me capita!
Ovviamente, a coloro hanno dato in gestione il proprio cervello e la propria coscienza ad una specifica confessione religiosa, per lasciarla decidere in loro vece, questo non capita MAI.
Buon per loro!

***
ASPETTO GIURIDICO
L'art.56 del Codice Penale, stabilisce che, chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto previsto dal codice, risponde di "delitto tentato", se l'azione non si compie o l'evento non si verifica, e viene punito di conseguenza; ovviamente, in misura minore che in caso di "reato consumato".
Orbene.
Se davvero fosse lecita l'omologazione tra "suicidio" ed "omicidio", chi compisse atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un "suicidio" -non riuscendoci-, dovrebbe essere incriminato e punito per "omicidio tentato"; cosa che, per fortuna, non è mai passata per la testa a nessun imbecille (pur essendo in tanti)!
L'art. 580 del Codice penale, invero, considera reato soltanto "I'istigazione o l'aiuto al suicidio (altrui)"; che è cosa ben diversa.
*
E' bensì vero che alcuni considerano comunque ILLECITO il suicidio, in base al divieto generale, presente nel nostro ordinamento, degli atti che dispongono del proprio corpo; secondo tale tesi, in quanto considerati beni primari, la vita e il corpo non sono diritti di cui si possa fare ciò che si vuole attraverso il suicidio o autolesioni.
*
Resta il fatto, però, che:
- il "suicidio consumato", non è punibile per ovvie ragioni "tecniche";
- il "suicidio tentato", non è punibile per le ragioni che ho esposto sopra.
Non avrebbe senso, allora, formulare un divieto, se poi la violazione di tale divieto non può essere punita: la stessa portata dissuasiva del divieto penale (cosiddetta "funzione deterrente della pena") verrebbe meno e, dunque, sarebbe come se il divieto non esistesse.
*
E' vero che, teoricamente, il "suicidio tentato" potrebbe essere punito; tuttavia, in questo caso, si arriverebbe al paradosso che, per infliggere una pena a chi ha tentato il suicidio, si spingerebbe quest'ultimo a riprovare una seconda volta il proprio gesto (in quanto ulteriormente disgustato dalla stupidità umana).
*
In conclusione, in base agli argomenti di cui sopra, secondo me, in mancanza di un espresso divieto legale (come c'è, invece, nel catechismo), il suicidio va sicuramente considerato giuridicamente lecito: ciò in forza del principio di autodeterminazione, cioè del potere, che spetta ad ogni uomo, di decidere autonomamente cosa è meglio o peggio per sé; cosicché ogni limitazione risulterebbe incostituzionale.
*
Tuttavia "a contrario", si potrebbe eccepire che, se il suicidio deve essere considerato lecito e, quindi, un diritto di ognuno di noi, impedire l'esercizio di questo diritto dovrebbe allora essere ritenuto un illecito e non un dovere; si arriverebbe,  quindi, in questo caso, al paradosso per cui, chi tenti di suicidarsi e non ci riesca a causa dell'intervento altruistico del terzo, potrebbe fare causa a quest'ultimo per avergli impedito l'esercizio di un proprio diritto.
Ammetto che l'argomento è molto forte, ma un po' paralogistico; ed infatti, altruisticamente, un amico potrebbe benissimo cercare, con tutti i mezzi (leciti), di impedirmi di giocarmi tutti i miei beni in un Casinò, però:
- io non potrei citarlo per aver cercato di impedirmelo;
- se non ci fosse riuscito, ed io mi fossi giocato tutti i miei beni a BACCARAT, non sarei comunque perseguibile per il mio comportamento.

***
ASPETTO ETICO
Sotto il profilo etico, considerando la morale AUTONOMA, e non ETERONOMAMENTE condizionata da un determinato credo religioso, è ovvio che ciascuno è libero di comportarsi come crede più "giusto".
Per quanto mi riguarda, io non credo che il suicidio sia sempre moralmente lecito; ed infatti, non lo ritengo assolutamente tale:
a)
Quando si hanno figli ancora piccoli, che abbisognano delle nostre cure e della nostra assistenza.
b)
Quando i figli sono ormai grandi ed autonomi, ma si hanno ancora a carico genitori anziani,  per i quali la morte di un figlio per suicidio, costituirebbe un dolore devastante.
c)
In ogni altro caso, in cui  la nostra morte comporterebbe un grave ed irreparabile danno per qualcuno (e lasciamo perdere il presunto "danno sociale", che, almeno nel mio caso, sarebbe assolutamente nullo).
A prescindere da tali ipotesi, da valutare caso per caso, ritengo il suicidio SEMPRE legittimo; anche per semplice tedio della nostra vita...visto che questa appartiene soltanto a noi.
Però, come ho detto, si tratta di un giudizio personale, il quale, come tale, è opinabile; salvo che uno non cerchi di imporre il suo a qualcun altro.
Non è da egoisti vivere e morire come si vuole; è invece da egoisti pretendere che gli altri vivano e muoiano come vogliamo noi!.

***
ASPETTO EUDAIMONISTICO
Sotto il profilo "eudaimonistico", e, cioè, in senso generale, di ciò che sia più conveniente per la nostra "felicità personale", i casi sono due:
*
A)
Se le cose vanno molto male, in salute o per altri motivi, come giustamente dice il SIRACIDE, indubbiamente è: "...meglio la morte che una vita amara", ovvero, come dice  QOÈLET: "... è preferibile la morte al giorno della nascita"; la Bibbia, a saperla leggere, dice cose molto sagge.
D'altronde, se vai al cinema e il film non ti piace, non c'è senso di starlo a vedere fino alla fine; peraltro, nel caso della vita, non abbiamo neanche dovuto pagare il biglietto per entrarci (in tal caso, io mi sarei decisamente rifiutato).
Comunque: "De gustibus non est disputandum"!
*
B)
Se le cose, invece, vanno molto bene, direi che il suicidio si presenta molto meno impellente; ma, a ben vedere, in ogni caso, almeno in teoria, "eudaimonisticamente", sarebbe comunque la scelta più "prudente" da mettere in atto.
Ed infatti, almeno sotto il profilo "strettamente" logico:
*
1)
Anche se ti stai godendo la vita al 100%, se ne vieni privato con la morte, NON PERDI NIENTE; ed infatti, se non c'è più nessuno a potersi rammaricare di una perdita, non c'è, ovviamente, nessuna perdita!
*
2)
Anche se ti stai godendo la vita al 100%, non puoi sapere cosa accadrà domani; e se è vero che nessuno può più rammaricarsi di ciò che ha perso una volta morto, può invece amaramente rammaricarsi di non essere morto prima di subire atroci perdite da vivo.
Ad esempio, le mie due nonne (alle quali, per il resto, era sempre andato tutto bene) persero dei figli quando erano ancora vive; e spesso si lamentavano di non essere morte prima.
*
C)
A prescindere da A) e B), in ogni caso, se ci riflettete bene, la scelta non è tra vivere e morire, perchè morire bisogna per forza; qualcosa ci ucciderà comunque, prima o poi.
Tutto sta a vedere:
- QUANDO
- COME
*
Circa il QUANDO, che si muoia prima o dopo, non fa la benchè minima differenza, perchè il TEMPO è roba solo per i vivi, non per i morti; per essi, ormai, essere morti a venti anni o ad ottanta, non cambia più niente.
IL NOSTRO PRINCIPALE ERRORE, E' DI GIUDICARE LA MORTE CON LA PROSPETTIVA DEI VIVI!
*
Circa il COME,affidandosi al caso, almeno secondo la mia esperienza, il modo in cui si muore è quasi sempre ORRIBILE; e, in genere, sempre molto più LENTO di quanto sarebbe auspicabile.
"Morire nel sonno" è rarissimo; e, in ogni caso, nessuno si è mai svegliato per raccontarci se sia stata una esperienza particolarmente gradevole (dipende dalla causa della morte).
Se, invece, ci si suicida, scegliendo il calibro giusto (io suggerisco il cal. 45 in canna da 5") e la giusta postura (molti la sbagliano), la morte è immediata e praticamente indolore; però non è certo un bello spettacolo per chi trova il cadavere.
L'ideale sarebbe una iniezione sedativa seguita da una iniezione letale; ma, per questo, temo che bisognerà attendere il IV millennio!

***
ALLEGRIA, ed un saluto a tutti! :)

bobmax

Quello che hai descritto nei suoi vari aspetti, Eutidemo, è il suicidio così come siamo soliti intenderlo: la morte fisica auto inflitta.

Esiste tuttavia un "suicidio" che non implica la morte fisica.
Si tratta sempre di morire, ma morire a se stessi.

È la morte dell'io.

Può sembrare impossibile riuscire ad andarsene continuando a esserci...

E forse un "suicidio" di questo tipo è davvero impossibile al 100%.
Non riusciamo mai ad ammazzarci proprio del tutto...

Ma anche solo per quel poco che otteniamo, vale la pena provarci.


(Almeno si evitano le tante complicazioni che hai abilmente considerato... ;) )
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Ottima disanimina della fenomenologia suicidaria in cui brilla per la sua assenza proprio ciò che in questa sede dovrebbe avere lo scettro, ovvero l'aspetto metafisico: essere o non essere, cui bobmax accennando all'io pone una veloce toppa meritevole di maggiore focalizzazione. E' pur vero che Eutidemo non trascura la cosa, ma la pone sotto l'ombrello dell'aspetto religioso che, per l'eterodirezione della sua legge divina, è piuttosto in contrapposizione che in esplicazione della tradizione filosofica antica e moderna occidentali e di quella orientale. Etica e giuridica sono epifenomenici, e rimandano a paradigmi filosofici a priori che vanno discussi.

Nel pensiero classico piuttosto che la posizione di Sansone, fattosi attore di una vendetta divina nella mitologia ebraica, vale la figura di Socrate che pone la polis al di sopra della sua stessa critica e della sua vita. Gli ateniesi, cominciando da coloro che lo condannarono, gli offrirono alternative alla morte ma la sua maieutica e la mitologia platonica non gli lasciarono scampo. Toccherà ad altri sgravare la filosofia ateniese di nuovi pargoli, tra cui Epicuro e la sua eudemonia citata pure da Eutidemo con cui si tocca finalmente le questione metafisica suicidio.

Questione metafisica arroccata nell'ultima thule ontologica ancora presidiata dalla filosofia nella versione autoreferenziale dell'essere, ovvero quell'esserci gettato nel mondo che riconosce se stesso (io/uno) attraverso un processo psichico che riconosce il suo soma (il nessuno pirandelliano) come parte integrante e non separabile di tale io. L'esercizio della sovranità su tale ambaradan è sempre stato messo in discussione dai centomila che si sono arrogati, con le più varie motivazioni - alcune più fondate altre più strumentali - dei diritti su di esso. Il suicidio pone fine a questo gioco delle parti ripristinando l'unità primigenia tra psiche e soma, riconsegnandone tutti i diritti al legittimo detentore fin dalla nascita.

Di ciò tennero conto anche i tiranni dell'antichità quando, come nel caso di Seneca, offrirono ad esso l'opzione della sua esecuzione, ricalcando, con un surplus di malvagità che non ne muta il senso metafisico, le orme della morte di Socrate. Tale maieutica filosofica conserva la sua validità anche nell'epoca attuale e costituisce un punto di riferimento metafisico, etico e giuridico inaggirabile.

Con il suicidio si afferma anche un principio sempre conculcato dai centomila intrusori, ovvero la natura libera di tale gesto. Libera nel come, quando e perchè (finale) . Non nel che e perchè (causale), diritti inalienabili della natura e del fato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Eutidemo

#3
Ciao Bobmax.
Sicuramente esiste  un "suicidio" che non implica la morte fisica: la morte dell'"io" individuale.
Ed invero, almeno secondo la concezione Vedanta (e non solo) il senso dell'"Io", detto anche Jiva, ci dà la percezione di essere qualcuno; una specifica onda che esiste nel mare dell'ESSERE.
Non è un'illusione vera e propria, però può portarci lontano dal nostro vero Sé e farci sentire separati  dalla nostra vera essenza, da  Dio, dalla coscienza, da tutto ciò che è.
Il senso di identità che chiamiamo "ego" è lì per aiutarci a capire che non siamo quello, ma qualcosa di più grande, ciò che chiamiamo  Anima  o Sé Superiore o Dio.
D'altronde, non un guru indiano, ma lo stesso San Paolo scrive che siamo tutti destinati ad ESSERE UN SOLO SPIRITO CON DIO.
Ma, secondo me, riuscirci avendo ancora indosso un corpo fisico, è quasi impossibile, salvo che:
per i veri mistici;
per un tempo brevissimo
Un saluto

Eutidemo

Ciao Ipazia. :)
Hai perfettamente ragione, ma io mi ero "volutamente" limitato ad esaminare solo l'aspetto "fenomenico" della questione; circa l'aspetto "noumenico" (che tu chiami "metafisico"), secondo me occorrerebbe aprire un TOPIC a parte. 

***
Hai anche ragione nel dire che l'aspetto etico e quello giuridico sono "epifenomenici", e che, quindi, rimandano a paradigmi filosofici a priori che andrebbero discussi a parte.

***
Sei stata anche bravissima a ricordare la figura di Socrate che pone la "polis" al di sopra della sua stessa critica e della sua vita; gli ateniesi, cominciando da coloro che lo condannarono, gli offrirono alternative alla morte ma la sua maieutica e la mitologia platonica non gli lasciarono scampo.
Io ho citato Sansone, così come il Siracide e Qoèlet, perchè stavo trattando l'aspetto biblico, e non quello filosofico; che è ben diverso.

***
Sottoscrivo in pieno anche la tua successiva icastica formulazione, per la quale il suicidio riconferma l'unità primigenia tra psiche e soma, riconsegnandone tutti i diritti al legittimo detentore fin dalla nascita;  il suicidio, invero, abbatte la prigione, per la quale il "sóma" (corpo), diviene la "séma" (tomba) del libero SPIRITO in esso racchiuso.

Un saluto! :)

bobmax

Tuttavia, Eutidemo, se accettiamo che sicuramente esiste la possibilità della morte dell'io individuale...
Dovremmo trarne le inevitabili conclusioni.

Perché la morte dell'io consiste nella morte della volontà propria.

Di modo che se consideriamo questo "suicidio" come il risultato di un atto di volontà, avremmo l'assurdità di una volontà che vuole non volere!

Abbiamo pertanto che necessariamente la morte dell'io non è frutto della volontà. Ovvero avviene, se avviene, a prescindere da chi poi muore...

Ma ciò può avere una sola spiegazione: l'io non è mai esistito.

E la stessa libera volontà che lo faceva essere è solo un'illusione.

Perciò, pure il suicidio fisico non è mai il frutto di volontà individuale.
Semplicemente lo Spirito così ha deciso.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: bobmax il 01 Ottobre 2019, 22:07:58 PM
Di modo che se consideriamo questo "suicidio" come il risultato di un atto di volontà, avremmo l'assurdità di una volontà che vuole non volere!

Assurdità è identificare il soggetto autocosciente con la sua volontà.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Eutidemo

Ciao Bobmax. :)
Tu dici che, se consideriamo il "suicidio" come il risultato di un atto di volontà, avremmo l'assurdità di una volontà che vuole non volere; di qui ne deriverebbe  che necessariamente la morte dell'io non è frutto della volontà. 
A mio parere, a parte il fatto che si tratterebbe più di un "paradosso" che di una "assurdità", a me sembra che il tuo sia un ragionamento un po' sofistico.
Ed infatti, sarebbe come dire se consideriamo il "suicidio" come l'atto compiuto da un essere "vivo", avremmo l'assurdità di un essere "vivo" che vuole non "vivere"; e di qui ne deriverebbe  che necessariamente il "morto" non era "vivo" prima di uccidersi.
Il che, a parte l'aspetto metaforico, non è logicamente e fisicamente possibile.
Allo stesso modo, se io, da vivo "voglio" morire, e quindi mi suicido, una volta morto, poi, non "voglio" più niente; ed in questo non riscontro alcuna contraddizione.

***
Leggermente diversa, e non necessariamente consequenziale, è la tua successiva affermazione per la quale la stessa libera volontà è solo un'illusione; perciò, pure il suicidio fisico non è mai il frutto di volontà individuale.
Al riguardo, secondo me, occorre considerare due aspetti: "in senso lato", uno "fenomenico" ed uno "noumenico".

***
ASPETTO FENOMENICO
Proprio adesso ho appena terminato di leggere un interessantissimo libro di Susan Blackmore, che approccia il tema sotto l'aspetto "psicologico" (""Consciousness" Ed. OXFORD UNIVERSITY PRESS); la quale propende, sebbene non del tutto, per la cosiddetta "TEORIA DEI FASCI MENTALI".
Secondo questa teoria una "persona" non è altro che un "fascio di stati mentali" o "pensieri", per cui l'IO individuale, di cui crediamo di avere COSCIENZA, ed in base al quale "vogliamo" una cosa o un'altra, è una mera ILLUSIONE.
Le "persone", secondo questa prospettiva, non sarebbero quindi "sostanze" portatrici di proprietà mentali (coscienza, memoria, volontà), ma sarebbero, invece gli stati mentali ed i pensieri stessi!
Questa teoria, però, a mio avviso, incontra subito un'obiezione difficile da superare:
- stando ad essa, infatti, "io" sono esclusivamente i "miei pensieri";
 - quindi se ne dovrebbe concludere che "è il fascio dei miei pensieri che pensa".
Però, sostenere che "i miei pensieri pensino", non è una affermazione molto logicamente perspicua; sarebbe come dire che a parlare sono le mie parole, e non "io" che le pronuncio.

***
ASPETTO NOUMENICO
Sotto il profilo "noumenico", cioè, non di ciò che si manifesta, ma di ciò che "è", secondo me l'IO INDIVIDUALE non è affatto un'illusione: "esiste" eccome!
"Esiste", però non "è", in quanto non corrisponde alla REALTA' ultima, di cui è un mero epifenomeno.
Per riprendere un esempio che faccio spesso, non si certo può negare che esistano le singole "onde" del mare, ciascuna con le sue "non illusorie" e specifiche caratteristiche; non si tratta certo di un mero "miraggio"!
Esse "esistono" come fenomeni, ma, in SOSTANZA, esse "sono" MARE.
Il mare si manifesta con le onde,ma queste, prima o poi tornano mare:
- o prendendo coscienza del SE', tramite l'annullamento della(e) volontà dell'IO, da vivi, cosa in verità molto difficile, ammesso che sia possibile;
- ovvero, più semplicemente, morendo fisicamente.
Ma, ovviamente, questa è solo la mia particolare visione della realtà ultima, che non posso certo dimostrare in alcun modo; e di cui, ad essere sincero, non sono sicuro al 100% neanch'io.

Un saluto! :)

bobmax

Citazione di: Ipazia il 02 Ottobre 2019, 06:55:08 AM
Citazione di: bobmax il 01 Ottobre 2019, 22:07:58 PM
Di modo che se consideriamo questo "suicidio" come il risultato di un atto di volontà, avremmo l'assurdità di una volontà che vuole non volere!

Assurdità è identificare il soggetto autocosciente con la sua volontà.

L'autocoscienza consiste nell'oggettivazione del proprio io. Il quale si manifesta proprio in quanto volontà.

Nessuna volontà, nessuna oggettivazione, nessun io.

Se non voglio, non soffro più, non godo più... resta la sofferenza, il godimento, ma non vi è più nessuno che soffre o che gode.

Vi è coscienza, ma non vi è più un io.

È la divina commedia.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

#9
La volontà in sè non può volere nulla perchè non esiste. Essa esiste solo come attributo di un essere vivente autocosciente. Così come i 5 sensi, i sogni e ogni attività fisica o mentale.

La relazione tra volontà e suicidio è importante perchè ad un certo stadio evolutivo un animale autocosciente si è reso conto che se la vita gli era stata data, poteva pure togliersela. Bastava un atto di libera volontà sull'unico ente di cui avesse, una volta liberato da indebite intrusioni esterne, piena sovranità: se stesso. Tale consapevolezza penso sia stata, e continui ad essere, il grado più alto del libero arbitrio conseguito evolutivamente.

Questo animale, tutte le mattine al risveglio, se è libero da feticci mentali, può chiedersi: voglio vivere o voglio morire ?

Una grande conquista, che come tutte le conquiste di libertà terrorizza i bigotti di ogni setta. Di quelle religiose perchè è l'anticamera della trasgressione, del peccato e del male, di quelle laico-scientiste perchè c'è il rischio che qualcosa sfugga al potere dei competenti e degli esperti.

Citazione di: bobmax il 02 Ottobre 2019, 08:51:47 AM
L'autocoscienza consiste nell'oggettivazione del proprio io.

Invece io direi che l'autocoscienza consiste nel suo etimo, di cui oggettivazione e io sono categorie che andrebbero accuratamente definite e sulle quali le controversie filosofiche ed epistemologiche sono più accese che al tempo della disputa sui massimi sistemi del mondo. Un animale acquista coscienza di sè: evento evolutivo trasparente che non riguarda solo la nostra specie.

CitazioneIl quale si manifesta proprio in quanto volontà.

A questo punto uno dovrebbe spiegare quanta volontà si manifesti nei sogni, nell'attrazione sessuale, nel buco allo stomaco, nella sete. Il nostro io, sfrondato da tutto il ciarpame patafisico che lo sovrasta, si manifesta in infiniti modi che Schopenauer non conosce.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Eutidemo

Ciao Bobmax. :)
E' vero che l'autocoscienza consiste nell'oggettivazione del proprio io; il quale, però, si manifesta non solo in quanto volontà, ma anche in quanto memoria e pensiero.

***
Quanto alla tua "consecutio" "nessuna volontà, nessuna oggettivazione, nessun io", io la ribalterei così: "nessun io, quindi nessuna oggettivazione, nessuna volontà e nessuna sofferenza".
Ma da vivi non mi sembra una cosa tanto facile da realizzare; mentre, con un colpo ben piazzato in testa, la realizzi immediatamente!

***
"Soffrire" e "godere" sono due verbi, per cui, se manca il soggetto, tali locuzioni costituiscono un mero "flatus vocis" senza alcun significato; cioè ci deve essere per forza qualcuno che soffre o gode, altrimenti la sofferenza ed il godimento, in concreto, non possono esistere (salvo che, ovviamente, a livello meramente astratto e concettuale...ovvero a livello noumenico del SE', come dirà più avanti).
Se restiamo al livello fenomenico, sarebbe come dire che possono esistere in concreto il solletico ed il prurito, senza nessuno che li subisca.

***
Tu dici: "Se non voglio, non soffro più, non godo più"; mi dispiace, ma non ci credo!
Ad esempio, se ti praticano il "waterboarding", anche se tu non vuoi, ti garantisco che soffri lo stesso; ed anche molto! 
"Tu" come individuo!

***
Poi dici: "resta la sofferenza, il godimento, ma non vi è più nessuno che soffre o che gode"; ma, come ho detto, è un controsenso, perchè non possono esistere il solletico ed il prurito, senza nessuno che li subisca.

*** 
Infine dici: "vi è coscienza, ma non vi è più un io".
Questo, per le considerazioni di cui sopra, è "fenomenicamente" impossibile, perchè se c'è coscienza c'è sempre un "io".

***
A livello noumenico, invece, anche se non c'è più la coscienza individuale dell'"IO" (o in seguito alla morte o all'anestesia totale), la sottosante coscienza universale del "SE" è sempre presente: quella c'è sempre, prima, durante e dopo lo spegnersi della vita fisica, nella quale era effimeramente emerso un '"IO" individuale, destinato a smorzarsi come un onda nel mare.

*** 
Satchitananda: Sat come essere, Chit come consapevolezza e Ananda come beatitudine, ecco le tre qualità del Reale.
Ma non bisogna mai confondere i livelli dell'"esistente fenomeno" e del "reale noumeno"; un conto è la trama, ed un altro conto è l'ordito.

Un saluto! :)

Eutidemo

L'uno è in tutti i numeri, ma non corrisponde a nessuno dei numeri.

viator

Salve Eutidemo. Citandoti : "Le "persone", secondo questa prospettiva, non sarebbero quindi "sostanze" portatrici di proprietà mentali (coscienza, memoria, volontà), ma sarebbero, invece gli stati mentali ed i pensieri stessi!
Questa teoria, però, a mio avviso, incontra subito un'obiezione difficile da superare:

- stando ad essa, infatti, "io" sono esclusivamente i "miei pensieri.
 - quindi se ne dovrebbe concludere che "è il fascio dei miei pensieri che pensa"
Le persone non sono fatte nè di sostanza nè di "stati mentali". La sostanza delle persone sono i corpi, gli stati mentali delle persone  sono le psiche e le menti.
Le persone consistono in una "FORMA INTRINSECA" (è questa la corretta denominazione di ciò che viene chiamato anima o spirito dai metafisici e dai fideisti - infatti la FORMA è concetto contemporaneamente FISICO (forma estrinseca =la geometria di qualcosa) e METAFISICO (forma intrinseca = l'insieme delle relazioni funzionali, dei reciproci rapporti che vigono tra i componenti di qualcosa).
Quindi, in effetti, io come persona sono solamente la mia FORMA INTRINSECA, cioè la componente metafisica di me stesso, cioè il modo (LA FORMA) in cui risultano organizzate le strutture e funzioni che mi permettono di essere cosciente e di pensare.
Quindi nessuna contraddizione poichè non saranno i miei pensieri a pensare, bensì sarà la mia FORMA  a pensare. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

bobmax

Ciao Eutidemo,
le tue critiche sono di buon senso. Tuttavia, nell'affrontare una questione come la morte dell'io, è proprio ciò che dice il buon senso che dovremmo mettere in discussione.
Occorre cioè cercare di vedere come le cose davvero stanno, senza dare per scontato nulla!
Se diamo per possibile la morte dell'io, non possiamo poi pretendere di lasciare inalterati e indiscussi i cardini della nostra interpretazione della realtà...
 
Il fatto che l'io possa morire è un terremoto che scompagina ciò che davamo per "ovvio".
E questa rivoluzione implica necessariamente la nascita di nuovi concetti che possono risultare folli, assurdi. Ma che non dovrebbero essere rifiutati a prescindere, senza una disanima: resteremmo nel nostro tranquillizzante ovvio, senza cogliere l'occasione.
 
Inizierei con una considerazione sul "volere di volere".
Qui vi è infatti un paradosso, perché constato che non sono in grado di volere di volere!
Cioè non posso determinare la mia stessa volontà!
Non posso decidere di volere oppure non volere, ma voglio o non voglio e ciò non dipende da me.
Può sembrare un discorso di lana caprina, o come tu dici "sofistico", ma sono convinto sia invece fondamentale.
Perché questa mia incapacità, è evidente anche in altre mie manifestazioni che ritengo essere espressione di me stesso. Per esempio l'amore. Non sono in grado di voler amare, ma amo o non amo... non dipende da me.
Il tuo esempio di un "vivo" che vuole morire non mi sembra invece pertinente, perché non è in discussione il "volere" in quanto tale.
 
Viceversa, "volere di non volere" (da intendersi come la volontà di annichilire la propria stessa volontà) è un assurdo (non un paradosso).
Perché nel momento in cui questa volontà si dovesse manifestare... già dovrebbe estinguersi.
La morte dell'io è la morte della sua supposta volontà.
Cosa causa però questa morte?
Se avviene, ed è evidentemente impossibile come atto della stessa volontà, vuol dire che o interviene un fattore esterno che annichilisce la volontà individuale oppure, più semplicemente, questa volontà "individuale" non c'è mai stata; ma è stata erroneamente interpretata come tale, mentre in realtà si è sempre trattato solo del manifestarsi delle leggi fisiche che agiscono sul corpo.
Propenderei per la seconda ipotesi, in quanto la prima complica le cose a mio parere inutilmente.
 
Tu però dici che l'io si manifesta pure attraverso i propri pensieri, o la sua memoria.
 
Ecco nella cosiddetta"TEORIA DEI FASCI MENTALI" può già intravedersi in quale prospettiva dovremmo metterci assumendo la possibilità della morte dell'io.
Perché non vi è nessuno che pensa, ma vi è il pensare. (così come il soffrire, il godere...)
 
Per rendercene conto dovremmo considerare in cosa consiste per davvero l'esistenza.

Perché l'esistenza, se la guardiamo per quello di cui abbiamo effettiva esperienza... è comunicazione. Ed è soltanto comunicazione. Ciò che esiste, è pura comunicazione. E la coscienza, è coscienza di questa comunicazione.
(riporto qui sotto quanto ho già scritto in altro post relativamentealla comunicazione)

Siamo soliti considerare la comunicazione come il trasferimento di informazioni tra entità.
Queste entità sono i poli che trasmettono e ricevono le informazioni attraverso la comunicazione.
Questo paradigma è pressoché universalmente accettato, come ovvio.
 
Tuttavia sono viceversa dell'idea che l'autentica comunicazione sia ben altro.
Se infatti teniamo ferma la nostra fede nella Verità, e quindi la nostra fede nell'Uno, possiamo constatare come la comunicazione non abbia affatto la funzione di fare interagire dei poli (entità), che in se stessi in realtà non hanno mai una reale consistenza...
No, la comunicazione è la stessa esistenza che si manifesta!
 
Ciò che esiste, per davvero, è la stessa comunicazione, pura comunicazione.
Che per manifestarsi si avvale di poli, che tuttavia non esistono di per sé stessi, ma sono solo funzionali allo scopo.
D'altronde, potrà mai la verità essere presente qui ma non là?
 
Molte cose vi sarebbero ancora da dire, ma ho già scritto troppo.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve Bobmax. E' possibile che per te, per me, per molti l'esperienza della comunicazione sia talmente importante da impedirci di riuscire a concepire una esistenza (UMANA - per quelli come te sembra che l'esistere sia affare esclusivamente umano !), ma ciò non dimostra certo l'impossibilità di poter umanamente esistere in assenza di comunicazione.

Questa sarebbe una umana illusione dovuta alla umana limitatezza e generante la caduta del senso delle relazioni umane, indispensabili a così tanti. Restiamo pertanto nel solco delle infinite incapacità umane. La prima delle quali - guarda caso - riguarda una situazione abbastanza simile a quella della impossibilità comunicativa :

Si tratta dell'invincibile incapacità - che riguarda indistintamente ciascuno di noi - generata dalla visione solipsistica.

Cioè dalla nostra incapacità di concepire il mondo privo di noi stessi. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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