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Così è se vi pare!

Aperto da Eutidemo, 28 Novembre 2019, 13:08:17 PM

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myfriend

@Phil

Lo "svanire" e il "crearsi" della materia dal vuoto non vanno intesi in senso letterale. Perchè, come hai giustamente sottolineato tu, nell'universo nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto cambia forma.
Il diventare materiale (il "crearsi") e il diventare immateriale (lo "svanire") sono due diversi modi di essere (o forme) della stessa "cosa"....che continua ad esistere in forme diverse. E ciò che esiste è solo questo vuoto (o campo) dal quale la materia "emerge".

La materia altro non è che un "modo di essere" (o "forma") di questo campo. Cioè un modo in cui questo campo si manifesta...passando da una "forma" o "stato" immateriale a una "forma" o "stato" materiale.
Immateriale e materiale sono due modi di essere (o forme) della stessa cosa.

Nulla si crea e nulla svanisce. E' la stessa cosa che si manifesta in modi diversi e assume forme diverse.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Eutidemo

Ciao Bob. :)
A mio avviso, distinguere il "fenomenologico" dal "noumenico", ed il "fisico" dal "metafisico", non significa affatto "scindere" la "verità" (o meglio, la "realtà"); ed infatti, come ti ho ripetuto una infinità di volte, se io distinguo le "onde" rispetto "mare", non sto affando "scindendo" il mare in due, ma sto solo dicendo che le "onde" sono transeunti "manifestazioni" (cioè "fenomeni"), del mare...ma la realtà ultima resta sempre ed unicamente il mare!
Possibile che io non riesca a farmi intendere su questo punto! :(

***
Se poi preferisci l'immagine della "tela", prendere atto che essa ha una "trama" e un "ordito", non significa affatto "scinderla" in due; come, invece, sarebbe, se io pretendessi di tagliarla in due pezzi distinti con un paio di forbici! :D

***
Quanto al fatto che stamattina il sole è già sorto, per cui, appunto, è un fatto oggettivo non più contestabile, mentre la supposizione che il sole sorgerà anche domani, è, appunto, solo una supposizione, e, quindi, teoricamente, non costituisce una certezza logica, mi pare che siamo d'accordo.
Però, al riguardo, ho notato che tu -ovviamente a mio parere- tendi un po' a confondere:
- il concetto di "verità";
con
- il concetto di "realtà".
Non sono esattamente la stessa cosa! ;)

***
Tecnicamente, infatti, la "verità" è solo una relazione della mente con la "realtà"; ma non è la "realtà" in se stessa.
Al riguardo:
1)
Platone, nel "Cratilo" (385, b), afferma: "Vero è il discorso che dice le cose come sono, falso quello che le dice come non sono".
Già: ma, in "realtà", come sono effettivamente le cose?
2)
Aristotele, nella «Metafisica» (IV, 7, 1011 b 26 sgg.) sostiene: "Negare quello che è e affermare quello che non è, è il falso, mentre affermare quello che è e negare quello che non è, è il vero"; il che, sostanzialmente, equivale a quello che diceva Platone, con la relativa problematica.
3)
Sant'Agostino, nel "Soliloquio", II, 5), invece, definiva "vero", "Ciò che è così, come appare".
Ma appare "a chi"?
All'occhio del troglodita o a quello dello scienziato?
Ed infatti, ai sensi del primo, appare che il Sole si muove e la Terra è ferma, mentre  alla tecnologia del secondo, invece, appare il contrario.
4)
San Tommaso, nella «Summa Theologiae» (I q., 16 a 2) definisce la verità come "L'adeguazione dell'intelletto e della cosa", cioè,  sull'accordo fra il giudizio della mente e la "realtà".

***
Il che, come sostengo io, è sostanzialmente corretto quanto al mondo "fenomenologico".
Ed infatti:
a)
Se, sotto una pioggia a catinelle io affermo che piove, sto indubbiamente asserendo una "verità" inconfutabile, perchè la mia asserzione corrisponde ad una "realtà" "fenomenologicamente" verificabile.
b)
Ma se, sotto l'aspetto "noumenico", io affermo che è stato un dio (o Dio) la causa ultima della pioggia, io non so dicendo nè una cosa "vera" nè una cosa "falsa", in quanto non è nè "verificabile", nè "falsificabile".
Sto forse scindendo la "realtà"?
No, la considero soltanto sotto due aspetti diversi. ;)

***
Quanto al "bene" e al "male", non sono nè "fenomeni" nè "noumeni", bensì sono soltanto "categorie mentali" in base alle quali giudichiamo la "qualità" delle nostre "azioni" in base ad un determinato "codice morale", che varia "cronologicamente nel tempo" e "geograficamente nello spazio" a seconda delle diverse culture.
Non c'entra niente nè con la "verità" nè con la "realtà"!

***
Il sole che sorge con l'etica non c'entra una sega, perchè il sole sorgeva e tramontava anche anche quando sulla terra non c'era nessuno! ;D

***
Un saluto! :)

Eutidemo

Ciao Ipazia :)
Sei liberissima di optare per la modalità 3), che, in sè (come le altre), non è assolutamente priva di senso; come io stesso ho scritto.
Purtroppo, però, come hai scritto tu, noi abbiamo i dialoghi di Platone ma non quelli di Protagora, per cui non sapremo MAI, con certezza, quello che lui intendeva di preciso! :)

***
Quanto a "metron", appunto,  esso è contenuto in singoli cervelli "individuali", sebbene interallacciati nelle unità di misura e di pensiero; per cui entrambe le interpretazioni, a mio avviso, sono perfettamente lecite.
A mio avviso, soprattutto a seconda del "contesto"! ;)

***
Nel set di pentole epistemologiche il coperchio Ockham sta benissimo sulla pentola Protagora; e, come dici giustamente tu,  anche sulla pentola di Parmenide e di MOLTI altri.
Anche su questo, mi pare che siamo d'accordo! ;)

***
Un saluto! :)

bobmax

Ciao Eutidemo

Sei proprio ben abbarbicato alla tua tela...
Persino la Verità per te è parte della tela!
E non ciò che invece la include in sé e la supera.

Eppure mi pare che ti professassi cristiano...

Ben misero significato deve però avere per te l'affermazione di Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita"

Così come la scelta di Dostoevskij, tra la verità e Gesù, non ha evidentemente per te alcun senso. E invece ne ha e profondissimo.

Be' spero comunque che un piccolo tarlo del dubbio si sia intanto insinuato...

Mi fermo qui, alla prossima.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Eutidemo

Ciao Bob. :)

A dire il vero, non è del tutto corretto fare riferimento alle "affermazioni di Gesù"; ed infatti, sarebbe più corretto parlare delle "affermazioni degli evangelisti" (non sempre del tutto coerenti e concordanti), circa quello che Gesù avrebbe "affermato o non affermato".
Quello che Lui ha "veramente" affermato, non lo sa nessuno; salvo quando parla direttamente al nostro cuore!

***
Ed invero, ad esempio, sebbene altrove, secondo alcuni evangelisti, Gesù avrebbe detto ""Io sono la via, la verità e la vita", tuttavia, nel Vangelo secondo Giovanni (37/38), quando Pilato gli chiede: "Che cos'è la verità?", Gesù non risponde niente!
Il che, secondo me, non è necessariamente contraddittorio, poichè la prima risposta, probabilmente, era solo "metaforica", in quanto, con tutta evidenza, Gesù non era:
- nè un percorso stradale ("via");
- nè un un rapporto tra ciò in cui crediamo e la realtà ("verità");
- nè una particolare condizione biochimica della materia ("vita").
Tuttavia, "icasticamente" e "metaforicamente", la sua risposta aveva un indubbio senso "etico".
Nel secondo caso, invece, a livello "ontologico", la sua risposta non poteva che essere il "silenzio"!

***
Quanto alla scelta di Dostoevskij, tra la "verità" e "Gesù", hai ragione; per me non ha  alcun senso!
Ed infatti, a mio parere, Dostoevskij confonde la differenza tra una "cosa vera" ed una "cosa falsa", con la differenza tra "verità" e "falsità"; per me si tratta di cose diverse!

***
Un saluto! :)

viator

Salve. Il riassunto di quanto fin qui è stato detto è semplicemente (cito da myfriend) : "Immateriale e materiale sono due modi di essere (o forme) della stessa cosa".
Cioè un'affermazione non sconvolgentemente originale e comunque da me condivisa, al cui interno si scopre che "i modi di essere" dell "essere" consistono appunto nell'essere immaterialmente e nell'essere materialmente.
Quindi che la famigerata "COSA" consiste semplicemente nell'"ESSERE.

Provando a definire l'ESSERE come "la condizione per la quale le cause producono i loro effetti", essa definizione dovrebbe quindi valere anche per LA COSA (IN SE').

Quindi, all'interno di un qualsiasi evento,  avremmo una COSA IN SE' immateriale alla quale potremo attribuire il ruolo di causa, poi una COSA IN SE' materiale cui attribuire il ruolo di effetto.

Ed è proprio l'accavallarsi simultaneo ed indistinguibile dei due diversi ruoli ciò che ci impedisce di distinguere e di percepire - nella realtà - il materiale dall'immateriale, mentre a livello astratto tale distinzione ci appare del tutto agevole.

Ecco il perchè il dire : "Immateriale e materiale sono due modi di essere (o forme) della stessa cosa" rappresenta un'ovvietà profondamente interessante. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

davintro

concordo con l'idea secondo cui una posizione relativista, che relativizza il valore oggettivo di ogni verità sulla base delle diverse prospettive, cada nell'errore di confondere il complesso rappresentativo delle immagini soggettive della realtà, variabile da individuo a individuo, con la realtà oggettiva così com'è, indipendentemente dal fatto che i nostri soggettivi punti di vista siano più o meno corrispondenti ad essa. Anche ipotizzando una condizione di coincidenza fra la molteplicità dei punti di vista soggettivi e realtà oggettiva, per il quale si dovrebbero ammettere come veri tanti diversi modelli di realtà quante sono le menti degli individui che li interpretano, questa distinzione tra pensiero soggettivo e realtà oggettiva resterebbe in piedi. Resterebbe in piedi, in quanto la distinzione non è costituita, non necessariamente, dall'effettivo contenuto della visione, dall'eventuale corrispondenza tra essa e la realtà fattuale, ma dai criteri formali che ne determinano il contenuto. Se anche ammettessimo tante realtà quanti sono i nostri punti di vista, la distinzione tra immagine e realtà non verrebbe annullata perché la ragion d'essere fondamentale della seconda continuerebbe a non essere vincolata con l'identificarsi con la prima. Questa identificazione resta contingente e non necessaria al determinarsi della realtà oggettiva (e dunque della verità, tomisticamente intesa come corrispondenza del discorso alla realtà). Che ogni tipo di realtà coincida con i punti di vista in cui le menti soggettive le intendono, non ne è fattore ontologico che ne determina l'esistenza, sulla base della possibilità per ogni pensiero di errare e immaginare idee di reali non esistenti. Se la corrispondenza pensiero-realtà fosse fondata sulla base del pensiero soggettivo, allora la possibilità per il pensiero di errare sarebbe totalmente inconcepibile, in quanto ogni pensiero avrebbe come immanenti a se stesso i criteri di giudizio con cui conoscere la verità, senza potersene mai e in alcun modo distogliere. La possibilità dell'errore mostra invece come il principio di realtà e verità può essere utilizzato dal pensiero, ma accidentalmente, proprio perché fondato in ciò che è altro, ulteriore rispetto al pensiero, cioè sulla realtà in se stessa, indipendentemente da come venga pensata, il pensiero ne coglie la verità non perché la produce, al contrario perché capace di adeguarsi e riceverla passivamente, e questa passività implica come il darsi fattuale delle cose, preesista, logicamente, non necessariamente in modo cronologico, al pensiero, che lo riceve come qualcosa di già presente.

Eutidemo

Ciao Viator :)
Sostanzialmente condivido quello che hai detto; sebbene io sia solito esprimere concetti molto simili in modo un po' diverso.

***
Circa il tema in questione, se non ricordo male, i nonni di Bertrand Russel solevano dire: "What's Mind? No matter! What's Matter? No mind!", il quale gioco di parole inglese, tradotto in italiano, significa: "Cosa è la Mente? Non importa! Cosa è la Materia? Egualmente non importa!".
Ed infatti, sostanzialmente, si tratta della stessa cosa sotto diverse prospettive.  

***
Quanto alla tua affermazione, per la quale: "I modi di essere dell' "essere" consistono appunto nell'essere immaterialmente e nell'essere materialmente.", io la recepirei con una piccola rettifica, e, cioè: "I modi di essere dell' "Essere", consistono appunto nell'Essere immaterialmente e nel MANIFESTARSI materialmente."
Ed infatti, il "noumeno" "E'", mentre il "fenomeno" è soltanto la sua "manifestazione"; che noi chiamiamo "materia"!

***
Non sono invece affatto d'accordo con la tua seguente affermazione, secondo la quale, "All'interno di un qualsiasi evento,  avremmo una COSA IN SE' immateriale alla quale potremo attribuire il ruolo di causa, poi una COSA IN SE' materiale cui attribuire il ruolo di effetto".
Ed infatti, ammesso che esista davvero il cosiddetto "rapporto di causa-effetto" (cosa che alcuni contestano):
- noi possiamo constatarlo soltanto  al "livello" delle cose materiali, ad esempio rilevando che il "fenomeno" fuoco è la causa del "fenomeno" calore;
- noi, però, non abbiamo alcun modo di constatare che ciò avvenga anche tra "livelli diversi", ad esempio rilevando che il "noumeno" fuoco in se stesso, sia la causa del "fenomeno" calore.
E' solo una "congettura"!

***
A mio avviso, peraltro, è anche una congettura molto discutibile, in quanto, essendo in presenza di due piani diversi di realtà, mi sembra un po' arbitrario che possa sussistere un nesso di causalità vero e proprio, tra "noumeno" e "fenomeno".
E' come se, suonando io il campanello di un appartamento situato al quinto piano, mi aspettassi che ad aprire la porta sia l'inquilino del quarto! :D

***
Semmai, si tratta non di rapporto di "causa-effetto", ma, se così si può dire, di mera "apparenza"; ad esempio, una nuvola che sembra un veliero, non è la "causa" del veliero, ma è sempre la stessa nuvola che a noi, in modo transeunte, appare un veliero.

***
Attenzione, però, a non prendere troppo alla lettera i miei esempi, perchè la realtà è sempre diversa dagli esempi con i quali si cerca (sempre insufficientemente) di rappresentarla.
Sempre ammesso che la mia concezione della realtà sia corretta; cosa di cui non sono affatto certo!

***
Un saluto! :)

Eutidemo

Ciao Davintro. :)
Sono d'accordo con te!
Ed infatti:
- un conto sono i "fatti", che restano quelli che sono, a prescindere dalle nostre opinioni;
- un altro conto, invece, sono "le interpretazioni" dei fatti, che, lecitamente, possono essere soggettivamente diverse (salvo palesi errori logici di ragionamento).

***
Ad esempio, senza voler "assolutamente" entrare nel merito della questione (il che sarebbe O.T.), è sicuramente un "fatto" incontrovertibile, in quanto statisticamente "misurato", che gli immigrati hanno una percentuale a delinquere maggiore di quella degli italiani; almeno per quanto concerne la "microcriminalità", non certo per i "falsi in bilancio". ;)
Questa è una verità oggettiva!

***
Tale fatto oggettivo, però, può essere interpretato in modi diversi, attribuendo la propensione alla "microcriminalità" degli immigrati:
- al loro arretrato senso civico ed etico;
- al loro stato di poverà e di indigenza;
- alla loro età media, in quanto, trattandosi in maggioranza di giovani, la loro propensione al crimine è maggiore degli italiani (i quali, in media, sono molto più vecchi).
- a tutte e tre le cose insieme, sia pure in proporzioni diverse.

***
Al riguardo, effettivamente, ciascuno può interpretare lo stesso "fatto oggettivo", in modo "soggettivamente" diverso; sia pure con motivazioni più o meno documentate e validamente argomentate.

***
Sarebbe interessante effettuare una indagine statistica "ceteribus paribus"; al fine, cioè, di riscontrare oggettivamente se, a parità di indigenza, povertà, giovane età ecc., "effettivamente" gli immigrati delinquono in percentuale maggiore degli italiani (facendo cioè una media percentuale "ponderata", e non soltanto "semplice").
Non mi risulta che una simile indagine sia mai stata fatta; per cui, finchè essa non verrà effettuata, resteranno valide tutte le interpretazioni "soggettive" del "fatto oggettivo" costituito dalla mera media percentuale "semplice".

***
Vi prego vivamente, adesso, di non replicare "OFF TOPIC", perchè l'esempio da me riportato aveva soltanto lo scopo di distinguere la "verità oggettiva" dei fatti, dalle diverse "verità soggettive" scaturenti dalle diverse interpretazioni dei fatti stessi; ma non voglio qui affrontare la specifica tematica degli immigrati, che sarebbe fuori tema. ::)

***
Un saluto! :)

Ipazia

Peccato che la tua oggettività nell'esempio riportato sia molto soggettiva e cherry picking. Ma una critica di tali bias ci porterebbe assai OT. Magari un esempio meno hot avrebbe chiarito meglio il concetto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

myfriend

#40
@Eutidemo

Quanto alla tua affermazione, per la quale: "I modi di essere dell' "essere" consistono appunto nell'essere immaterialmente e nell'essere materialmente.", io la recepirei con una piccola rettifica, e, cioè: "I modi di essere dell' "Essere", consistono appunto nell'Essere immaterialmente e nel MANIFESTARSI materialmente."
Ed infatti, il "noumeno" "E'", mentre il "fenomeno" è soltanto la sua "manifestazione"; che noi chiamiamo "materia"!


Concordo.
Ma il concetto va ulteriormente specificato.
E cioè: anche la Gioconda è la "manifestazione" di Leonardo...o dell'intelligenza di Leonardo.
Però noi "osserviamo" due oggetti distinti e separati. Da un lato c'è Leonardo e dall'altro c'è la Gioconda che esiste come "oggetto" separato da Leonardo e che manifesta Leonardo (o l'intelligenza di Leonardo).
Va chiarito che i concetti di "Immateriale" e "materiale" NON SONO questo. Cioè...il termine "manifestazione" può essere frainteso e può generare un falso-dualismo se si pensa che l'atto del "manifestarsi" generi un'entità separata da ciò (o colui) che si manifesta.
Come diceva qualcuno prima....come può l'UNO essere UNO se abbiamo l'UNO e la materia? L'UNO+materia = 2. E, in questa accezione, chiamarlo UNO sarebbe illogico.
Ecco, questo va chiarito.

La materia non è "manifestazione" dell'UNO intesa come "creazione" di qualcosa che è altro da sè.
Ecco perchè è importante partire dall'affermazione: "Immateriale e materiale sono due modi di essere dell'UNO".
L'immateriale è l'UNO. E il materiale è sempre l'UNO.
Non esiste dualismo o separazione tra l'immateriale e il materiale. E' sempre l'UNO.

Una volta chiarito questo punto si può anche affermare il punto successivo, e cioè che la materia è la "manifestazione" dell'UNO (o "dell'Essere"). Cioè la materia è l'UNO nell'atto del suo manifestarsi.

In Fisica si dice che al livello del macrocosmo la realtà si presenta come oggetti distinti e separati nello spazio-tempo.
Al livello del microcosmo (cioè al livello della scala di Planck....10^-33 cm) la realtà è UNO...tutto è UNO immateriale, non esiste la separazione e non esiste lo spazio-tempo.
Cioè al livello del macrocosmo noi osserviamo oggetti distinti e separati che si muovono nello spazio-tempo (materia).
Al livello del microcosmo (cioè "entrando in quegli oggetti" e osservandoli alla scala di Planck), quegli stessi oggetti, sono UNO e  non sono separati (immateriale).
Quindi, materia e immateriale, sono due modi CONTEMPORANEI (cioè nello stesso istante e istante-per-istante) di essere dell'UNO.
E' lo stesso UNO che esiste, CONTEMPORANEMENTE e istante-per-istante, in due modi diversi: materiale e immateriale.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Phil

Citazione di: Eutidemo il 01 Dicembre 2019, 11:19:40 AM
infatti, il "noumeno" "E'", mentre il "fenomeno" è soltanto la sua "manifestazione"; che noi chiamiamo "materia"!
[...]
- noi, però, non abbiamo alcun modo di constatare che ciò avvenga anche tra "livelli diversi", ad esempio rilevando che il "noumeno" fuoco in se stesso, sia la causa del "fenomeno" calore.
E' solo una "congettura"!

***
A mio avviso, peraltro, è anche una congettura molto discutibile, in quanto, essendo in presenza di due piani diversi di realtà, mi sembra un po' arbitrario che possa sussistere un nesso di causalità vero e proprio, tra "noumeno" e "fenomeno".
Il noumeno stesso è una congettura, quindi ogni volta che lo chiamiamo in causa, il discorso assume inevitabilmente un aspetto congetturale. Si tratta di un doppio legame per cui noi "proiettiamo" alcuni aspetti "parziali" e apparenti del fenomeno verso un ipotetico noumeno "completo" e non apparente (non percepibile), al contempo supponiamo che tale noumeno "proietti" il suo fenomeno, o meglio, le sue apparenze fenomeniche, che noi percepiamo e conosciamo. Situazione simile a quanto si narra della caverna platonica, solo che in questo caso la proiezione è invertita: guardando le immagini apparenti (fenomeni percepibili) creiamo concettualmente qualcosa che si suppone reale (noumeno impercepibile) e ci fidiamo che sia esso a creare le immagini; si passa quindi dalla caverna, in cui l'oggetto reale proietta l'immagine ingannevole, al cinema in cui l'immagine reale rimanda ad un'oggetto, concettualmente ingannevole e indimostrabile. Una volta usciti dalla caverna platonica si potevano ammirare gli oggetti reali, mentre nel caso del noumeno è impossibile uscire dal cinema fenomenico, tutto ciò che c'è è solo un'immagine; certo, proiettata (magari semplicemente da ciò che abbiamo giusto sopra gli occhi, ma non divaghiamo) e non potendo uscire dalla "sala dei sensi" (con il sesto che pone più problemi di quanti ne risolva) non possiamo sapere da "cosa", per questo abbiamo inventato il concetto, tanto risolutivo quanto poco epistemico, del noumeno.

Essendo il noumeno, per definizione concettuale, non percepibile, non studiabile, non falsificabile, etc. l'unica sua evidenza non è la sua esistenza, ma la sua utilità teorica per dare un fondamento, per quanto indefinito, ai fenomeni che percepiamo. Dire che il noumeno "è", può significare che il noumeno è un'idea (come altre altrettanto utili al ragionamento o ad altro), ma non che esso sia qualcosa che esiste davvero, essendo la sua esistenza, appunto, congettura indimostrabile. La considerazione che «deve pur esserci qualcosa che genera i fenomeni» sarebbe a sua volta da dimostrare: quanto più la scienza avanza, tanto più il concetto di "cosa" ("che è in quanto è o non è in quanto non è") diventa problematico e arbitrario. Se è la nostra percezione mentale (input sensoriali elaborati dal cervello) a creare il fenomeno "cosa", identificandola, astraendola dal suo contesto (la cosa «mano» identificata distinguendola concettualmente dal braccio, distinto dal corpo), nel creare l'identità della "cosa" non abbiamo necessariamente bisogno che tale identificazione rimandi ad un noumeno; se la "cosa" è identificata e distinta dalla mente, la "cosa in sé" è una congettura ridondante (e mistificante) smentita dalla scienza (che divide la mano in cellule, le cellule in atomi, etc. senza mai incontrare la "cosa in sé" della mano... o forse moltiplica le differenti supposte "cose in sé" ad ogni divisione analitica, spostando il problema all'infinitamente divisibile, direbbe Zenone?).

Altro esempio banale: guardando dallo spazio la terra, saremmo portati a pensare che «deve esserci un noumeno del blu dell'oceano», ma la percezione di quel blu sappiamo che non corrisponde ad alcun "noumeno del blu dell'oceano" (lo stesso vale per la cosa «oceano») essendo una questione di prospettiva, illuminazione, rifrazione, etc. al punto che forse ha più senso affermare che il blu dell'oceano non esiste piuttosto che supporre che ci sia un "noumeno del blu dell'oceano": aumentando lo zoom, vedremmo infatti il mare, poi le onde, poi la molecola dell'acqua (della plastica, etc.) fino a scendere ad un livello in cui non c'è più nel il blu né tantomeno l'oceano, bensì altre "cose".
I "cultori" della "cosa in sé" diranno che tale mancato rinvenimento del noumeno è inevitabile (e tautologico), perché la "cosa in sé" è per definizione inattingibile all'uomo; ancora una volta, affermare l'indimostrabile mette al riparo da ogni confutazione, aprendo la porta al «così è se vi pare».

Ipazia

L'infinitamente divisibile di Zenone pare non esserci e le teorie scientifiche attuali lo escludono. Purtroppo neppure i quanti originari, pur confermati, sarebbero noumenici perché, qualitativamente, la somma é diversa dalle sue parti costituenti. Cosa di cui le classiche suddivisioni dei comparti epistemici tengono conto escludendo verità tuttologiche onnicomprensive.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Eutidemo

Ciao Myfriend.
A mio parere, la Gioconda non è la "manifestazione" di Leonardo  o dell'intelligenza di Leonardo (se non in senso metaforico), bensì, semplicemente, un "prodotto" di Leonardo; ed infatti, come giustamente rilevi tu, noi "osserviamo" due oggetti distinti e separati:
- da un lato c'è Leonardo;
- dall'altro c'è la Gioconda che esiste come "oggetto" separato da Leonardo, in quanto è un "prodotto" materiale creato dalle sue mani e dalla sua  intelligenza.

***
A mio parere, invece, il "mondo materiale" che noi vediamo, non è il "prodotto" o la "creazione" di nessuno, bensì, semplicemente, è una modalità di manifestazione dell'"Essere"; cioè è un mondo "fenomenico" di cui non si può dire né che esista né che non esista, essendo simile allo scintillare della luce solare sulla sabbia, che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure ad una corda buttata per terra ch'egli scambia per un serpente. ;)
Al riguardo, si può discutere se esso possa definirsi una mera "illusione" (Maya) oppure no; ma, secondo me, esso, almeno al suo specifico livello di "apparenza", è del tutto "reale"!
Ed infatti, se non avesse una sua "realtà", come pure il sogno, noi non potremmo sperimentarlo.
Ma qui il discorso comincia a farsi un po' complicato (anche perchè lo è lo stesso concetto di "realtà"), e, al riguardo, nessuno può vantare certezze; tantomeno io! :-[

***
Ciò premesso, sono poi sostanzialmente d'accordo con quello che tu scrivi successivamente; soprattutto sul fatto che il termine "manifestazione" può essere frainteso e può generare un falso-dualismo se si pensa che l'atto del "manifestarsi" generi un'entità separata da ciò (o colui) che si manifesta.
Per questo Bobmax mi considera un "dualista", mentre io ritengo di non esserlo affatto!

***
Ed infatti, come giustamente scrivi tu, "...la materia non è "manifestazione" dell'UNO intesa come "creazione" di qualcosa che è altro da sè, in quanto l'immateriale è l'UNO, ed il materiale è sempre l'UNO; cioè, non esiste dualismo o separazione tra l'immateriale e il materiale...è sempre l'UNO."
Non cambierei una virgola di quello che tu hai scritto, in quanto, sinceramente, non avrei saputo esprimere meglio il concetto!

***
Quanto al tuo discorso circa il "macrocosmo" ed il "microcosmo", onestamente, sono troppo digiuno di "fisica delle particelle" per poter esprimere un mio giudizio; però ci andrei molto cauto nell'assimilare il secondo all'UNO, perchè penso che anche il "microcosmo" sia una mera "manifestazione" dell'Essere, sia pure al microscopio elettronico, e non certo l'Essere in sè!
Però le tue argomentazioni al riguardo mi sembrano molto interessanti.

***
Un saluto! :)

Ipazia

Tornando al tema

Citazione di: Protagora - Teeteto, 166d-167a

"Io sostengo che la verità è come ho scritto: ciascuno di noi è misura delle cose che sono e di quelle che non sono, ma siamo immensamente differenti l'uno dall'altro proprio per questo, che per uno appaiono e sono certe cose, e per un altro invece altre. E sono ben lontano dal negare che esistano sapienza e uomo sapiente, anzi chiamo sapiente colui che, operando un mutamento, a uno di noi per il quale certe cose appaiono e sono cattive le fa apparire ed essere buone. [...] Ricordati quanto si diceva prima, che per il malato appaiono e sono amare le cose che mangia, mentre per il sano sono e appaiono il contrario. Non bisogna peraltro stimare più sapiente l'uno o l'altro di costoro – in effetti non sarebbe nemmeno possibile – né bisogna dichiarare ignorante il malato per il fatto che ha tale opinione e sapiente invece il sano perché ha un'opinione diversa. Occorre invece operare un mutamento nell'altra direzione, perché una delle due disposizioni è migliore. Così anche nell'educazione bisogna operare un mutamento da una disposizione a quella migliore. Solo che il medico opera mutamenti con farmaci, mentre il sofista lo fa con discorsi".

La prima parte del discorso lascerebbe intendere una posizione soggettivista della misura, rafforzata ulteriormente dalla definizione del sapiente come specialista della retorica e non del sapere "oggettivo". Però l'oggettività rientra dalla finestra quando si postula un'antinomia sano-malato alla base dell'insegnamento (paideia) e da questo nodo non si scappa nemmeno nel misurare le cose, ricercando la "migliore disposizione".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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