Critica alla storia della filosofia

Aperto da daniele22, 23 Maggio 2021, 17:35:22 PM

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daniele22

Buon pomeriggio. Azzardo una critica alla storia della filosofia. A mio giudizio tutto andò bene fino a Parmenide. Dopo di lui arrivò Platone. Senz'altro fu Parmenide a porre la questione dell'essere, ma io mi chiedo come mai i filosofi si siano tuffati in una bimillenaria speculazione circa l'essere senza sapere su cosa si fondasse il linguaggio.[/size] In effetti sul Cratilo di Platone vi è un dialogo sul significato delle parole, ma dopo averne letto qualche parte mi era sembrata farraginosa la dissertazione di Socrate . Del resto anche nel Menone mi era sembrata del tutto arbitraria la spiegazione su come lo schiavo apprendesse la geometria, tanto che fu messa in crisi da Leibnitz in maniera non del tutto esauriente. Mi chiedo dunque se il problema riguardante il fondamento del linguaggio fosse inattuale. E mi chiedo come mai possa essere, almeno in parte, ancora inattuale tale problematica.

viator

Salve daniele22. Non capisco che c'entri l'"essere" (verbo) con il linguaggio.




Tu dirai che il linguaggio deve servire a comunicare, a spiegare, a definire un sacco di cose, tra cui l "essere" ed il senso stesso delle cose. Verissimo e sacrosanto il fatto che esso DOVREBBE SERVIRE A............






Disgraziatamente esso linguaggio non PUO' SERVIRE A.............dal momento che esso non è affatto in grado di chiarire nè il proprio senso (non può risolvere la propria  tautologia) nè il senso di ALCUNA ALTRA COSA, dato che esso risulta autoreferenziale e quindi......................la sua funzione non può che consistere nel CERCARE (vanamente, trovo) di chiarire ciò che è oscuro all'intelletto ma contemporaneamente oscurando ciò che è chiaro ai sensi.

Ovvero......hai voglia di riempire di chiacchiere il mondo...........la filosofia è solo una ginnastica mentale. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

iano

#2
Citazione di: daniele22 il 23 Maggio 2021, 17:35:22 PM
Buon pomeriggio. Azzardo una critica alla storia della filosofia. A mio giudizio tutto andò bene fino a Parmenide. Dopo di lui arrivò Platone. Senz'altro fu Parmenide a porre la questione dell'essere, ma io mi chiedo come mai i filosofi si siano tuffati in una bimillenaria speculazione circa l'essere senza sapere su cosa si fondasse il linguaggio. In effetti sul Cratilo di Platone vi è un dialogo sul significato delle parole, ma dopo averne letto qualche parte mi era sembrata farraginosa la dissertazione di Socrate . Del resto anche nel Menone mi era sembrata del tutto arbitraria la spiegazione su come lo schiavo apprendesse la geometria, tanto che fu messa in crisi da Leibnitz in maniera non del tutto esauriente. Mi chiedo dunque se il problema riguardante il fondamento del linguaggio fosse inattuale. E mi chiedo come mai possa essere, almeno in parte, ancora inattuale tale problematica.
Giusta osservazione.
Se qualcosa è solo per me allora io sono un visionario.
Se si condivide una visione allora essa corrisponde a qualcosa che è, e se si condivide attraverso il linguaggio allora l'essere è basato sul linguaggio, ma più in generale su qualunque meccanismo di condivisione.
Quindi l'essere corrisponde a una visione comune.
Se tutti vedono qualcosa allora quella qualcosa è , anche se, secondo me ,in un senso diverso da quello comunemente inteso, che non so' se riesco a spiegare.
L'essere non è in se' ma in noi in quanto visione condivisa la cui funzione è quella di farci condividere esperienze.
Se tutti noi condividiamo lo spazio di Newton allora noi viviamo insieme in quello spazio, nel senso che agiamo in modo coordinato  in esso, ma lo spazio di Newton non è in se'.
Infatti lo stesso si può dire dello spazio tempo di Einstein che corrisponde a una diversa visione.
Ciò che 'vediamo" non è , se non nella misura in condividiamo la visione, ad esempio attraverso il linguaggio.
Quindi l'essere si fonda sui mezzi di condivisione come ad esempio il linguaggio.
La possibile pluralità degli spazi comporta che ciò che essi contengono non abbia una esistenza in se', perché non c'è uno spazio univoco , uno spazio in se'.
In genere credo non sì traggano le giuste conseguenze dal fatto che, quando si ammettesse l'esistenza delle cose in se', diventa però poi difficile spiegare il loro diverso grado di concretezza, come se esistessero diversi gradi dell'esistenza.
Credo che questo diverso grado meglio possa fondarsi sui diversi meccanismi di condivisione , e che perciò su di essi possa meglio fondarsi l'esistenza.
Di fatto noi ci comportiamo come se le cose davvero esistessero, ma siamo anche in grado di modificare lo spazio delle cose in cui agiamo . Naturalmente possiamo vivere in uno spazio se vi possiamo agire in coerenza, e quando ciò sembra possibile tendiamo a fondare l'esistenza dello spazio che viviamo e delle cose che contiene su quella coerenza.
Ma in effetti esistono diversi spazi parimenti coerenti nei quali troviamo utile poter vivere.
Però, finché ci era dato vivere in solo spazio era facile fondare la sua esistenza sulla sua coerenza.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#3
In un certo senso Platone aveva visto giusto secondo me sul fatto che non tutte le cose che sembrano  esistere possano esistere  condividendo lo stesso mondo .
Così ha fondato la loro esistenza sulla esistenza di mondi diversi, ma senza fondare, andando così a ritroso, l'esistenza, se non sull'esistenza stessa, mentre pare a me meglio, col senno di poi, fondare l'esistenza sulla possibilità di condividere mondi diversi, che  giustifichino ancora  , in questo diverso modo , il diverso grado di esistenza delle cose.
Tanto crederemo di poter vivere contemporaneamente e realmente in questi diversi mondi, come se ciò non fosse paradossale, tanto potremo credere nell'esistenza delle cose in se'.
Platone risolve il paradosso affermando che viviamo in un unico mondo, ma che per un gioco di riflessi possiamo attingere ad altri mondi, mondi esclusivi fra loro, ma non tanto da non poter condividere cause ed effetti, e che quindi tanto esclusivi non sembrano.
Quindi di fatto non risolve il paradosso , ma lo trasla altrove.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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iano

#4
Ricapitolando.
Platone non potendo fondare l'esistenza di ogni cosa  su un unico contenitore di cose, la fonda su due contenitori  esclusivi, ma che essendo uno la negazione dell'altro, uno perfetto e l'altro non perfetto,  li fonda di fatto su una loro relazione che ne contraddice l'esclusività.
Se due contenitori comunicano fra loro allora sono un solo contenitore.
Ma questa visione , nella misura in cui la condividete, e correggetemi se sbaglio, riguarda meglio la moderna topologia che la vecchia, per quanto ancora attuale, geometria delle perfette forme di Platone., che quindi Platone non poteva condividere con noi.
Puoi prendere un contenitore, ad esempio una sfera, puoi manipolarla strozzandola al centro, ma dal punto di vista della moderna topologia non ne hai modificato la sostanza.
Hai effettuato cioè una operazione invariante , per cui hai ottenuto nulla di diverso da ciò che avevi: un unico contenitore.
Gli spazi topologici, ma qui lo dico e qui lo nego perché non sono un esperto, includono come spazio particolare quell'unico che conosceva Platone, anche detto spazio euclideo, dove le operazioni varianti sono le traslazioni delle figure.
Un triangolo rimane tale se lo sposti un po' più in là'.
Le dimostrazioni dei teoremi di Euclide, basate sul confronto delle figure, si basano sulla possibilità di traslare le figure senza modificarne l'essenza, perché ciò egli crede essere nella natura delle cose comprese le cose perfette, mentre questa possibilità è ciò che fonda la loro particolare esistenza.
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iano

#5
Si comprende quindi come nasca l'associazione dell'idea di cose che esistano all'idea di cose che non cambiano, pur quando abbiamo l'evidenza che le cose mutino.
Il paradosso si risolve sostituendo il concetto di non-mutamento con quello di invarianza.
Cosa rimane ancora di una cosa quando proviamo a manipolarla in un preciso modo?
La sua essenza che a quel particolare modo di manipolare resiste.
Occorre quindi specificare il modo e ad ogni modo diverso corrisponde un mondo nuovo che contiene cose diverse.
Un triangolo non è una cosa in se', ma esiste come ciò che non muta per traslazione.
Puoi manipolarlo spostandolo , e non si può dire così che nulla sia mutato, ma non il fatto che il triangolo sia cambiato nella sua natura, ciò per cui esso è.
E se queste sono solo parole, è proprio sulla possibilità di condividere un linguaggio che si fonda l'esistenza.
Si può  credere che l'esistenza di cose più concrete di un triangolo debba avere , a ragione appunto della diversa apparente esistenza, una diversa genesi, ma considerate che questo è un modo di complicare le cose che conduce a paradossi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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daniele22

Ciao viator e iano, cerco di fare una sintesi. Il verbo essere è usato nella lingua italiana e mi sembra che nella lingua araba venga omesso quando ci si riferisce al presente (quella dell'arabo mi è venuta d'istinto e l'ho scritta senza ben sapere cosa significhi di preciso). Viator, secondo me il linguaggio è in ultima analisi il dialogo che ogni essere vivente intrattiene col mondo. La nostra lingua soddisfa a tale esigenza essendone un prolungamento. Il mondo che separiamo mentalmente da noi tramite la conoscenza, rivela tramite la lingua una conoscenza collettiva che può rappresentarsi in una sorta di grande enciclopedia. Non rivela però al mondo i nostri sentimenti o affettività (nel bene e nel male). E pure sono questi che io personalmente vorrei che si rivelassero, giacché son questi a muovere il mondo. Naturalmente non pretendo che ciascuno si confessi pubblicamente, ma che si confessi pubblicamente l'efficenza con cui questi muovono il mondo. Sempre Viator, io dico che la lingua deve servire a comunicare, ma che serva a spiegare è altra faccenda e qui arriviamo all'autoreferenza della lingua umana. Se io riesco a comunicare a qualcuno che un frutto si può mangiare senza usare la lingua posso mangiarlo semplicemente davanti a lui. Se io dopo gli comunico un suono facendogli vedere il frutto probabilmente quel qualcuno associa il suono al frutto. Non vi sarebbe a mio giudizio autoreferenzialità quando si resti a tali livelli comunicativi. De Saussurre aveva introdotto i concetti di segno, referente e significato. E' sul concetto di referente che lavora soprattutto la nostra lingua sosteneva ed è per questo forse che si parla infine di autoreferenzialità. Io sosterrei invece che il referente è un concetto in più e basterebbe solo il segno a spiegare tutta la faccenda in relazione al significato.
Iano, tu parli di Einstein e Newton, ma non parli della meccanica quantistica. Parli giustamente delle conoscenze condivise, ma Heidegger cosa realmente sapeva della meccanica quantistica? A mio giudizio, molto poco. Dico questo senz'altro arbitrariamente, ma mi sembra che Heidegger abbia scambiato l'individuo per la massa di individui, cioè che abbia attribuito all'esserci dell'individuo le caratteristiche della sapienza collettiva umana, oscurando così il fondamento dell'individuo che sta a mio giudizio nell'affettività. Tutto ciò sarebbe accaduto perché ha tenuto fuori la parte affettiva del significato di ogni cosa e col termine cosa intendo qualsiasi cosa che la mente riesca ad imbrigliare tanto da poterne parlare anche a vanvera. Tale parte sarebbe invece inscindibile da quello che io chiamo il significato di una cosa che all'oggi è viziato (il significato) da tale mancanza. Nell'esser avanti a sé (e qui azzardo un'ipotesi) non terrebbe infatti conto del peso dell'affettività, facendola intervenire in modo disunito dalla conoscenza.


Immaginavo che sarebbero sorte richieste di spiegazione. Se queste risultassero soddisfacenti per voi, ripropongo ancora la domanda da me formulata nel chiedermi se il probema del linguaggio sia inattuale tanto a quei tempi quanto ora. Buona notte


PS: non ho letto il tuo ultimo messaggio iano, ma ho sonno

daniele22

Buona mattinata. Forse mi sono riferito a vanvera a De Saussure, ma in ogni caso la sostanza resta. C'è una cosa iano di cui non possiamo parlare ed è l'essenza di qualcosa. Si tratta di un limite della nostra conoscenza. In altre parole noi possiamo parlare della storia delle immagini, ma non delle immagini. Forse io posso parlare della mia essenza, ma non ne sono proprio cosi sicuro, giacché per farlo dovrei riferirmi alla mia essenza valutandola in ogni istante in cui affermo me stesso. Potrei dire infine che la mia essenza risiede nel fatto che voglio vivere, almeno fino a quando essa muti in una voglia di morire, ma cosa me ne faccio di questa considerazione così banalmente ovvia?

iano

#8
Citazione di: daniele22 il 24 Maggio 2021, 10:23:10 AM
C'è una cosa iano di cui non possiamo parlare ed è l'essenza di qualcosa. Si tratta di un limite della nostra conoscenza. In altre parole noi possiamo parlare della storia delle immagini, ma non delle immagini.
Eppure mi sembra di averne parlato. :)
L'essenza è ciò che non cambia a fronte di un preciso e ben definito mutamento.
Quando c'è un mutamento non tutto cambia, e ciò che rimane è da riferirsi a quel mutamento.
Cosa rimane di due palle da biliardo dopo che si sono scontrate?
Apparentemente tutto, tutta la loro essenza, ma solo perché abbiamo imparato ad astrarre dalla loro essenza la loro posizione.
Diamo ciò per scontato , ma in effetti è il risultato di un processo.
Ma l'essenza è relativa al mutamento.
Cosa rimane se faccio scontrare le due palle a velocità supersonica?
Dirò allora che la loro essenza è l'essere costituiti di atomi?
Esattamente.
Ma allora se ridefinisco il mutamento si ridefinisce l'essenza.
Non posso parlare dell'essenza delle cose solo finché non prendo coscienza del mutamento che le definisce, posto che la coscienza in se' non è necessaria alla percezione delle cose.

Anche noi siamo il risultato di un processo, quindi non possediamo un essenza in assoluto, ma possiamo assumerla come tale se poniamo un limite alla conoscenza, cioè ai processi che la generano, non avendone essa a piopri.
In effetti non siamo noi a porre quei limiti, ma la consuetudine, cioè il vivere un ambiente cui sono soliti alcuni cambiamenti piuttosto che altri.
Quando costruiamo acceleratori di particelle lo,facciamo per uscire dalle nostre consuetudini, scoprendo nuove essenze.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22

O iano, ti chiedo dunque quale sia l'essenza degli atomi. Siamo partiti dalla critica alla storia della filosofia incentrata sull'essere e siamo fin qui giunti. L'essere è tempo dice Heidegger, ma che me ne faccio di tutto ciò? Come fa questo motore immobile a produrre tutto il movimento implicato dal tempo? Mi sembra che questa sia infine la risposta da dare. Allora io dico che il motore immobile corrisponde al principio di attrazione, repulsione e, terzo polo (quello che è infine determinato dall'osservatore), quello che si situa all'interno di tali polarità e che è quello che può riconoscere pertanto l'esistenza di tali polarità. Di fatto due entità non potrebbero rilevare alcuna differenza tra loro senza un punto di riferimento che rilevi la differenza. Nel nostro mondo umano tali due polarità sono rappresentate dal bene e dal male, dall'amore e dall'odio. Noi osservatori le designamo ciascuno a suo modo, ma non penso che si possa distorcere più di tanto tali concetti, a meno di proporre eccezioni che fuoriescono da un ragionevole principio di realtà

paul11

 Parmenide asserisce che l'Essere  è ciò che  non può divenire altro da sé.
La frase implica due aspetti: il primo abbozzo di logica che fu poi espresso da Aristotele e il tempo, il tempo stabile, eterno, fermo, rispetto al divenire dei mutamenti, delle trasformazioni, delle apparenze.
L'essere quindi è un nome, grammaticalmente, un sostantivo  come gli enti.
Parmenide con il suo asserto non può concepire il mondo del divenire, del mutamento, che è poi il mondo dell'esistenza fisica. Platone e Aristotele non possono negare l'evidenza: il divenire è, esiste.


Si pone quindi una prima problematica, come scritto precedentemente L'essere è il topos, il luogo della verità, in quanto stabile, eterno e noi vivendo siamo nel tempo del mutamento, dei fenomeni fisici. L'evidenza dell'esistenza è come se si scontrasse con l'essenza della verità dell'essere.
Il come si relaziona l'esistenza fisica diveniente con l'essere eterno è il fulcro della metafisica che solo pochi autori filosofici hanno argomentato.
Se l'essere è in quanto verità, non può venire dal nulla, chi pensa che veniamo dal nulla entra nell' "aporia del nulla" dove cio che è non può venire dal nulla e svanire nel nulla.
I due domini ,l'essere eterno, e le esistenze divenienti fisiche in cosa sono relazionate, cosa li comunica? Per via deduttiva non può che il dominio dell'essere ad aver costruito quello diveniente, per cui nell'esistenza per quanto l'essere non sia svelato ,deve necessariamente esserne "traccia".
Non possono i due domini essere completamente staccati, diversi e incomunicabili.
In età moderna penso che solo Hegel ne abbia compiuta una trattazione, a suo modo, direi originale.
Lo pone in modo dialettico e il più attuale e vicino a noi Severino ,pur con nuove formulazioni, lo segue. Hegel trasforma la metafisica in logica e la pone in forma dialettica. La comunicazione fra induzione e deduzione passa dal concreto della realtà diveniente, fisica all'astratto del pensiero , per cui viene concettualizzato oltre all'essere il non-essere come negativo. Heidegger invece si pone in un altro modo originale, esistenziale.

daniele22

 Ciao a tutti e in particolare a Paul11. Nel post precedente sostenevo che il motore immobile era la legge, o meglio il principio di attrazione repulsione e osservatore che sta all'interno (l'esserci).
Parlando dell'origine della nostra lingua un mio amico mi disse che non era possibile sollevarsi da terra tirandosi per i capelli. Giusta osservazione dissi. Però io non ho criticato il sostantivo, altrimenti sarei finito tra le schiere di coloro che han fatto la fine che hanno fatto. Ho invece criticato il linguaggio umano non in relazione alla lingua. Ho criticato cioè il suo comportamento, lingua compresa, cercandolo tra il comportamento di altre specie.
Son partito da una fede datami da una intuizione giudicata vera e ho proceduto con qualche altra piccola intuizione (sul fenomeno dell'intuizione ci sarebbe da dire qualcosa) lungo un percorso che mi ha dato la risposta che soddisfava la fede. Certamente posso averla forzata. Sono qui per questo in fondo. Fuori tema c'è da chiedersi come mai Severino abbia fatto più o meno la fine di Spinoza. Io non lo so.
Infine stop.
Nessuno comunque ha risposto alla domanda che non esplicitamente, ma quasi, avevo esposto nel topic. Ed era questo il problema sul quale volevo sentire la vostra opinione. Platone no, ma qualcun altro, e di sicuro c'è stato qualcun altro, sì. Non avrebbe potuto dunque affermarsi costui ponendo il primato delle riflessioni rivolte all'interiorità come sto facendo io in quest'istante? Non poteva cercarlo lì dentro l'essere? Basta con la ginnastica mentale. Tutti questi filosofi che citi sembrano avere fallito a quanto mi par di vedere.
A tutti voi che leggete: Oltre ai bombardati, ai morti di fame, a quelli che quasi lo sono, a quelli in galera e a tutte le nefandezze che si compiono impunite, è (con l'accento) infine pensando alla coscienza di zeno che immagina un individuo che va nel profondo della terra e la fa saltare per aria che ho deciso di svelare dove sta l'errore. Fosse per me si potrebbe anche lasciar fare, tanto, prima o dopo dovrà pur giungere qualcosa di diverso dalla vita, ma siccome sono una parte in un gruppo ........................ . Noi pensiamo di percepire gli oggetti coi sensi. Invece li percepiamo con la mente. Dio era il verbo, e ora, per quel che mi riguarda, si è allontanato, proprio come il cappello che cercava di raccogliere da terra Clint Eastwood, e in quel momento arrivava puntuale la pallottola di Lee Van Clif a farglielo volare via. Bestiale!, direbbe l'ispettore Coliandro. Io ho gettato un guanto di sfida con l'anarchia ... e lì ho udito che qui dentro nessuno comprende Einstein, ammesso che io l'abbia compreso. Lo getto ancora contestando 2400 anni di speculazioni filosofiche e voi non accettate la sfida. C'è pure tra noi un aspirante filosofo! Chissà che idea si è fatto del forum. Senza contare il rapporto tra numero di iscritti e numero di parlanti. Percentuali da covid. Complimenti e buona serata


Ipazia

In filosofia il rigore è tutto. Anche nell'impostare le domande.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

daniele22

Citazione di: Ipazia il 25 Maggio 2021, 23:22:06 PM
In filosofia il rigore è tutto. Anche nell'impostare le domande.


Brava Ipazia, complimenti. Per me, il rigore che ha portato avanti la filosofia da Platone in avanti è solo carta inchiostrata con cui non ci si può nemmeno pulire il sedere. Tu non ti sottrai a tale legge, io sì. Ma giungerà il giorno degli indiani. Tra voi ci sono solo molti pavidi o molti disonesti; forse siete solo dei giornalisti che temono che gli venga tolta la sedia di sotto il ....

Ipazia

#14
Cosa hai letto di filosofia ? Che ne sai della vita e delle opere di Platone ? Che ne sai della koinè del suo tempo ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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