Cos'è un ente? Perchè è diverso da un niente?

Aperto da Sariputra, 13 Gennaio 2017, 11:13:24 AM

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paul11

#105
Sariputra= figlio(o cugino) della cascata.
Me lo hanno detto gli e.t che mi hanno accompagnato a  villa Sariputra, grande discepolo del Buddha.

In quei libri antichi , nei mandala cantati come inni del rigveda, c'è la creazione di un Uno e poi gli dei.
Si racconta di cicli temporali che ritornano.
L'interpretazione umana di questi cicli è molto simile a tutte le culture, vale a dire la condanna umana nell' esistenza mondana
Il Dharma è la legge naturale, vale adire i cicli temporali.
Ha ragione Donquixote ,fra quella prima scrittura vedica che è un "corpus" non da poco, e poi le interpretazioni spirituali e religiose,
c'è "la saggezza". Quei darshana ( che è la "prima, originaria conoscenza) stanno fra le regole fondamentali e le interpretazioni spirituali
Il Buddha cerca un sistema per rompere il ccilo temporale della legge naturale applicata all'esistenza umana.
Quindi il dharma è la legge naturale, in cui l'uomo come esistenza è inserito come samsara e ciò produce dukkha, sofferenza.
Adatto che la regola del samsara è la trasmigrazione come reincarnazione, in quanto non è contemplato un oltre, un al di là fuori dai cicli temporali, e segue un ciclo evolutivo di reincarnarsi dal vegetale al saggio seguendo una regola comportamentale (etica), il nirvana è quindi la soluzione.

Le vere e proprie regole, così come in tutte le culture e tradizioni, sono nelle cosmogonie,cosmogenesi.
Le spiritualità e religioni sono il sistema di relazione che permette di fuoriuscire dalla legge di natura che produce sofferenza.
Per inciso , nell'Occidente contemporaneo questa "posizione" è tentata di essere presa dalle scienze(il potere salvifico di vincere le leggi di natura)

Ora se il dharma è la legge di natura, l'interpretazione della natura  generatrice di sofferenza viene vista come negazione.
La via che vince la sofferenza è comunque un trascendere maya, l'immagine illusa della natura.
Il trascendere per l'orientale è legato alla terra comunque, alla schiavitù condizionante di un divenire che incrementa il tempo, ma che si curva per chiudere il ciclo.

La linearità (quindi un tempo che non è ciclico) del cristianesimo presuppone il salto trascendentale, come elevazione verso un oltre, un al di là. Quì  è netto il contrasto fra natura e sacro, fra bene  e male perchè è netta la separazione fra cielo e terra.
Nella cultura orientale è invece meno trascendentale, per cui anche i termini ,ad esempio come "deva" è sì una divinità(non sempre) spesso è benevola, a volte incarna il male.

Per l' Occidentale e cristiano, la morte nel tempo lineare del divenire è fine fisica e trascendere spirituale.
Per l'Orientale è comunque ritornare nel dharma, perchè se si può spezzare il samsara ,non si può spezzare il dharma: l'eterno ritorno.

Sempre per inciso, fra i libri vedici e la cultura persiana degli Avesta, che porterà al zoroastrismo , c'è una continuità anche quì.

Sariputra

#106
@Paul11
Figlio della cascata non è niente male, vero?.. ;D
La questione del significato che ogni essere umano si pone osservando il dramma della vita e che porta a chiedersi: "Che razza di gioco è questo? Qual'è il suo significato e scopo, e che cos'è tutto questo?" è alla base delle risposte che le religioni umane tentano di dare. Religioni diverse danno risposte diverse. Mi sembra ci siano due approcci prinicipali: la visione giudaico-cristiana che tanto ha influenzato e permeato l'intero "senso della vita" occidentale e quella buddhista ( che differisce da quella hindu in diversi punti). Il dramma viene dipinto, più o meno, in questo modo: Visione storica ( giudaico-cristiana) e non-storica ( come viene definita da molti teologi quella buddhista).
La visione storica:
1. La storia ha un inizio e una fine.
2.E' teleologica. L'universo è progettato e la storia dell'umanità va diretta verso una fine, per uno scopo ben definito.
3.La storia è pregna di significato ( anche se questo significato può risultare incomprensibile all'uomo). La storia, ossia il dramma umano, non è accidentale; ha un significato nell'adempimento di una volontà o di un piano Divino. Questo significato è noto solo a Dio, il Creatore.
4.La storia umana, proprio come un dramma, è a intensità crescente. Ha un inizio, un momento culminante e una fine.
5. Questo unico dramma viene recitato sul palcoscenico chiamato Terra, inteso quindi come centro dell'universo per quanto riguarda questa rappresentazione.
La visione non-storica ( ma i buddhisti la definiscono trans-storica):
1.La storia ha un inizio e una fine , ma solo in senso relativo, non assoluto.
2.La storia è piena di significato poichè è un processo necessario per la realizzazione della Perfezione per tutti gli esseri viventi.
3.La storia umana non è l'unica con un significato:;ci sono numerose storie di altri esseri senzienti in altri luoghi o universi.
4.La Terra non è affatto il solo palcoscenico su cui un unico dramma , voluto da Dio, viene recitato.
5.la storia umana non è progettata e organizzata da Dio; viene in essere dall'azione collettiva ( Karma collettivo) di esseri senzienti.
6.Non c'è un modello o una struttura ben definita dentro
cui tutte le storie devono "rientrare". La struttura della storia viene dettata dalla natura del'azione collettiva ( karma collettivo) degli esseri viventi "in quella particolare" storia.
La visione ciclica, come giustamente scrivi, orientale ( e in particolare quella buddhista) secondo molti pensatori occidentali toglie qualsivoglia significato alla storia. A noi occidentali il samsara, il divenire inteso secondo la concezione indiana, sembra soltanto una monotona seccatura che si ripete senza significato (quanto siamo presi da questo termine occidentale, da questo "significato"?).
E' vero  che ammettiamo che questa concezione orientale, questa visione astronomica della storia, porta a una radicale modifica del pregiudizio innato in ogni creatura verso l'egocentrismo, ma ci sembra al prezzo di togliere significato alla storia e infine all'intero universo.
Invece per l'orientale , questa ciclicità, questo samsara ciclico e permanente può essere del tutto piena di significato. Infatti , i critici occidentali, sembrano dimenticare che il significato non dipende interamente da circostanze esterne. Dipende dall'atteggiamento di ognuno di noi verso quelle circostanze. La vita ricorrente allora non è necessariamente uno stato ripetitivo di noia, ma può garantire un'ampia opportunità di progresso spirituale. Il significato e la scopo della vita allora vengono visti come una sfida e un'opportunità perché ogni uomo possa attingere un bene più "alto" ( nel caso del buddhismo, lo stato di Buddhità...).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Duc in altum!

**  scritto da Apeiron:
CitazioneMa è anche vero che il buddismo non è lo schopenhauerismo (che però diciamo è il buddismo per come noi possiamo comprenderlo, secondo me) in quanto nel buddismo la rinuncia e misericordia ("metta")è uno dei valori più riconosciuti.
Scusa ma come ci si "ama", nel senso di donarsi totalmente per il prossimo, nel buddismo?


CitazionePersonalmente non capisco come si possa "voler salvare l'altro" senza pensare che abbia un'identità separata, però come spero di aver fatto capire questo è anche dovuto al fatto che penso in modo troppo "occidentale

E io, anche se ignorante in materia, confrontando questa tua riflessione con ciò che io credo mi chiedo: ma chi ci dice che siamo salvi al punto di poter pretendere di salvare l'altro, oppure, ma se io sono ancora sulla via della salvezza come mi permetto di voler salvar l'altro se non ci sono ancora riuscito con me?
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

maral

#108
Citazione di: Sariputra il 19 Gennaio 2017, 11:59:49 AM
Credo che l'incomprensione del vero cuore di una filosofia come quella del Buddha , nasca  perché noi la giudichiamo secondo le categorie di pensiero occidentale ( sostanzialmente sulla base della filosofia greca da quello che capisco...). Secondo queste categorie l'Essere e il Divenire sono incompatibili, si negano a vicenda, sono opposti. Secondo il pensiero buddhista ( ma forse orientale in genere, e qui sono solo parzialmente d'accordo con Coomaraswamy) l'essere è ( esiste quindi ) nel divenire e non può che manifestarsi nel divenire. Essere e divenire vanno a braccetto, se così si può dire e si sostengono a vicenda, dato che non è possibile l'uno senza l'altro. Il Buddha non si è mai occupato della questione del Vero Sè, giudicandola non rilevante all'interno del suo Insegnamento, in quanto inteso non come "Annientameto dell'essere" (Schopenauer, accidenti a lui e al tutto il male che ha fatto per la sua superficiale conoscenza di queste filosofie...) ma come annientamento del dolore insito nel divenire continuo.
Questo annientamento del dolore non si può intendere in maniera nichilistica, altrimenti non verrebbe data nessuna enfasi alla dimensione non-dolorosa che esiste  ( il non-nato, non-divenuto, non-composto, ecc.). Se però  si intende questo stato non-composto come una divinità o come un Essere in sé ( induismo) il buddhismo diverge totalmente perché pone questa dimensione spirituale all'interno del divenire stesso ( i confini del Nirvana sono i confini del samsara). Per il buddhismo tutto è natura e nulla trascende la natura ( nemmeno il Nirvana). Nella mia personale concezione del Dharma ( perché , come ogni cristiano ha la sua personale riflessione e visione di Dio, anch'io ho maturato la mia su questo tema... ;D) questo non "abbassa" l'esistenza rendendola un cieco vortice di semplici cause e condizioni , ma invece la "innalza" perché non ponendo distinzioni tra il divenire e lo stato che non-diviene rende il divenire manifestazione di quello stato inesprimibile, pertanto il buddhismo "santifica" ( usando un termine giudaico-cristiano) in un certo modo il divenire stesso che la filosofia Parmenidea e poi la teologia giudaico cristiana aveva relegato nella categoria del male ( L'Essere è il bene - il Divenire è il male e dentro questo dualismo si è sempre mossa e compiaciuta). Infatti Nagarjuna afferma " All'interno del samsara sono contenuti infiniti mondi di Buddha"( Buddha qui è sinonimo di "Mondi di libertà dal dolore" e non come divinità...).
Sono d'accordo sul fatto che noi pensiamo l'Oriente nei termini del pensiero occidentale, anche "Essere", "Non essere" e "Divenire" sono termini del pensiero occidentale, forse c'è qualcosa di più originario e primordiale che riposa nei miti, forse il divorare e l'essere divorati (che Danielou considera alla base della visione vedica, indoeuropea, simbolizzata nell'immagine primigenia del fuoco che divampa e divora ogni cosa, ma che divorando purifica, riscalda, illumina, rigenera e consente la vita in forma umana attraverso i riti e la tecnica del fuoco).
L'Occidente, tu dici, vede il male nel Divenire, ma non credo che le cose stiano così, l'Occidente intende il Divenire non solo come percorso di morte, ma, soprattutto a partire dal cristianesimo, come percorso salvifico, come redenzione verso l'Essere. Il Divenire è ineliminabile dal pensiero occidentale, perché solo l'Occidente è giunto a pensare in termini di storia e di utopia (e lo stesso frammento di Anassimandro, ben prima del pensiero cristiano, è già molto indicativo in merito: gli enti escono dall'Apeiron, ma scontano questa colpa secondo giustizia così da tornare all'Apeiron originario, Nulla o Dio che sia). L'esserci del "Non Essere che non è" fu forse il primo pensiero incontrovertibile che  illuminò il greco, da questo pensare sorge la necessità del Divenire, ossia di un dover farsi essente del niente che è in quanto tale, già essere in potenza, e per contro del dover farsi niente di ogni essente, poiché ogni essente, in quanto tale, è in potenza il niente da cui è generato e dunque deve tornare niente, perché le cose stiano come sono, secondo verità di giustizia.
In fondo sia l'Oriente che l'Occidente hanno pensato di liberare l'uomo dalla catena infinita di questo dolore di un Niente che genera ogni essente e di ogni essente che non può che tornare al Niente per essere ancora rigenerato in qualcosa che ancora ripeterà il ciclo, ma mentre l'Occidente ha riposto la liberazione dal ciclo nella concezione di un ente eterno sempre in atto al di sopra del ciclo stesso, l'Oriente lo ha riposto nella pura prassi (che è prassi rituale perfetta compiuta nella dimensione immanente del corpo). Liberarsi dal dolore e dalla morte significa allora liberarsi da ogni desiderio che intende guidare la prassi da fuori di essa, liberarsi dal senso che questo desiderio vuole imprimerle costringendo alla ripetizione il medesimo ciclo doloroso che è il ciclo del fuoco e della combustione. in questa visione liberarsi dal ciclo del fuoco significa aderire totalmente al fuoco stesso (il punto fermo, l'occhio dell'uragano), liberarsi dal ciclo del divenire non è come per l'Occidente spezzarlo in nome di Enti eterni collocati fuori da esso, ma aderire  al divenire nell'istante perfetto in cui accade, l'istante supremo del Nirvana.
Non so, tutto questo è solo un abbozzo che sto tracciando in modo estremamente impreciso e sommario, sulla base di pochi spunti. Posso però dire che la posizione di Severino mi sembra ben diversa (pur avendo tratti in comune con entrambe), poiché in essa si dice che non c'è nulla da cui liberarci, difenderci o salvarci, poiché ogni ente è proprio sempre quello che è, nell'eterno diverso apparire che solo lo può manifestare. Severino nega sia Parmenide che Anassimandro rispettivamente perché non c'è Essere senza essenti e perché esistere non consiste in un entrare e in un uscire da qualsiasi Apeiron o da qualsiasi Nulla per tornarci affinché il gioco continui. Afferma piuttosto la corrispondenza necessaria tra l'eterno Essere in quiete assoluta e il parimenti eterno immenso gioco sempre variante dell'Apparire, l'uno il rovescio della medaglia dell'altro, ma entrambi (pensandola certamente in modo molto Occidentale) si realizzano non nella totalità degli enti, né nell'originario e finale Apeiron o Nulla che tutto ingoia e vomita, non presso un ente privilegiato eternamente in atto che garantisce per tutti, non in un'idea o in un'utopia che sovrasta tutti gli enti, ma in ogni singolo ente in continua concreta relazione di significato con ogni altro.  Per Severino non c'è alcun "essere in potenza" o poter essere, dunque ogni ente resta quello che è nel suo continuo apparir sorgere e tramontare. Il problema del dolore e della morte sono quindi tolti di mezzo alla radice, sono illusioni di un modo di apparire parziale delle cose che pretende, isolandosi in sé, nella propria necessaria parzialità, di essere tutto per sempre, mentre si sente morire.

Phil

Citazione di: davintro il 19 Gennaio 2017, 17:22:19 PM
Un conto è descrivere, constatare la situazione attuale del clima culturale individuando gli orientamenti dominanti, ed in questo senso, purtroppo a mio avviso, tali orientamenti consistono soprattutto nello scetticismo e nel materialismo [...] un altro dedurre dal riconoscimento di tali orientamenti come dominanti l'idea che essi possiedano un valore teoretico superiore rispetto ad orientamenti che furono dominanti nel passato ma oggi marginali. Tale deduzione è scorretta ed arbitraria.
Spero di non averti dato l'idea di essermi sbilanciato in giudizi di valore: riportavo solo un certo eclissarsi storicizzato della metafisica, ma che questo comporti un aumento di valore nella teoresi non è affatto una "deduzione" di cui sono sostenitore. Prendere atto di un cambiamento non significa necessariamente esserne entusiasti (per questo chiedevo se "evoluzione" fosse il temine giusto...).


Citazione di: davintro il 19 Gennaio 2017, 17:22:19 PMIl filosofo deve avere il coraggio intellettuale di difendere le sue opinioni fintanto che le ritiene razionali e vere non curandosi di quali posizioni sono egemoni nella sua epoca.
Questo lo condivido pienamente.

Citazione di: davintro il 19 Gennaio 2017, 17:22:19 PMTra l'altro non direi che la contemporaneità (per intenderci, il novecento), sia così caratterizzata dalla scomparsa dalla scena del modello della metafisica classica o della filosofia di impronta essenzialista o trascendentalista. Pensiamo a tutta la corrente dello spiritualismo neoagostiniano in Italia e in Francia (a proposito, sono reduce dalla visione su Youtube di una bella lezione del compianto Reale sull'attualità del pensiero di Agostino), alla neoscolastica che riprende e riattualizza Tommaso in autori come Maritain, Fabro, Bontadini, quest'ultimo grande maestro del così tanto citato in questo forum Severino. Pensiamo alla ripresa del tema dell'ontologia classica e delle prove dell'esistenza di Dio nella filosofia analitica anglosassone, superficialmente considerata una roccaforte del positivismo. Soprattutto pensiamo alla centralità che ha rivestito la fenomenologia husserliana, tutta protesa alla polemica contro i positivisti, "gli uomini di fatto", in favore della considerazione della filosofia come "scienza di essenze", dell'idea di riduzione trascendentale, di un certo ritorno a Cartesio, dell'Io puro, della messa tra parentesi delle scienze naturali e che poi trova tra le sue ramificazioni proprio il ripristino dell'ontologica classica su base fenomenologica in autori come Scheler, la Stein, la Conrad Martius... esiste oggi un'intera area di ricerca universitaria dedicata all'analisi di un possibile recupero della metafisica e di un'antropologia classica che si giova di spunti fenomenologici. E Siamo nel novecento, non nel paleolitico!
La contemporaneità non ostracizza totalmente la metafisica, ma mentre nei secoli precedenti era quasi impossibile fare filosofia senza un'impalcatura metafisica, dal secolo scorso tale impalcatura è diventata un optional, un "manierismo" teoretico spesso ammiccante al passato; è un po', radicalizzando, come studiare una "lingua morta": è ancora e sempre possibile farlo, ma è bene distinguerla dalla lingue vive, dinamiche, parlate. Fare metafisica pura dopo il '900, senza dialogare con altre discipline (compresi i casi in cui si dialoga con la teologia per via esistenziale), significa rischiare di rasentare l'inattualità (e non certo per ambizioni "futuriste"), ma è indubbiamente ancora possibile farlo (esiste ancora la teologia, figuriamoci se possa essere svanita totalmente la metafisica ;D)

Citazione di: davintro il 19 Gennaio 2017, 17:22:19 PML'epistemologia non può mandare in soffitta la metafisica perché la prima di fatto è una ramificazione, una conseguenza della seconda. Un'epistemologia, una riflessione filosofica sulla scienza è possibile nella misura in cui l'epistemologo, che è sempre un filosofo, sa qualcosa che la scienza che diviene oggetto della riflessione non può possedere nella sua immanenza, è in possesso di un punto di vista ulteriore, trascendente. [...] Tali criteri intrinsecamente validi l'epistemologia non può trovarli nelle scienze che mette in discussione ma deve per forza attingerli ad una dimensione trascendente
Che la prospettiva ulteriore o il criterio guida, l'epistemologia li debba trovare necessariamente nel trascendente, non mi convince troppo: l'epistemologia è tale proprio in quanto prospettiva ulteriore e criterio guida delle scienze, l'epistemologia è gia meta-scienza. Scrivi infatti:
Citazione di: davintro il 19 Gennaio 2017, 17:22:19 PMl'epistemologo non ha bisogno di essere scienziato, ma filosofo, e la riflessione sulla fisica dovrà porsi in atto a partire da un punto di vista che per essere valido non può coincidere con la fisica ma la deve trascendere, cioè un punto di vista metafisico.
Non direi "metafisico", piuttosto epistemologico (altrimenti l'epistemologia cos'è? Appunto: "la riflessione sulla fisica dovrà porsi in atto a partire da un punto di vista che per essere valido non può coincidere con la fisica"(cit.) ma con quello dell'epistemologia  ;) ).

Citazione di: davintro il 19 Gennaio 2017, 17:22:19 PMLa metafisica resta così la necessaria base fondativa della possibilità dell'epistemologia, della filosofia della scienza
Se impostiamo il discorso in modo deduttivo, partendo dall'alto, se invece proviamo a partire dal basso, la filosofia della scienza si basa sulla scienza, filosofeggia dalla scienza, non sulla scienza.

Citazione di: davintro il 19 Gennaio 2017, 17:22:19 PMLa fisica non può essere la base dell'ontologia
Parlavo infatti di ascolto reciproco, non di una che fonda l'altra  ;)

Citazione di: davintro il 19 Gennaio 2017, 17:22:19 PMl'ontologia resta pieno appannaggio della filosofia. Mi parrebbe eccessivo sostenere che senza il vincolo della fisica l'ontologia sarebbe rimasta a Parmenide. A parte il fatto che andrebbe ancora dimostrato che Parmenide abbia avuto tutti i torti, dopo di lui l'ontologia ne ha fatta di strada, c'è stato Platone, Aristotele, la scolastica medievale, Cartesio, Spinoza, l'idealismo hegeliano, Rosmini, la fenomenologia husserliana, Heidegger, tutti orientamenti che nelle loro differenze hanno provato a impostare il discorso sull'Essere senza che siano identificabili con la fisica, quantomeno come la si intende comunemente in senso stretto
Quell'excursus non evidenzia proprio la crescente tendenza ad "aprire" il discorso dell'Essere verso altri domini della conoscenza non metafisici (Cartesio, Hegel, Husserl)?
Si ritorna al bivio a cui accennavo: o si fa storia della filosofia (le vicissitudini dell'Essere nel passato) magari flirtando con l'estetica più o meno laica (v. Severino), oppure bisogna guardare all'epistemologia per scrutare nuovi orizzonti (con il rischio di rimpiangere quelli vecchi...).

Apeiron

Citazione di: Duc in altum! il 20 Gennaio 2017, 11:22:59 AM** scritto da Apeiron:
CitazioneMa è anche vero che il buddismo non è lo schopenhauerismo (che però diciamo è il buddismo per come noi possiamo comprenderlo, secondo me) in quanto nel buddismo la rinuncia e misericordia ("metta")è uno dei valori più riconosciuti.
Scusa ma come ci si "ama", nel senso di donarsi totalmente per il prossimo, nel buddismo?
CitazionePersonalmente non capisco come si possa "voler salvare l'altro" senza pensare che abbia un'identità separata, però come spero di aver fatto capire questo è anche dovuto al fatto che penso in modo troppo "occidentale
E io, anche se ignorante in materia, confrontando questa tua riflessione con ciò che io credo mi chiedo: ma chi ci dice che siamo salvi al punto di poter pretendere di salvare l'altro, oppure, ma se io sono ancora sulla via della salvezza come mi permetto di voler salvar l'altro se non ci sono ancora riuscito con me?

Allora l'amore nel caso buddista credo che nasca proprio dalla consapevolezza che l'"altro" non è "separato" da "te". Su come nella pratica questo si attui e su come l'amore buddista sia diverso nell'esperienza da quello cristiano non so di certo dirti, credo che uno scelga la via che si sente più incline a scegliere. Fai conto che sia nel pensiero cristiano che in quello greco (non  a caso il cristianesimo si diffuse proprio nella cultura greca) assume identità separate negli esseri umani e ritiene il mondo una sorta di "caduta" (vedi Anassimandro, da cui il mio nick) e in ambo i casi si guarda alla speranza di un "mondo migliore". In ogni caso il Theravadin ritiene che Buddha ti può salvarese se segui i suoi insegnamenti perchè lui ha ottenuto la prajna e la conoscenza assoluta del karma. A questo ci puoi credere o no, tua scelta. Nel caso Mahayana invece i bodhisattva in modo simile ai cristiani dei primi secoli rimangono nel samsara a trasmettere gli insegnamenti del Buddha a loro rischio e pericolo. Mi sembra una pratica molto simile a quella cristiana. Chiaramente la dottrina buddista sembra voler dire che bisogna riconoscere di non essere separati dal "resto del mondo" e da qui abbandonare tutti i desideri egoistici. Nel caso cristiano invece si afferma l'identità di ognuno e si vuole trasmettere l'amore tra individui. Come spero tu intuirai non c'è così tanta differenza tra i due messaggi. In ogni caso molto probabilmente non capiremo mai buddismo e simili perchè siamo troppo occidentali

Ritornando in topic a mio giudizio secondo me è più "bella" l'idea (utopica) di avere individui separati che interagiscono tra di loro in modo di "reciproco volersi bene" piuttosto dell'indifferenziazione. E contro Hegel ritengo che la dialettica positivo-negativo sia - visto che gli enti sono separati e quindi "singoli" - una dialettica della possibilità e non di necessità. Ossia ogni essere indipendente può cambiare (e nel cambiamento rimanere uguale a se stesso - paradosso) e il cambiamento forma l'identità dell'essere del singolo. Hegel come diceva Kierkegaard a fatto un sistema che era come un castello perfetto e lui è andato a vivere fuori di esso (ossia si è dimenticato del singolo).

L'errore a mio giudizio di Anassimandro (e di Platone...) è che lui pensava che il fatto di possedere un'identità finita era una "caduta" di per sé. A mio giudizio può essere una caduta.


Chiaramente libero arbitrio e "identità separata" sono ovviamente legati tra di loro...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Duc in altum!

**  scritto da Apeiron:
CitazioneAllora l'amore nel caso buddista credo che nasca proprio dalla consapevolezza che l'"altro" non è "separato" da "te". Su come nella pratica questo si attui e su come l'amore buddista sia diverso nell'esperienza da quello cristiano non so di certo dirti, credo che uno scelga la via che si sente più incline a scegliere.

Beh, accolgo questo tuo disconoscere senza contrarietà, anzi, visti i tuoi dubbi nelle tue riflessioni, forse è più che giustificato, ma lasciami sottolineare che non penso che la via sia quella personale, giacché per il cristiano la scelta te la indica il Messia: io sono la via, la verità e la vita  ...dell'amore!  :)




CitazioneFai conto che sia nel pensiero cristiano che in quello greco (non  a caso il cristianesimo si diffuse proprio nella cultura greca) assume identità separate negli esseri umani e ritiene il mondo una sorta di "caduta" (vedi Anassimandro, da cui il mio nick) e in ambo i casi si guarda alla speranza di un "mondo migliore".
Mi dispiace nel pensiero, anzi, nella realtà cristiana autentica (non m'interessa nella pratica quella greca, Gesù si è rivelato come il Cristo non come "il greco"), c'è una sola forma: "...vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri..." (Gv 13,34-35)
E la speranza, in qualità cristiana, non è un mondo migliore, se per mondo intendiamo il pianeta Terra, la società civile, e le riunioni condominiali! ;D  :-[  ;D


CitazioneIn ogni caso il Theravadin ritiene che Buddha ti può salvarese se segui i suoi insegnamenti perchè lui ha ottenuto la prajna e la conoscenza assoluta del karma.

E no, da quel poco che so, nel buddismo non c'è l'intervento esterno, è lo stoicismo che salva.


CitazioneCome spero tu intuirai non c'è così tanta differenza tra i due messaggi. In ogni caso molto probabilmente non capiremo mai buddismo e simili perchè siamo troppo occidentali
E quello che sto cercando di capire, ma se non ci fossero differenze, la sofferenza per il buddista non potrebbe mai risolverla da solo, ecco perché credo ci siano differenze e anche molto rilevanti per giungere alla salvezza.
Inoltre per il cristiano non esiste un messaggio d'amore occidentale od orientale, esiste un solo messaggio valido e sempre contemporaneo per tutti: portare la salvezza fino all'estremità della Terra.  ;)




CitazioneA questo ci puoi credere o no, tua scelta.
Che fai mi togli il lavoro? ...ti paga la concorrenza??!!!   ;D  ;D  ;D
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Apeiron

Duc dopo anni di dubbi e riflessioni in cui ho scoperto di non sapere nulla capirai che sto cercando ancora la mia strada. Credo che tale strada debba anche essere percorsa con la filosofia. Come puoi immaginare anche io vorrei che "ci amassimo gli uni con gli altri" e con questo concordo con quanto dice Gesù e  come ho già detto in altre sedi trovo il messaggio splendido. Questo è sufficiente a definirmi cristiano? Purtroppo no! So solo che mi viene molto più naturale pensare ad un etica simil-cristiana dove ci sono identità indipendenti. Ma questa è solo la mia opinione e spero un giorno di trovare la mia strada. Chiaramente il cristianesimo però è una religione rivelata quindi si tratta di accettare o non accettare. In ogni caso quello che non mi convince è che il cristianesimo mi pare che veda un po' troppo il mondo in "bianco e in nero", basta guardare tradizionalmente dove "finiscono" le persone dopo la morte. O salvezza eterna (magari dopo un tempo più o meno lungo di sofferenza) o dannazione eterna. Oppure "chi non è con me è contro di me...". In sostanza mi pare "incompleto" visto che sinceramente io non ho mai visto persone "completamente" cattive e "completamente" buone ma una sorta di scala di grigi (motivo per cui ho difficoltà a dire che ci si può salvare da soli). Detto questo l'amore buddista è diverso perchè riconosci di non "essere separato" e quindi in sostanza aiutare l'altro è un bene anche per te e viceversa. Inoltre c'è un elemento di fede anche nel buddismo. Soltanto i buddha si salvano da soli. Tutti gli altri ahrants, bodhisvatta, monaci delle varie scuole e laici si salvano perchè si affidano completamente al messaggio trasmesso dal Buddha.

Con la questione dei greci volevo semplicemente dire che il messaggio cristiano ha attecchito facilmente anche tra i filosofi greco-romani perchè anche loro avevano indipendentemente scoperto (è la parola giusta?) concetti simili come: la contrapposizione tra "questo mondo" (qui Duc ti dimentichi chi è il principe di questo mondo per il cristianesimo) e l'"altro mondo perfetto", l'esistenza dell'anima, la condizione umana come una "caduta" da uno stato ideale.... E Angelo Cannata in sostanza aveva già sottolineato che il tardo Antico Testamento ha avuto possibili influenze dal mondo greco. 

Così però stiamo andando fuori tema (eh sì come sempre quell'insopportabile di Apeiron centra sempre con le divagazioni  ;D ), consiglio di magari aprire un topic nella stanza della Spiritualità sulla questione.

P.S. Nel messaggio di prima ho scritto "cristiani dei primi secoli". Perdonatemi l'errore, volevo scrivere "missionari cristiani", probabilmente comincio già ad avere problemi neurologici  ;D

Duc guarda la concorrenza mi paga milioni... Tornando seri credo che i dibattiti ci aiutino a vedere se un percorso o l'altro sia più "ragionevole" però d'altronde su queste cose una componente di fede c'è...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Duc in altum!

**  scritto da Apeiron:
CitazioneChiaramente il cristianesimo però è una religione rivelata quindi si tratta di accettare o non accettare. In ogni caso quello che non mi convince è che il cristianesimo mi pare che veda un po' troppo il mondo in "bianco e in nero", basta guardare tradizionalmente dove "finiscono" le persone dopo la morte. O salvezza eterna (magari dopo un tempo più o meno lungo di sofferenza) o dannazione eterna. Oppure "chi non è con me è contro di me...". In sostanza mi pare "incompleto" visto che sinceramente io non ho mai visto persone "completamente" cattive e "completamente" buone ma una sorta di scala di grigi (motivo per cui ho difficoltà a dire che ci si può salvare da soli).
Ma la scala di grigi è ben definita nell'Apocalisse: il vomito tiepido, dunque non è incompleto, quindi contro Dio, quindi condanna eterna. A questo ci puoi credere o no, tua scelta.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Sariputra

Come mi è sempre ostico capire quando mi si dice 'Essere' o 'Ente'...se mi si dicesse 'essere un cane' o 'l'ente cane' forse capirei, ma così...cos'è 'Essere' se non un semplice verbo? E a scuola la maestra mi ha insegnato che i verbi stanno tra il soggetto e l'oggetto del discorso e stan lì per predicare...Poi arriva qualcuno e ti dice che l'essere 'è'. Ma chi è che è?...E' troppo comodo dire solo che 'è' e dimenticarsi il soggetto che è...da piccolino ho visto il film su Mosè e questi, chiedendo al roveto ardente che bruciava senza consumarsi:"Chi sei?" la pianta gli rispondeva "Io sono colui che è"...al che ho incominciato a riflettere...ma...se lui è quello che è, vuol dire che tutti gli altri non sono forse? Infatti provai a mettere la manina sul fuoco per vedere se bruciavo senza consumarmi ma...beh, potete immaginare il seguito...Allora compresi che non sono come quello che è. Da quel giorno, quando qualcuno mi chiedeva. "Chi sei?" gli rispondevo :" Io sono colui che non-è"...fu in quel periodo che mia mamma cominciò a preoccuparsi seriamente nei miei riguardi...povera donna...immaginate poi quando le dicevo:"Anche tu non sei 'é'". Certo che la grammatica ti ingarbuglia tutto...si finisce sempre per non capirsi . A volte ti scrivono che l'uomo ha l'anima, altre volte che ha lo spirito, alcuni tutti e due ma non ne vedono neanche uno, allora pensano che sia l'Io..ma no! Dicono altri...si tratta del sé...me è il sè normale o il vero sè? e che differenza c''è tra quello finto e quello vero? Insomma...un guazzabuglio grammaticale. Poi arrivano i filosofi, nome pomposo per definire quelli che pensano invece che lavorare, e miscelano sapientemente tutti i termini grammaticali, così ti chiedi:" Ma l'Io di Platone è lo stesso Io del tedesco baffuto?". Poi ci si mettono pure i traduttori che magari ti traducono anatman con non-Io, altri con non-sè, altri con non-anima e il Nirvana come essenza della mente...alla fine, noi poveracci, non ci capiamo più niente. A dire il vero non solo noi poveracci perché anche quel poeta inglese, quello Schakespeare...beh, ci finì pure lui nella confusione e si mise a chiedere :"Essere o non Essere?" ( E' meglio l'ente o è meglio niente?)...forse tutto si semplificherebbe se invece 'essere' lo sostituissimo con 'esistere'. Sentite come suona tutto più logico: "Io sono colui che esiste"..."Esistere o non Esistere, questo è il dilemma". Lo stesso potremmo fare con quell'altro termine, con 'ente'...si potrebbe volgarmente chiamare 'cosa'...ma, c'è un ma...non capite che se lo chiamiamo esistere o cosa perde quell'aura profonda, filosofica, che tiene lontano noi buzzurri...perde quel..quell''essenza che lo fa essente? Perché se diciamo esistere o cosa subito, anche al più tardo di noi, gli vien in mente qualcosa di concreto, con delle caratteristiche ben precise, chi una dea, chi un asino, chi una zappa...ma ente? Che ti vien in mente? Proprio ni-ente!...E' proprio perché non vedi niente nella zucca che ti dicono che è filosofico...non si finisce mai di imparare...è l'essenza ti dicono...Quindi il poveraccio si chiede."Ah! E' semplice, potevano dirlo subito. Se strizzo l'ente esce l'essenza, come quando strizzo la tetta esce il latte"...Allora ti sforzi di immaginare di strizzare il verbo essere e vedere se ne esce l'essenza...ma...ma...balbetti...non si vede ni-ente!". "Scemo" ti dicono "non la vedi, ma devi crederci che ci sia l'essenza". "Se lo dicono loro che son dei gran pensatori vuol dire che ci sarà sta cosa, sta essenza" ti rincuori "Ma...se nessuno l'ha mai vista, come fanno a dire che c'è?". "Asino! E' la logica e il pensiero che te lo dice. Studiati il verbo essere e stai zitto, che non sei ni-ente e non sai ni-ente!".
E così, frastornato, inizi:
Io sono
tu sei 
egli è
Noi siamo
Voi siete 
Essi sono
 Lo stolto che riconosce la sua follia è, in verità, saggio. ma lo stolto che si crede saggio è veramente folle. (Dhammapada, 63)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

maral

#115
Hai ragione Sari, dire che l'ente è l'essente non dice cosa è l'ente, è solo una tautologia che proprio in quanto tale è sempre vera, dato che ogni ente a suo modo è, ma il modo che lo fa essere un albero, un pezzo di legno che brucia nel camino, un ippogrifo, un sogno, la legge di conservazione di massa ed energia e così via all'infinito resta un mistero che appartiene alla generalissima tautologia, ma non ce ne dà la specifica ragione. Però non mi pare che l'Oriente sia più chiaro dell'Occidente in materia, alla domanda cos'è un albero, cos'è un uomo, cos'è una pietra e via dicendo cosa può rispondere l'Oriente? Il vuoto?
Un saggio forse potrebbe limitarsi, lasciando stare enti e vuoto, a indicare quell'albero, quell'uomo, quella pietra, e magari comprendendo con un gesto più ampio tutto il resto (altro) che lo fa apparire così com'è. Ma a quel saggio qualcuno potrebbe ancora domandare; cos'è quel gesto? cosa indica un gesto e da cosa è indicato affinché lo si possa intendere?
Purtroppo è difficile dire cosa sono le cose, quando si pensa di averle afferrate per poterle dire, quelle cose sono già passate, non sono più le cose che si pensava di dire.

Sariputra

Citazione di: maral il 21 Gennaio 2017, 08:43:49 AMHai ragione Sari, dire che l'ente è l'essente non dice cosa è l'ente, è solo una tautologia che proprio in quanto tale è sempre vera, dato che ogni ente a suo modo è, ma il modo che lo fa essere un albero, un pezzo di legno che brucia nel camino, un ippogrifo, un sogno, la legge di conservazione di massa ed energia e così via all'infinito resta un mistero che appartiene alla generalissima tautologia, ma non ce ne dà la specifica ragione. Però non mi pare che l'Oriente sia più chiaro dell'Occidente in materia, alla domanda cos'è un albero, cos'è un uomo, cos'è una pietra e via dicendo cosa può rispondere l'Oriente? Il vuoto? Un saggio forse potrebbe limitarsi, lasciando stare enti e vuoto, a indicare quell'albero, quell'uomo, quella pietra, e magari comprendendo con un gesto più ampio tutto il resto (altro) che lo fa apparire così com'è. Ma a quel saggio qualcuno potrebbe ancora domandare; cos'è quel gesto? cosa indica un gesto e da cosa è indicato affinché lo si possa intendere? Purtroppo è difficile dire cosa sono le cose, quando si pensa di averle afferrate per poterle dire, quelle cose sono già passate, non sono più le cose che si pensava di dire.

L'è tuto un gran pasàr, che pena te disi na roba ...xa non ghe a ghe xe pì....a se quea che i budhini ciama a lege dell'impermanensa, del pasàr insoma...

LA FORZA DELL'IMPERMANENZA E' MOLTO GRANDE

Ignoranti e saggi, poveri e ricchi,
che abbiano trovato il cammino o no,
nessuno può sfuggirle.
Nè abili parole, nè gioielli meravigliosi,
né menzogne, né violente proteste
permettono di sfuggirle.
Come un fuoco che consuma ogni cosa,
così è la legge dell'impermanenza.
(discorso e stanze di Mahakshyapa)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

@Duc, per piacere non iniziare a tirar fuori il versetto x:y, perchè so benissimo che Gesù richiede a quanto dice la totale sottomissione e non cito il versetto z:w perchè sinceramente sappiamo entrambi che il messaggio è fatto così, senza molti compromessi. Io vedo la cosa più come un'esortazione, tu lo prendi alla lettera. Non vedo come sia possibile continuare a discutere inutilmente specialmente in un topic dove non c'entra nulla.

E poi Duc vorrei anche capire dal tuo punto di vista cosa ne pensi dell'argomento del topic.

Citazione di: Sariputra il 21 Gennaio 2017, 00:34:41 AMCome mi è sempre ostico capire quando mi si dice 'Essere' o 'Ente'...se mi si dicesse 'essere un cane' o 'l'ente cane' forse capirei, ma così...cos'è 'Essere' se non un semplice verbo? E a scuola la maestra mi ha insegnato che i verbi stanno tra il soggetto e l'oggetto del discorso e stan lì per predicare...Poi arriva qualcuno e ti dice che l'essere 'è'. Ma chi è che è?...E' troppo comodo dire solo che 'è' e dimenticarsi il soggetto che è...da piccolino ho visto il film su Mosè e questi, chiedendo al roveto ardente che bruciava senza consumarsi:"Chi sei?" la pianta gli rispondeva "Io sono colui che è"...al che ho incominciato a riflettere...ma...se lui è quello che è, vuol dire che tutti gli altri non sono forse? Infatti provai a mettere la manina sul fuoco per vedere se bruciavo senza consumarmi ma...beh, potete immaginare il seguito...Allora compresi che non sono come quello che è. Da quel giorno, quando qualcuno mi chiedeva. "Chi sei?" gli rispondevo :" Io sono colui che non-è"...fu in quel periodo che mia mamma cominciò a preoccuparsi seriamente nei miei riguardi...povera donna...immaginate poi quando le dicevo:"Anche tu non sei 'é'". Certo che la grammatica ti ingarbuglia tutto...si finisce sempre per non capirsi . A volte ti scrivono che l'uomo ha l'anima, altre volte che ha lo spirito, alcuni tutti e due ma non ne vedono neanche uno, allora pensano che sia l'Io..ma no! Dicono altri...si tratta del sé...me è il sè normale o il vero sè? e che differenza c''è tra quello finto e quello vero? Insomma...un guazzabuglio grammaticale. Poi arrivano i filosofi, nome pomposo per definire quelli che pensano invece che lavorare, e miscelano sapientemente tutti i termini grammaticali, così ti chiedi:" Ma l'Io di Platone è lo stesso Io del tedesco baffuto?". Poi ci si mettono pure i traduttori che magari ti traducono anatman con non-Io, altri con non-sè, altri con non-anima e il Nirvana come essenza della mente...alla fine, noi poveracci, non ci capiamo più niente. A dire il vero non solo noi poveracci perché anche quel poeta inglese, quello Schakespeare...beh, ci finì pure lui nella confusione e si mise a chiedere :"Essere o non Essere?" ( E' meglio l'ente o è meglio niente?)...forse tutto si semplificherebbe se invece 'essere' lo sostituissimo con 'esistere'. Sentite come suona tutto più logico: "Io sono colui che esiste"..."Esistere o non Esistere, questo è il dilemma". Lo stesso potremmo fare con quell'altro termine, con 'ente'...si potrebbe volgarmente chiamare 'cosa'...ma, c'è un ma...non capite che se lo chiamiamo esistere o cosa perde quell'aura profonda, filosofica, che tiene lontano noi buzzurri...perde quel..quell''essenza che lo fa essente? Perché se diciamo esistere o cosa subito, anche al più tardo di noi, gli vien in mente qualcosa di concreto, con delle caratteristiche ben precise, chi una dea, chi un asino, chi una zappa...ma ente? Che ti vien in mente? Proprio ni-ente!...E' proprio perché non vedi niente nella zucca che ti dicono che è filosofico...non si finisce mai di imparare...è l'essenza ti dicono...Quindi il poveraccio si chiede."Ah! E' semplice, potevano dirlo subito. Se strizzo l'ente esce l'essenza, come quando strizzo la tetta esce il latte"...Allora ti sforzi di immaginare di strizzare il verbo essere e vedere se ne esce l'essenza...ma...ma...balbetti...non si vede ni-ente!". "Scemo" ti dicono "non la vedi, ma devi crederci che ci sia l'essenza". "Se lo dicono loro che son dei gran pensatori vuol dire che ci sarà sta cosa, sta essenza" ti rincuori "Ma...se nessuno l'ha mai vista, come fanno a dire che c'è?". "Asino! E' la logica e il pensiero che te lo dice. Studiati il verbo essere e stai zitto, che non sei ni-ente e non sai ni-ente!". E così, frastornato, inizi: Io sono tu sei egli è Noi siamo Voi siete Essi sono Lo stolto che riconosce la sua follia è, in verità, saggio. ma lo stolto che si crede saggio è veramente folle. (Dhammapada, 63)

Ho già definito l'errore "Essere=Ente" come il "peccato originale" della filosofia occidentale. Come ho già avuto modo di affermare c'è l'ente Apeiron, l'ente Sari, l'ente cane, l'ente gatto ecc. Di certo non voglio convincerti che c'è l'essenza anche perchè non saprei darti la prova. Tuttavia concordo con te che tantissimi problemi filosofici sono errori linguistici. Il linguaggio si è preso una vacanza. In altri contesti invece è proprio l'uso del linguaggio che illumina la comprensione.
Per quanto riguarda il roveto ardente un parroco teologo mi ha detto che il tetralemma non vuol dire esattamente "io sono l'essere" ma aveva a quel tempo un altro singificato che ora non ricordo.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Duc in altum!

**  scritto da Apeiron:
CitazioneE poi Duc vorrei anche capire dal tuo punto di vista cosa ne pensi dell'argomento del topic.
Il niente è l'assenza della verità, quindi l'ente è tutto ciò che è vero per davvero.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

sgiombo

#119
Con questo breve intervento vorrei interloquire con Phil e Davintro, poiché essendo purtroppo del tutto digiuno di filosofia orientale non sono in grado di confrontarmi con gli altri; fra l' altro lamento che il frequente uso da parte loro di termini in lingua originale (hindi?), dandone per scontato la conoscenza dei significati da parte dei lettori, non mi agevola (ma mi rendo conto che probabilmente in discussioni come queste del forum, pur con tutta la buona volontà di farsi capire, non sarebbe comunque possibile stare lì a spiegare per filo e per segno i significati dei concetti usati).

Secondo me per la "metafisica" può essere intesa sostanzialmente in due modi.

In senso letterale come "ciò che sta oltre la fisica", cioè oltre "il mondo materiale naturale" (e ciò che se ne può dire o pensare).
In questo senso chi é monista materialista (una corrente di pensiero che mi pare oggi -ma é sempre difficile dare valutazioni in proposito e potrei benissimo sbagliarmi- prevalente fra gli "intellettuali", in particolare filosofi e scienziati; mentre fra i "non addetti ai lavori teorici" mi sembra prevalgano credenze religiose e anche superstiziose per lo meno dualiste, se non addirittura spiritualiste) nega che possa esistere qualcosa che stia oltre la materia (che non sia materia o in qualche modo non sia riducibile alla, o non emerga dalla materia), e dunque che si possa sensatamente coltivare una qualsiasi metafisica (se non, al massimo, come oggetto di erudizione, o anche di autentica cultura viva, ma comunque in quanto mero modo di pensare non più attuale e insensato se considerato "in sé e per sé" e non unicamente per le considerazioni, magari anche interessanti e attuali, che se ne possono fare, per le conseguenze che ha avuto e magari ancora ha sulla cultura e sulla storia umana; un po' alla maniera del latino o di altre lingue, sia pure importanti ma morte, come ha osservato Phil).
Personalmente, come in tante altre questioni, anche su questa vado, con una certa soddisfazione che non celo, decisamente controcorrente: infatti sono dualista, per lo meno relativamente ai fenomeni (la realtà che ci si dà o "cui abbiamo accesso" nell' esperienza sensibile), ritenendo che il pensiero (e più in generale la coscienza) non sia in alcun modo identificabile con la, non sia in alcun senso riducibile alla, non emerga in alcun senso dalla materia (cerebrale); la quale anziché "contenere coscienza e pensiero", come creduto da molti, é contenuta, unitamente e del tutto parimenti al pensiero, nella coscienza: "esse est percipi" (Berkeley).
Ritengo inoltre che, anche se ciò é indimostrabile e men che meno mostrabile (per definizione), esista una realtà in sé o noumeno, che essendo "oltre" i fenomeni a noi accessibili, e dunque alla coscienza in toto, cioè sia al pensiero che alla materia, ha natura letteralmente "metafisica" (oltre che "metapsichica"); e questo perché é l' unico modo che ho trovato convincente per cercare di comprendere e per ammettere sensatamente l' intersoggettività dei fenomeni materiali, e dunque anche la verità della conoscenza scientifica che ha in tale intersoggettività una (indimostrabile) conditio sine qua non.

Oppure la "metafisica" può essere intesa come sinonimo di "ontologia", cioé come la considerazione teorica, il discorso (più o meno) razionale circa la realtà (ciò che é/accade realmente) intesa nel senso più generale e astratto possibile, cioè non limitatamente ai suoi molteplici caratteri solo relativamente universali e costanti, solo limitatamente generali e astratti, quali quelli che studiano e conoscono le scienze (in quanto forme di conoscenza -in senso stretto limitate alla sola realtà materiale o "naturale"- comunque più generali delle semplici conoscenze "aneddottiche" o "episodiche", cioè riguardanti determinati enti ed eventi considerati nella loro mera singolarità).

In questo secondo senso la metafisica si occupa di questioni che un po' tutte le correnti filosofiche attuali (magari, nel caso di qualcuna di esse, dopo qualche decennio di disinteresse più o meno completo) ritengono attuali, come quella se la realtà (in generale; e in articolare la realtà da noi uomini conoscibile) sia o meno indipendente dal pensiero e dalla conoscenza (di essa), se sia monistica (materialistica, spiritualistica o "altro") o dualistica, o ancor più pluralistica, se sia necessaria o contingente o in parte necessaria in parte contingente, se sia deterministica o indeterministica (e dunque se esista o meno il libero arbitrio) o in parte deterministica in parte contingente, se implichi oggettivi valori morali e/o criteri estetici o se questi siano solo preferenze arbitrarie e soggettive, più o meno "ingiustificate, indimostrabili a preferirsi ad eventuali altre," ecc.

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