Dei pregiudizi dei filosofi

Aperto da donquixote, 24 Novembre 2019, 09:41:21 AM

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donquixote



Le critiche mosse da Nietzsche ai filosofi e ai metafisici nel primo saggio di "Al di là del bene e del male" intitolato appunto "Dei pregiudizi dei filosofi" sono quelle di coltivare il "pregiudizio" che esista la verità e che questa sia comprensibile dall'uomo. Questo è, del resto, il "pregiudizio" o meglio l'assunto di fede che consente ai filosofi di essere tali, ovvero di andare alla ricerca della verità, poiché se si parte dal presupposto contrario nessuna ricerca potrebbe esistere e non esisterebbe ad esempio nemmeno la scienza visto che nessuno vorrebbe andare alla ricerca della falsità poiché questa se la può inventare da solo. Tale assunto pare abbia retto almeno fino a quando lo stesso Nietzsche ha, come dicono i critici, distrutto ogni metafisica in occidente (anche se Heidegger smentisce questa visione definendolo "l'ultimo metafisico"), ma la negazione di tale "pregiudizio" è anche la negazione dell'uomo stesso, che per natura ha sempre inseguito il sapere, come diceva Aristotele. In ogni caso tale pregiudizio, ammesso (e non concesso) che lo sia veramente e non sia nei fatti solo un necessario strumento intellettuale, non potrà mai essere smentito poiché sarà impossibile mostrare a chiunque che la verità esiste ed è comprensibile come anche che non esiste, e la sua negazione sostituisce la nozione di verità con quella di "utilità" che è di fatto un pregiudizio di secondo livello, estremamente arbitrario (chi decide cosa è utile? Per chi? Se qualcosa è utile a qualcuno e dannoso per altri cosa prevale?) e ha fatto danni immensi negli ultimi secoli.

La critica di Nietzsche pare comunque rivolta in particolar modo a Kant (e poi anche a Spinoza) tanto che cita due o tre concetti chiaramente inventati da lui (ad es. i giudizi a priori, la cosa in sé, l'imperativo categorico) e in generale ai filosofi "sistematici" che andavano tanto di moda ai suoi tempi e che sicuramente erano ben dotati dei pregiudizi illuministi e scientisti che animavano quell'epoca. Ma questo non significa che "tutti" debbano avere dei pregiudizi, anche se tutti devono necessariamente partire, per poter ragionare, da premesse vere o almeno ritenute tali. Si tratta eventualmente di discutere la verità di tale premesse e confutarle, se si riesce e se si è animati da un serio desiderio di esprimere un pensiero di verità. Del resto in quelle poche pagine lo stesso Nietzsche fa proprio un pregiudizio tipico della sua epoca quando afferma: «La falsità di un giudizio non è ancora, per noi, un'obiezione contro di esso; è qui che il nostro linguaggio ha forse un suono quanto mai inusitato. La questione è fino a che punto questo giudizio promuova e conservi la vita, conservi la specie e forse addirittura concorra al suo sviluppo». Questo della lotta per la sopravvivenza (e addirittura dello sviluppo) della specie è un pregiudizio tipicamente darwiniano e malthusiano molto in voga nella seconda metà dell'ottocento, e Nietzsche pur consapevole della sua falsità  e conseguentemente all'assunzione del già citato concetto di utilità in luogo di quello di verità lo pone a paradigma per l'espressione dei giudizi, di cui non è dunque interessato alla veridicità ma solo alla loro funzionalità ad uno schema che abbia a fondamento tale paradigma.

Se quindi Nietzsche nega, inizialmente, che possa esistere una verità e qualunque giudizio è frutto di pregiudizio, poi però nel corso della sua evoluzione intellettuale si trova ad esprimere tali verità, addirittura in forma evangelica. Se dunque il "pregiudizio" che critica Nietzsche all'inizio è necessario per lo stesso darsi dell'esistenza di un pensiero  che abbia senso, ogni pensiero che voglia affermare una verità deve partire da premesse certe e vere (secondo il sillogismo aristotelico), e queste sono i veri "pregiudizi"; si tratta solo di riconoscere quelli falsi e distinguerli da quelli veri, e se è vero che la quasi totalità degli intellettuali (e lo vediamo molto bene oggi) tende a condividere le idee che vanno di moda nella propria epoca bisognerebbe anche, fra questi, fare la distinzione tra coloro che sono sinceramente convinti della veridicità di tali idee e coloro che le portano avanti solamente per poter essere accettati all'interno di un determinato gruppo che consenta loro di aumentare il proprio consenso, il proprio prestigio, i propri guadagni o la propria "onorabilità". Quelli che piegano le idee ai propri "interessi personali", qualsiasi essi siano e non è nemmeno il caso di individuarli esattamente, si distinguono da quegli altri perché semplicemente non sono in grado di sostenere tali idee e non fanno altro che rifiutare a priori ogni verità alternativa, spesso con argomenti risibili e inconsistenti, quando non addirittura insultanti.

Gli altri, ovvero quelli apparentemente dotati di onestà intellettuale e sinceramente convinti delle idee che professano,  sono solo una variabile dei primi e se pur sono in grado di ragionare correttamente e di giustificare logicamente le proprie asserzioni non riescono comunque ad andare oltre le basi, ovvero i pregiudizi, da cui sono partiti per costruire il ragionamento: in pratica utilizzano, più correttamente di altri, la logica aristotelica, ma questa afferma che se anche il procedimento è corretto quando le premesse sono errate anche la conclusione lo sarà (è il caso ad esempio di Kant). Questi pregiudizi (non sono i medesimi per tutti ovviamente, anche se la gran parte sono condivisi) non sono messi in discussione praticamente da nessuno, e Nietzsche li chiama "istinti" in quanto sono talmente radicati nella coscienza individuale da apparire quasi innati (ma anch'essi sono ultimamente giudizi falsi, solo più profondi ma ugualmente falsi, come quelli concernenti la morale; del resto per quanto profondamente radicata possa essere una falsità questa non perde di per sé la sua natura). Poi vi sono quelli, rarissimi a quanto pare, che sono in grado di effettuare un lavoro talmente profondo da riconoscere ogni loro pregiudizio (incluso ad esempio il significato delle parole che usano per esprimersi, poiché anch'esso è parte dei pregiudizi) e metterlo in discussione alla luce della verità, fino a giungere alla comprensione di qualcosa che si possa esprimere in giudizi incontrovertibili, incontestabili, assolutamente veri. Durante tale percorso intellettuale si fanno delle esperienze che alcuni definiscono ispirate, mistiche, intuitive, illuminanti, rivelative; esperienze intellettuali che cambiano totalmente il punto di vista e di conseguenza la prospettiva del giudizio sul mondo, che non viene più visto a partire dall'io personale e dai suoi istinti, dai suoi bisogni, dai suoi interessi, dai suoi tiramenti, dalla sua educazione e formazione, ma lo si vede per quello che è effettivamente, a prescindere da tutto quanto sopra, e si riesce quindi a verificare come spesso l'io si immagini, attraverso i propri pregiudizi, un mondo in contrasto e in conflitto con quello che effettivamente è. Se dunque è vero che nella quasi totalità dei casi gli intellettuali, e i filosofi in particolare in quanto teoricamente al livello più alto di tale categoria, sono animati da pregiudizi falsi e se ne innamorano talmente tanto da costruire intorno ad essi tutti i loro sistemi, è altrettanto vero che il "quasi" presuppone un numero, per quanto ridottissimo, di persone che non fanno parte di tale categoria, e anziché inventarsi delle tesi "originali" derivanti da banali suggestioni per alimentare il proprio ego e i propri pregiudizi trovando, come dice Nietzsche, degli argomenti a posteriori per giustificare un pensiero "personale" e individuale, proseguono la loro ricerca fino ad esprimere un pensiero universale, che prescinde da ogni pregiudizio ed è valido in tutti i luoghi e in tutti i tempi, al di là di ogni contingenza: un pensiero di verità.


In un punto del saggio Nietzsche scrive: «fanno tutti le viste d'aver scoperto e raggiunto le loro proprie opinioni attraverso l'autonomo sviluppo di una dialettica fredda, pura, divinamente imperturbabile (per differenziarsi dai mistici di ogni grado, che sono più onesti di loro e più babbei - giacchè parlano d' "ispirazione")» Poi però in "Ecce homo", a proposito di ciò che gli ha consentito di concepire  lo Zarathustra scrive: «...noi siamo soltanto incarnazione, soltanto strumento sonoro, soltanto medium di poteri che ci sovrastano. Il concetto di rivelazione, nel senso di qualcosa che, subitamente, con indicibile sicurezza e sottigliezza, si fa visibile, udibile, qualcosa che ci scuote e sconvolge nel più profondo, è la semplice espressione della verità. Si ode, non si cerca; si prende, non si domanda da chi ci sia dato; un pensiero brilla come un lampo, con necessità, senza esitazioni nella forma - io non ho mai avuto scelta. Un rapimento in cui la enorme tensione d'animo si risolve talvolta in un torrente di lacrime, in cui il passo involontariamente ora precipita, ora rallenta; un essere completamente fuor di sè stessi, con la percezione distinta d'una infinità di sottili brividi che ci scuotono fino alla punta dei piedi; una felicità profonda in cui il dolore e l'orrore non agiscono per ragione di contrasto ma sono parti integranti, indispensabili, sono come una nota di colore necessaria in quest'oceano di luce;  [...]Tutto avviene in modo involontario al massimo grado, ma come in un turbine di senso di libertà, di incondizionatezza, di potenza, di divinità. [...] Questa è la mia esperienza dell'ispirazione; non dubito che si debba tornare indietro di millenni per trovare qualcuno che possa dirmi "è anche la mia"». Da quanto scrive in "Al di là del bene e del male" sembra che l'onestà di coloro che definisce "mistici" stia nel confermare con il termine "ispirazione" quegli "istinti" di cui parlava prima che invece i "razionalisti" negano pretendendo l'oggettività, ma poi a quanto pare si mostra anche lui "onesto e babbeo", quindi a suo dire mistico, quando descrive come nasce l'opera sicuramente più importante che ha scritto, l'unica che abbia la dignità di poter essere tramandata, quella che egli stesso definisce "il regalo più grande che l'umanità abbia mai ricevuto". Gli psicologi e i pedagoghi (anche se lo possono notare i normali osservatori che non godono di tali qualifiche moderne) ci raccontano che l'uomo, normalmente, acquisisce il proprio carattere, la propria visione del mondo, la propria "moralità" e i propri schemi mentali a partire dalla più tenera età fino all'incirca alla maturità che coincide tecnicamente con il termine dell'adolescenza (18/20 anni) attraverso i meccanismi dell'identificazione, della ribellione, della proiezione eccetera, e poi li mantiene per il resto della vita servendosene per giudicare i fenomeni del mondo. Vi sono poi alcuni (gli "intellettuali", gli eruditi e i colti latu sensu) che di tali schemi mentali ne fanno un mestiere approfondendoli, utilizzandoli, analizzandoli e insegnandoli mentre altri, i pochissimi, li metteranno in discussione chiedendosi se tali schemi hanno una qualche connessione con la Verità che l'uomo ricerca da sempre: di questi ultimi faceva parte Nietzsche, che con il suo riflettere ha contribuito ad aprire la sua mente in modo da lasciare uno spazio in cui l'ispirazione (o intuizione, o illuminazione che dir si voglia) si è insinuata e gli ha dato modo di esprimere i discorsi dello Zarathustra.


Ogni "ispirazione" è diversa dalle altre, più o meno intensa, più o meno durevole, più o meno "ispirata"; può essere una luce che si accende per un certo periodo di tempo o una serie di lampi, di flash, che mostrano solo per un attimo, in momenti diversi, frammenti di verità. Questo secondo caso mi pare più  aderente a quella avuta da Nietzsche, che nello Zarathustra esprime verità taglienti e profondissime e poi le sviluppa a volte in maniera ingenua e a volte filtrandola attraverso pregiudizi falsi (tipo quello darwiniano) traendo deduzioni incomplete e superficiali con l'intento di dare sistematicità ad un pensiero che è evidentemente carente di un principio che unifichi tutte le sue intuizioni e le giustifichi in una visione complessiva (e a mio avviso questa è stata una delle ragioni alla base della sua pazzia).


Ogni pensiero è dunque frutto di un percorso, ogni pensatore ha una sua evoluzione che parte dall'educazione ricevuta e dalle suggestioni del mondo in cui vive e iniziando con la loro rielaborazione e il loro ripensamento giunge a compimento; dunque la critica ai filosofi, pur essendo in sé esatta nella quasi totalità dei casi, non è affatto applicabile a coloro che, anche se nell'accezione moderna possono essere comunque definiti tali, seguono un percorso intellettuale che da un certo punto in poi prende strade completamente diverse dagli altri, che portano fatalmente a destinazioni diverse: e per tutti costoro, il cui pensiero da orizzontale si eleva e si fa improvvisamente verticale, la destinazione è sempre la medesima perché coloro che hanno raggiunto la verità la riconoscono ovunque questa sia espressa: in ogni cultura, in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni pensiero, in ogni simbolo, e a loro volta si riconoscono tra loro, quando capita che si incontrano (non personalmente ma attraverso le opere e l'espressione del pensiero) anche se inevitabilmente la manifestazione di tale pensiero assumerà forme diverse a seconda del periodo, delle persone a cui è rivolto e alle caratteristiche di chi lo esprime. Ma la sostanza rimane la medesima. È molto più probabile che fornisca un'interpretazione corretta dello Zarathustra un induista o un buddhista  che non sa nulla di filosofia occidentale che non un occidentale che ha passato la vita a studiare Nietzsche; anzi un induista o un buddhista, o un saggio pellerossa (di quelli capaci, s'intende, non il primo che passa) sarebbero in grado di comprendere il pensiero di Nietzsche meglio di Nietzsche stesso e chiarirgli i punti oscuri e controversi, mentre la medesima cosa non potrebbe accadere con i famosi "filosofi" che Nietzsche critica nel suo saggio in quanto il loro pensiero possono comprenderlo soltanto loro e quelli che hanno preventivamente condiviso i medesimi pregiudizi e i medesimi schemi mentali da cui sono partiti per svilupparlo. Come accade ad esempio anche con la scienza, che non è nulla di "evidente" in sé e di cui si possono condividere le interpretazioni dei fenomeni e gli enunciati solo se si è scelto di condividere a priori i pregiudizi che la muovono e gli schemi di cui si serve.      


Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Ipazia

I miei due cents di prima lettura.

Il pre-giudizio, depurato di ogni connotazione moralistica, è l'orizzonte di verità da cui ogni pensiero e pansatore, grandi o piccoli che siano, parte per interpretare il mondo. La differenza tra piccoli e grandi è che questi ultimi allargano quell'orizzonte di verità, insieme al senso che l'accompagna.

Il relativismo nicciano si è affinato nel corso della sua vita, da tagliente che era si è rivolto contro se stesso incarnandosi in ogni suo scritto posteriore fino all'Ecce Homo che fornisce una pesante autocritica costellata di maschere ed ombre, ormai lontane dalle stelle danzanti dell'euforia zaratustriana.

Tutta la sua opera è testimonianza di verità, via via acquisita, discussa e superata. Dell'unica verità che ci è data, nel fluire dei suoi postulati che scienza e filosofia rimandano sempre al futuro, ma al tempo stesso agiscono nel presente. Dove anche la maschera diventa portatrice di verità e/o falsità in rapporto all'orizzonte di verità del suo tempo. Orizzonte che le verità di ordine superiore mantengono più a lungo nel tempo millenario della coscienza umana tramandata dalla memoria che chiamiamo cultura.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: donquixote il 24 Novembre 2019, 09:41:21 AM
ogni pensiero che voglia affermare una verità deve partire da premesse certe e vere (secondo il sillogismo aristotelico) [...] la logica aristotelica, ma questa afferma che se anche il procedimento è corretto quando le premesse sono errate anche la conclusione lo sarà
Mi permetto di ricordare che è possibile che sillogismi con premesse false abbiano come valida conseguenza una conclusione vera (quello che la logica non consente è che da premesse vere derivi, in un sillogismo valido, una conclusione falsa).
Per quanto riguarda la verità extra-empirica in filosofia, quindi a prescindere dal suo essere compilativo valore di predicati logico-scientifici, credo sia un elemento adeguatamente riformulato, demistificato, immanentizzato dalla post-metafisica, sebbene per comprendere le filosofie del passato sia indubbiamente necessario contestualizzarne il senso in un orizzonte metafisico greco-giudaico.
Mi pare che il filosofo odierno sia chiamato ad essere, ragionevolmente (non me ne voglia Severino), sempre più interprete della realtà e sempre meno cercatore di verità, ma questa mia prospettiva è viziata (come previsto dal circolo ermeneutico) dalla precomprensione che ho nella lettura della questione (in momentanea assenza di considerazioni ricalibranti, retroattive sul suddetto circolo).

viator

Salve. Secondo me solo i filosofi sciocchi intraprendono il loro cammino nelle speranza di imbattersi nella verità.
E' la stessa cosa che avviarsi fisicamente verso una destinazione che qualcuno o molti dicono che esista ma della quale nessuno sa descrivere il cammino per raggiungerla. Solo un imbecille può partire sulla base di tali informazioni.
Molto meglio - materialmente e filosoficamente - muoversi nella consapevolezza di voler solo andare a zonzo, trascurando inoltre pure sia i consigli di chi si trova lungo la nostra strada sia i cartelli indicatori "verità a km......". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

davintro

Citazione di: viator il 24 Novembre 2019, 17:05:15 PMSalve. Secondo me solo i filosofi sciocchi intraprendono il loro cammino nelle speranza di imbattersi nella verità. E' la stessa cosa che avviarsi fisicamente verso una destinazione che qualcuno o molti dicono che esista ma della quale nessuno sa descrivere il cammino per raggiungerla. Solo un imbecille può partire sulla base di tali informazioni. Molto meglio - materialmente e filosoficamente - muoversi nella consapevolezza di voler solo andare a zonzo, trascurando inoltre pure sia i consigli di chi si trova lungo la nostra strada sia i cartelli indicatori "verità a km......". Saluti.

quest'affermazione riguardo l'impossibilità per la filosofia di giungere a delle verità ( parlare di una verità coniugata al singolare presenterebbe delle ambiguità, e forse meriterebbe chiarimenti riguardo cosa si vorrebbe intendere in tale coniugazione) è vera o no? Se è vera dovrebbe ricadere nella categoria di "filosofia sciocca", se è falsa la sua validità si annulla da sé. Insomma, sarò "sciocco" ma non vedo proprio come un'impostazione scettica o relativista possa sostenersi di fronte a questo impasse logico. Ed è proprio la logica il "cammino" di cui si parla, il metodo filosofico come razionalità che non da nulla dogmaticamente per scontato e percorre la strada di ciò che consequenzialmente deducibile da delle evidenze originarie e indubitabili come i princìpi della logica classica. Che sono proprio i princìpi tramite cui il discorso relativista/scettico viene confutato come autocontraddittorio, nel suo da un lato negare ogni possibilità di conoscenza della verità e dall'altro affermare come "vere" le sue affermazioni scettiche o relativiste

bobmax

Citazione di: donquixote
È molto più probabile che fornisca un'interpretazione corretta dello Zarathustra un induista o un buddhista  che non sa nulla di filosofia occidentale che non un occidentale che ha passato la vita a studiare Nietzsche; anzi un induista o un buddhista, o un saggio pellerossa (di quelli capaci, s'intende, non il primo che passa) sarebbero in grado di comprendere il pensiero di Nietzsche meglio di Nietzsche stesso e chiarirgli i punti oscuri e controversi,

E ciò la dice lunga su di chi fosse davvero quel pensiero...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

donquixote

Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2019, 11:09:09 AMI miei due cents di prima lettura. Il pre-giudizio, depurato di ogni connotazione moralistica, è l'orizzonte di verità da cui ogni pensiero e pansatore, grandi o piccoli che siano, parte per interpretare il mondo. La differenza tra piccoli e grandi è che questi ultimi allargano quell'orizzonte di verità, insieme al senso che l'accompagna. Il relativismo nicciano si è affinato nel corso della sua vita, da tagliente che era si è rivolto contro se stesso incarnandosi in ogni suo scritto posteriore fino all'Ecce Homo che fornisce una pesante autocritica costellata di maschere ed ombre, ormai lontane dalle stelle danzanti dell'euforia zaratustriana. Tutta la sua opera è testimonianza di verità, via via acquisita, discussa e superata. Dell'unica verità che ci è data, nel fluire dei suoi postulati che scienza e filosofia rimandano sempre al futuro, ma al tempo stesso agiscono nel presente. Dove anche la maschera diventa portatrice di verità e/o falsità in rapporto all'orizzonte di verità del suo tempo. Orizzonte che le verità di ordine superiore mantengono più a lungo nel tempo millenario della coscienza umana tramandata dalla memoria che chiamiamo cultura.

Come Nietzsche, ultimo metafisico (vero, non certo "à la Kant"), possa essere definito relativista non si comprende proprio, salvo distorcere il concetto di "relativo" e assimilarlo al relativismo; al contrario essendo un "cercatore di verità" non può non tendere a qualcosa di assoluto, incontrovertibile, indubitabile. La "verità" che fluisce non può mai essere verità in quanto questa è da sempre ricercata per poterla porre a fondamento di tutto il resto, e una "verità" in divenire non può essere definita tale nemmeno nell'attimo preciso in cui la si afferma. E anche assimilare la cultura alla mera memoria storica (come se la cultura occidentale potesse al contempo conciliare il pensiero di Platone con quello di Popper) è una mera degenerazione del concetto di cultura.
In ogni caso il pensiero filosofico andrebbe valutato sulla base di quanta "verità" questo sia stato in grado di esprimere, ma il solo fatto che esiste una "storia della filosofia" che è una disciplina nata dall'abolizione del concetto di verità (o dalla sua estrema falsificazione) mostra come lo stesso Nietzsche avesse ragione quando criticava i pregiudizi dei filosofi spesso banali ed evidentemente falsi, che a quanto pare ora vengono nobilitati e definiti "orizzonti di verità". Come molti scienziati e intellettuali moderni che si inventano una teoria e poi elaborano un sistema appositamente ideato per poterla dimostrare, e se si imbattono in qualcosa che lo scardinerebbe semplicemente lo tralasciano bollandolo come insensato o inconsistente.


Citazione di: Phil il 24 Novembre 2019, 15:46:31 PMMi permetto di ricordare che è possibile che sillogismi con premesse false abbiano come valida conseguenza una conclusione vera (quello che la logica non consente è che da premesse vere derivi, in un sillogismo valido, una conclusione falsa). Per quanto riguarda la verità extra-empirica in filosofia, quindi a prescindere dal suo essere compilativo valore di predicati logico-scientifici, credo sia un elemento adeguatamente riformulato, demistificato, immanentizzato dalla post-metafisica, sebbene per comprendere le filosofie del passato sia indubbiamente necessario contestualizzarne il senso in un orizzonte metafisico greco-giudaico. Mi pare che il filosofo odierno sia chiamato ad essere, ragionevolmente (non me ne voglia Severino), sempre più interprete della realtà e sempre meno cercatore di verità, ma questa mia prospettiva è viziata (come previsto dal circolo ermeneutico) dalla precomprensione che ho nella lettura della questione (in momentanea assenza di considerazioni ricalibranti, retroattive sul suddetto circolo).

Mi sfugge come l'aggettivo "valido" possa essere sinonimo di "vero", nè come l'inserimento di tale attributo (che mi figuro utilizzabile solo nella "prassi" scientifica) possa modificare il senso del sillogismo aristotelico (che è un mero calcolo matematico applicato al linguaggio).
Credo che non si possa essere "interpreti della realtà" senza assumere dei parametri attraverso i quali "leggerla", ma se si abolisce la verità come parametro e ognuno utilizza legittimamente dei parametri di interpretazione personali allora, come si dice, "tutto è permesso".


Citazione di: bobmax il 24 Novembre 2019, 18:09:30 PME ciò la dice lunga su di chi fosse davvero quel pensiero...

Lo afferma del resto sinceramente lui stesso in Ecce Homo nella descrizione dell'ispirazione che ho citato. Per quanto in questa era sia difficile rendersene conto, vi sono persone che non esprimono il proprio pensiero ma sono solo strumenti espressivi della verità, e se il Nietzsche delle altre opere era un mero intellettuale quello dello Zarathustra era, come appunto disse lui stesso, criptico megafono della divinità.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Phil

Citazione di: donquixote il 25 Novembre 2019, 12:08:32 PM
Citazione di: Phil il 24 Novembre 2019, 15:46:31 PMMi permetto di ricordare che è possibile che sillogismi con premesse false abbiano come valida conseguenza una conclusione vera (quello che la logica non consente è che da premesse vere derivi, in un sillogismo valido, una conclusione falsa). Per quanto riguarda la verità extra-empirica in filosofia, quindi a prescindere dal suo essere compilativo valore di predicati logico-scientifici, credo sia un elemento adeguatamente riformulato, demistificato, immanentizzato dalla post-metafisica, sebbene per comprendere le filosofie del passato sia indubbiamente necessario contestualizzarne il senso in un orizzonte metafisico greco-giudaico. Mi pare che il filosofo odierno sia chiamato ad essere, ragionevolmente (non me ne voglia Severino), sempre più interprete della realtà e sempre meno cercatore di verità, ma questa mia prospettiva è viziata (come previsto dal circolo ermeneutico) dalla precomprensione che ho nella lettura della questione (in momentanea assenza di considerazioni ricalibranti, retroattive sul suddetto circolo).

Mi sfugge come l'aggettivo "valido" possa essere sinonimo di "vero", nè come l'inserimento di tale attributo (che mi figuro utilizzabile solo nella "prassi" scientifica) possa modificare il senso del sillogismo aristotelico (che è un mero calcolo matematico applicato al linguaggio).
Credo che non si possa essere "interpreti della realtà" senza assumere dei parametri attraverso i quali "leggerla", ma se si abolisce la verità come parametro e ognuno utilizza legittimamente dei parametri di interpretazione personali allora, come si dice, "tutto è permesso".
Di solito in logica si intende «valido» un sillogismo in cui c'è un'inferenza corretta fra le premesse e la conclusione, a prescindere dai rispettivi valori di verità (per approfondimenti c'è questo).
Interpretare non significa rinnegare il rigore logico, anzi, quanto più l'interpretazione si dimostra calzante e pertinente, tanto più è vincolata a ciò che interpreta, dovendo ridurre le proprie "licenze poetiche" (è lo stesso interpretandum a imporre dei limiti alle interpretazioni possibili). Si tratta di non confondere il molteplice (più interpretazioni possibili) con l'indiscriminato («tutto è permesso»).

viator

Salve davintro. La mia affermazione di scetticismo circa la verità (non LE verità) non è - dal punto di vista OGGETTIVO - nè vera nè falsa poichè appunto LA verità è una chimera oggetto di eventuale fede o dubbio del tutto SOGGETTIVI.

LA verità al singolare consiste in un puro concetto astratto (uno dei numerosi abiti mentali del concetto di ASSOLUTO) definibile, secondo me, come "ciò che esiste indubitabilmente".

Quindi vedi tu come considerare l'OGGETTIVAMENTE l'inesistente.

Per quanto riguarda invece LE verità, sopportiamone la convenzionale esistenza (diversamente non potremmo prendere alcuna decisione di prassi) tenendone ben presente - oltre alla loro convenzionatità (e CONVENZIONALE significa COLLETTIVAMENTE SOGGETTIVATO) anche la ovvia relatività.

Ovviamente tali considerazioni risultano valide pure per il concetto di REALTA'. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: donquixote il 25 Novembre 2019, 12:08:32 PM
Come Nietzsche, ultimo metafisico (vero, non certo "à la Kant"), possa essere definito relativista non si comprende proprio, salvo distorcere il concetto di "relativo" e assimilarlo al relativismo; al contrario essendo un "cercatore di verità" non può non tendere a qualcosa di assoluto, incontrovertibile, indubitabile.

Beh sai, uno che mette nero su bianco "non ci sono fatti ma solo interpretazioni, e anche questa è un'interpretazione" è difficile arruolarlo nella nutrita schiara dei cercatori di verità assolute.

CitazioneLa "verità" che fluisce non può mai essere verità in quanto questa è da sempre ricercata per poterla porre a fondamento di tutto il resto, e una "verità" in divenire non può essere definita tale nemmeno nell'attimo preciso in cui la si afferma. E anche assimilare la cultura alla mera memoria storica (come se la cultura occidentale potesse al contempo conciliare il pensiero di Platone con quello di Popper) è una mera degenerazione del concetto di cultura.

Quando ci siamo presi il lusso di verità assolute non è che la cultura, e non solo il suo concetto, sia degenerata di meno.

CitazioneIn ogni caso il pensiero filosofico andrebbe valutato sulla base di quanta "verità" questo sia stato in grado di esprimere, ma il solo fatto che esiste una "storia della filosofia" che è una disciplina nata dall'abolizione del concetto di verità (o dalla sua estrema falsificazione) mostra come lo stesso Nietzsche avesse ragione quando criticava i pregiudizi dei filosofi spesso banali ed evidentemente falsi, che a quanto pare ora vengono nobilitati e definiti "orizzonti di verità". Come molti scienziati e intellettuali moderni che si inventano una teoria e poi elaborano un sistema appositamente ideato per poterla dimostrare, e se si imbattono in qualcosa che lo scardinerebbe semplicemente lo tralasciano bollandolo come insensato o inconsistente.

Bastassero quattro intrugli concettuali per creare "orizzonti di verità" secolari o millenari saremmo messi ancora peggio di quanto siamo. Per fortuna la realtà ha i suoi filtri atti a discriminare le corbellerie più grossolane e sopravvive solo ciò che realmente vale nella e per la sua epoca. Più o meno lunga nel tempo. E' vero che oggi i tempi di permanenza delle teorie si sono drammaticamente accorciati, ma continuiamo a vivere su verità millenarie che dobbiamo soltanto attualizzare. Questa permanenza costituisce un parametro di verità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#10
@donquixote
Ottimo argomento , anche se lungo e prolisso per me.
Qualcosa però mi pare di avere acchiappato , e cerco qui di sviluppare il mio punto di vista.

Partiamo da qui.

Se è vero A allora ne segue che è vero B.

Diciamo che questa è...la madre di tutte le affermazioni ...

La definizione di verità è chiusa dentro questa affermazione matematica?
Non resta che estrarla.

Si afferma in sostanza che esistono affermazioni all'apparenza diverse , ma in effetti equivalenti.
Esistono cioè modi diversi di dire la stessa cosa , e ciò è dimostrabile.

Non si dice però che esistono affermazioni vere in modo incondizionato

In termini di definizione di verità non siamo riusciti rispetto alle nostre aspettative ad estrarre un gran che' dalla madre di tutte le affermazioni .
Ma se a ciò non serve a cosa serve questa affermazione madre?
Perché essa non sia un puro esercizio formale occorrerà dire che è utile avere diversi punti di vista sulla stessa cosa.Il punto A piuttosto che il B , etc.....
Utilita' non e' però alternativa a verità, come tu ben dici , ma da quanto sopra detto si capisce forse da dove nasce questo scorretto meccanismo di sostituzione.
Noi sappiamo che la madre di tutte le frasi, pur avendo un puro aspetto formale , non perciò risulta un vuoto passatempo , se è vero che la matematica risulta cruciale , se non per l'evoluzione dell'uomo , cruciale nel comprenderne l'essenza , o , se si vuole debordare , secondo me impropriamente , nel comprendere l'essenza del mondo.
La madre di tutte le affermazioni non ci dice cosa è la verità, in quanto è essa stessa un pregiudizio , perché non esistono affermazioni che non siano pregiudizi , e a questa sorte non sfugge dunque la frase di tutte le frasi.
La frase alla quale , per nostra libera scelta , conformiamo tutte le altre , non perciò gode di particolari privilegi.
Se è vera la madre di tutte le affermazioni , allora è vera la scienza.
Ma la madre di tutte le frasi non è vera , e la verità della scienza rimane perciò sempre sospesa.
Quindi mi rimangio qui l'aver sostituito io in altri contesti  , come molti altri , utilita' a verità , e tengo per me certe intuizioni illuminanti che questa discussione pur mi ha portato , per non fare la figura del sincero babbeo , anche se temo questa dovrebbe essere la massima metà di ogni filosofo.
Non mentire a se stessi , o meglio , più propriamente , non costruire pregiudizi ad arte , perché ciò non distinguerebbe il filosofo da matematico , che infatti perciò una volta distinti non erano.
Ognuno di noi è esso stesso un libero pregiudizio, libero perché con l'illusione dell'autoderterminaziome , presto smentita dall'inevitabile quota di conformazione al tempo e al luogo.
Tutto quello che possiamo fare è non tradire questa illusione, fosse anche solo perché ciò ci consente di esporre le stesse cose in altri termini , secondo diversi punti di vista , anche quando la parte che recitiamo ci sia stata assegnata dal caso.
Tutto quello che possiamo fare è recitare bene la nostra parte , e l'unico modo per farlo è crederci.
Ma se pure noi , come i pregiudizi, siamo figli della storia , a seconda di come là si scrive  i pregiudizi nella storia non sembrano tutti uguali , al punto che a turno alcuni vengono creduti veri.
La verità dunque deriva da quella fantastica e meravigliosa debolezza  umana che è la capacità di credere , dove credere nella parte che si recita rende vera la rappresentazione, almeno per il tempo che dura.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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