Cos'è un ente? Perchè è diverso da un niente?

Aperto da Sariputra, 13 Gennaio 2017, 11:13:24 AM

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sgiombo

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 22:20:05 PM


P.S. Tra poco entrerò nella ristretta elite degli utenti "storici" del forum, dove mi sembra abbia trovato posto fin'ora, e da poco tempo, il solo Paul11 ( cha Allah lo preservi!). Per l'occasione ho intenzione di festeggiare con un sontuoso e poco buddhista banchetto tenuto nel salone della Villa. Naturalmente siete tutti virtualmente invitati. Potrete conoscere meglio la Vania e la Maddi... ;D

CitazioneScusa la vanità , ma anch' io posso fregiarmi della qualifica di utente "storico".

Anche se fra conoscenza "virtuale" e conoscenza "in senso biblico" ovviamente non c' é confronto (eh, sono il solito "materialista"; secondo l' uso comune del termine, non in senso letterale-metafisico, come ben sai), ti ringrazio di cuore dell' invito

Sariputra

#31
Citazione di: sgiombo il 14 Gennaio 2017, 16:03:03 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 22:20:05 PMP.S. Tra poco entrerò nella ristretta elite degli utenti "storici" del forum, dove mi sembra abbia trovato posto fin'ora, e da poco tempo, il solo Paul11 ( cha Allah lo preservi!). Per l'occasione ho intenzione di festeggiare con un sontuoso e poco buddhista banchetto tenuto nel salone della Villa. Naturalmente siete tutti virtualmente invitati. Potrete conoscere meglio la Vania e la Maddi... ;D
CitazioneScusa la vanità , ma anch' io posso fregiarmi della qualifica di utente "storico". Anche se fra conoscenza "virtuale" e conoscenza "in senso biblico" ovviamente non c' é confronto (eh, sono il solito "materialista"; secondo l' uso comune del termine, non in senso letterale-metafisico, come ben sai), ti ringrazio di cuore dell' invito

Scusami Sgiombo per l'imperdonabile svista. Con l'avvicinarsi della fine dell'anzianità e l'ingresso nella storicità ( che è come passare dalla vecchiaia alla senescenza totale...) anche la mia povera vista si sta ulteriormente indebolendo...

Ecco, ecco! Proprio con questa risposta sono entrato definitivamente nella storicità. Ormai sono quasi un personaggio classico. Adesso dovrò cercare delle immagini, per sostituire le varie maschere che inserisco nel profilo, di busti in marmo di vecchi sapienti con la barba... 8)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

maral

Citazione di: cvc il 14 Gennaio 2017, 14:10:06 PM
@Maral

Scusa ma tu dici che non c'è l'ente legno che diventa cenere, ma ci sono semplicemente l'ente legno e l'ente cenere. Quindi fra l'ente legno che si trova ad una certa coordinata spazio-temporale e l'ente cenere che occupa la stessa coordinata spazio-temporale non c'è in mezzo niente? C'è in mezzo il tempo, ma stando alla logica del tuo discorso il tempo è niente. Perché se - come credo - il tempo è divenire, allora secondo il tuo ragionamento il tempo non esiste. È un punto di vista non impensabile perché se deve esistere una sostanza - al di là della quahle tutto sarebbe parvenza - allora deve esserci qualcosa che permane immutato nel tempo e, d'altronde, le due realtà possibili - quella dell'immutabilità e quella del divenire - paiono escludersi vicendevolmente. Però se torniamo al punto che esiste l'ente legno e l'ente cenere, innegabilmente esiste anche l'ente fuoco. Ora seguendo sempre il tuo discorso, anche il fuoco è un ente immutabile. Però ragione ed esperienza ci dicono che il fuoco è un processo che trasforma una materia in un'altra e produce energia, e ciò non può avvenire in un piatto mondo atemporale. Anche la fisica dimostra che la materia permane nel tempo mutandosi, perciò l'immutabilità - che è una categoria necessaria di realtà - va posta nell'ambito generale dell'esistenza e non della semplice forma dell'essere.  Il marmo del blocco grezzo permane nella statua, nella forma della statua. Ma la statua è anzitutto un pezzo di marmo e poi, più particolarmente, una statua bella o brutta a seconda dell'artista. Ma ne tu ne Parmenide o Severino danno - a mio parere - dimostrazione di necessità dell'implicazione fra esistenza e immutabilità, più di quanto all'interno del divenire sia anche contemplata l'immutabilità della materia - che cambia forma ma non sostanza - e dei principi che caratterizzano il muoversi dell'universo, appunto attraverso spazio e tempo.
CVC, come ho detto il principio su cui si basa tutto il ragionamento di Severino è la concreta (ossia completa) identità dell'ente con se stesso, se c'è questa identità (che Severino stesso riconosce che in linea di principio può anche essere messa in discussione, ma che se la mettiamo in discussione dobbiamo accettare che nulla più di coerente può essere detto), l'ente, ogni ente per come interamente è, non può che essere eterno, immutabile, dunque il Divenire non c'è, perché gli enti, ognuno di essi, qualunque cosa siano, sono sempre sé stessi e non può esistere alcun tempo in cui questo pezzo di legno che ora è un pezzo di legno sarà cenere, pur rimanendo in astratto il pezzo di legno che era (onde si possa dire che il legno è diventato cenere). Certo, tutto è presente un presente che non passa e non muta. Ogni attimo di questo presente è ente, ma in questo presente si svolge la scena sempre diversa dell'apparire dovuto al continuo richiamarsi reciproco degli enti attraverso la negazione che li lega, dunque il tempo che passa non è che l'illusione del gioco dell'apparire. Che tutto sia presente ci sembra assurdo, ma se ci riflettiamo un attimo non è così, non lo è nemmeno fenomenologicamente: noi viviamo sempre e solo il presente, tutto accade solo adesso, il passato non è più, il futuro non è ancora, entrambi non sono, solo il presente è.
Seguendo il filo di questo discorso non può esserci una sostanza (una essenza fissa) non meglio specificata, ma fondamentale, che non muta, mentre tutti i suoi attributi formali che la specificano di fatto mutano, tale così da rendere possibile il divenire,
appunto perché sono proprio e solo quegli attributi formali, nessuno escluso, che specificano l'ente a mezzo deli infiniti altri enti che quell'ente non è. Questa sostanza è una sorta di idea astratta dell'ente, e, in quanto tale, è qualcosa di diverso dall'ente stesso non l'essenza, se la prendiamo come se ne fosse l'essenza, dice Severino, la prendiamo in astratto, ossia pensiamo l'astratto in modo astratto e questo pensiero astratto dell'astratto è la radice stessa dell'errore.
Certamente il pensiero di Severino (che, ripeto, è assai diverso da quello di Parmenide, in quanto non riguarda l'Essere, ma tutti gli innumerevoli Enti) può sembrare assurdo e ci sono dei punti in cui mi resta oscuro (ad esempio cosa sono davvero gli enti), ma non si può negargli né profondità né rigore logico e filosofico, oltre a un enorme coraggio nel negare ciò che a tutti ci appare tanto ovvio, che le cose passano, che il fuoco (simbolo per eccellenza del divenire fin dai tempi di Eraclito) bruciando trasforma, divora, si trasforma. 
   

paul11

#33
Citazione di: maral il 14 Gennaio 2017, 23:16:23 PM
Citazione di: cvc il 14 Gennaio 2017, 14:10:06 PM@Maral Scusa ma tu dici che non c'è l'ente legno che diventa cenere, ma ci sono semplicemente l'ente legno e l'ente cenere. Quindi fra l'ente legno che si trova ad una certa coordinata spazio-temporale e l'ente cenere che occupa la stessa coordinata spazio-temporale non c'è in mezzo niente? C'è in mezzo il tempo, ma stando alla logica del tuo discorso il tempo è niente. Perché se - come credo - il tempo è divenire, allora secondo il tuo ragionamento il tempo non esiste. È un punto di vista non impensabile perché se deve esistere una sostanza - al di là della quahle tutto sarebbe parvenza - allora deve esserci qualcosa che permane immutato nel tempo e, d'altronde, le due realtà possibili - quella dell'immutabilità e quella del divenire - paiono escludersi vicendevolmente. Però se torniamo al punto che esiste l'ente legno e l'ente cenere, innegabilmente esiste anche l'ente fuoco. Ora seguendo sempre il tuo discorso, anche il fuoco è un ente immutabile. Però ragione ed esperienza ci dicono che il fuoco è un processo che trasforma una materia in un'altra e produce energia, e ciò non può avvenire in un piatto mondo atemporale. Anche la fisica dimostra che la materia permane nel tempo mutandosi, perciò l'immutabilità - che è una categoria necessaria di realtà - va posta nell'ambito generale dell'esistenza e non della semplice forma dell'essere. Il marmo del blocco grezzo permane nella statua, nella forma della statua. Ma la statua è anzitutto un pezzo di marmo e poi, più particolarmente, una statua bella o brutta a seconda dell'artista. Ma ne tu ne Parmenide o Severino danno - a mio parere - dimostrazione di necessità dell'implicazione fra esistenza e immutabilità, più di quanto all'interno del divenire sia anche contemplata l'immutabilità della materia - che cambia forma ma non sostanza - e dei principi che caratterizzano il muoversi dell'universo, appunto attraverso spazio e tempo.
CVC, come ho detto il principio su cui si basa tutto il ragionamento di Severino è la concreta (ossia completa) identità dell'ente con se stesso, se c'è questa identità (che Severino stesso riconosce che in linea di principio può anche essere messa in discussione, ma che se la mettiamo in discussione dobbiamo accettare che nulla più di coerente può essere detto), l'ente, ogni ente per come interamente è, non può che essere eterno, immutabile, dunque il Divenire non c'è, perché gli enti, ognuno di essi, qualunque cosa siano, sono sempre sé stessi e non può esistere alcun tempo in cui questo pezzo di legno che ora è un pezzo di legno sarà cenere, pur rimanendo in astratto il pezzo di legno che era (onde si possa dire che il legno è diventato cenere). Certo, tutto è presente un presente che non passa e non muta. Ogni attimo di questo presente è ente, ma in questo presente si svolge la scena sempre diversa dell'apparire dovuto al continuo richiamarsi reciproco degli enti attraverso la negazione che li lega, dunque il tempo che passa non è che l'illusione del gioco dell'apparire. Che tutto sia presente ci sembra assurdo, ma se ci riflettiamo un attimo non è così, non lo è nemmeno fenomenologicamente: noi viviamo sempre e solo il presente, tutto accade solo adesso, il passato non è più, il futuro non è ancora, entrambi non sono, solo il presente è. Seguendo il filo di questo discorso non può esserci una sostanza (una essenza fissa) non meglio specificata, ma fondamentale, che non muta, mentre tutti i suoi attributi formali che la specificano di fatto mutano, tale così da rendere possibile il divenire, appunto perché sono proprio e solo quegli attributi formali, nessuno escluso, che specificano l'ente a mezzo deli infiniti altri enti che quell'ente non è. Questa sostanza è una sorta di idea astratta dell'ente, e, in quanto tale, è qualcosa di diverso dall'ente stesso non l'essenza, se la prendiamo come se ne fosse l'essenza, dice Severino, la prendiamo in astratto, ossia pensiamo l'astratto in modo astratto e questo pensiero astratto dell'astratto è la radice stessa dell'errore. Certamente il pensiero di Severino (che, ripeto, è assai diverso da quello di Parmenide, in quanto non riguarda l'Essere, ma tutti gli innumerevoli Enti) può sembrare assurdo e ci sono dei punti in cui mi resta oscuro (ad esempio cosa sono davvero gli enti), ma non si può negargli né profondità né rigore logico e filosofico, oltre a un enorme coraggio nel negare ciò che a tutti ci appare tanto ovvio, che le cose passano, che il fuoco (simbolo per eccellenza del divenire fin dai tempi di Eraclito) bruciando trasforma, divora, si trasforma.

Premetto che ho grande stima della logica di Severino.
Ma esiste e quindi diventa essente , il tempo.O tutto compreso noi siamo una contraddizione oppure in quel Tutto inseriamo prima il segno  meno( - Tutto),Ma non cambierebbe molto dal punto di vista dei significati esistenziali degli essenti , in quanto appaiono nel mondo del divenire.
Penso, ma non ne sono sicuro, che esistono immutabili e mutabili. Noi stessi lo siamo incarnando,vivendo nel mondo.
Noi siamo identità, nasciamo e moriamo con la stessa identità. Il nostro corpo muta contraddittoriamente a questa identità che permane ne abbiamo discusso nel paradosso della nave di Teseo.
Ritengo che proprio il rapporto fra nostra identità e le contraddizioni nel divenire ,aprono il processo epistemologico, fenomenologico, ontologico.La necessità che può essere di ordine logico, esistenziale,ecc ma comunque filosofico, di trovare correlazioni fra immutabile e mutabile , se si vuole fra astratto e concreto sia un processo dialettico che non è altro che il movimento dall'identità  alle contraddizioni e viceversa, induttivo e deduttivo, e il processo è il conoscere, il tentativo di dirimere  le contraddizioni

P.S. Sariputra ,quando da " storico" passerò a "fossile" 8)  Invierò "..nà cozza" ;D  alla tua omonima villa Sotto il Monte oltre la contea,da attaccare a qualche busto ::)

maral

#34
CitazionePer la definizione (arbitraria) di tali concetti, può darsi realtà in quanto tale (per esempio del cavallo Bigio) e realtà di (in quanto) concetto pensato (per esempio dell' ippogrifo Pegaso).
E può darsi realtà concettuale, realtà in quanto concetto pensato, inoltre "accompagnata da", coesistente con (dandosi anche) denotato reale di essa, del concetto pensato: Bigio; e può darsi realtà concettuale, realtà in quanto concetto pensato, non inoltre "accompagnata da", non coesistente con (non dandosi anche) denotato reale di essa: Pegaso.
Certamente Sgiombo, Bigio e Pegaso appartengono a due tipologie di enti diversi (anche l'enciclopedia cinese di Borges, che ho citato nel mio primo post in risposta a Sariputra, li classifica infatti sotto tipologie diverse), ma ciò non toglie che essi siano entrambi concetti, se togliamo il concetto che definisce (a mio avviso per nulla arbitrariamente, ossia non come diavolo vogliamo e ci pare) Bigio, cosa resta di Bigio? No, non dirmi un cavallo reale, perché un cavallo reale è ancora una definizione, forse una sensazione di qualcosa, ma anche questa è una definizione, qualcosa allora ... ma cosa? C'è poco da fare, ci vuole una definizione per dirlo, non la cosa, la cosa di per sé non appare. non si dice! Anche se la definizione non è qualsiasi definizione, una sua ragione ce l'ha e Bigio (qualunque cosa sia prima di essere definito come Bigio, il cavallo di tuo nonno) realmente non è Pegaso e certamente non solo per definizione.

CitazioneMa in realtà ciò che é qualsiasi cosa sia potrebbe anche essere (e a quanto pare di fatto é) il mutamento, il divenire
Sì, ma non se quella definizione è un'autocontraddizione, poiché anche se l'autocontraddizione è comunque un'autocontraddizione e tale resta per sempre come ogni ente, essa dice di sé stessa ciò che non è, dicendosi si nega. Il mutamento si autocontraddice perché afferma che una cosa diventando altro da ciò che è (ossia diventando ciò che non è) resta tuttavia ciò che è. dice che esiste realmente un tempo (un reale luogo temporale) in cui questa legna qui, proprio questa legna qui, è cenere.

Sariputra

#35
Non riesco a capire come ci può essere un ente senza qualcosa che appartenga all'ente. Un ente deve avere delle qualità , delle caratteristiche, o dei modi che lo distinguono dagli altri enti.  Se non ci fossero queste qualità distintive tutti gli enti sarebbero uguali, mi sembra. Pertanto, dire di una cosa che è, è corretto, ma non dice che cosa quella cosa è. Abbiamo solo la percezione, ai nostri sensi, che qualcosa c'è ( e qui si apre la prateria della riflessione su cosa e come percepiscono i nostri sensi limitati, compreso il senso interno, detto in Occidente "coscienza", ché non esiste una sensazione di "è" ma casomai di "è caldo, è freddo, è luminoso, ecc,....ma questa è un'altra storia).  Pare , almeno al povero Sari, che una qualità si può stabilire soltanto in relazione e nel confronto con altre qualità. E' perché confronto la mia testa con quella dell'asino Anselmo che giungo alla conclusione che non-sono ( l'ente asino ). Quindi per essere devo pure non-essere ( qualcos'altro); o anche si potrebbe dire che non-essendo (qualcos'altro) sono.  Allora, se si dice che non c'è divenire dell'ente, perché quando osservo una foto dell'ente Sari giovane e con un rigoglioso ciuffo e la confronto con quella dello stesso ente Sari attuale, non trovo alcuna rassomiglianza; così che si potrebbe dire , senza essere smentiti da un'estraneo a cui si mostrassero le due foto, che si tratta di due enti diversi?Così per l'Io come si potrebbe definire se non insieme con il mio? Molti pensatori buddhisti infatti non usano mai il termine Io , ma sempre come Io-Mio e questo mi pare avere una logica...Ora, se un ente non appare mai, in nessun momento, identico a se stesso, come si può affermare che "è" ( ossia immutabile, permanente, duraturo, fisso, sostanziale, ecc.)? Non sarebbe più logico, semplice e intuitivo dire che "esiste nel divenire", o per meglio dire che "diviene esistendo"? Che poi, signori, è esattamente questa la percezione e l'intuizione soggettiva, naturale, senza esserci stata insegnata da nessuno, direttamente accessibile,  alla portata di chiunque dell'esistere. Ossia essere come "essere nel divenire, o "essere nel tempo". Quindi , spalando il letame in cui sembra si sia sepolto per curarsi Eraclito, mi sentirei di intonare, insieme con lui, il "Panta rei", tutto scorre e nessun ente può immergersi per due volte nella stessa merda (...pardòn...acqua)!
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

#36
Citazione di: maral il 14 Gennaio 2017, 23:52:12 PMCitazione Maral:
CitazioneCVC, come ho detto il principio su cui si basa tutto il ragionamento di Severino è la concreta (ossia completa) identità dell'ente con se stesso, se c'è questa identità (che Severino stesso riconosce che in linea di principio può anche essere messa in discussione, ma che se la mettiamo in discussione dobbiamo accettare che nulla più di coerente può essere detto), l'ente, ogni ente per come interamente è, non può che essere eterno, immutabile, dunque il Divenire non c'è, perché gli enti, ognuno di essi, qualunque cosa siano, sono sempre sé stessi e non può esistere alcun tempo in cui questo pezzo di legno che ora è un pezzo di legno sarà cenere, pur rimanendo in astratto il pezzo di legno che era (onde si possa dire che il legno è diventato cenere). Certo, tutto è presente un presente che non passa e non muta. Ogni attimo di questo presente è ente, ma in questo presente si svolge la scena sempre diversa dell'apparire dovuto al continuo richiamarsi reciproco degli enti attraverso la negazione che li lega, dunque il tempo che passa non è che l'illusione del gioco dell'apparire. Che tutto sia presente ci sembra assurdo, ma se ci riflettiamo un attimo non è così, non lo è nemmeno fenomenologicamente: noi viviamo sempre e solo il presente, tutto accade solo adesso, il passato non è più, il futuro non è ancora, entrambi non sono, solo il presente è.
Seguendo il filo di questo discorso non può esserci una sostanza (una essenza fissa) non meglio specificata, ma fondamentale, che non muta, mentre tutti i suoi attributi formali che la specificano di fatto mutano, tale così da rendere possibile il divenire,
appunto perché sono proprio e solo quegli attributi formali, nessuno escluso, che specificano l'ente a mezzo deli infiniti altri enti che quell'ente non è. Questa sostanza è una sorta di idea astratta dell'ente, e, in quanto tale, è qualcosa di diverso dall'ente stesso non l'essenza, se la prendiamo come se ne fosse l'essenza, dice Severino, la prendiamo in astratto, ossia pensiamo l'astratto in modo astratto e questo pensiero astratto dell'astratto è la radice stessa dell'errore.
Certamente il pensiero di Severino (che, ripeto, è assai diverso da quello di Parmenide, in quanto non riguarda l'Essere, ma tutti gli innumerevoli Enti) può sembrare assurdo e ci sono dei punti in cui mi resta oscuro (ad esempio cosa sono davvero gli enti), ma non si può negargli né profondità né rigore logico e filosofico, oltre a un enorme coraggio nel negare ciò che a tutti ci appare tanto ovvio, che le cose passano, che il fuoco (simbolo per eccellenza del divenire fin dai tempi di Eraclito) bruciando trasforma, divora, si trasforma.  

CitazioneRisposta di Sgiombo:

Obietto ben sapendo per esperienza che non ti convincerò.
Spero però di convincere gli altri frequentatori del forum; e a questo scopo basta che illustri i miei argomenti una volta sola, evitando di ricominciare un' altra volta ancora un interminabile botta e risposta; pertanto se ignorerò la tua prevedibile replica non contenente nuove argomentazioni da confutare non sarà certo perché mi avrai convinto (replicherei soltanto a eventuali nuove argomentazioni, cosa che per esperienza ritengo del tutto improbabile accada).



L' ente in quanto pensato, il concetto dell' ente stabilito definendolo arbitrariamente per convenzione "una volta per tutte" (salvo casi eccezionali nei quali per giustificati motivi di chiarezza comunicativa dovuti a fatti intervenuti, soprattutto la miglior conoscenza della realtà che con i concetti viene descritta, o novità culturali o nei rapporti sociali)  è per sempre quello che è e (pretendere di) dire che diviene altro è contraddittorio, senza senso.
Invece l' ente in quanto oggetto (cosa o accadimento reale) può benissimo mutare, anzi di fatto continuamente muta, sia pure talora lentissimamente, di fatto impercettibilmente nel tempo, diventando altro (da legno, cenere, ecc.) senza alcuna contraddizione e insensatezza.
Se le parole in lingua italiana (non in "severinese", che non conosco e non ho alcun interesse ad imparare) hanno un senso, allora, se dicessi che un pezzo di legno segato dal ramo di un albero ieri e bruciato nel camino oggi ieri era cenere e fumo mi contraddirei, ma se dico che oggi è diventato cenere e fumo non mi contraddico affatto (lo farei casomai se dicessi " a la Severino" che oltre a diventare cenere e fumo oggi, dopo la combustione, inoltre è -continua ad essere- anche un pezzo di legno).

Un' esempio di contraddizione logica "severiniana" é questa tua affermazione:

"in questo presente si svolge la scena sempre diversa dell'apparire": "svolgersi" è sinonimo di "divenire", "mutare", e come tale accade nel trascorrere del tempo e non in un "eterno presente".
Infatti "noi viviamo sempre e solo il presente, tutto accade solo adesso [= solo il presente é presente: tautologia! Infatti il passato lo vivemmo e il futuro -si spera!- lo vivremo, N.d.R.], il passato non è più [infatti era prima, N.d.R], il futuro non è ancora [infatti sarà dopo, N.d.R.], entrambi non sono [infatti rispettivamente era e sarà, N.d.R.], solo il presente è [presente; in fatti il passato é passato ed era presente e il futuro é futuro e sarà presente, N.d.R].

In conclusione, essendo uno politicamente scorretto che ama sempre dire pane al pane e vino al vino, ho (e rivendico vivacemente) la presunzione di negare a Severino profondità e rigore logico e filosofico (non l' enorme, ma a mio parere negativo, insano, "coraggio" nel negare ciò che è tanto ovvio).

Mi piace fare come il bambino della favola che dice: "il re è nudo!".

CitazionePer la definizione (arbitraria) di tali concetti, può darsi realtà in quanto tale (per esempio del cavallo Bigio) e realtà di (in quanto) concetto pensato (per esempio dell' ippogrifo Pegaso).
E può darsi realtà concettuale, realtà in quanto concetto pensato, inoltre "accompagnata da", coesistente con (dandosi anche) denotato reale di essa, del concetto pensato: Bigio; e può darsi realtà concettuale, realtà in quanto concetto pensato, non inoltre "accompagnata da", non coesistente con (non dandosi anche) denotato reale di essa: Pegaso.
Certamente Sgiombo, Bigio e Pegaso appartengono a due tipologie di enti diversi (anche l'enciclopedia cinese di Borges, che ho citato nel mio primo post in risposta a Sariputra, li classifica infatti sotto tipologie diverse), ma ciò non toglie che essi siano entrambi concetti, se togliamo il concetto che definisce (a mio avviso per nulla arbitrariamente, ossia non come diavolo vogliamo e ci pare) Bigio, cosa resta di Bigio? No, non dirmi un cavallo reale, perché un cavallo reale è ancora una definizione, forse una sensazione di qualcosa, ma anche questa è una definizione, qualcosa allora ... ma cosa? C'è poco da fare, ci vuole una definizione per dirlo, non la cosa, la cosa di per sé non appare. non si dice! Anche se la definizione non è qualsiasi definizione, una sua ragione ce l'ha e Bigio (qualunque cosa sia prima di essere definito come Bigio, il cavallo di tuo nonno) realmente non è Pegaso e certamente non solo per definizione.

CitazionePegaso é solo un concetto, con una connotazione arbitrariamente stabilita e basta, senza alcuna denotazione reale.
Invece Bigio é sia un concetto con una connotazione (più o meno correttamente, fedelmente, -in- -completamente applicabile alla denotazione reale), sia, inoltre una cosa reale che dal concetto é denotata; e che lo sarebbe anche se nessuno mai avesse pensato il concetto di "Bigio".
Infatti se, allorché era vivo, avessimo tolto il concetto di Bigio (più o meno correttamente stabilito), Bigio avrebbe tranquillamente continuato imperterrito a mangiare fieno, tirare il carro di mio nonno, nitrire, defecare, ecc.; invece se togliamo il concetto (nei racconti, poemi, romanzi, articoli filosofici, conversazioni, ecc. in cui é, compare, realmente accade; come tale: concetto, "roba meramente pensata" -o detta o scritta- e basta) di Pegaso non resta più nulla: non vola più, non nitrisce, non defeca, ecc..

Che poi per parlare di "Bigio", come di Pegaso, debba usare parole le quali (le loro connotazioni) sono altra cosa dal Bigio loro denotato reale (ma non da Pegaso rispettivamente) é ovvio e non equipara affatto la realtà del cavallo al' irrealtà dell' ippogrifo.

CitazioneMa in realtà ciò che é qualsiasi cosa sia potrebbe anche essere (e a quanto pare di fatto é) il mutamento, il divenire
Sì, ma non se quella definizione è un'autocontraddizione, poiché anche se l'autocontraddizione è comunque un'autocontraddizione e tale resta per sempre come ogni ente, essa dice di sé stessa ciò che non è, dicendosi si nega. Il mutamento si autocontraddice perché afferma che una cosa diventando altro da ciò che è (ossia diventando ciò che non è) resta tuttavia ciò che è. dice che esiste realmente un tempo (un reale luogo temporale) in cui questa legna qui, proprio questa legna qui, è cenere.

CitazioneInfatti quella definizione non é affatto autocontraddittoria.

La sarebbe quella "severiniana" che pretenderebbe che il pezzo di legno che ieri é bruciato e ora é cenere e fumo sia inoltre (sempre, e dunque anche ora; oltre che cenere e fumo) anche pezzo di legno incombusto.

Il "divenire" che afferma che una cosa diventando altro da ciò che è (ossia diventando ciò che non è) resta tuttavia ciò che è proprio la definizione autocontraddittoria di "divenire" di Severino; e non quella dei dizionari della lingua italiana, da tutti comunemente usata, che é perfettamente coerente, per la quale invece una cosa diventando (in futuro) altro da ciò che è -ora- (ossia diventando ciò che non è; ora) non resterà affatto tuttavia (in futuro) ciò che è (ora).
Dire che esiste (ora: tempo presente) realmente un tempo (un reale luogo temporale [?]) in cui questa legna qui, proprio questa legna qui, è cenere é la tipica illogicissima contraddizione severiniana, dal momento che invece logicamente si può (e di fatto si deve) dire che esisteva realmente un tempo (prima; mentre ora non esiste più) in cui questa cenere qui, proprio questa cenere qui (ora), era (allora) legna.

cvc

Citazione di: maral il 14 Gennaio 2017, 23:16:23 PM
Citazione di: cvc il 14 Gennaio 2017, 14:10:06 PM
@Maral

Scusa ma tu dici che non c'è l'ente legno che diventa cenere, ma ci sono semplicemente l'ente legno e l'ente cenere. Quindi fra l'ente legno che si trova ad una certa coordinata spazio-temporale e l'ente cenere che occupa la stessa coordinata spazio-temporale non c'è in mezzo niente? C'è in mezzo il tempo, ma stando alla logica del tuo discorso il tempo è niente. Perché se - come credo - il tempo è divenire, allora secondo il tuo ragionamento il tempo non esiste. È un punto di vista non impensabile perché se deve esistere una sostanza - al di là della quahle tutto sarebbe parvenza - allora deve esserci qualcosa che permane immutato nel tempo e, d'altronde, le due realtà possibili - quella dell'immutabilità e quella del divenire - paiono escludersi vicendevolmente. Però se torniamo al punto che esiste l'ente legno e l'ente cenere, innegabilmente esiste anche l'ente fuoco. Ora seguendo sempre il tuo discorso, anche il fuoco è un ente immutabile. Però ragione ed esperienza ci dicono che il fuoco è un processo che trasforma una materia in un'altra e produce energia, e ciò non può avvenire in un piatto mondo atemporale. Anche la fisica dimostra che la materia permane nel tempo mutandosi, perciò l'immutabilità - che è una categoria necessaria di realtà - va posta nell'ambito generale dell'esistenza e non della semplice forma dell'essere.  Il marmo del blocco grezzo permane nella statua, nella forma della statua. Ma la statua è anzitutto un pezzo di marmo e poi, più particolarmente, una statua bella o brutta a seconda dell'artista. Ma ne tu ne Parmenide o Severino danno - a mio parere - dimostrazione di necessità dell'implicazione fra esistenza e immutabilità, più di quanto all'interno del divenire sia anche contemplata l'immutabilità della materia - che cambia forma ma non sostanza - e dei principi che caratterizzano il muoversi dell'universo, appunto attraverso spazio e tempo.
CVC, come ho detto il principio su cui si basa tutto il ragionamento di Severino è la concreta (ossia completa) identità dell'ente con se stesso, se c'è questa identità (che Severino stesso riconosce che in linea di principio può anche essere messa in discussione, ma che se la mettiamo in discussione dobbiamo accettare che nulla più di coerente può essere detto), l'ente, ogni ente per come interamente è, non può che essere eterno, immutabile, dunque il Divenire non c'è, perché gli enti, ognuno di essi, qualunque cosa siano, sono sempre sé stessi e non può esistere alcun tempo in cui questo pezzo di legno che ora è un pezzo di legno sarà cenere, pur rimanendo in astratto il pezzo di legno che era (onde si possa dire che il legno è diventato cenere). Certo, tutto è presente un presente che non passa e non muta. Ogni attimo di questo presente è ente, ma in questo presente si svolge la scena sempre diversa dell'apparire dovuto al continuo richiamarsi reciproco degli enti attraverso la negazione che li lega, dunque il tempo che passa non è che l'illusione del gioco dell'apparire. Che tutto sia presente ci sembra assurdo, ma se ci riflettiamo un attimo non è così, non lo è nemmeno fenomenologicamente: noi viviamo sempre e solo il presente, tutto accade solo adesso, il passato non è più, il futuro non è ancora, entrambi non sono, solo il presente è.
Seguendo il filo di questo discorso non può esserci una sostanza (una essenza fissa) non meglio specificata, ma fondamentale, che non muta, mentre tutti i suoi attributi formali che la specificano di fatto mutano, tale così da rendere possibile il divenire,
appunto perché sono proprio e solo quegli attributi formali, nessuno escluso, che specificano l'ente a mezzo deli infiniti altri enti che quell'ente non è. Questa sostanza è una sorta di idea astratta dell'ente, e, in quanto tale, è qualcosa di diverso dall'ente stesso non l'essenza, se la prendiamo come se ne fosse l'essenza, dice Severino, la prendiamo in astratto, ossia pensiamo l'astratto in modo astratto e questo pensiero astratto dell'astratto è la radice stessa dell'errore.
Certamente il pensiero di Severino (che, ripeto, è assai diverso da quello di Parmenide, in quanto non riguarda l'Essere, ma tutti gli innumerevoli Enti) può sembrare assurdo e ci sono dei punti in cui mi resta oscuro (ad esempio cosa sono davvero gli enti), ma non si può negargli né profondità né rigore logico e filosofico, oltre a un enorme coraggio nel negare ciò che a tutti ci appare tanto ovvio, che le cose passano, che il fuoco (simbolo per eccellenza del divenire fin dai tempi di Eraclito) bruciando trasforma, divora, si trasforma.  
L'identità dell'ente con se stesso è la coscienza che esiste solo negli esseri pensanti. Un pezzo di legno o di cenere non ha coscienza, non percepisce il divenire, per ciò si potrebbe dedurre che in virtù del suo non-percepire-il tempo esso sia immutabile. Ma è un ragionamento arbitrario, perché l'immutabilità del pezzo di legno o di cenere non è un attributo del pezzo di legno o cenere stesso, bensì una caratteristica che gli attribuisce quel commisto di ragione-coscienza-pensiero che è la visione umana. Anche il modello di Diogene della vita naturale dell'animale non è una cosa in sé, è la vita dell'animale vista e modificata attraverso le lenti dell'uomo. Lo stesso si può dire del buon selvaggio di Rosseau, che giudica il selvaggio con le lenti dell'uomo civilizzato. Così come spesso vengono travisati gli scrittori antichi attraverso le lenti del progresso. È il punto di osservazione che determina la coscienza e il tempo. Il mondo descritto da Severino è razionale come può esserlo un circuito stampato di un computer: è logico e razionale ma manca l'esperienza. In Severino manca il vissuto, la vita è fatta di sentimenti che prendono a schiaffi la ragione, di rimpianti, di scelte che impongono rinunce, di scommesse, di un pensiero che lotta ad oltranza per un brandello di pace, di intelligenza che cerca ospitalità in un sentimento.
L'amore è eterno finchè dura...  e anche l'ente è immutabile fino a quando si trasformerà. Posso percepire questo momento come immutabile, perciò esso sarà per la mia coscienza immutabile relativamente alla sua durata. 
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Phil

Citazione di: Sariputra il 15 Gennaio 2017, 01:11:02 AM
Ora, se un ente non appare mai, in nessun momento, identico a se stesso, come si può affermare che "è" ( ossia immutabile, permanente, duraturo, fisso, sostanziale, ecc.)?
Si può soltanto perché l'ente-logico non è l'ente-reale (quello perennemente cangiante di cui parli). La realtà e il tempo indubbiamente scorrono, ma le convenzioni (il linguaggio, la logica, le leggi in genere, etc.) conoscono invece lunghi periodi di immobilismo, di stasi, di cristallizzazione... e ciò è possibile grazie all'astrazione, capacità di creare "nicchie formali" fuori dal tempo e dalla realtà empirica (per questo possiamo parlare di certe navi, anche se poi, con il passare del tempo, approdiamo al problema di stabilire che navi siano, di chi siano, etc.).

Citazione di: Sariputra il 15 Gennaio 2017, 01:11:02 AMNon sarebbe più logico, semplice e intuitivo dire che "esiste nel divenire", o per meglio dire che "diviene esistendo"?
Già, ma chi "diviene esistendo"? Bisogna pur usare un soggetto logico-grammaticale, e l'unico plausibile è una pseudo-identità-stabile: "Sari diviene esistendo", ma cosa si intende con "Sari"? Un ente... un ente immutabile? Si, un ente immutabile per la logica, eppure allo stesso tempo, no, perché è un ente che in realtà muta istante dopo istante (è mutato al punto da passare da utente pre-storico a utente "storico" ;D )
Tutto scorre, è vero, ma purtroppo non abbiamo una ragione-logica che sappia assecondarne in tempo reale il flusso, per cui il modo più semplice di parlarne (ma non di viverlo) e fare finta che ci siano identità durature...


Citazione di: cvc il 15 Gennaio 2017, 12:12:59 PM
Il mondo descritto da Severino è razionale come può esserlo un circuito stampato di un computer: è logico e razionale ma manca l'esperienza. In Severino manca il vissuto
Infatti se colleghiamo quel circuito al flusso della corrente (temporale), va in cortocircuito e fa scattare subito il "salva-vita" (quel dispositivo di ragione che tutela la vita in quanto vissuto), anche se il buon Severino interpreta i segnali di fumo dei contatti bruciati (dal flusso vitale) con categorie mistico-estetiche...
ovviamente scherzo, che i severiniani non mi prendano troppo sul serio  ;)

paul11

#39
Sariputra,
eppure c'è qualcosa di buddhistico nella filosofia con la logica dialettica di Severino.
Il mondo delle apparenze, dei fenomeni nel divenire che ci portano piacere e dolore è "maya" tanto più pensiamo che siano verità a cui attaccarci.
L'"occhio" severiniano è logico dialettico e vede il mondo del divenire che ci portano le apparenze degli enti come il momento contraddittorio fra logica e divenire.
La contraddizione è più delle scienze che della filosofia dialettica severiniana.
Perchè le leggi delle scienze sono comunque un trascendere il fenomeno, un astrarlo dal mondo fisico per ricondurlo al linguaggio logico-matematico di una legge costruita con regole matematiche di un'equazione.
Ora se la verità del mondo fenomenico è ricondotta al procedimento logico matematico affinchè venga giustificato un criterio di verità dentro un dominio, non vedo quale sia il problema esistenziale, se non che ogni apparenza, come ogni fenomeno, noi lo riconduciamo al "nostro" personale filtro logico -razionale che ci siamo costruiti o che le convenzioni educative ci hanno imposto..
Noi stessi, per qualunque cosa noi pensiamo o crediamo, abbiamo dei paradigmi più o meno logici, che costruiscono il metodo di giustificazione e di verificazione di qualunque argomento ,dal metafisico al mondano.
Allora vuol dire che abbiamo degli "immutabili" che pensiamo logico-razionali ,come punti di riferimento .

Il sistema logico-razionale dialettico è basato sul confronto, dove l'"occhio" logico non è più personale e soggettivo, essendo dato da regole logiche razionali, le stesse utilizzate dalle scienze contemporanee.
La legge è che essendo il paradigma identità eterno e immutabile, tutto ciò che non lo è entra nella negazione contraddittoria di quel paradigma.
Invertire il procedimento logico, sarebbe accettare la contraddizione come verità.

Il mio modesto e personale punto di vista è proprio l'accettare logicamente che la nostra esistenza sia contraddittoria. e dare un significato linguistico, esistenziale,al paradigma logico di identità su cui poggia il sistema logico dialettico severiniano

Sariputra

Citazione di: Phil il 15 Gennaio 2017, 12:49:24 PM
Citazione di: Sariputra il 15 Gennaio 2017, 01:11:02 AMOra, se un ente non appare mai, in nessun momento, identico a se stesso, come si può affermare che "è" ( ossia immutabile, permanente, duraturo, fisso, sostanziale, ecc.)?
Si può soltanto perché l'ente-logico non è l'ente-reale (quello perennemente cangiante di cui parli). La realtà e il tempo indubbiamente scorrono, ma le convenzioni (il linguaggio, la logica, le leggi in genere, etc.) conoscono invece lunghi periodi di immobilismo, di stasi, di cristallizzazione... e ciò è possibile grazie all'astrazione, capacità di creare "nicchie formali" fuori dal tempo e dalla realtà empirica (per questo possiamo parlare di certe navi, anche se poi, con il passare del tempo, approdiamo al problema di stabilire che navi siano, di chi siano, etc.).
Citazione di: Sariputra il 15 Gennaio 2017, 01:11:02 AMNon sarebbe più logico, semplice e intuitivo dire che "esiste nel divenire", o per meglio dire che "diviene esistendo"?
Già, ma chi "diviene esistendo"? Bisogna pur usare un soggetto logico-grammaticale, e l'unico plausibile è una pseudo-identità-stabile: "Sari diviene esistendo", ma cosa si intende con "Sari"? Un ente... un ente immutabile? Si, un ente immutabile per la logica, eppure allo stesso tempo, no, perché è un ente che in realtà muta istante dopo istante (è mutato al punto da passare da utente pre-storico a utente "storico" ;D ) Tutto scorre, è vero, ma purtroppo non abbiamo una ragione-logica che sappia assecondarne in tempo reale il flusso, per cui il modo più semplice di parlarne (ma non di viverlo) e fare finta che ci siano identità durature...
Citazione di: cvc il 15 Gennaio 2017, 12:12:59 PMIl mondo descritto da Severino è razionale come può esserlo un circuito stampato di un computer: è logico e razionale ma manca l'esperienza. In Severino manca il vissuto
Infatti se colleghiamo quel circuito al flusso della corrente (temporale), va in cortocircuito e fa scattare subito il "salva-vita" (quel dispositivo di ragione che tutela la vita in quanto vissuto), anche se il buon Severino interpreta i segnali di fumo dei contatti bruciati (dal flusso vitale) con categorie mistico-estetiche... ovviamente scherzo, che i severiniani non mi prendano troppo sul serio ;)

"Panta rei", tutto scorre e lo scorrere è inafferrabile dalla logica, se non per l'appunto"fissandolo"con la ragione in un è che assomiglia ad un artificio. Un artificio però necessario per essere ( come esseri umani) e funzionare nello scorrere senza tregua del divenire ( che è tempo). L'ente-logico non è mai l'ente-reale, come scrivi , e perciò si generano "mostri" che hanno una realtà/necessità formale ma che sono inesistenti nel reale ( certo si può obiettare che il reale è "anche" generare con il pensiero delle pseudo-realtà necessarie, ma questo non cambia il fatto che siano pseudo...perché con il pensiero possiamo pure generare enti inesistenti, per esempio il drago che svolazza sopra la testa di Apeiron a Padova...o infinti enti immutabili come Severino).
Non è forse, mi chiedo, perché abbiamo una sensazione di "continuità" del soggetto che sperimenta il "panta rei" che abbiamo la necessità di definirlo come "è" ? Ma siamo sicuri che questa sensazione di continuità esista veramente?
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Sariputra

@ Paul11
Mi è veramente difficile fare un confronto tra il pensiero di Severino e la filosofia buddhista ( anzi le filosofie buddhiste, ché ci sono parecchie sfumature diverse tra una scuola e l'altra...) perché tutto quel che conosco di Severino è quello che ho letto  su questo forum. Non sarebbe quindi molto serio da parte mia avventurarmi in questo paragone. Così "a pelle", e dal quel che avete scritto, direi che siamo invece su un piano diametralmente opposto. Essendo uno un pensatore che verrebbe presumibilmente  definito come svabhava ( ossia teorizzatore di entità-sostanza) e il buddhismo negatore di qualunque sostanza o ente indipendente e sostenitore dell'interdipendenza e della fluidità del divenire. Ma è proprio solamente una sensazione "a pelle", prendetela per quello che è...
Ovviamente prendete pure con le dovute molle anche la mia interpretazione della filosofia buddhista che deve considerarsi come " la filosofia buddhista vista dal Sari" ( il quale , purtroppo, non è certo un Buddha...). D'altronde ogni cosa è vista solo dal nostro punto di vista.... :)
Sulla strada del bosco
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Apeiron

A mio giudizio il concetto di ente è legato a quello di identità in modo insicindibile. Motivo per cui per stabilire se un ente è un ente bisogna saperlo distinguere. In occidente siamo convinti (seguendo Aristotele e Platone) che noi uomini siamo enti, ma lo sono anche gli alberi, il Pianeta Terra e le montagne. E lo sono anche gli atomi, le galassie e gli elettroni. Eppure non appena indaghiamo con più sensatezza la realtà ci accorgiamo che l'ente "albero" e l'ente "Terra" non sono separati. Basta questo per buttare all'aria un millennio e mezzo di filosofia. Quando si è capito ciò si capisce che nel mondo materiale, a parte forse le particelle elementari, nulla ha una vera identità. Ossia tutto è vuoto di "atman" per dirla in modo indiano. Rimane da vedere "enti" come ad esempio l'uomo che è auto-cosciente. Un cristiano direbbe che l'uomo ha uno spirito e ciò gli conferisce la sua identità, gli animali hanno il "soffio vitale" e quindi sono anche loro enti. Le "cose" invece non possedendo identità non sono enti.

Taoismo, buddismo e Adviata Vedanta invece negano che anche noi siamo "enti separati". L'Adviata Vedanta asserisce che c'è solo un Ente, Brahman che possiede Atman, cioè identità. Il buddismo (almeno la Madhyamaka cioè la scuola più vicina a Sariputra - il Nibbana dei Teravada sinceramente mi sembra tanto simile al Nirguna dell'Adviata) nega che si possa trovare un Ente. Il Taoismo sinceramente non l'ho ancora capito ma più lo analizzo più mi sembra vicino al buddismo. Spinoza concordo più o meno con l'Advaita. Leibniz è un pluralista, cioè ci sono più enti o atman. Parmenide similmente all'Advaita dice che c'è solo un Ente ma fece l'infelice identifazione "Essere è un ente" che ha portato a millenni di fraintendimenti, dispute e insensatezze.

Detto questo Sariputra se per "atman" intendi identità allora per la filosofia occidentale "ente=atman". Prova con questo criterio e usalo nello studio degli "occidentali". D'altronde per dire "questo è" bisogna che "questo" abbia un'identità. Quindi l'ente è tutto ciò che ha identità.

Con questo vorrei quindi che prima di parlare di enti si chiarisse la definizione di parola. Io l'ho appena data e mi sembra "ovvia". Se non chiariamo i significati delle parole, allora cadiamo nell'equivoco.

P.S. Lo spirito è "postulato" per le religioni e filosofie che lo prevedono perchè appunto non c'è veramente nulla che in noi possiamo dire con certezza che sia distinto dal "mondo esterno".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

davintro

La nozione di "ente" credo meriti una centralità e una fondamentalità filosofica nel suo intenderla distintamente dal concetto di realtà, o di esistenza. Cioè per "ente" andrebbe inteso tutto ciò che di cui è possibile predicare qualcosa, qualcosa che renda l'ente, appunto, una vera sostantivizzazione dell'Essere, cioè un "non nulla". L'unicorno non esiste ma è un ente, è pur sempre qualcosa di cui posso dire, pensare, giudicare qualcosa, oggetto di una potenziale intuizione. L'ente è l' "intuibile", e ciò in virtù della struttura intenzionale del pensiero, che è sempre pensiero "di qualcosa" La distinzione tra "essere" e "reale" segna l'eccedenza del pensiero nei confronti della fattualità mondana, in quanto la pensabilità (intesa come intuizione) di ciò che rientra nell'Essere, i cui limiti non coincidono con i limiti del reale permette all'uomo l'accesso all'esperienza di cose non attualmente esistenti tramite l'immaginazione. E come è evidente, è proprio l'immaginazione che costituisce il carattere di libertà e creatività della persona: immaginando oggetti, situazioni non attualmente presenti, l'uomo elabora ipotesi scientifiche, progetta creazioni artistiche, teorizza programmi di rinnovamento politico, sociale, economico. In pratica, la distinzione del piano ente-Essere rispetto al piano della-realtà-fattualità è il presupposto ontologico della condizione dell'uomo come soggetto culturale

Per il livello più strettamente filosofico, mi viene da dire che l'intenzionalità che determina l'"horror vacui", il rigetto del Nulla da parte del pensiero, il fatto che il pensiero miri sempre a "riempirsi" di una presenza oggettiva, che sia attuale o solo potenziale, fa sì che ogni atto di pensiero presupponga l'intuizione fondamentale dell'idea dell'Essere. Per pensare qualcosa, per predicare categorie, giudicare, occorre utilizzare le nozioni di "essere", e di "ente", altrimenti l'oggetto del nostro pensiero sarebbe un "niente" assoluto, quindi qualcosa di impossibile da concettualizzare, verso cui poter attribuire significati. La presenza dell'idea dell'Essere al nostro pensiero è una presenza originaria, universalmente e necessariamente oggettivata, possiamo pensare al di fuori della realtà, non dell'essere. La presenza dell'Essere al pensiero, sotto forma di idea attiene cioè al livello trascendentale, non empirico, è necessariamente correlata alla struttura intenzionale che costituisce il pensiero in modo essenziale. La domanda che si apre, individuare l'origine di tale presenza, dell'Idea dell'essere come contenuto intuitivamente presente al pensiero, domanda di natura metafisica e teologica, finisce col coincidere con la domanda sull'origine, sul perché fondamentale dell'esistenza di una soggettività pensante generalmente intesa. La risposta a tale questione apre alla filosofia uno spazio ben distinto non confondibile con il piano verso cui la soggettività e la coscienza vengono considerate dai sapere empirici sperimentali, antropologia, sociologia, linguistica, neuroscienze ecc. Interrogarsi sulla natura dell'ente e dell'essere vuol dire considerare la struttura universale, trascendentale (trascendentale qui inteso in senso diverso da come poteva intenderlo Kant), del pensiero, una considerazione che trascende qualunque altra che studi il pensiero all'interno di un particolare contesto storico, spaziotemporale, relativo alla specifica natura del soggetto pensante, trascende cioè ogni punto di vista empirico, perché se l' Essere trascende la fattualità reale, allora lo studio dell'Essere non può strutturarsi come metodologia empirica, adeguata solo a ciò che si darebbe in un certo hic et nunc, ma come sapere eidetico, universalistico, vale a dire filosofico. La trascendenza dell'Essere sulla realtà coincide con la trascendenza e l'autonomia della filosofia rispetto a tutte le altre scienze. La rinuncia della possibilità di una speculazione razionale sull'ente, e sull'Essere non sarebbe solo la fine dell'ontologia, ma la fine della filosofia tout court come sapere portatore di un senso peculiare

Phil

Citazione di: Apeiron il 15 Gennaio 2017, 17:19:16 PM
Detto questo Sariputra se per "atman" intendi identità allora per la filosofia occidentale "ente=atman". Prova con questo criterio e usalo nello studio degli "occidentali". D'altronde per dire "questo è" bisogna che "questo" abbia un'identità. Quindi l'ente è tutto ciò che ha identità.
Come ricordato in precedenza, per l'Occidente anche un'idea è un ente (di pensiero, astratto, ma pur sempre ente); l'identificazione di enti puramente concettuali è compatibile con "ente=atman"? L'atman può essere solo un'astrazione logica? Credo di no, ma non sono sufficientemente pratico d'Oriente per rispondere...

Citazione di: Apeiron il 15 Gennaio 2017, 17:19:16 PM
Con questo vorrei quindi che prima di parlare di enti si chiarisse la definizione di parola. Io l'ho appena data e mi sembra "ovvia". Se non chiariamo i significati delle parole, allora cadiamo nell'equivoco.
C'ho provato  ;)
Citazione di: Phil il 13 Gennaio 2017, 13:19:24 PM
In generale, l'ente è un "qualcosa che è", ovvero una qualunque identità di cui si può predicare qualcosa [...] sui problemi dell'identificazione e della predicazione si è già discusso parlando di navi in manutenzione
Citazione di: Phil il 13 Gennaio 2017, 22:49:41 PM
radicalizzando, potremmo dire che l'ente è il soggetto grammaticale di ogni proposizione. Questo spiegherebbe perchè si può parlare anche del "non-essere", del "niente" e del "nulla", in modo perfettamente logico e coerente

P.s.
Citazione di: davintro il 15 Gennaio 2017, 18:02:50 PM
sapere eidetico, universalistico, vale a dire filosofico. La trascendenza dell'Essere sulla realtà coincide con la trascendenza e l'autonomia della filosofia rispetto a tutte le altre scienze. La rinuncia della possibilità di una speculazione razionale sull'ente, e sull'Essere non sarebbe solo la fine dell'ontologia, ma la fine della filosofia tout court come sapere portatore di un senso peculiare
Forse la fine della ontologia e della metafisica trascendentalista non è la fine della filosofia, ma un suo sviluppo ("evoluzione" sarebbe termine adeguato?) che consente alla filosofia di dialogare meglio con le altre discipline... il "senso peculiare" della filosofia, dopo il '900, non credo possa più essere "la ricerca dei principi primi" o "la fondazione del vero" o "l'indagine dell'essere"; se è una disciplina viva, deve adattarsi (darwinianamente  ;D ) al cambiamento del suo habitat (lo scibile umano), altrimenti resterà "antiquata" (e "antiquaria" come diceva un baffuto filosofo tedesco...).

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