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Cosa significa capire?

Aperto da iano, 02 Marzo 2018, 23:12:15 PM

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iano

Significa comprendere ,  possedere dentro se ?
Se costruisco una teoria certamente la possiedo.
Perché allora nessuno ha mai detto di aver capito la fisica quantistica , compresi i suoi padri fondatori?
Alla luce di ciò forse è arrivato il momento di aggiornare il significato che diamo al termine capire.
Cosa ne pensate?
In che senso voi dite di capire una cosa , quando lo dite ?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Angelo Cannata

Capire significa mettere insieme riferimenti conosciuti.

È quello che fa qualsiasi vocabolario: mi spiega ogni parola collegandola ad altri riferimenti, nella speranza che gli altri riferimenti siano da me conosciuti. Se non li conosco, potrò cercarli a loro volta nello stesso vocabolario.

Questo però porta alla situazione curiosa della mancanza di una base conosciuta alla perfezione. Cioè, se partiamo da una parola qualsiasi nel vocabolario e poi proviamo a cercare i termini usati per spiegarla, alla fine giungeremo sempre ad un circolo vizioso su parole di base, quali essere, oppure sostanza, o esperienza, o realtà. Ne consegue che per noi è più facile avere idea delle cose più complesse che non di quelle più semplici. Ecco perché è possibile arrivare a parlare di fisica quantistica senza averla capita: per lo stesso motivo per cui, andando all'indietro nel vocabolario, invece di arrivare a cose sempre più chiare si va invece verso cose sempre più oscure. Questo significa che il nostro spiegare è sempre uno spiegare obscura per obscuriora (cose oscure attraverso cose ancora più oscure), cioè, in realtà, tutte le volte che spieghiamo una cosa qualsiasi, ci serviamo di termini, espressioni, concetti, che sono più oscuri della cosa che intendiamo spiegare. Sempre.

Da qui consegue che il capire non esiste: il nostro è solo un collegare, istituire collegamenti nella nostra mente.

viator

Salve Iano.Amichevole ironia: come facciamo a far capire il significato del capire a chi non lo capisce ?. Io non trovo sorprendente che qualcuno o tutti non capiscano ciò che hanno concepito. Una teoria a base matematica come quella dei quanti è una concezione. Concepire non implica automaticamente il capire. Ciò succede spessissimo con i sogni. I quali sono parenti stretti delle teorie a dispetto della apparente rigidità formale di queste.
A proposito del capire vale la gerarchia che possiamo chiamare SSC. Sentire-Sapere-Capire.
La base di ogni attività mentale è il sentire. Quello dei sensi. Un individuo che nasca privo dei cinque sensi non potrà mai sviluppare la capacità di sapere nè quella di capire poichè non possiede gli strumenti per realizzare la percezione e quindi poi la coscienza del sè e del "fuori di sè".
La comprensione infatti non è altro che la sintesi mentale del sentire e del sapere.
Attraverso i sensi realizziamo la percezione. I dati percettivi vengono immagazzinati dalla memoria. La mente incrocia tra loro i dati memorizzati dall'esperienza, trovando accordi o discordanze tra dati simili e tra dati consecutivi.
In questo modo la funzione organizzatrice della mente è in grado di riconoscere quali dati sono in relazione tra loro (riconoscimento dei rapporti di causa-effetto).
Ecco qui pronta la funzione della comprensione.
Tornando alla teoria dei quanti ed a moltissime altre, la loro scarsa o nulla comprensibilità è dunque dovuta alla mancanza, per esse, del presupposto sensoriale. Le teorie partono dal sentire  come funzione ideativa astratta, la quale spesso non permette di giungere al capire poichè la mancanza di dati percettivi sensoriali non permette di incrociare un numero sufficiente di dati utili a generarela costruzione del capire.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Eutidemo

Sono d'accordo su quasi tutto ciò che avete scritto, almeno per quanto concerne il "linguaggio simbolico"; però non c'è solo quello! :)
Ed infatti, da un solo sguardo, si può *"capire"* molto di più che da un lungo discorso; anzi, a volte, sempre dallo sguardo del tuo interlocutore, "capisci" che il lungo discorso che ti sta facendo, pur essendo *semanticamente comprensibilissimo*, è però completamente *falso*. ;)
Ci sarebbe, poi, da fare un discorso a parte sulla cosiddetta "comprensione mistica", e, cioè, immediata, della realtà; vale a dire non mediata dal discorso simbolico. :)
Al riguardo, però, la questione diventa delicata, perchè, nella maggior parte dei casi, la  cosiddetta "comprensione mistica" è solo frutto di autosuggestione soggettiva (se non peggio); e, in ogni caso, anche nei casi in cui sia autentica -ammesso che possa esserlo-, è tecnicamente impossibile dimostrarlo. ;)

iano

#4
Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 01:12:56 AM
Capire significa mettere insieme riferimenti conosciuti.

È quello che fa qualsiasi vocabolario: mi spiega ogni parola collegandola ad altri riferimenti, nella speranza che gli altri riferimenti siano da me conosciuti. Se non li conosco, potrò cercarli a loro volta nello stesso vocabolario.

Questo però porta alla situazione curiosa della mancanza di una base conosciuta alla perfezione. Cioè, se partiamo da una parola qualsiasi nel vocabolario e poi proviamo a cercare i termini usati per spiegarla, alla fine giungeremo sempre ad un circolo vizioso su parole di base, quali essere, oppure sostanza, o esperienza, o realtà. Ne consegue che per noi è più facile avere idea delle cose più complesse che non di quelle più semplici. Ecco perché è possibile arrivare a parlare di fisica quantistica senza averla capita: per lo stesso motivo per cui, andando all'indietro nel vocabolario, invece di arrivare a cose sempre più chiare si va invece verso cose sempre più oscure. Questo significa che il nostro spiegare è sempre uno spiegare obscura per obscuriora (cose oscure attraverso cose ancora più oscure), cioè, in realtà, tutte le volte che spieghiamo una cosa qualsiasi, ci serviamo di termini, espressioni, concetti, che sono più oscuri della cosa che intendiamo spiegare. Sempre.

Da qui consegue che il capire non esiste: il nostro è solo un collegare, istituire collegamenti nella nostra mente.
Quindi capire come collegare cose che in se' non possono essere capite,o che , forse non possono,essere capite in quanto una cosa semplice può essere collegata solo a se stessa.
Le teorie matematiche e fisiche rispondono perfettamente a questa definizione.
Quindi una volta che le ho fatte mie , le ho capite.
Quindi da cosa nasce l'insoddisfazione per cose che pur avendo fatte mie , dichiarò di non aver capito?

Obscura per obscuriora, dove le cose più complesse sono meglio comprese perché hanno il plus di derivare da quei collegamenti che sono l'essenza del capire.
Ottimo e sintetico.Dovrebbe essere un efficace vaccino contro l'insoddisfazione , che però somiglia più ad un fenomeno di rigetto.
Ma in effetti dalla tua definizione di "capire" si può ricavare il motivo della insoddisfazione.Ogni teoria , in quanto collegamento fra vari termini può essere compresa , ma l'accumulo che facciamo delle diverse teorie può presentare l'inconveniente che queste non siano collegate fra loro.
Quindi è l'insieme di queste teorie che non è comprensibile , cosa che noi esprimiamo in modo impreciso , come insoddisfazione verso alcune di esse , di solito quelle recenti , come se ci fosse un diritto di anzianità.
Quindi, per questo motivo andiamo alla ricerca della teoria del tutto, un collegamento di tutti i collegamenti presenti e futuri , che alla fine ci porti a dire che abbiamo capito tutto,e,tutto capiremo.
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iano

Citazione di: viator il 03 Marzo 2018, 01:44:52 AM
Salve Iano.Amichevole ironia: come facciamo a far capire il significato del capire a chi non lo capisce ?. Io non trovo sorprendente che qualcuno o tutti non capiscano ciò che hanno concepito. Una teoria a base matematica come quella dei quanti è una concezione. Concepire non implica automaticamente il capire. Ciò succede spessissimo con i sogni. I quali sono parenti stretti delle teorie a dispetto della apparente rigidità formale di queste.
A proposito del capire vale la gerarchia che possiamo chiamare SSC. Sentire-Sapere-Capire.
La base di ogni attività mentale è il sentire. Quello dei sensi. Un individuo che nasca privo dei cinque sensi non potrà mai sviluppare la capacità di sapere nè quella di capire poichè non possiede gli strumenti per realizzare la percezione e quindi poi la coscienza del sè e del "fuori di sè".
La comprensione infatti non è altro che la sintesi mentale del sentire e del sapere.
Attraverso i sensi realizziamo la percezione. I dati percettivi vengono immagazzinati dalla memoria. La mente incrocia tra loro i dati memorizzati dall'esperienza, trovando accordi o discordanze tra dati simili e tra dati consecutivi.
In questo modo la funzione organizzatrice della mente è in grado di riconoscere quali dati sono in relazione tra loro (riconoscimento dei rapporti di causa-effetto).
Ecco qui pronta la funzione della comprensione.
Tornando alla teoria dei quanti ed a moltissime altre, la loro scarsa o nulla comprensibilità è dunque dovuta alla mancanza, per esse, del presupposto sensoriale. Le teorie partono dal sentire  come funzione ideativa astratta, la quale spesso non permette di giungere al capire poichè la mancanza di dati percettivi sensoriali non permette di incrociare un numero sufficiente di dati utili a generarela costruzione del capire.
In effetti i sogni spesso appaiono scollegati , nel senso che dice Angelo , e perciò appaiono misteriosi ed affascinanti infatti.Nei rari casi in cui si trova il collegamento appaiono banalmente comprensibili.
I sogni somigliano a certi logorroici post che appaiono su questo forum 😄 dove in modo complicato si dicono cose potenzialmente semplici, rendendole misteriose ed affascinanti , come se ci fosse una resistenza inconscia a dirlo. La complessità come un mezzo per confondere noi stessi e che ci porta a dire ciò che non vorremmo dire.
Non è il caso dei post in questa discussione , sintetici e chiari.😊
Tu hai posto l'accento su SSC.Ottimo.
Quindi capire significa collegare il sentire al sapere , operazione che non sempre va' a buon fine , da cui l'eventuale insoddisfazione.
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iano

#6
Citazione di: Eutidemo il 03 Marzo 2018, 07:47:13 AM
Sono d'accordo su quasi tutto ciò che avete scritto, almeno per quanto concerne il "linguaggio simbolico"; però non c'è solo quello! :)
Ed infatti, da un solo sguardo, si può *"capire"* molto di più che da un lungo discorso; anzi, a volte, sempre dallo sguardo del tuo interlocutore, "capisci" che il lungo discorso che ti sta facendo, pur essendo *semanticamente comprensibilissimo*, è però completamente *falso*. ;)
Ci sarebbe, poi, da fare un discorso a parte sulla cosiddetta "comprensione mistica", e, cioè, immediata, della realtà; vale a dire non mediata dal discorso simbolico. :)
Al riguardo, però, la questione diventa delicata, perchè, nella maggior parte dei casi, la  cosiddetta "comprensione mistica" è solo frutto di autosuggestione soggettiva (se non peggio); e, in ogni caso, anche nei casi in cui sia autentica -ammesso che possa esserlo-, è tecnicamente impossibile dimostrarlo. ;)
Se un solo sguardo vale quanto è più di un lungo discorso , forse è perché, anche se non ci appare , è esso stesso un lungo discorso , sempre lo stesso discorso , che conosciamo ormai a memoria, e riipetiamo con maestria all'istante . Capaci di ripeterlo mentre pensiamo o facciamo tutt'altro. Come quelle cose che sappiamo fare senza saper dire come , dove il,discorso a furia di ripeterlo è diventato un mantra , che si è ridotto all'eco di un solo suono , cosa che sembra farlo sconfinare nel mistico.
La comprensione immediata della realtà è appunto una di quelle cose che facciamo senza sapere come , almeno quando non facciamo scienza.
Da questo tuo interessante punto di vista,da,cui hai voluto affrontare la questione traggo spunto su quale,è
l'origine della insoddisfazione, oggetto di questa discussione.
Ci sono cose che si capiscono in modo immediato , ma non sappiamo dire come , in quanto la comprensione deriva da un processo automatico inconscio  , e da ciò deriva l'illusione che la comprensione non sia mediata da un preciso meccanismo.
Insomma il tutto sembra immediato , quasi troppo bello per,essere vero , è il tutto fatto senza apparente fatica.
Per contro, nei processi di comprensione coscienti la fatica la sentiamo tutta, e da qui l'insoddisfazione.
Il dire che non capiamo equivale qui a dire che stiamo facendo una fatica boia , e che sarebne bello se tutto apparisse facile , quasi immediato.
Quindi lo stesso meccanismo del comprendere può essere declinato in diversi modi in base al tempo che impieghiamo a metterlo in atto , che va' dall'immediato/istantaneo al lunghissimo/incomprensibile/insoddisfacente che equivale ad un elogio degli automatismi di cui il nostro sistema percettivo fa' largo uso.
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Angelo Cannata

#7
Citazione di: iano il 03 Marzo 2018, 08:26:08 AMQuindi capire come collegare cose
Sì, la sostanza del capire non è altro che un collegare. A volte in realtà lo diciamo in certe espressioni comuni, come ad esempio "riesci a connettere?", "non vedo la connessione". La stessa struttura del nostro cervello conferma questo: il nostro cervello è composto di sinapsi, che non sono altro che collegamenti, ramificazioni intricatissime di collegamenti.

A questo punto sarebbe seducente la conclusione: allora colleghiamo tutto e avremo capito tutto.
Di per sé questo è vero, ma deve fare i conti con alcune questioni: anzitutto, per collegare due cose bisogna prima individuare una terza cosa che abbiano in comune; ad esempio, io posso collegare il latte e la neve perché sono entrambi bianchi; in questo modo potrei dire a chi non abbia mai visto la neve, ma ha visto il latte, che la neve è una cosa che ha il colore del latte. Se non riusciamo ad individuare un termine medio che faccia da collegamento, il capire diventa impossibile.
La seconda questione riguarda il fatto che deve trattarsi di collegamenti individuabili dal nostro cervello, dal nostro modo umano di vedere i collegamenti. Possono esistere collegamenti che la nostra mente umana non riesce a cogliere, per il modo in cui è strutturata.
Un'altra questione riguarda l'estensione, la profondità dei collegamenti: un collegamento può essere istituito non solo tra due idee ma anche tra tre, quattro, o tra gruppi di idee. Non basta quindi collegare tutte le coppie possibili di idee: i collegamenti più interessanti sono quelli tra più di due idee e poi anche quelli che toccano ciò che più ci interessa o che più sentiamo arricchente in date situazioni o periodi storici.
Ci sono poi collegamenti forti e collegamenti deboli: il collegamento tra un'arancia e una pesca può risultare forte, perché sono entrambi due frutti, è un collegamento evidente, chiaro, semplice. Ma certi collegamenti più interessanti sono proprio quelli meno evidenti, più deboli, più complessi; complessi perché suggeriscono altri collegamenti ancora. Ad esempio, sappiamo che l'arancia è collegata a certi tipi di pelle, di cui diciamo "a buccia d'arancia". Ma questo suggerisce nascostamente altri collegamenti, che magari la mente rimuove perché poco razionali, e che poi emergono nell'inconscio, nei sogni, o nelle opere d'arte. Ad esempio, dire "pelle a buccia d'arancia" può suggerire alla nostra mente che quella pelle possieda dell'arancia anche un richiamo del colore o del profumo. Però la nostra razionalità rimuove questo collegamento suggerito dall'accostamento, perché facciamo subito il ragionamento che non è affatto necessario che una pelle a buccia d'arancia ne abbia anche il colore o il profumo. Però intanto nella nostra mente quella possibilità si era affacciata. Questo è il concetto di ciò che chiamiamo profondità, quando diciamo che un discorso è profondo, ha significati profondi: la profondità non è altro che un suggerire molteplici collegamenti, che però sono solo fatti intravedere, vengono solo accennati.

iano

Certo Angelo , si può collegare tutto , ma quanto mi costa?😅
Non c'è dubbio che il capire per il gusto di capire funzioni come un buon motore di ricerca , se visto in positivo , e come una utopia , perché  economicamente insostenibile , diversamente.
La ricerca della teoria del tutto e' una conseguenza della insoddisfazione di cui discutiamo , allora?
Ma se ogni neurone fosse collegato ad ogni altro neurone, al di là' del costo dell'operazione, non si corre anche il rischio di non poter leggere più uno schema in quei collegamenti ?
In questa mia osservazione intuisco che appunto , come dici tu , c'è una suggestione che va' oltre.
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Angelo Cannata

Infatti capire tutto non serve e non servirebbe a niente, perché la nostra mente non solo non ha le capacità di capire tutto, cioè riuscire ad ospitare tutti i collegamenti possibili, ma la stragrande maggioranza dei collegamenti ci risulterebbero del tutto inutili, privi di valore. Le pretese di avere a che fare con il tutto sono solo residui della vecchia filosofia greca, che riteneva, appunto, di poter prendere in considerazione una certa cosa che chiamiamo "tutto".

La questione dei collegamenti ha però dei risvolti importantissimi, che io ho indicato perfino come base essenziale da cui partire per poter comprendere e apprezzare che cos'è la spiritualità. Mi riferisco al paragone con il gioco del crucipuzzle, che ho trattato nei primissimi post del mio blog, nel maggio 2016.

Noi stessi possiamo considerarci essere nient'altro che un insieme di collegamenti, sia per quanto riguarda il nostro corpo, sia per quanto riguarda le nostre idee. Da qui possiamo procedere ancora oltre: ogni insieme di collegamenti non è altro che vita ed è capace di vita propria. Il DNA non è altro che un insieme di collegamenti. Il virus di una malattia, allo stesso modo di quello di un computer, è un insieme di collegamenti che, grazie alla loro struttura, sono in grado di porre in atto certi comportamenti. Un'idea qualsiasi è in grado di farsi strada nel nostro cervello da sé, a gomitate, facendo concorrenza ad altre idee e cercando di espandersi anche in altri cervelli, nascondendosi in mezzo ai discorsi che facciamo, proprio come un virus si nasconde all'interno di un programma che scarichi nel tuo computer. La cosa interessante è che questi virus-idee non fanno ciò tanto per intenzione del portatore, intenzione che potrebbe anche esserci, ma sono in grado di farlo anche autonomamente, all'insaputa del portatore. Questo alla fine non è altro che strutturalismo, il quale ci suggerisce un'altra cosa: ciò che può succedere non è solo che noi capiamo certe idee, ma anche che certe idee sono in grado di capire noi. Insomma, si dissolve il confine tra viventi e non viventi, intenzionalità e non intenzionalità.

Alla fine credo che la domanda da porsi sia questa: oggi, qui, ora, che cosa conviene cercare di capire, su cosa conviene fare lavoro di ricerca e approfondimento?

iano

#10
Sono convinto valga approfondire quel che stiamo qui approfondendo.
Grazie per le tue risposte.

"Quando ci lasciamo alle spalle le cose che ci sono note per addentrarci nel campo dell'ignoto , possiamo sperare di comprendere qualcosa di nuovo; ma forse , allo stesso tempo , dobbiamo anche imparare un nuovo significato del termine "comprensione". "
Heisemberg.
Da qui questa discussione.
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viator

Salve. Naturalmente esiste anche il lato irrazionale della comprensione, espresso dal significato originario del capire (capere = prendere, afferrare) applicato alla volontà di com-prendere cioè di fare proprio, includere in sé.

Da questo punto di vista il capire è atto e funzione psichica che si colloca alle radici dell'amore.

Infatti l'amare consiste nella sintesi od eventualmente nell'equilibrio tra la pulsione ad essere amati (venir capiti, compresi, inclusi, incorporati.....dall'altro) e quella ad amare (il reciproco, verso l'altro).

Addirittura ciò si verifica persino nei rapporti con enti inanimati. Esiste persino la situazione di trasfert per la quale - ad esempio - noi se amiamo la pittura vorremmo anche esserne riamati, e ciò potrebbe avvenire nel momento in cui il nostro amore per essa diventi noto ed apprezzato da altri che amano la pittura e quindi "ci amano" all'interno della condivisione di un amore nutrito da noi e da loro per lo stesso argomento.

Il fatto è che, in sostanza, una volta che si capisca fino in fondo qualcosa, diventa impossibile non amarlo.

Mentre se si ama veramente qualcuno non si potrà che giungere a capirlo.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

iano

#12
Citazione di: viator il 04 Marzo 2018, 21:47:50 PM
Salve. Naturalmente esiste anche il lato irrazionale della comprensione, espresso dal significato originario del capire (capere = prendere, afferrare) applicato alla volontà di com-prendere cioè di fare proprio, includere in sé.


Il significato originale mi sembra attuale ,ma sembra anche esprimere il lato razionale della questione, e non quello irrazionale.
Questo senza togliere validità e interesse al resto del tuo post , che anzi fa riflettere molto.

È razionale perché mi pare richiami  la teoria degli insiemi.
L'elemento "e" entra a far parte dell!insieme "A".
Nella teoria e fa' parte di A se rispetta il criterio di appartenenza che definisce A.
Nel nostro caso le cose stanno un po' diversamente.
e entra a far parte di A , che viene modificato dall'ingresso di e.
Se A era definibile attraverso un criterio l'ingresso di e modifica potenzialmente il criterio.
Un nuovo criterio , possibile , ma poco elegante, equivale a dire che un elemento fa' parte del nuovo insieme A1 , se rispetta il criterio di appartenenza di,A , oppure se l'elemento è e.
Ora , immaginate che questo nuovo criterio , equivalga in qualche modo a dire di non aver capito.
Mentre quando , e solo quando troveremo un nuovo criterio elegante e sintetico, diverso ma equivalente, allora diremo di aver capito.Questo spiegherebbe anche lo,strano fatto per cui la bellezza sembra spesso guidare i passi della ricerca.
Potremmo provare quindi provare  a dire che quando diciamo di aver capito è perché abbiamo trovato il nuovo criterio sintetico ed elegante,non meno del vecchio, o perché il vecchio rimane valido.
Ma le difficoltà possono nascere appunto quando dobbiamo ridefinire il criterio , che equivale a ridefinire noi stessi , perché A siamo noi.
A dire il vero mi pare che rare sono le cose che non richiamano in campo l'irrazionale , ma questo argomento sembra essere uno di quelli.
Ma fra includere il nuovo elemento , e sentirlo davvero parte di se', è vero ,ci sta di mezzo qualcosa che somiglia ad un atto di amore.
Diciamo che la conoscenza che acquisiamo diventa appiccicosa col tempo, cosa che ha i suoi vantaggi, perché crea un forte legame , ma anche i suoi svantaggi quando occorrendo trovare un nuovo criterio , bisogna staccare e riattaccare un po' di cose.
Forse una conoscenza post it sarebbe un buon compromesso.Chissa'.😄
Se è vero che ci innamoriamo delle cose belle il discorso fila Viator , e quando ci innamoriamo vorremmo che fosse per sempre , ma.......
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

epicurus

Citazione di: iano il 02 Marzo 2018, 23:12:15 PM
Significa comprendere ,  possedere dentro se ?

Wittgenstein sostiene l'esatto contrario (e io con lui). Per Wittgenstein parlare e comprendere un linguaggio è un atto intrinsecamente pubblico. Illuminante è la sua analisi di "seguire un regola", che altro non è che la comprensione.

Per pigrizia, invece di spiegarlo con parole mie, incollo qui un pezzo di Marina Sbisà (professoressa di filosofia del linguaggio dell'Università di Trieste), in cui analizza il "seguire una regola" riportato nelle Ricerche Filosofiche di Wittgenstein (i numeri tra parentesi sono riferimenti ai paragrafi delle Ricerche Filosofiche).

Citazione di: https://www2.units.it/sbisama/it/didattica/lezWittgenstein.htmWittgenstein critica la visione tradizionale della comunicazione linguistica, che esemplifica in apertura del volume con una citazione da Agostino. Si tratta dell'idea che la comunicazione linguistica consista nell'esprimere e trasmettere ciò che il parlante ha in mente e che sia fondata sulla relazione di denotazione intercorrente fra le espressioni linguistiche e gli oggetti a cui il parlante intende far riferimento.

In questo quadro Wittgenstein ritiene anzitutto necessario criticare il ruolo di fondazione del significato attribuito alla denotazione. [...] Si sviluppa l'idea che il dare il nome a un oggetto, la "definizione ostensiva", funziona soltanto in quanto è essa stessa parte di un gioco linguistico, che crea determinate attese nei confronti della funzione della parola che viene definita (28, 30...).
[...]
Se il significato non è fondamentalmente denotazione, ma è uso, in che cosa consiste precisamente l'uso del linguaggio? come funziona, da che cosa è reso possibile? Sembra esserci una discrepanza fra l'impiego di una parola, che si svolge nel tempo, e la comprensione del significato, che può essere (come esperienza vissuta) un attimo, oppure (in quanto competenza) uno stato del soggetto.

Wittgenstein si interroga quindi su che cosa sia il comprendere e sulla utilità o meno di ipotizzare un aspetto soggettivo del comprendere che guidi l'impiego della parola compresa. [...] Possiamo avere immagini mentali, queste possono suggerire un certo impiego della parola, ma non lo necessitano; la parola potremmo pur sempre usarla diversamente (139).  Potrebbero esserci diversi "metodi di applicazione" dell'immagine mentale all'uso linguistico effettivo.
[...]
Wittgenstein insiste sui seguenti punti: non diciamo che uno comprende se ha avuto e espresso una certa esperienza vissuta; non diciamo che comprende sulla base del fatto che si trova in un certo stato psichico (gli stati psichici sono continui, ma non diciamo "Comprendo la regola ininterrottamente da ieri", o simili); parlando di comprensione, non parliamo di un processo psichico, tutt'al più esistono processi psichici concomitanti  rispetto al comprendere; diciamo che qualcuno comprende, in quanto si comporta in un determinato modo, usiamo cioè criteri comportamentali e pubblici per attribuire la comprensione; ciò in analogia al modo in cui usiamo le espressioni "sapere", "potere" e "essere in grado" (150, 151); analogamente, una persona può dire di sè che comprende non in base all'aver esperito qualcosa, ma in base alle circostanze in cui ha avuto tale esperienza (155).

La comprensione sembra essere uno stato del soggetto, ma non uno stato psichico, bensì uno stato in cui i soggetti possono legittimamente detti essere in base alla riconoscibilità pubblica (anche se mai definitiva) di una loro competenza a fare.

Wittgenstein riflette sul "seguire una regola" anche mediante un paragone con l'essere guidati. In che cosa consiste l'esperienza vissuta dell'essere guidati? non è essa diversa, anche diversissima, di caso in caso? non c'è nulla di essenziale all'essere guidati, a livello dell'esperienza vissuta! eppure ci sono pratiche che definiamo senza esitare nei termini di "mi sono lasciato guidare" (172, 175). Ciò punta nella direzione della superfluità dell'esperienza vissuta rispetto al comprendere; come del resto fa anche il fatto che può accadere di dire "Adesso so andare avanti" e continuare correttamente una successione numerica, senza avere alcuna esperienza vissuta particolare (179).

Ritornando sul tema del seguire la regola e sull'esempio della successione numerica, Wittgenstein ai chiede come sia possibile individuare con certezza la regola che un individuo sta seguendo. Sembrano essere sempre possibili fraintendimenti o ridefinizioni a posteriori della regola effettivamente seguita (185, 187). Possiamo mai essere veramente certi che l'alunno che svolge una successione numerica apparentemente seguendo una certa regola stia veramente seguendo quella regola (e applicandola al modo in cui noi la intendiamo)? L'incertezza (o per usare il termine introdotto a questo proposito da Kripke, lo scetticismo) a proposito del seguire una regola è però collegata da Wittgenstein a un errore, o fraintendimento: quello che ha luogo quando sentiamo l'esigenza di introdurre un intermediario mentale a garanzia della comprensione della regola e quindi del seguirla. E' questo intermediario mentale (un metodo di proiezione, o d'applicazione, per riprendere una terminologia usata altrove da Wittgenstein stesso) che lungi dal garantire che la regola venga seguita, può essere usato per mettere daccordo con essa qualsiasi modo d'agire (201). O per mettere qualsiasi modo d'agire in contraddizione con la regola; vanificando i concetti stessi di concordanza e contraddizione.

Wittgenstein conclude (202) che seguire una regola è una prassi. E' questo che rende legittimo dire, in determinate circostanze, che qualcuno segue una regola (o che non la segue). Tale giudizio non tiene conto dello stato interiore del soggetto e cioè, ad esempio, di ciò che lui o lei crede di fare:  infatti si può credere di seguire una regola, senza perciò seguirla. Ma quest'ultima distinzione presuppone anche che seguire una regola sia un'attività pubblica: non "qualcosa che potrebbe essere fatto da  un solo uomo, una sola volta nella sua vita" (199).

Le idee centrali a cui Wittgenstein perviene sono (1) che non vi è necessità di alcun intermediario cognitivo soggettivo fra la formulazione di una regola e l'attività di seguirla: ogni tale intermediario introduce, anzi, un elemento di confusione, rendendo possibili reinterpretazioni della regola che ne vanificano la funzione; (2) che qualcuno stia seguendo una regola determinata (o la stia violando) non è un fatto che possa venire descritto ma è qualcosa che si mostra nel suo modo di comportarsi pubblico nelle circostanze pertinenti.  (Questa seconda idea è lungi dall'essere espressa esplicitamente dall'autore, ma è plausibile attribuirgliela per il modo in cui contrappone il riconoscimento del seguire la regola come prassi al tentativo di spiegare o descrivere il seguire la regola come processo psicologico.)

Un'altra riflessione di Wittgenstein interessante è quella chiamata "argomento contro il linguaggio privato".  ;)

epicurus

#14
Un pezzo delle Riflessioni Filosofiche di Wittgestein:

***
Ciò che chiamiamo "seguire una regola" è forse qualcosa che potrebbe esser fatto da un solo uomo, una sola volta nella sua vita? – E questa, naturalmente, è un'annotazione sulla grammatica dell'espressione "seguire la regola".
Non è possibile che un solo uomo abbia seguito una regola una sola volta. Non è possibile che una comunicazione sia stata fatta una sola volta, una sola volta un ordine sia stato dato e compreso, e così via. – Fare una comunicazione, dare o comprendere un ordine, e simili, non sono cose che possano esser state fatte una volta sola. – Seguire una regola, fare una comunicazione, dare un ordine, giocare una partita a scacchi sono abitudini (usi, istituzioni).
Comprendere una proposizione significa comprendere un linguaggio. Comprendere un linguaggio significa essere padroni di una tecnica.
***


Sempre in questa direzione, riporto anche un pezzo di Hilary Putnam, in Linguaggio e filosofia:
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Consideriamo il seguente esperimento mentale. Immaginiamo un romanzo scritto in giapponese che impieghi la tecnica del "flusso di coscienza". Supponiamo che, senza capire una sola parola di giapponese, un uomo mandi a memoria una buona parte di tale romanzo ascoltandone più volte la registrazione. Supponiamo che, sotto l'influsso di una suggestione postipnotica, costui "ripeta mentalmente" quella successione di enunciati in lingua giapponese, con tutte le giuste pause, intonazioni, enfasi, ecc. Se il suo comportamento non entra in aperto contrasto con quanto gli passa per la mente, in un certo senso sarebbe come se "pensasse in giapponese". Se un'altra persona avesse modo di ascoltare il suo "monologo interiore", potrebbe convincersi che quest'uomo sta effettivamente pensando in giapponese. Una persona di madre lingua giapponese potrebbe, se dotata di poteri telepatici, essere assolutamente certa che egli pensa in giapponese. La suggestione postipnotica potrebbe anche includere il fatto che l'uomo stesso abbia la sensazione di capire gli enunciati che gli attraversano la mente, convincendosi così che sta pensando in giapponese. E tuttavia è chiaro che egli non penserebbe le proposizioni espresse dagli enunciati che gli attraversano la mente, dal momento che in realtà non comprenderebbe (quale che sia il suo "senso di comprensione") quegli enunciati.
Il comprendere, dunque, non sta nelle parole come tali, e neppure nell'appropriatezza dell'intera successione di parole e di enunciati. Sta invece nel fatto che un parlante che comprende può fare delle cose con le parole e con gli enunciati che pronuncia (o che pensa nella propria testa), oltre al semplice pronunciarli.
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