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Coscienza

Aperto da Mariano, 23 Settembre 2016, 17:15:26 PM

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Mariano

Il termine coscienza, nel senso di distinguere il bene dal male o il giusto dall'ingiusto, rappresenta un concetto oggettivo o soggettivo?
Io penso che ognuno di noi, parlando di coscienza si riferisca ad un concetto assoluto, come se fosse qualcosa di innato, ma non sono certo che sia così è lo dimostrano le diverse opinioni che onestamente si contrappongono in molti problemi sociali.

doxa

#1
Coscienza o anima ?  Per pigrizia li considero sinonimi, anche se meritano la distinzione.

Non sono un credente, perciò quello che il nick Duc chiama "anima" io la chiamo "coscienza".

Come sai il  sostantivo "coscienza" deriva dal latino "conscientia"; questo lemma è composto da "con" + "scientia", sematicamente collegato con "conoscenza" e "scienza" e significa "essere consapevole".

Consapevole di che cosa ? in generale s'intende la consapevolezza che il soggetto ha di sé e dei propri contenuti mentali, del complesso delle proprie attività interiori e degli oggetti cui queste attività si rivolgono. In questo senso, rientrano nella definizione di coscienza sia la semplice percezione sensibile di stati o condizioni interne ed esterne, sia la capacità dell'Io di organizzare e sintetizzare in un insieme organico percezioni, sentimenti e conoscenze. Perciò è limitativo relegare la coscienza a "distinguere il bene dal male o il giusto dall'ingiusto".
Questo tipo di coscienza viene denominata "coscienza morale", la quale ci permette di discernere il valore ed il significato del comportamento proprio e degli altri.


Per la scienza e la filosofia la coscienza è soggettiva, consiste di stati qualitativi di sensazione o di consapevolezza. Nel forum ci sono nick che hanno più conoscenza di me nelle due predette discipline e sono sicuro che approfondiranno il tema.  

paul11

Anima è il principio vitale.
Coscienza è la consapevolezza.
Mente è il pensiero.

Sono nella fase in cui ritengo che vi debbano esservi queste tre distinzioni.
Essere animato, essere cosciente, avere mentalmente un pensiero, sono esplicazioni diverse.
Li ritengo ontologicamente divisi, perchè hanno funzioni diverse, ma dinamicamente e gerarchicamente dipendenti.

Nello  specifico la coscienza non è solo morale è conoscenza che la mente,correlata al cervello fisico, gli consegna e quì avviene la riflessione del pensiero che si pensa, quindi lo specchio, la specula-zione filosofica.

Mariano

La parola coscienza può avere molti significati ed io, prima di formulare il mio pensiero sono diligentemente andato ad esaminarli spero tutti.
Questo è il motivo per il quale ho parlato della cosiddetta coscienza morale ed è di questa che gradirei conoscere se si ritiene giusto considerarla con un significato assoluto o relativo a chi intende praticarla.

donquixote

Citazione di: Mariano il 23 Settembre 2016, 17:15:26 PM
Il termine coscienza, nel senso di distinguere il bene dal male o il giusto dall'ingiusto, rappresenta un concetto oggettivo o soggettivo?
Io penso che ognuno di noi, parlando di coscienza si riferisca ad un concetto assoluto, come se fosse qualcosa di innato, ma non sono certo che sia così è lo dimostrano le diverse opinioni che onestamente si contrappongono in molti problemi sociali.

La coscienza intesa in questo modo non è un concetto oggettivo e assoluto ma nemmeno soggettivo, anche se nel nostro schizofrenico mondo era inteso come universale ed oggettivo sino a qualche secolo fa  mentre adesso è a tutti gli effetti personale e soggettivo.
Esiste un particolare tipo di conoscenza che Aristotele chiamava sensazione comune, e san Tommaso ratio particularis;  è quella che a volte si definisce popolarmente buon senso, o senso della realtà, o senso comune, e che Giovanbattista Vico indicava come «un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere umano». Questo tipo di conoscenza era attribuita ai cosiddetti "sensi interni", e a volte identificata con la coscienza stessa intesa appunto nella sua accezione di organo del giudizio morale; questa è stata analizzata e tematizzata da un notevole numero di pensatori che in sostanza l'hanno definita come una facoltà  intermedia fra i sensi e l'intelletto che svolge nell'uomo un compito analogo a quello  svolto dall'istinto negli animali. Il senso comune istruisce la ragione, ad esempio, a non fidarsi talvolta dei sensi poiché li si percepisce ingannatori, e a riconoscere istintivamente, attraverso quella facoltà (a volte identificata con una parte dell'anima) chiamata sinderesi, ciò che è bene e ciò che è male.
Per quanto questo tipo di sapere possa essere talmente radicato da apparire talvolta effettivamente vero, universale e innato, ad una più attenta analisi non lo è affatto; se esiste una conoscenza soggettiva connaturata a tutti gli uomini (e anche agli animali), come ad esempio la capacità di digerire, di metabolizzare il cibo, di far circolare il sangue eccetera, esiste anche una conoscenza oggettiva soggettivata, che pur non essendo innata potrebbe in qualche modo sembrarla e dar luogo a confusione. Un tipo di conoscenza che viene appreso gradualmente, istintivamente e inconsapevolmente, che quando viene  condivisa con la totalità delle persone che si frequentano appare effettivamente interna alla coscienza, così come appare istintiva la conoscenza degli animali che, anche loro, in qualche modo imparano quello che sanno, come ad esempio dove trovare il cibo, quali sono i loro predatori, come costruire un nido o una tana eccetera.
Se ci si recasse in un paese straniero e si tentasse di fare amicizia con un bambino che non ha mai visto prima un forestiero, costui ci si rivolgerà parlando naturalmente la propria lingua, e resterebbe sicuramente sorpreso del fatto che noi non riusciremmo a rispondergli coerentemente e comprensibilmente. Questo per la semplice ragione che il linguaggio, che ad un bambino appare una conoscenza naturale, istintiva, innata, è invece una conoscenza acquisita che poi è diventata patrimonio di ognuno fino a radicarsi nel profondo dell'inconscio, ed essere utilizzata con una disinvoltura tale da portare a credere che sia retaggio di ciascuno e che, fino a quando non ci si accorge che nel mondo si parlano tante lingue diverse, appare l'unica esistente. Lo stesso ragionamento si deve fare, a maggior ragione, per la percezione e la rappresentazione delle "cose" che stanno intorno a noi nonché per i giudizi morali che generalmente si danno dei fenomeni. Da piccoli si apprendono in via diretta, tramite l'osservazione non mediata da un esempio, un ragionamento o una istruzione specifica e razionale, ma solo facendo uso di codici fondamentali dell'apprendimento umano (ma anche animale) come il principio di non contraddizione, quello di causalità e quello di finalità,  una innumerevole quantità di nozioni, che combinate poi con l'istruzione e l'educazione ricevuta, nonché con l'osservazione e l'imitazione del comportamento dei propri simili, contribuiscono alla formazione di quegli schemi mentali di base che, col tempo, si struttureranno in una più complessa morale che guiderà, una volta diventati adulti, il giudizio immediato e istintivo sulle cose e il conseguente adeguamento della prassi, e che verrà poi trasmessa ai discendenti; ma  se determinati "codici" di base sono universali e comuni a chiunque, la maggior parte di essi non lo sono, soprattutto quando questi portano ad esprimere i giudizi sui fenomeni, che ogni cultura di ogni gruppo sociale elabora ed esprime in modo differente conformemente alla propria visione del mondo e del ruolo di ogni essere al suo interno.
Sappiamo bene che esiste nel mondo un ampio campionario di dottrine morali, diverse per ogni popolo, e nel nostro stesso mondo possiamo notare che la nostra morale è cambiata parecchio nel corso della storia. Se dunque la coscienza si ritiene convenzionalmente quella parte dell'uomo in cui si depositano gli schemi di base che consentono di esprimere i giudizi di "bene" e "male" sui fenomeni, questa si forma attraverso l'educazione e dipende dal contesto sociale in cui uno cresce, per cui la sua "oggettività" potrà essere condivisa ed affermata solo all'interno di una determinata cultura o di una determinata civiltà. Qualcuno potrà dire ad esempio che il famoso comandamento "non uccidere" è effettivamente universale poichè comune a tutti i popoli in ogni tempo per cui questo è un portato "oggettivo" della coscienza, ma se si va un pochino più a fondo si vede che nessun popolo in nessuna epoca lo prende così com'è, ma tutti fanno dei distinguo: la prima distinzione è quella fra l'uomo e l'animale, per cui il "non uccidere" vale solo per gli uomini e non per gli animali (che anch'essi sono vivi), e poi anche nell'ambito umano la quasi totalità delle culture affermano "non uccidere l'innocente"; ma siccome ogni dottrina morale ha un concetto diverso di "innocente" per cui qualcuno potrà essere innocente per un determinato tipo di cultura e colpevole per un'altra il tanto decantato "non uccidere" perde qualsiasi senso. La coscienza dunque si può considerare l'organo del giudizio morale solo all'interno di una comunità che condivide la medesima morale e la trasmette ai suoi componenti a partire dalla nascita. Nell'epoca attuale di eclissi della morale la coscienza diventa necessariamente soggettiva in quanto ognuno tende ad elaborare dei propri principi morali (almeno chi lo fa) e a fare i conti con quelli, che molto spesso confliggeranno con quelli altrui e daranno inevitabilmente luogo ad una inestricabile confusione.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Sariputra

#5
La coscienza si potrebbe anche definire come il "senso interno" della mente. Come l'epidermide è necessaria al senso del tatto, l'occhio al senso della vista, l'orecchio a quello dell'udito, la lingua a quello del gusto e le narici a quello dell'olfatto, così la coscienza è l'elemento sensibile e necessario della mente che le permette di rivolgersi verso se stessa ( forse sarebbe più corretto dire che immagina di rivolgersi verso se stessa in quanto mi sembra più che contempli un'astrazione concettuale di sé...) e riflettere sul perchè è capace di "sentire" anche se stessa e non solo ciò che la circonda.
Secondo la concezione buddhista è più corretto definirla come "dimensione della coscienza" (vinnana), essendo paragonabile ad uno spazio che la mente (citta) abita e usa come "deposito". E' l'agente che opera nell'ambito del processo di ri-divenire, di ri-nascita ( che "discende nel grembo materno"). Si può anche intendere come nutrimento della mente (il quarto tipo di ahara, dopo cibo materiale, contatto, volizione). Questo nutrimento si basa sulla brama (tanha) e conduce come volontà di vivere o sete d'esistere al ridivenire ( punabbhava).Dal momento che c'è "fame di vita", il vinnana (coscienza) può fungere da trampolino di lancio verso una nuova esistenza nel cerchio del samsara. Il vinnana è anche il terzo anello della catena del paticcasamuppada, almeno nella sua versione più conosciuta,  ed è condizionato, secondo i testi, dalle "attività" (sankhara) ed è esso stesso condizione base di "nome e forma" ( namarupa). E' pure uno dei cinque fattori della personalità (khandha). Insomma il suo significato è ricco e vario (come si conviene ad uno spazio immenso, non delimitato).
Distinguere il bene del male non è una funzione della coscienza. Direi che spetta alla mente ( citta) nella sua qualità pura di capacità di "comprensione" o "visione profonda" ( Prajna ) dei fattori costituenti il suo attaccamento all'esistenza e al ri-divenire.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Mariano

Citazione di: donquixote il 23 Settembre 2016, 23:15:52 PMLa coscienza intesa in questo modo non è un concetto oggettivo e assoluto ma nemmeno soggettivo, anche se nel nostro schizofrenico mondo era inteso come universale ed oggettivo sino a qualche secolo fa  mentre adesso è a tutti gli effetti personale e soggettivo.
Il tuo intervento è piacevole e condivisibile, ma resta il problema della relatività (non esistenza di un fatto assoluto) la cui certezza contrasta col suo stesso concetto.
Io preferisco pensare che esista un concetto assoluto, ad esempio del bene, e che consista nel l'insieme di tutti gli onesti giudizi di bene, anche se da una visione individualistica possano risultare contrastanti.

doxa

Lo psichiatra e neuroscienziato Giulio Tononi in un suo articolo pubblicato sul quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 13 novembre 2016 col titolo "Come si misura la coscienza", ha fra l'altro scritto: "Sappiamo bene, ormai, che la coscienza dipende dal cervello, che è una macchina biologica complicata. È fatto di materia che non ha nulla di misterioso: come il cuore, il cervello è fatto di miliardi di cellule specializzate a condurre impulsi elettrici. Non solo. Ormai abbiamo apparecchi sempre più potenti per guardare dentro il cervello, scoprire come è organizzato, regione per regione, cellula per cellula, e stabilire come ogni neurone è collegato ad altri neuroni, sinapsi per sinapsi. E siamo sulla buona strada per capire come funziona – come può distinguere una faccia dall'altra, come può immagazzinare memorie, e come controlla il movimento. Si tratta di funzioni complicate, ma che non pongono problemi insuperabili, tanto che stiamo costruendo macchine capaci di eseguirle quanto o meglio di noi.


Eppure, come dai neuroni si sprigioni l'esperienza soggettiva – il colore del cielo e la felicità di un tramonto – come «l'acqua del cervello si trasformi nel vino della coscienza» sembra davvero un miracolo inspiegabile. Il filosofo David Chalmers lo ha chiamato «The hard problem» (il problema difficile) per antonomasia perché sembra impossibile anche solo immaginare una soluzione. Più studiamo, più la coscienza appare misteriosa. Per esempio, il cervelletto contiene più della metà degli 86 miliardi di neuroni del cervello, ma anche se si asporta chirurgicamente continuiamo ad essere coscienti come prima. Perché? E perché l'esperienza svanisce durante il sonno profondo, anche se i neuroni continuano ad essere attivi?


Nonostante lo scetticismo che per una volta accomuna filosofi e scienziati, rispondere a queste domande non è necessariamente fuori dalla portata della scienza. La teoria dell'informazione integrata (IIT) mira precisamente a spiegare che cos'è la coscienza, a caratterizzare i requisiti dei sistemi fisici che la rendono possibile e a misurarne la quantità e la qualità. L'approccio consueto - studiare le caratteristiche del cervello e cercare di derivarne in qualche modo l'esperienza soggettiva, ossia andare dalla fisica alla fenomenologia - si scontra inevitabilmente con l'hard problem.

IIT rovescia i termini della questione, andando dalla fenomenologia alla fisica: invece di partire da come è fatto il cervello o dalle funzioni che svolge, IIT comincia con l'identificare le proprietà essenziali della coscienza stessa per derivarne i requisiti necessari e sufficienti perché un substrato fisico renda possibile l'esperienza soggettiva. Le proprietà essenziali della coscienza – vere di ogni esperienza concepibile - sono cinque: l'esperienza esiste intrinsecamente (per il soggetto, non per un osservatore esterno); è strutturata (è composta di svariati contenuti e delle loro relazioni); informativa (ogni esperienza è specifica - quella che è, pertanto diversa da innumerevoli altre); integrata (una e irriducibile); definita (ha i contenuti che ha, nulla di meno e nulla di più).
Queste cinque proprietà essenziali della fenomenologia sono tradotte da IIT nei cinque requisiti fisici che devono essere necessariamente soddisfatti da qualsivoglia substrato fisico della coscienza. Dove per "fisico" si intende, in modo del tutto generale, qualunque substrato che abbia potere causale – ossia che possa essere manipolato od osservato, direttamente o indirettamente - dal cervello ai neuroni alle particelle elementari.

A tutto questo, IIT dà una veste matematica, arrivando a una formulazione precisa: il substrato fisico della coscienza deve essere un massimo globale di potere causale intrinseco, composizionale, specifico e irriducibile. Non è possibile spiegare adeguatamente in poche righe cosa significhi quest'espressione convoluta, né come IIT ne deduca la qualità dell'esperienza (ha a che fare con la struttura del potere causale che compone l'informazione integrata).

Conviene sottolineare, peraltro, che IIT è l'antitesi del riduzionismo: persino l'unità di misura fondamentale di informazione integrata, Phi, è una misura di irriducibilità, che indica se e quanto il tutto non possa essere ridotto alle sue parti. Una delle conseguenze della teoria è proprio che la coscienza in linea di principio è misurabile: tanto più alto il valore di informazione integrata Phi, tanta più coscienza. La teoria si può quindi mettere alla prova dei fatti. Così è stato sviluppato un "coscienziometro", per quanto ancora primitivo, che utilizza uno stimolatore magnetico transcranico e un gran numero di elettrodi per leggere l'integrazione dell'informazione dalle risposte del cervello.

Per quanto grossolana, la stima di Phi così ottenuta funziona: come dimostrato dal gruppo di Marcello Massimini a Milano e altri collaboratori, è attualmente il miglior indice clinico per valutare il livello di coscienza in pazienti con gravi lesioni cerebrali, e funziona anche nell'anestesia generale e nel sonno. In alcuni casi, la stima di Phi suggerisce che pazienti apparentemente incoscienti perché rimangono immobili e non rispondono agli stimoli possono ciononostante essere coscienti, come succede a tutti noi quando sogniamo. In linea di principio, IIT può servire a stabilire se e quanto siano coscienti animali diversi da noi, a chiarire perché la coscienza si sia evoluta e a spiegare perché certe regioni della corteccia cerebrale siano essenziali per la coscienza e altre no. Ciò è già chiaro per il cervelletto: la ragione per cui non ha nulla a che fare con la coscienza è che, nonostante il grandissimo numero di neuroni, è organizzato in moduli separati che impediscono l'integrazione dell'informazione.

Per finire, la teoria ha implicazioni importanti per l'intelligenza artificiale, che sta creando sempre più freneticamente nuove macchine capaci di uguagliare e persino superare le nostre capacità cognitive. Eppure, secondo IIT, anche se un domani un calcolatore fosse in grado di replicare perfettamente tutte le funzioni cognitive di una persona cosciente, magari con una precisa e dettagliata simulazione di ogni neurone del suo cervello, non potrebbe essere cosciente - anche se citasse Dante e fischiettasse Verdi, sarebbe letteralmente solo una macchina che recita una parte, senza avere né esperienza soggettiva né libero arbitrio; una macchina che esiste per noi, osservatori esterni, ma non per sé stessa, dall'interno".

maral

Citazione di: altamarea il 14 Novembre 2016, 11:44:48 AM
Lo psichiatra e neuroscienziato Giulio Tononi in un suo articolo pubblicato sul quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 13 novembre 2016 col titolo "Come si misura la coscienza", ha fra l'altro scritto: "Sappiamo bene, ormai, che la coscienza dipende dal cervello, che è una macchina biologica complicata. È fatto di materia che non ha nulla di misterioso: come il cuore, il cervello è fatto di miliardi di cellule specializzate a condurre impulsi elettrici. Non solo. Ormai abbiamo apparecchi sempre più potenti per guardare dentro il cervello, scoprire come è organizzato, regione per regione, cellula per cellula, e stabilire come ogni neurone è collegato ad altri neuroni, sinapsi per sinapsi. E siamo sulla buona strada per capire come funziona – come può distinguere una faccia dall'altra, come può immagazzinare memorie, e come controlla il movimento. Si tratta di funzioni complicate, ma che non pongono problemi insuperabili, tanto che stiamo costruendo macchine capaci di eseguirle quanto o meglio di noi.
Mi sa che lo psichiatra e il neuroscienziato Giulio Tononi se pensa di poter chiarire definitivamente cosa sia l'autocoscienza studiando neurone per neurone e sinapsi per sinapsi non abbia nemmeno lontanamente capito cosa sia la coscienza e se è così non è nemmeno all'inizio della buona strada per poterlo capire, semplicemente ha preso la strada sbagliata, cosa che capita di frequente a psichiatri e neuroscienziati. Viene il sospetto che sia per il mestiere che fanno.


CitazioneIIT rovescia i termini della questione, andando dalla fenomenologia alla fisica: invece di partire da come è fatto il cervello o dalle funzioni che svolge, IIT comincia con l'identificare le proprietà essenziali della coscienza stessa per derivarne i requisiti necessari e sufficienti perché un substrato fisico renda possibile l'esperienza soggettiva. Le proprietà essenziali della coscienza – vere di ogni esperienza concepibile - sono cinque: l'esperienza esiste intrinsecamente (per il soggetto, non per un osservatore esterno); è strutturata (è composta di svariati contenuti e delle loro relazioni); informativa (ogni esperienza è specifica - quella che è, pertanto diversa da innumerevoli altre); integrata (una e irriducibile); definita (ha i contenuti che ha, nulla di meno e nulla di più).
Queste cinque proprietà essenziali della fenomenologia sono tradotte da IIT nei cinque requisiti fisici che devono essere necessariamente soddisfatti da qualsivoglia substrato fisico della coscienza. Dove per "fisico" si intende, in modo del tutto generale, qualunque substrato che abbia potere causale – ossia che possa essere manipolato od osservato, direttamente o indirettamente - dal cervello ai neuroni alle particelle elementari.
Ma dopotutto potrebbero anche essere sei, oppure sette, o forse solo tre. Mi chiedo poi perché tra ciò che può essere osservato e manipolato non si includano ad esempio le emozioni. Non sono forse osservabili (assai più facilmente dei neuroni) e manipolabili? Non sono forse molto strettamente correlate alla coscienza?
In ogni caso se proprio occorre tracciare mappe e formulare metafore credendo di tenere in pugno il fenomeno in sé preferisco mappe e metafore più comprensibili di questo IIT, quanto ai coscienzometri non è che necessariamente misurino il livello di coscienza, ma solo il livello di ciò in cui si è stabilito opportuno considerare come coscienza sulla base di un certo numero di pre assunzioni riguardanti componenti fisiche che con la coscienza hanno ben poco a che vedere o di proprietà da considerare essenziali a una certa mappatura definitoria.

sgiombo

Stavolta concordo pienamente con Maral (anche se quasi sicuramente in base a motivazioni diverse, che vado brevemente ad illustrare).

Anche se la scienza neurologica dimostra che vi è una necessaria corrispondenza biunivoca fra certi determinati eventi fenomenici coscienti nell' ambito di una certa determinata esperienza cosciente (di un "osservato": chiamiamola coscienza "A") e certi determinati eventi neurofisiologici in un certo determinato cervello (osservabile nell' ambito di esperienze fenomeniche coscienti di "osservatori", generalmente diverse da quella di cui sopra: chiamiamole coscienze "B", "C", "D", ecc.), ciò non significa affatto che l' esperienza cosciente ("A") si trovi in quel cervello (il quale si trova nell' ambito delle esperienze coscienti "B", "C", "D", ecc.): assurdità della pretesa esperienza cosciente interna ad un' altra (o più di una) esperienza cosciente!
Nel cervello osservato scientificamente, compreso nell' ambito delle esperienze coscienti degli osservatori (ovvero nel "mondo materiale – naturale" scientificamente studiabile che di esse fa parte) Tononi non potrà che trovare neuroni, assoni, potenziali d' azione, eccitazioni o inibizioni trans-sinaptiche, ecc. (roba macroscopicamente molliccia roseo-grigiastra) a loro volta costituiti microscopicamente da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc.: tutt' altra roba che l' esperienza cosciente cui necessariamente corrisponde in modo biunivoco (che potrebbe essere ad esempio costituita dalla visione di un coloratissimo fiore o un arcobaleno, dalla percezione di un piacere fisico, di un sentimento di amore, di un ricordo d' infanzia, di un ragionamento deduttivo, ecc.)!

Finché non compiranno la "rivoluzione copernicana" consistente nel rendersi conto che non è l' esperienza cosciente ad essere nel cervello (dove ci sono solo neuroni, assoni, ecc. e nient' altro), bensì sono i cervelli ad essere nelle esperienze coscienti di chi li osserva, i neurologi, "scienziati cognitivi", ecc. (compresi anche certi filosofi della mente) saranno inesorabilmente costretti a brancolare nel buio, un po' come i biologi evoluzionisti prima che Darwin e Wallace scoprissero la selezione naturale (ma per comprendere questo è necessario innanzitutto rendersi conto che "esse est percipi": ci vuole una certa attitudine e preparazione filosofica).
Un certo determinato cervello e una certa determinata esperienza cosciente non possono essere considerati "la stessa cosa in sé" (robe mollicce grigiastre fatte di neuroni e assoni non sono affatto la stessa cosa che fiori coloratissimi, sentimenti o ragionamenti!), ma casomai, in un certo senso, "la stessa cosa in sé" in quanto "si manifesta fenomenicamente" rispettivamente ad altri soggetti di sensazioni e a se stessa.

(Questa discussione è alquanto "deragliata dai binari iniziali", ma a questo punto mi sembra valga la pena proseguire anche in questa direzione).

doxa

#10
Grazie Maral e Sgiombo per la vostra opinione. Però mi viene un dubbio:  quanto il vostro sapere filosofico condiziona la vostra opinione sulla coscienza ?
Il neuroscienziato  italiano Giulio Tononi lavora negli Stati Uniti, dirige il "Center for sleep and consciousness" nell'università del Wisconsin, perciò presumo che sappia quel che dice.

Phil

Anche se la coscienza non è il cervello, sostenere che non è nel cervello forse è in conflitto con il fatto che senza cervello non credo possa esserci coscienza (anche se non so se sono stati fatti esperimenti in merito, un cervello vivo non è la condizione necessaria e sufficiente per avere una coscienza?). Quindi il cervello plausibilmente "serve" alla coscienza (pur non identificandosi con essa) e in fondo è l'unico "aspetto" della coscienza che è possibile studiare in modo empirico-scientifico (a differenza delle emozioni). 
Chiaramente, il dolore non è l'osso rotto, ma a partire dallo studio dell'osso rotto ("risalendo" lungo il sistema nervoso, etc.) possiamo capire e spiegare il dolore; suppongo lo stesso valga per la coscienza: partendo da ciò che sembra essere la "radice fisiologica" della coscienza, si può forse arrivare a comprenderla meglio... 
Per quanto riguarda gli aspetti "esterni", comportamentali e manifesti della coscienza, la psicologia e "scienze" affini hanno già il loro bel da fare a cercare di sbrogliare la matassa: una collaborazione con le neuroscienze, affrontando la questione da due fronti complementari (esterno/interno, comportamento/fisiologia) potrebbe essere di reciproco giovamento...

maral

#12
Citazione di: altamarea il 15 Novembre 2016, 21:31:00 PM
Grazie Maral e Sgiombo per la vostra opinione. Però mi viene un dubbio:  quanto il vostro sapere filosofico condiziona la vostra opinione sulla coscienza ?
Il neuroscienziato  italiano Giulio Tononi lavora negli Stati Uniti, dirige il "Center for sleep and consciousness" nell'università del Wisconsin, perciò presumo che sappia quel che dice.
Per quanto mi riguarda la condiziona moltissimo, anzi la determina. Come l'opinione filosofica di Giulio Tononi condiziona ciò che dice il neuroscienziato Giulio Tononi, che peraltro crede di non aver alcuna opinione filosofica a monte del suo osservare le cose, di partire da un terreno libero e vergine da ogni preconcetto e semplicemente di vedere quello che accade in oggetto, di per se stesso, (i neuroni, le sinapsi ...) come se neuroni e sinapsi e il modo di considerarle non fossero il prodotto significante di una lunghissima storia filosofica, quella di cui appunto Tononi, come neuroscienziato, non si rende minimamente conto di quanto lo condizioni. Siamo tutti precondizionati (e tanto più quanto più ci sentiamo specialisti in materia), il pregiudizio è assolutamente necessario per poter pensare e dire qualcosa sviluppando ragionamenti, la differenza è tra chi se ne rende conto e considera il proprio immancabile pregiudizio come base necessaria per un'esplorazione interpretativa che possa anche dire altro e chi invece non si rende per nulla conto di averlo, perché lo considera come punto di arrivo finale (del tutto autogiustificato) dopo il quale non c'è proprio nient'altro da dire.
Grazie a te comunque per le tue considerazioni. Colgo l'occasione per ricordare, dato che c'è una sezione scientifica nel forum che langue (a differenza di questa filosofica), di utilizzare anche quella per argomentazioni di questo tipo (qui è ovvio che la preminenza vada data all'aspetto filosofico delle questioni e la filosofia degli scienziati, anche se neuroscienziati di elevatissimo profilo,  è spesso tremendamente ingenua)

sgiombo

#13
Citazione di: Phil il 15 Novembre 2016, 21:36:54 PM
Anche se la coscienza non è il cervello, sostenere che non è nel cervello forse è in conflitto con il fatto che senza cervello non credo possa esserci coscienza (anche se non so se sono stati fatti esperimenti in merito, un cervello vivo non è la condizione necessaria e sufficiente per avere una coscienza?). Quindi il cervello plausibilmente "serve" alla coscienza (pur non identificandosi con essa) e in fondo è l'unico "aspetto" della coscienza che è possibile studiare in modo empirico-scientifico (a differenza delle emozioni).
Chiaramente, il dolore non è l'osso rotto, ma a partire dallo studio dell'osso rotto ("risalendo" lungo il sistema nervoso, etc.) possiamo capire e spiegare il dolore; suppongo lo stesso valga per la coscienza: partendo da ciò che sembra essere la "radice fisiologica" della coscienza, si può forse arrivare a comprenderla meglio...
Per quanto riguarda gli aspetti "esterni", comportamentali e manifesti della coscienza, la psicologia e "scienze" affini hanno già il loro bel da fare a cercare di sbrogliare la matassa: una collaborazione con le neuroscienze, affrontando la questione da due fronti complementari (esterno/interno, comportamento/fisiologia) potrebbe essere di reciproco giovamento...
Citazione

Ma il fatto che senza cervello non possa esserci coscienza (concordo che un cervello vivo e con un minimo di funzionalità in atto -non in coma profondo- è la condizione necessaria e sufficiente per avere una coscienza; ma anche -allo stesso modo- che l' esistenza di una coscienza é la condizione necessaria perché ci sia un cervello vivo e con un minimo di  funzionalità in atto) e quello che il cervello plausibilmente "serve" alla coscienza (pur non identificandosi con essa) non implicano una pretesa, impossibile presenza della coscienza (come sua parte o sua funzione) nel cervello (dove non si potrà trovare mai altro che materia ben diversa dalle esperienze coscienti del "titolare" del cervello: roba grigio-rossastra molliccia; che meglio analizzata appare costituita da neuroni, sinapsi, assoni in funzione, ecc.; che meglio ìnalizzata appare costituita da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc.; che meglio analizata potrà unicamente apparire essere costituita da eventuali altre entità ed eventi materiali del tutto simili a quelli della materia non pensante-cosciente e a quelli della materia non vivente; e non -ad esempio- visioni di fiori coloratissimi, audizioni di sublimi melodie, esperienze di sentmenti, fantasie, ricordi, ragionamenti, ecc., se questi ultimi sono i "contenuti fenomenici" che il "titolare del cercvello" sta esperendo).

Dunque partendo da ciò che sembra essere la "radice fisiologica" della coscienza, si può certamente arrivare a comprendere meglio le funzioni cerebrali necessariamente corrispondenti biunivovocamente alle esperienze di coscienza: questo possono (e devono) le neuroscienze (e lo trovo  estramente interessante), non pretendere di ridurre la coscienza ad eventi neurofisiologici cerebrali o che essa ne "emerga" o vi "sopravvenga" qualsiasi senso questi concetti possano avere nell' ambito delle scienze naturali, del divenire della materia, di cui la coscienza non fa parte, mentre invece esso sì (il divenire materiale) fa parte, essendo costituito fa "fenomeni", delle esperienze fenomeniche coscienti nell' ambito delle quali é percepito, id est: accade.


Devo correggere quanto affermato nel mio precedente intervento:
Un certo determinato cervello e una certa determinata esperienza cosciente mentale-interiore (determinati pensieri) non possono essere considerati "la stessa cosa in sé" (robe mollicce grigiastre fatte di neuroni e assoni non sono affatto la stessa cosa che "stati d' animo", sentimenti o ragionamenti!), ma casomai, in un certo senso, esperienze mentali-interiori ed eventi neurofisiologici cerebrali  possono essere considerati "la stessa cosa in sé" in quanto "si manifesta fenomenicamente" rispettivamente ad altri soggetti di sensazioni e a se stessa (invece le esperienze coscienti materiali-esteriori non possono essere considerate in un certo senso "la stessa cosa in sé" che il soggetto di esse, il loro soggetto quale "si manifesta fenomenicamente a se stesso", bensì la "manifestazione fenomenica" ad esso di "altre cose in sé da esso diverse").


Concordo al 100 % (una volta tanto ...capita "nelle migliori famigle") con le considerazioni di Maral su scienza e filosofia.

bluemax

Citazione di: Mariano il 23 Settembre 2016, 17:15:26 PM
Il termine coscienza, nel senso di distinguere il bene dal male o il giusto dall'ingiusto, rappresenta un concetto oggettivo o soggettivo?
Io penso che ognuno di noi, parlando di coscienza si riferisca ad un concetto assoluto, come se fosse qualcosa di innato, ma non sono certo che sia così è lo dimostrano le diverse opinioni che onestamente si contrappongono in molti problemi sociali.
Pare che la coscienza, sia quella sensazione, generata dal e nel cervello dovuta al susseguirsi delle percezioni illusoriamente continua di fotogrammi (fotoni al contatto con la retina), suoni, odori, tatto ecc... ecc... (ossia la discriminazione dei sensi). Tale percezione è ERRONEAMENTE sperimentata come un qualcosa di  continuo, come fosse un flusso senza rotture, incrinature o divisioni. In realtà invece vi sono una enormità di spazi "vuoti" che non essendo percepiti, non entrano a far parte della sensazione di "coscienza"al momento del sonno, o del coma, o della morte ad esempio, la coscienza è sospesa e non ti accorgi di "essere".

Il concetto di anima, che sopravvive al corpo è qualcosa di necessario al cervello per non entrare in corto circuito quando deve far a meno di quella illusione di "sè" percepito come un qualcosa di "a se stante" dal resto degli eventi che "osserva".

il concetto di Male o Bene... sono semplici concetti SOGGETTIVI. Nella realtà che sperimentiamo non esiste ne male, ne bene. Esiste solo il susseguirsi di eventi a cui NOI attribuiamo un "giudizio".
La realtà di quel che pensiamo se ne strafrega... semplicemente accade.

ciao :)

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