Cultura e controcultura

Aperto da cvc, 16 Maggio 2016, 09:10:47 AM

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cvc

Su cosa sia la cultura, tutti quanti ne abbiamo un'idea più o meno chiara. Ma la controcultura? Il termine suona piuttosto bizzarro, qualcuno potrebbe pure averne sentito parlare poco o niente. Eppure è un concetto che circola già da tempo. Non è una di quelle parole chiave che riempiono a dozzine i discorsi quanto, piuttosto, una presenza più sfuggente e strisciante. Un qualcosa che si è infiltrato nelle nostre coscienze e il cui effetto imita un po' quello dello scoperchiamento del vaso fi Pandora. La mia è una pura ricerca mentale, non mi sono documentato prima di scrivere (forse avrei dovuto). Vediamo un po', da dove si può partire per parlare di controcultura? Forse da Socrate, sicuramente dai cinici, magari dall'inizio della filosofia stessa. Si perché controcultura dovrebbe indicare un sovvertimento dei valori riconosciuti socialmente dalla civiltà. Io però non farei partire il discorso così indietro, perché fino ad un certo tempo della nostra storia, nonostante gli esempi citati, la concezione dell'opinione pubblica era piuttosto chiara: ci sono i colti e gli ignoranti. Ma a partire dalla modernità e dal positivismo, qualcuno ha iniziato ad insinuare l'idea che era ormai inutile studiare la letteratura classica, i greci con le loro guerre e mitologie, che le scuole avrebbero dovuto anzitutto formare i giovani per il lavoro (industriale s'intende). Io personalmente non ci trovo niente di male se un operaio lavora pensando ad Achille o Ulisse, chi dice che non possa invece trovare l'input per lavorare al meglio? E dopotutto, l'organizzazione scientifica del lavoro non è forse un cane che si morde la coda? Perché devo migliorare la mia efficienza se poi sarà quella stessa efficienza a lasciarmi senza lavoro?  Mi accorgo che forse per controcultura si intende altro, e forse sono riuscito nell'impresa, non da poco, di andare fuori tema in una discussione di cui propongo il tema. Ma il concetto è che se non esistono più solo colti e ignoranti, ma anche fra i colti c'è distinzione fra una cultura vera e una falsa, come ci si raccapezza? Si studia per anni per poi ritrovarsi più stupidi di prima? Prima di pubblicare vado a leggere su Wikipedia cosa dice riguardo al termine controcultura...........
............ "Chiunque fa controcultura, quando non si accontenta del sapere istituzionalizzato e si prefigge una comprensione "altra" della vita e quindi della società in cui abita" (Wikipedia)
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

acquario69

Citazione di: cvc il 16 Maggio 2016, 09:10:47 AM
Su cosa sia la cultura, tutti quanti ne abbiamo un'idea più o meno chiara. Ma la controcultura? Il termine suona piuttosto bizzarro, qualcuno potrebbe pure averne sentito parlare poco o niente. Eppure è un concetto che circola già da tempo. Non è una di quelle parole chiave che riempiono a dozzine i discorsi quanto, piuttosto, una presenza più sfuggente e strisciante. Un qualcosa che si è infiltrato nelle nostre coscienze e il cui effetto imita un po' quello dello scoperchiamento del vaso fi Pandora. La mia è una pura ricerca mentale, non mi sono documentato prima di scrivere (forse avrei dovuto). Vediamo un po', da dove si può partire per parlare di controcultura? Forse da Socrate, sicuramente dai cinici, magari dall'inizio della filosofia stessa. Si perché controcultura dovrebbe indicare un sovvertimento dei valori riconosciuti socialmente dalla civiltà. Io però non farei partire il discorso così indietro, perché fino ad un certo tempo della nostra storia, nonostante gli esempi citati, la concezione dell'opinione pubblica era piuttosto chiara: ci sono i colti e gli ignoranti. Ma a partire dalla modernità e dal positivismo, qualcuno ha iniziato ad insinuare l'idea che era ormai inutile studiare la letteratura classica, i greci con le loro guerre e mitologie, che le scuole avrebbero dovuto anzitutto formare i giovani per il lavoro (industriale s'intende). Io personalmente non ci trovo niente di male se un operaio lavora pensando ad Achille o Ulisse, chi dice che non possa invece trovare l'input per lavorare al meglio? E dopotutto, l'organizzazione scientifica del lavoro non è forse un cane che si morde la coda? Perché devo migliorare la mia efficienza se poi sarà quella stessa efficienza a lasciarmi senza lavoro?  Mi accorgo che forse per controcultura si intende altro, e forse sono riuscito nell'impresa, non da poco, di andare fuori tema in una discussione di cui propongo il tema. Ma il concetto è che se non esistono più solo colti e ignoranti, ma anche fra i colti c'è distinzione fra una cultura vera e una falsa, come ci si raccapezza? Si studia per anni per poi ritrovarsi più stupidi di prima? Prima di pubblicare vado a leggere su Wikipedia cosa dice riguardo al termine controcultura...........
............ "Chiunque fa controcultura, quando non si accontenta del sapere istituzionalizzato e si prefigge una comprensione "altra" della vita e quindi della società in cui abita" (Wikipedia)

ome risposta ti ripropongo quello che ho scritto poco fa..

anche secondo me l'aver coscienza non puo non prescindere dal senso del tempo...e pensare che nel nostro di tempo,nella nostra epoca attuale si fa di tutto perché del passato non venga coltivata nessuna memoria,nella scuola esistono ancora le materie formative in tal senso? non mi sembra.
tutto e' indirizzato ad un indottrinamento iper specialistico adatto per forgiare atomi tecnologici idonei al mercato,iperflessibile quanto precario,perché cio che si vuole e' appunto un uomo sradicato,senza identità e per l'appunto privo di coscienza.
ma non solo la scuola...tutto e' ormai vissuto e concepito all'insegna dell'istante.

aggiungo che secondo me esiste una chiara e precisa intenzione atta a far si che le persone non debbano più pensare e sopratutto non debbano più avere senso critico (io credo che ci stanno riuscendo)

tutto deve essere solo basato sul criterio dell'utilità,dell'efficienza come dici anche tu e del calcolo..insomma macchine che producono..il sub/post-umano che avanza

cvc

Citazione di: acquario69 il 16 Maggio 2016, 10:35:29 AM
Citazione di: cvc il 16 Maggio 2016, 09:10:47 AM
Su cosa sia la cultura, tutti quanti ne abbiamo un'idea più o meno chiara. Ma la controcultura? Il termine suona piuttosto bizzarro, qualcuno potrebbe pure averne sentito parlare poco o niente. Eppure è un concetto che circola già da tempo. Non è una di quelle parole chiave che riempiono a dozzine i discorsi quanto, piuttosto, una presenza più sfuggente e strisciante. Un qualcosa che si è infiltrato nelle nostre coscienze e il cui effetto imita un po' quello dello scoperchiamento del vaso fi Pandora. La mia è una pura ricerca mentale, non mi sono documentato prima di scrivere (forse avrei dovuto). Vediamo un po', da dove si può partire per parlare di controcultura? Forse da Socrate, sicuramente dai cinici, magari dall'inizio della filosofia stessa. Si perché controcultura dovrebbe indicare un sovvertimento dei valori riconosciuti socialmente dalla civiltà. Io però non farei partire il discorso così indietro, perché fino ad un certo tempo della nostra storia, nonostante gli esempi citati, la concezione dell'opinione pubblica era piuttosto chiara: ci sono i colti e gli ignoranti. Ma a partire dalla modernità e dal positivismo, qualcuno ha iniziato ad insinuare l'idea che era ormai inutile studiare la letteratura classica, i greci con le loro guerre e mitologie, che le scuole avrebbero dovuto anzitutto formare i giovani per il lavoro (industriale s'intende). Io personalmente non ci trovo niente di male se un operaio lavora pensando ad Achille o Ulisse, chi dice che non possa invece trovare l'input per lavorare al meglio? E dopotutto, l'organizzazione scientifica del lavoro non è forse un cane che si morde la coda? Perché devo migliorare la mia efficienza se poi sarà quella stessa efficienza a lasciarmi senza lavoro?  Mi accorgo che forse per controcultura si intende altro, e forse sono riuscito nell'impresa, non da poco, di andare fuori tema in una discussione di cui propongo il tema. Ma il concetto è che se non esistono più solo colti e ignoranti, ma anche fra i colti c'è distinzione fra una cultura vera e una falsa, come ci si raccapezza? Si studia per anni per poi ritrovarsi più stupidi di prima? Prima di pubblicare vado a leggere su Wikipedia cosa dice riguardo al termine controcultura...........
............ "Chiunque fa controcultura, quando non si accontenta del sapere istituzionalizzato e si prefigge una comprensione "altra" della vita e quindi della società in cui abita" (Wikipedia)

ome risposta ti ripropongo quello che ho scritto poco fa..

anche secondo me l'aver coscienza non puo non prescindere dal senso del tempo...e pensare che nel nostro di tempo,nella nostra epoca attuale si fa di tutto perché del passato non venga coltivata nessuna memoria,nella scuola esistono ancora le materie formative in tal senso? non mi sembra.
tutto e' indirizzato ad un indottrinamento iper specialistico adatto per forgiare atomi tecnologici idonei al mercato,iperflessibile quanto precario,perché cio che si vuole e' appunto un uomo sradicato,senza identità e per l'appunto privo di coscienza.
ma non solo la scuola...tutto e' ormai vissuto e concepito all'insegna dell'istante.

aggiungo che secondo me esiste una chiara e precisa intenzione atta a far si che le persone non debbano più pensare e sopratutto non debbano più avere senso critico (io credo che ci stanno riuscendo)

tutto deve essere solo basato sul criterio dell'utilità,dell'efficienza come dici anche tu e del calcolo..insomma macchine che producono..il sub/post-umano che avanza
Si può dire che la cultura dominante sia quella tecnologica (sul lavoro mi hanno imposto l'uso dell'iphone), e che noi stiamo facendo controcultura, perché la cultura dominante non ci soddisfa. Ma a me viene in mente un'altra cosa, non è che l'assenza di valori che spesso si lamenta non sia altro, e cioè un non riuscirsi a scrollare di dosso i vecchi valori dominanti di questa società, che hanno fallito e andrebbero superati? Mi riferisco al valore assoluto dato al benessere ed a tutto il suo corollario. Perché deve essere tutto indirizzato al benessere superfluo (c'è anche quello necessario), alla ricerca di piaceri stucchevoli, alla vanità di suscitare finto benessere, all'emotività teatrale e affettata o a quella iperrealistica e brutale? Ma non vi si interroga più su quali debbano essere i bisogni naturali dell'uomo? Chi produce decide di cosa ho bisogno, perché sa già di cosa ho bisogno: benessere, sentirmi come un re, avere un trattamento esclusivo, sentirmi importante, e altre str........anezze simili. Per ritrovare i valori occorre una controcultura che individui i valori dominanti, li sdogani e ne proponga il superamento. L'ideologia del benessere di presenta come un freno per la nostra evoluzione, perché ci lascia abbarbicati ai falsi bisogni. È anche vero che è difficile individuare i bisogni autentici e separarli da quelli inutili, però almeno provarci.....
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

acquario69

#3
Citazione di: cvc il 16 Maggio 2016, 11:07:27 AM
Si può dire che la cultura dominante sia quella tecnologica (sul lavoro mi hanno imposto l'uso dell'iphone), e che noi stiamo facendo controcultura, perché la cultura dominante non ci soddisfa. Ma a me viene in mente un'altra cosa, non è che l'assenza di valori che spesso si lamenta non sia altro, e cioè un non riuscirsi a scrollare di dosso i vecchi valori dominanti di questa società, che hanno fallito e andrebbero superati? Mi riferisco al valore assoluto dato al benessere ed a tutto il suo corollario. Perché deve essere tutto indirizzato al benessere superfluo (c'è anche quello necessario), alla ricerca di piaceri stucchevoli, alla vanità di suscitare finto benessere, all'emotività teatrale e affettata o a quella iperrealistica e brutale? Ma non vi si interroga più su quali debbano essere i bisogni naturali dell'uomo? Chi produce decide di cosa ho bisogno, perché sa già di cosa ho bisogno: benessere, sentirmi come un re, avere un trattamento esclusivo, sentirmi importante, e altre str........anezze simili. Per ritrovare i valori occorre una controcultura che individui i valori dominanti, li sdogani e ne proponga il superamento. L'ideologia del benessere di presenta come un freno per la nostra evoluzione, perché ci lascia abbarbicati ai falsi bisogni. È anche vero che è difficile individuare i bisogni autentici e separarli da quelli inutili, però almeno provarci.....

io penso che nessuno puo fare il "lavoro" (bruttissima parola! :) ) di un altro,a certe conclusioni dipenderà esclusivamente dalla sua personale "vista".

quindi secondo me,l'unica cosa che si può fare e' indurre alla riflessione interiore,cosa questa che viene sistematicamente e con tutti i mezzi possibili negata e vi sarebbe percio una deviazione che va esattamente nella direzione contraria,cioè "esternalizzando"
ci sarebbe a mio avviso anche un altro pericolo,forse il più incisivo in tal senso e cioè che anche per coloro che avvertono in qualche modo la necessita di guardarsi dentro,finiscono per considerare l'interiorità solo dal punto di vista psicologico,quindi più strettamente mentale e in aggiunta anche emotivo e sensoriale,credendo così che sia la testa a poter chiarire le cose,quando in realtà si finisce solo per entrare in un labirinto che diventa sempre più inestricabile e sempre più chiuso su se stesso.

cio che viene trascurato se non addirittura escluso del tutto e' invece la Spiritualità.

dunque finora si e' parlato di riflessione interiore,di spiritualità e di "vista"...

la "sede" della "vista" e' il "cuore" (oggi viene interpretata malissimo e pregiudizi su pregiudizi a non finire, - anch'essi volutamente e metodicamente inseriti nell'ambito stesso del sistema in cui viviamo! -  inteso solo nel senso sentimentale,quindi vincolato anch'esso psicologicamente)
chiaro che per cuore si deve percio intendere metaforicamente e simbolicamente e sarebbe il centro dell'essere (e che coincide con l'essere stesso) a cui la vera riflessione interna dovrebbe appunto rivolgersi.

a questo punto e' interessante tenere presente la parola riflettere che si associa a quella di speculare (speculum-specchio)

nella tradizione ermetica (ma non solo) si fa riferimento al sole e alla luna,corrispettivi di cuore e cervello.
il sole e' la sorgente di luce,la luna può solo riflettere la luce che proviene dal sole,così come il cuore rappresenta l'intelligenza intuìtiva e non mediata e il cervello quella razionale,mentale..da questo si capisce che quella razionale e' appunto mediata allo stesso modo che alla luna si riflette la luce che gli proviene dal sole.

donquixote

Citazione di: cvc il 16 Maggio 2016, 09:10:47 AM
Su cosa sia la cultura, tutti quanti ne abbiamo un'idea più o meno chiara. Ma la controcultura? Il termine suona piuttosto bizzarro, qualcuno potrebbe pure averne sentito parlare poco o niente. Eppure è un concetto che circola già da tempo. Non è una di quelle parole chiave che riempiono a dozzine i discorsi quanto, piuttosto, una presenza più sfuggente e strisciante. Un qualcosa che si è infiltrato nelle nostre coscienze e il cui effetto imita un po' quello dello scoperchiamento del vaso fi Pandora. La mia è una pura ricerca mentale, non mi sono documentato prima di scrivere (forse avrei dovuto). Vediamo un po', da dove si può partire per parlare di controcultura? Forse da Socrate, sicuramente dai cinici, magari dall'inizio della filosofia stessa. Si perché controcultura dovrebbe indicare un sovvertimento dei valori riconosciuti socialmente dalla civiltà. Io però non farei partire il discorso così indietro, perché fino ad un certo tempo della nostra storia, nonostante gli esempi citati, la concezione dell'opinione pubblica era piuttosto chiara: ci sono i colti e gli ignoranti. Ma a partire dalla modernità e dal positivismo, qualcuno ha iniziato ad insinuare l'idea che era ormai inutile studiare la letteratura classica, i greci con le loro guerre e mitologie, che le scuole avrebbero dovuto anzitutto formare i giovani per il lavoro (industriale s'intende). Io personalmente non ci trovo niente di male se un operaio lavora pensando ad Achille o Ulisse, chi dice che non possa invece trovare l'input per lavorare al meglio? E dopotutto, l'organizzazione scientifica del lavoro non è forse un cane che si morde la coda? Perché devo migliorare la mia efficienza se poi sarà quella stessa efficienza a lasciarmi senza lavoro?  Mi accorgo che forse per controcultura si intende altro, e forse sono riuscito nell'impresa, non da poco, di andare fuori tema in una discussione di cui propongo il tema. Ma il concetto è che se non esistono più solo colti e ignoranti, ma anche fra i colti c'è distinzione fra una cultura vera e una falsa, come ci si raccapezza? Si studia per anni per poi ritrovarsi più stupidi di prima? Prima di pubblicare vado a leggere su Wikipedia cosa dice riguardo al termine controcultura...........
............ "Chiunque fa controcultura, quando non si accontenta del sapere istituzionalizzato e si prefigge una comprensione "altra" della vita e quindi della società in cui abita" (Wikipedia)
Non sono sicuro che tutti abbiano una idea chiara di cosa significhi "cultura", e soprattutto non è per tutti la medesima. Anticamente significava l'educazione dell'uomo alle buone arti, ciò che gli antichi greci chiamavano paidèia e i latini dei tempi di Cicerone avevano reso con humanitas; le buone arti erano la filosofia, la poesia, l'eloquenza e tutte quelle attività che consentissero all'uomo di realizzare se stesso nei termini dell'ideale platonico, ovvero di avvicinarsi il più possibile all'idea di uomo che nella filosofia di Platone rappresentava il vertice assoluto e immutabile cui tendere e di cui l'uomo, inizialmente, non poteva che intravvederne l'ombra. L'obiettivo era quindi uscire dalla caverna per raggiungere la luce della conoscenza e il compimento di sé, e questo era un lavoro che durava tutta la vita poiché l'obiettivo rimaneva per definizione irraggiungibile, pur se avvicinabile. Nel corso dei secoli il concetto è progressivamente cambiato e si è intersecato nell'800 con quello mutuato dagli studi antropologici, provocando una discreta confusione. Rimane quindi ora in piedi la cultura intesa come elevazione spirituale individuale, quella del cosiddetto "uomo colto" o "erudito" contrapposto fin dall'antichità al villano, al villico, a colui che era più dipendente dalla natura e quindi non aveva la medesima possibilità di elevarsi, ma nel contempo si è fatta strada l'idea di cultura come weltanschauung, come visione (o concezione) del mondo di un popolo che veniva rappresentata nella filosofia, nella letteratura, nei riti, nelle istituzioni, nelle consuetudini, in una parola nella religione di quel popolo.Con riferimento a quest'ultima idea di cultura la controcultura è quindi ciò che un tempo si sarebbe chiamato eresia oppure eterodossia, una diversa visione del mondo che molto spesso non era in contrasto con quella "ufficiale", ma ne coglieva solamente un singolo aspetto per assolutizzarlo e porlo al centro di tale visione per poi far dipendere da quello l'interpretazione dei fenomeni. La controcultura è dunque essenzialmente un fenomeno distruttivo che mina alla radice una visione del mondo condivisa ed equilibrata attraverso la diffusione di una serie indefinita di relativismi spacciati per assoluti che la frammentano e la atomizzano, e che per affermarsi necessita però di una cultura di riferimento nella quale siano già presenti una serie di crepe in cui potersi insinuare.  Nella società attuale, postmoderna, dove la cultura (intesa sempre in senso antropologico) è già talmente frammentata da essere quasi individualizzata, la controcultura si riduce invece a mera esibizione di originalità, di eccentricità e di stravaganza di un solitamente ristretto gruppo sociale che non ha altro modo per emergere dalla massificazione a cui il concetto moderno di uguaglianza ha ridotto gli uomini. Basta vedere, nel corso degli ultimi decenni, i vari gruppi di controcultura come gli hippies, i grunge, i punk e via elencando, che si costruiscono un mondo a sé in cui potersi riconoscere; un mondo dal quale sono assenti le idee e le "visioni" ma è invece ben presente una serie indefinita di simboli esteriori il cui tratto comune è la bizzarria.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

acquario69

#5
in effetti emergono ulteriori considerazioni sul tema in questione e mi viene in mente che per cultura oggi viene pure associata a qualcosa che rimanda più ad una moda,ad un presunto modo di pensare che si ritiene "originale" (così che ognuno potrà formulare la sua idea personalizzata,senza poterla nemmeno metterla in discussione,visto che per ognuno vale il criterio individualistico e relativista,come concetto stesso di cultura) quando in realtà sarebbe solo un etichetta (per sua stessa natura esteriore e formale) più che mai omologante,oltreché ideale strumento suggestivo per non permettere che le stesse persone possano arrivare a contestare lo stesso sistema che li tiene ingabbia (ed e' a questo che si riduce la controcultura), allo stesso modo di un pollaio chiuso al suo interno da un recinto senza nemmeno sospettarlo.

cvc

@donquixote
Una buona analisi di cui condivido particolarmente due punti: la frammentazione del sapere che porta a non avere più punti di riferimento precisi in un contesto di continua relativizzazione, e la superficialità con cui si propongono nuove forme di pretese culture che sono più che altro modi di apparire.

@acquario
Infatti diventa più un fatto di moda che di cultura vera e propria, come chi si riempie la casa di statuette di Bubba e ignora chi fosse veramente. Oppure come chi si tatua segni tribali perché gli piace quel disegno e poi vaneggia sul significato che hanno.

La questione potrebbe anche porsi in questi termini: cosa distingue un colto da un ignorante? Secondo me più che un ammasso di conoscenze (magari il più delle volte stucchevoli e sterili) è una questione di atteggiamento, di una curiosità che non sia mossa solo dal senso dell'utile, ma dalla soddisfazione che da la semplice contemplazione delle cose. Altrimenti la ricerca dell'utile diventa una prigione, e solo una curiosità disinteressata può liberarci da questa schiavitù.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

paul11

Non so voi, personalmente sono stato impregnato nell'adolescenza della controcultura, dell'underground, della cultura alternativa.

Vi erano autori, correnti letterarie e saggistiche, persino l'arte che sorreggevano richieste sociali.
Si dice che una controcultura è innanzitutto contestativa verso la tradizione identificata come conformismo.

Affinchè sia una vera alternativa culturale e quindi una risposta ad una cultura precedente, deve avere la capacità di analizare le basi fondamentali che sorreggono quella cultura da superare.
Ma il secondo aspetto più importante ancora è che "l'essere deve mangiare l'idea".
Significa che ciò in cui credo deve mutare la mia essenza affinchè io non sia più parte della tradizione, devo mutare motivazioni ed atteggiamenti .Se così non fosse diventa solo esteriorità identificativa di un gruppo sociale o culturale che sis ente emarginato e in quanto tale non cerca di essere altro e diverso, ma semmai vuole essere recepito dalla tradizione, alla fine accettato.
Ed è così che infatti finisce la controcultura, riassorbita nella quotiidinità della vita.

Se contesto la famiglia devo trovare un'alternativa dell ostare insieme giorno dopo giorno
Se conteso socialmente ed economicamente ,devo progettare l'alternativa e praticarla.
Non basta proclamare  io sono contro-culturale, devo esserlo e per esserlo riprogettarmi costruendo nuove forme identificative.
Quindi deve essere più potente della cultura precedente.

cvc

Citazione di: paul11 il 18 Maggio 2016, 08:48:42 AM
Non so voi, personalmente sono stato impregnato nell'adolescenza della controcultura, dell'underground, della cultura alternativa.

Vi erano autori, correnti letterarie e saggistiche, persino l'arte che sorreggevano richieste sociali.
Si dice che una controcultura è innanzitutto contestativa verso la tradizione identificata come conformismo.

Affinchè sia una vera alternativa culturale e quindi una risposta ad una cultura precedente, deve avere la capacità di analizare le basi fondamentali che sorreggono quella cultura da superare.
Ma il secondo aspetto più importante ancora è che "l'essere deve mangiare l'idea".
Significa che ciò in cui credo deve mutare la mia essenza affinchè io non sia più parte della tradizione, devo mutare motivazioni ed atteggiamenti .Se così non fosse diventa solo esteriorità identificativa di un gruppo sociale o culturale che sis ente emarginato e in quanto tale non cerca di essere altro e diverso, ma semmai vuole essere recepito dalla tradizione, alla fine accettato.
Ed è così che infatti finisce la controcultura, riassorbita nella quotiidinità della vita.

Se contesto la famiglia devo trovare un'alternativa dell ostare insieme giorno dopo giorno
Se conteso socialmente ed economicamente ,devo progettare l'alternativa e praticarla.
Non basta proclamare  io sono contro-culturale, devo esserlo e per esserlo riprogettarmi costruendo nuove forme identificative.
Quindi deve essere più potente della cultura precedente.
Anch'io mi sento parte del retaggio del '68 e della contestazione. La rivolta giovanile contestava ai "matusa" di aver plasmato il mondo a loro uso e consumo, disinteressandosi dei più giovani. Ora che quei giovani sono diventati i matusa di oggi, che dovrebbero pensare del mondo che hanno consegnato ai giovani di oggi? Hai ragione, le rivoluzioni sovvertono i valori, però poi bisogna costruire. Molto infatti è stato costruito se si pensa alle conquiste sindacali ed all'emancipazione di giovani e donne. Però il mondo cambia i contesti economico-geografici e politici, ed anche quelle conquiste tendono a sgretolarsi. Le conquiste sindacali vengono vanificate dalle istanze dell'efficienza, l'emancipazione giovanile dal giovanilismo degli anziani, quella femminile dall'uso speculativo del corpo della donna. Forse dalla dichiarazione dei diritti dell'uomo in poi si è pensato che bastasse scrivere dei valori su di un pezzo di carta per renderli duraturi. In un mondo dove si scrive più di quanto si parla, un'elencazione di valori stampati non ha molta presa. Occorre scrivere sulla carta della coscienza, cosa difficile in un mondo che pone tutta l'attenzione al di fuori e non dentro all'animo umano. Occorre profondità, più di quanto si cerchi di rendere l'uomo meno fallibile (più efficiente) con l'ausilio della tecnica. Si dice che la risorsa più grande è il capitale umano, ma se la tecnica continua a cambiare il mondo a ritmi vertiginosi, il capitale umano viene sclerotizzato. La vera controcultura sarebbe quella di inculcare che i veri bisogni dell'uomo sono le aspirazioni dei suoi sentimenti, il suo desiderio fi pace, di convivenza, di dare un senso alla vita nella sua finitezza.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

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