Cos'è un ente? Perchè è diverso da un niente?

Aperto da Sariputra, 13 Gennaio 2017, 11:13:24 AM

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Sariputra

Come sapete ormai, tutti voi assidui frequentatori di questo Logos, che giustamente l'amico Jean definisce come hotel, la mia somma ignoranza di molti termini filosofici del pensiero di noi, messi a Occidente di una palla persa nell'Universo, mi fa spesso prendere fischi per fiaschi nei riguardi di alcune terminologie.
In specie mi risuona spesso nella zucca vuota questo termine, questo "ente". Subito mi si profilano davanti le immagini di alberi secolari, alberi maestosi di una immensa foresta cupa. Sono i famosi Enti del Signore degli Anelli di Tolkien.  Sono alberi saggi e parlanti; però a me, purtroppo o per fortuna, il termine ente non mi parla.
C'è per caso qualche anima pia, moderatamente pia ( ché l'eccesso di piaggine non è auspicabile), con la mente intasata di termini filosofici e che se ne vorrebbe liberare in parte per trovare un pò di sollievo dall'ingombro? Potremmo avere un vantaggio reciproco dall'affare: la mia zucca vuota in parte viene abitata e la vostra , troppo piena, in parte si libera, così che anche voi possiate gustare lievemente quel piacere indefinibile che dà la leggereza del Vuoto, mentre il sottoscritto non si troverebbe sempre a mal partito nelle dispute filosoficamente profonde.
E , sempre a proposito di alberi enti, mi son chiesto: L'albero è un ente? E le sue parti, per esempio le sue belle radici, sono a loro volta enti ? O sono enti solo se le consideriamo albero?
Quindi ( come fan tutti senza mai confessarlo...) ho spulciato varie pagine virtuali e ho trovato definizioni di ente:
-participio presente di Essere.
-"quel che è" in assoluto e senza altra predicazione.
-Parmenide, mi par di capire, definisce l'ente come essere ( o l'essere come ente).
-nell'Eleatismo assume il carattere di identità, stabilità, inalterabile sostanza.
-Platone ( ahia...), guardando le sue idee, gli vien da dire che gli paiono anch'esse degli enti ( enti strani invero, ma sempre enti...).
-Aristotele, da quel gran criticone che era, disse che l'ente assumeva varie predicazioni ( ente per sé, ente per accidens, "potenza" di essere dell'ente altrimenti detta "essenza"). Secondo il greco barbuto i diversi enti si distinguono in : enti reali, enti immaginari, enti di ragione, enti finiti, enti ideali, enti creati ( in pratica non si vede cosa non sia ente e perciò niente. Ma, se tutto è ente, niente è ente, giusto? :-\ boh...incomprensibile per me e vorrei apposta il vostro illuminato parere... ).
-Poi ti arrivano i cristiani e aggiungono ( manco ce ne fosse bisogno...) degli altri enti alla lista dell'arcigno Ari : ente infinito, ente supremo che ha in sommo grado la capacità dell'essere.
-Tommasino d'Aquino, tra una messa e l'altra, trova il tempo di puntualizzare pure: in verità, dice convinto, solo Dio è un vero ente, tutti gli altri lo sono per partecipazione ( lui lo chiama ente per essentiam) dicendo pure che c'è una bella differenza tra essenza e esistenza ( e qui il mistero, per il povero Sari, s'ingarbuglia sempre di più...).
-Così , tra un ruminare e l'altro, si arriva ai tempi moderni dove per lo più si identifica il concetto di ente con quello di essere...
Fatta questa doverosa e pedante premessa , il dubbio amletico, osservando l'albero innevato dalla finestra di Villa Sariputra, mi tormenta sempre di più:
"Albero, parlami! Sei un ente?...O non sei niente?"

P.S. Faccio presente che ho frequentato studi agrari che non contemplavano come materia d'insegnamento la filosofia ( questo velato vittimismo è per suscitare le vostre compassionevoli risposte) anche se, quando mi trovo viso a muso con il mio asino, mi chiedo spesso chi di noi due è più filosofo... :(
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Provo a rispondere, con moderata piaggine basata su una ancora più moderata (in)competenza: hai presente il cartone animato dei puffi, in cui si usava il verbo "puffare" in modo vago, versatile e indefinito? La filosofia classica, o più esattamente, l'ontologia, fa lo stesso con l'"essere"... 
In generale, l'ente è un "qualcosa che è", ovvero una qualunque identità di cui si può predicare qualcosa (poi è possibile distinguere fra l'ente tangibile, come l'albero, e l'ente astratto, come un'idea, etc. ed ogni pensatore, proprio come ogni puffo, usa il termine come meglio crede, talvolta in modo antitetico rispetto agli altri... sui problemi dell'identificazione e della predicazione si è già discusso parlando di navi in manutenzione, ricordi?  ;) ).
Un ente non è un niente, poichè l'ente è numerabile, contabile, identificabile, il niente invece no; tuttavia è, come sempre, una questione di linguaggio, per cui alcuni autori hanno giocato d'equilibrismo fra ente e ni-ente... se poi gemelliamo il "niente" con il "vuoto" allora si aprono molti scenari dall'aroma orientale, che probabilmente conosci meglio di me... 

Per quanto riguarda il viso-a-muso con l'asino, ti sconsiglio di fargli domande filosofiche, poichè probabilmente il beato quadrupede risponderebbe:
"La santa asinità di ciò non cura [...]
aspettando da Dio la sua ventura.
Nessuna cosa dura,
eccetto il frutto de l'eterna requie,
la qual ne done dio dopo l'esequie!"
(G. Bruno)
[trascrivo alla lettera, riportando pedissequamente anche la duplice grafia "Dio" e "dio", non me ne vogliano i credenti...]

Apeiron

Come già detto da Phil un ente è una cosa che è in linea generale. Quindi l'albero, le sue radici, le sue foglie, le parti delle radici sono tutti enti. L'uomo è un ente e lo è anche il suo cervello, il suo cuore, il suo piede...
Come chiaramente stai intuendo la definizione di ente non è mai stata formalizzata da nessuno e tanto in occidente quanto in oriente di fatto ognuno ha "studiato" il concetto e lo ha interpretato a modo suo.
Il problema che tu poni delle parti è il cosiddetto problema della "mereologia" che è una branca dell'ontologia.

Personalmente ritengo che Parmenide non volesse dire che l'essere è un ente e recentemente si è fatta di lui un'interpretazione secondo la quale la sua era una filosofia del (solo) linguaggio. Personalmente ritengo la sua filosofia molto simile a quella dell'Advaita: l'Essere è Uno. Tutto quello che vediamo invece sono enti tuttavia per Parmenide è errato vedere le cose come enti ma bisogna cogliere l'Essere il quale è "senza proprietà".

Il tomismo è invece molto simile alla Dvaita: Dio crea e mantiene le cose in essere per il fatto che c'è una partecipazione come dici tu. Tuttavia l'obiezione è: ma i demoni allora perchè esistono?

Quindi come vedi la filosofia occidentale è tanto confusa quanto quella orientale e in occidente una filosofia come il buddismo sarebbe considerata "acosmistica" perchè nega l'esistenza di enti. Tuttavia non (?) negando l'Essere non è nichilismo perchè anche il Divenire d'altronde puoi considerarlo una forma di Essere. E qui però tutto il sistema logico si auto-distrugge perchè l'Essere diventa così generico che assomiglia al Non-Essere.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

maral

#3
CitazioneCosì , tra un ruminare e l'altro, si arriva ai tempi moderni dove per lo più si identifica il concetto di ente con quello di essere

In realtà con i tempi moderni (con la fenomenologia husserliana e soprattutto con Heidegger) le cose si complicano ancor più terribilmente. E dire che l'idea di ente era così semplice, banale, elementare, ma come tutte le cose semplici nasconde una complessità che è diventata sempre più indecifrabile.
L'ente, come dici, è semplicemente il participio presente sostantivato e abbreviato del verbo essere,  l'ente è l'essente, prima e al di là di qualsiasi specificazione che miri a stabilire cosa è e come è, è qualsiasi essente in quanto è. Dunque è l'albero come ognuna delle sue radici o foglie, è l'unico Dio, come uno dei miliardi di evanescenti  neutrini così difficili da pescare, è un sasso come un ente statale, parastatale o affine, è questa tua domanda come il tuo pensarla, è questa risposta come il tuo chiederti, mentre la leggi "ma che cacchio dice questo Maral?". È la totalità infinita dell'Essere come, sì, anche come lui, come il "Niente", l'ente che nega l'ente, essendo,   proprio come dice la parola, il "Non ente". E' infatti un ente anche l'eterno contraddirsi logico del Niente, dato che esso è. Gli enti sono una molteplicità infinita, plurale e sterminata  da cui nulla resta escluso, nemmeno il nulla stesso e  che trovano essenza nella pura e semplice tautologia sempre vera e assolutamente egualitaria: l'ente è, anche quando è quel particolarissimo ente che dice di sé di non essere ente, ossia di essere niente, un vero satanasso.
Diverso è iinvece l'ente che è anche esistente, perché per quanto infiniti possano pure essere gli esistenti, ciò che li caratterizza oltre a essere, è esistere e l'esistere non è mai perfettamente egualitario, fa differenze, seleziona, discrimina. Esistere infatti vuol dire qualcosa di diverso dal puro essere, vuol dire emergere, apparire, mostrarsi. L'ente deve uscire dalla sua essenza del tutto tautologica e autoreferenziale per poter esistere, ossia apparire, mostrarsi ad altri enti, reciprocamente. Si potrebbe dire che Il rapporto che lega gli enti agli esistenti è lo stesso che c'è tra i numeri reali e quelli naturali.
A ben vedere però tutti gli enti che ho citato sopra sono anche esistenti, non potrei averli citati se non fossero esistenti, cioè se non esprimessero un modo di essere che li fa  apparire, ma anche qui l'esistenza ha dei modi privilegiati per farsi intendere ed esistere come esiste un neutrino non è la stessa cosa di esistere come esiste un'idea o un tavolo, l'ippogrifo o il Monte Bianco e anche qui si istaurano delle doverose gerarchie, fino appunto ad arrivare al supremo esistente che è anche il supremo ente di Tommaso o il puro Essere in Atto di Aristotele. Si potrebbe anche dire che nel complesso, pur essendo concettualmente diversi, esistente ed ente si equivalgono, che un infinito vale l'altro, ma il fatto è che tra gli enti occorre comprendere anche quell'ente che assolutamente non appare che continuerà a non apparire anche quando lo si è così definito esistente, proprio come ci ha dimostrato Cantor c'è sempre almeno un numero reale in più rispetto agli infiniti numeri ordinali che si contano.
D'altra parte è proprio su questa diatriba tra ente ed esistente che così spesso Sgiombo e io ci ingarbugliamo in polemiche infinite che coinvolgono alcune famose montagne alpine fino a intere regioni sempre alpine (Chissà poi come e perché non siamo mai scesi sotto dalle Alpi, il motivo non mi appare  ::) )
Ah dimenticavo, gli esistenti, proprio in virtù delle loro caratteristiche che li rendono tali, sono, a differenza degli enti, classificabili in categorie, sono mappabili. Di mappe ce ne sono di tanti tipi, quanto e più che di esistenti da mappare (dimostrando che come al solito volendo fare le cose più semplici e controllabili le si complica).
Questa è una bellissima categorizzazione degli animali che riporta Borges da "una certa enciclopedia cinese". La cito perché la trovo particolarmente significativa, in questa enciclopedia infatti, si  trova scritto che "gli animali si dividono in: a) appartenenti all'Imperatore, b) imbalsamati, c) addomesticati, d) maialini da latte, e) sirene, f) favolosi, g) cani in libertà, h) inclusi nella presente classificazione, i) che si agitano follemente, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello, l) et caetera, m) che fanno l'amore, n) che da lontano sembrano mosche."  E con questo direi che gli animali esistenti ci sono proprio tutti. :)

Sariputra

#4
Signori, signori!!...Avevo chiesto la vostra benevolenza per dipanarmi dalle tenebre e voi me le rendete ancora più oscure?...
Dopo aver letto la spiegazione datami da Maral ho dovuto immergere i polsi nell'acqua gelida, per riavermi... :o
Intanto noto pure una certa divergenza d'opinioni ( o almeno a me pare tale...) tra voi stessi. Infatti Phil afferma:
"Un ente non è un niente, poichè l'ente è numerabile, contabile, identificabile, il niente invece no."
Al che Maral insinua invece che:
"l'ente è, anche quando è quel particolarissimo ente che dice di sé di non essere ente, ossia di essere niente, un vero satanasso."
Allora avevo ragione quando affermavo che, se tutto è ente, lo deve essere anche il niente! Se ogni cosa che posso citare è un ente, lo è anche il niente visto che posso citarlo.  Però a me sembra anche che l'ente significhi pure qualcosa come "presenza", qualcosa che c'è. Quando quella cosa , o qualunque ente, non c'è, non è presente, si parla di ni-ente ( ossia dell'"assenza" dell'ente). Ma il niente è sempre riferito all'ente. Non si può logicamente parlar di niente se non c'è ente. Allo stesso modo come potrei parlar d'assenza senza una presenza? Il niente, essendo solo assenza dell'ente ( e non il Nulla), però in pratica non è esistente ( e quindi non è un ente). "Niente albero" significa solamente che non c'è più l'albero ma è presente sicuramente un altro ente al suo posto ( l'aria, le mosche, le zanzare, ecc.che danno presenza nello "spazio" dell'ente albero divelto dal vento, per es.). E qui, come giustamente mi ricorda Phil, sento lo sciabordio del mare sulla chiglia di una nave antica...
Se un termine però ingloba tutto, anche il suo contrario ( infatti di ogni cosa pensabile si può dire che "è", cioè un ente, quindi anche il niente-ente) non diventa privo di significato? Qual'è la caratteristica che distingue l'essere dal non-essere? Una cosa , per essere, non deve distinguersi, avere un'immediata evidenza di differenza, dalle altre? Se no che differenza possiamo trovare tra due cose che appaiono opposte? Che differenza si manifesta alla fine tra essere e divenire ? Non sono infine la stessa cosa?
Mi pare che , alla fine, l'idea stessa di ente appaia inconsistente se sottoposta all'analisi logica.
Dove erro? Illuminatemi così che non mi rifugi, sempre più confuso, nel mio accogliente Vuoto...

P.S.Non temete di dirmi di lasciar perdere, di dedicarmi alla pessima poesia o alle barzellette. Non abbiate paura di mortificarmi dicendomi che sono inadeguato per la filosofia...lo so, lo so già e...non soffrirò, non soffrirò...vi assicuro che non soffrirò ( beh...forse solo un pochettino :().
Maral, ti sei dimenticato di citare, nella tua diatriba infinita con l'amico Sgiombo, anche lo stambecco che scende a balzi dal monte...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PM noto pure una certa divergenza d'opinioni ( o almeno a me pare tale...) tra voi stessi. Infatti Phil afferma: "Un ente non è un niente, poichè l'ente è numerabile, contabile, identificabile, il niente invece no." Al che Maral insinua invece che: "l'ente è, anche quando è quel particolarissimo ente che dice di sé di non essere ente, ossia di essere niente, un vero satanasso."
La questione funambolica del dire cammina fra assenza e presenza: un ente che, come ricorda Maral, "dice di sè di non esser niente", proprio in quanto parla, non è certo niente, ma è qualcosa, e addirittura qualcosa di parlante, per questo si rivela "un vero satanasso" (cit.).
Il niente "onesto", quello che non bara con subdoli indovinelli (come farebbe un uomo che dicesse "sono morto!"), a differenza degli enti, non ha un plurale (nienti?!), non può essere contato (due nienti, tre nienti, etc.) ma non è nemmeno singolare... perchè per essere singolare dovrebbe essere qualcosa, invece è niente. 
Allora come mai ne stiamo parlando? Perchè il niente esiste come concetto (grammaticalmente singolare), esattamente come l'assenza (che giustamente chiamavi in causa), per cui possiamo predicarne qualcosa, ma senza individuarlo in un'identità positivamente esistente

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PMAllora avevo ragione quando affermavo che, se tutto è ente, lo deve essere anche il niente! Se ogni cosa che posso citare è un ente, lo è anche il niente visto che posso citarlo.
Esatto, il niente è qualcosa (!) di cui si può parlare, ma solo in quanto assenza di enti, per cui è in fondo un pseudo-ente, un ente concettuale-linguistico che tuttavia non ha contenuto (un po' come l'assenza non è una forma di presenza, ma la mera negazione della presenza... e declamare che "la presenza della tua assenza mi riempie di un vuoto che trabocca" è decisamente poco logico, per quanto possa suonare enfatico e significativo...).
L'ente è sempre presente a se stesso (sia esso un oggetto, un'idea o altro) ed è sempre differente dagli altri enti (in quanto sono enti diversi), il niente è invece l'assenza indifferente, non differenziabile in quanto non piena, assente e carente di presenza...

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PM Ma il niente è sempre riferito all'ente. Non si può logicamente parlar di niente se non c'è ente. Allo stesso modo come potrei parlar d'assenza senza una presenza? 
Eppure si parla logicamente di "niente" proprio se non c'è ente, e di "assenza" proprio se non c'è presenza... nel gioco delle dicotomie logiche si ha sempre bisogno del contrario (ovvero del risultato della negazione, "x" deve avere un "non-x" altrimenti il nostro "software" va in tilt!), anche se si tratta di concetti ai limiti del definibile e del predicabile...

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PM"Niente albero" significa solamente che non c'è più l'albero ma è presente sicuramente un altro ente al suo posto ( l'aria, le mosche, le zanzare, ecc.che danno presenza nello "spazio" dell'ente albero divelto dal vento, per es.).
"Niente albero" è un uso ambiguo della parola "niente" che sembra illuderci che possa esserci un niente al genitivo, un "niente di x" che sia diverso da "niente di y", invece il niente non appartiene all'ente... il fatto che l'albero sia rimpiazzato da qualche altro ente, magari meno vistoso, non rende possibile parlare di lecitamente di "niente", proprio perchè c'è qualcosa di presente (gli "enti di rimpiazzo").

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PMSe un termine però ingloba tutto, anche il suo contrario ( infatti di ogni cosa pensabile si può dire che "è", cioè un ente, quindi anche il niente-ente) non diventa privo di significato? Qual'è la caratteristica che distingue l'essere dal non-essere? Una cosa , per essere, non deve distinguersi, avere un'immediata evidenza di differenza, dalle altre? Se no che differenza possiamo trovare tra due cose che appaiono opposte? Che differenza si manifesta alla fine tra essere e divenire ? Non sono infine la stessa cosa? Mi pare che , alla fine, l'idea stessa di ente appaia inconsistente se sottoposta all'analisi logica.
Il linguaggio si appropria degli enti (materiali o concettuali o altro) tramite definizioni, ovvero la possibilità di dirne qualcosa a riguardo, ma non bisogna confondere l'essere-parola con l'essere-esistente-empiricamente: finche restiamo aldiquà dei limiti del linguaggio, possiamo parlare di tutto ciò che ha una parola corrispondente (il niente. il silenzio, l'assenza, etc.), pur rispettando le differenze logiche, le negazioni, che distinguono i concetti connessi alle parole. Il parlare dell'ente o del niente non è indifferente: dell'ente possiamo specificare caratteristiche, localizzarlo, etc. del niente ce ne serviamo solo come contrappeso logico, come negazione dell'ente, ma senza confonderlo con esso. Entrambi sono predicabili, ma l'essenza della loro predicazione è proprio l'incolmabile "distanza" logica che li separa.
Mi auguro di essere stato almeno vagamente comprensibile  :)

P.s. Il Vuoto e il niente sono forse parenti più stretti di quanto pensi, entrambi tengono sotto scacco la "metafisica della presenza" problematizzando l'attaccamento all'identità intesa come Sè, come permanenza...

Jean

Parlare di enti è un altro modo per parlare della coscienza, anch'essa viene definita (rubo l'esempio di Phil) "puffamente", poiché ognuno la interpreta, anzi, la può solo interpretare considerato che descriverla esaustivamente ed oggettivamente è impossibile.

Tutto ciò che c'è è coscienza, così affermava un conosciuto guru indiano. 
Potremo anche dire che il contenuto della coscienza sono gli "enti", suddivisioni sempre più sottili della stessa.

Personalmente non vi trovo una gran difficoltà, di quello che c'è si può parlare, discutere, argomentare, ipotizzare ecc. e quello che non c'è è anch'esso un'idea, un ente appunto.


Quello che davvero non c'è è fuori dalla nostra portata, dal software che ci gira in testa.

Apeiron

Finchè ci si ostina nell'Errore iniziato da Parmenide e Platone non se ne esce. Tutta la metafisica da Platone fino diciamo a Kant e poi nuovamente da Fichte fino a Schopenhauer si basa sull'assunzione errata, il peccato originale della metafisica, secondo il quale l'Essere è un ente. Un indiano e ancor più un taoista si sarebbero messo a ridere sull'ingenuità di tale affermazione. Quello che si è in sostanza verificato è confondere l'esistenza con gli esistenti e chiaramente facendo così arrivano mostri linguistici come: "l'esistenza esiste?". Tale errore si perpretò anche dopo e in realtà condizionò anche Kant seppur in modo subdolo. Finì con Wittgenstein il quale finalmente capì il problema: il linguaggio era andato in vacanza. Il buon Ludwig Wittgenstein ebbe due fasi: la prima nella quale la filosofia coincideva con l'attività della chiarificazione logica del linguaggio mentre nella seconda la filosofia era la chiarficazione grammaticale (termine più generico di "logica") del linguaggio. In sostanza Wittgenstein tornò all'inizio, ancor prima dell'epistemologia (la quale è come giustamente notavano gli indiani era prima dell'ontologia) e tornò allo studio del linguaggio. Così si accorse che l'importante era il contesto in cui venivano proferite le parole. In sostanza Wittgenstein non criticò la metafisica ma il suo abuso il quale però era ormai diventato bimillenario. Così "ente" è un termine che viene portato alla realtà per indicare le cose che esistono. Essere ed esistenza vengono nuovamente fatte coincidere. RIsultato: la filosofia era ritornata indietro di duemila anni e credo che se Wittgenstein avesse letto il Tao Te Ching lo avrebbe considerato il miglior libro filosofico: in tale libro il linguaggio viene continuamente usato per mostrare che non appena si parla delle "grandi questioni" si dicono inconsistenze e quindi non rimane che tacere ("chi non sa parla, chi sa tace") ma per capirlo prima si deve dire qualcosa. Wittgenstein non solo pretende razionalità ma pretende che prima di parlare si controlli se ciò che si sta dicendo abbia senso. Il silenzio taoista e Wittgensteiniano perciò è il silenzio tipico della "dotta ignoranza" o via negativa.

Cosa sono gli enti? Te lo abbiamo detto: l'albero, le sue radici, l'atomo che compone la foglia, la foglia, il tronco, il pianeta Terra di cui fa parte, io, te, la mia mano, il PC su cui scrivo, il messaggio che leggi, la tua idea che ti fai leggendo quello che leggerai. TUTTI enti.  Non si può parlare di Essere e Nulla ma solo di ciò che è ente e ciò che non lo è (non è un ente ad esempio il drago che in questo momento vola sopra Padova ma è un ente il concetto di drago che vola sopra Padova)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

donquixote

Ente è la contrazione di essente, che è a sua volta la contrazione di esistente, quindi il participio presente del verbo essere. Come sostantivo singolare indica quindi tutto ciò che esiste, ovvero che si manifesta, mentre il sostantivo plurale (gli enti) indica tutto ciò che l'uomo percepisce come separato da qualcosa d'altro e quindi lo considera (almeno a livello concettuale) a sé stante. In quanto participio presente l'ente (e gli enti) è necessariamente sottoposto al processo del divenire, anzi è addirittura il divenire stesso, quindi è diverso dall'essere, che non diviene. L'ente è indefinitamente divisibile in un indefinito numero di enti, i quali però tutti sono parti necessarie e inscindibili dell'ente (singolare)  che racchiude tutto ciò che è manifesto e al di fuori del quale non potrebbero esistere. Di fatto solo l'ente esiste e diviene (forse si può dire più precisamente che l'ente si può definire tale mentre è in atto, ovvero nell'istante in cui diviene, mentre il divenire identifica tutto ciò che si è manifestato, si manifesta e si manifesterà), mentre gli enti sono costruzioni mentali umane che servono al medesimo per rappresentarsi ciò che gli sta intorno e controllarlo. Poi certo si può giocare con le parole per anni senza cavare un ragno dal buco, ma bisognerebbe anche fare il giochino di verificare quanto queste parole corrispondano ad una parte di realtà e quanto non siano, appunto, solo parole. Gli "essenti" di Heidegger, ad esempio, a mio avviso sono solo concetti senza alcun riferimento reale, così come il niente che esiste come costruzione grammaticale, nello specifico identifica la negazione dell'ente, ma non corrisponde a niente di reale, effettivo o manifesto (materiale o spirituale che sia), così come esiste la parola "nulla" che è l'opposto di Tutto, ma questa esiste appunto solo come parola, non certo come segno che indichi qualcosa di reale ed esistente, in quanto il tutto non può avere opposti.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Sariputra

#9
Tantissimi spunti interessanti su cui riflettere...
Sappiamo quindi che un ente è qualcosa che c'é ( il famoso drago che svolazza sopra Padova non c'è e quindi non è un ente, ma sognarlo è un ente). Però mi pare più complesso definire cos'è quel qualcosa che c'è. Ossia definire la natura dell'ente che poi è proprio la domanda nel titolo della discussione. Osserviamo che ogni ente è formato da innumerevoli altri enti, a sua volta formati da altri innumerevoli e così via. Parmenide ci dice che l'ente è l'essere di una cosa. Questo mi sembra prestarsi a parecchie complicazioni. Il greco era assolutamente convinto che, per il solo fatto di pensare, dobbiamo postulare che qualcosa "è". Ciò che non-è non è possibile nemmeno pensarlo; come può allora essere una parte della realtà? Non-essere, per Parmenide, è pertanto impossibile. Il corollario di questa affermazione è l'impossibilità del cambiamento, dato che il cambiamento comporta tanto l'essere che il non-essere. Per es. quando A cambia in B, A non esiste più. Come si può pensare una siffatta contraddizione? Una qualità non si può cambiare in un'altra qualità; affermare questo significa affermare, a parer mio, che qualcosa "è" e al contempo "non-è". Quindi  l'ente , per poter cambiare, è nel contempo non-ente ( ni-ente?..?.
Inoltre, se l'essere è diventato, deve pure esser venuto o da un essere o da un non-essere. Però se viene da un non-essere è impossibile. Come può un qualcosa venir fuori dal nulla? Se viene da un essere, allora è venuta da se stesso, che sarebbe come dire che è identico a se stesso, e così è sempre stato. Se è questo il caso, non è certo un caso di "divenire". Parmenide , da quel poco che ho letto, è costretto a concludere che da un essere può venire solo un essere, che nulla può diventare qualcos'altro, che qualsiasi cosa ( ente) è, è sempre stata e sempre sarà e che ogni cosa rimane ciò che è. Quindi, alla fine della fiera, può esistere solo un unico, eterno, indiviso e immutabile Essere.
Questo ragionamento, se non sbaglio, è alla base dell'Occidente ( con infinite variazioni ma partendo da..) e di svariate religioni, credi, ecc. ( Sono d'accordo con Apeiron che lo definisce un Errore, con la maiuscola...).
Uno dei problemi che vedo in questa visione "sostanziale" delle cose e che si ritiene possibile avere la sostanza senza gli attributi o i modi; viceversa la visione "modale" pensa che si possa fare a meno della sostanza. Non c'è, però, attributo senza sostanza , né sostanza senza attributo. Classico l'esempio del fuoco e del suo rapporto con il combustibile:
-il fuoco non-è il combustibile, perché se no il consumatore e il consumato dovrebbero essere identici.
-né il fuoco è diverso dal combustibile, perché non lo si avrebbe senza quest'ultimo.
Tutti gli enti, l'essere e i modi dell'essere, mi sembra, vivono in rapporto e quindi rientrano interamente in questa analisi ( anche enti come sedie , tavoli e alberi innevati di Villa Sariputra...)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

maral

#10
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PM
noto pure una certa divergenza d'opinioni ( o almeno a me pare tale...) tra voi stessi. Infatti Phil afferma:
"Un ente non è un niente, poichè l'ente è numerabile, contabile, identificabile, il niente invece no."
Al che Maral insinua invece che:
"l'ente è, anche quando è quel particolarissimo ente che dice di sé di non essere ente, ossia di essere niente, un vero satanasso."
Non scoraggiarti Sari, l'ente non è mai niente (e non tanto perché non è numerabile, mi pare, dato che di enti non numerabili ce ne sono tanti e forse nessun ente lo è propriamente, a parte forse quegli enti che sono appunto i numeri), ma il niente è un ente dietro la sua maschera mentitrice che finge di essere niente, se infatti, come dici il niente è assenza di ogni ente si è già dichiarato come ente che qualcosa è, esattamente "l'assenza di ogni ente". Severino dice che il niente è un significante che significa l'autocontraddizione ossia significa niente, dato che ad autocontraddirsi non si dice niente, ma questo non vuol dire che non è, ovviamente, ma che è. Perché il niente non fosse bisognerebbe non dirlo né pensarlo, ma come si fa? Una volta pensato l'Essere (maledetto Parmenide!) non resta che pensare il niente (e oggi non manca certo chi afferma pure il contrario, ossia che si comincia con il non pensare niente per poi pensare qualcosa: come è noto tutto cominciò da niente e forse proprio lì alla fine tutto ritorna). Anche l'Essere dopo tutto è ente che dice sempre il vero, ossia ripete sempre la sua tautologia di cui ogni ente partecipa al participio presente. Heidegger voleva provarci a concepire l'Essere a prescindere dagli enti (l'ente è la radura dell'Essere andava dicendo), finì depresso sull'orlo del suicidio, la piantò lì dopo aver cercato l'Essere nella illuminazione poetica e concluse che solo un Dio ci potrà salvare e da cosa se non dal Niente?
Wittgenstein, da buon mistico appassionato di logica, concluse che di ciò che non si può parlare bisogna tacere, ma così dicendo, ahimè, si era già contraddetto, se semplicemente fosse stato zitto avrebbe dimostrato più coerenza.
Una cosa però mi sembra di poter dire a favore del Niente, pur essendo l'autocontraddizione fatta ente a modo suo è terribilmente coerente, infatti a rimuginare sul niente non si conclude mai niente, comunque la si metta, è logico.  :D

P.S a me non pare che a dire essente sia dire esistente, uno è il participio presente di essere, l'altro di esistere, sono due verbi diversi e un motivo ci sarà, il primo richiama qualcosa che sta, definitivo, inamovibile, incontaminabile nella purezza tautologica di "è", il secondo invece qualcosa che si fa largo per saltar fuori e apparire nella fenomenologia dei suoi significati per ogni altro ente (i "cerchi dell'apparire", come direbbe Severino). Ma ognuno può vederla come meglio crede, che nulla, finché non si muore, sarà mai definitivo  :) .

Sariputra

#11
Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 22:10:01 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PMnoto pure una certa divergenza d'opinioni ( o almeno a me pare tale...) tra voi stessi. Infatti Phil afferma: "Un ente non è un niente, poichè l'ente è numerabile, contabile, identificabile, il niente invece no." Al che Maral insinua invece che: "l'ente è, anche quando è quel particolarissimo ente che dice di sé di non essere ente, ossia di essere niente, un vero satanasso."
Non scoraggiarti Sari, l'ente non è mai niente (e non tanto perché non è numerabile, mi pare, dato che di enti non numerabili ce ne sono tanti e forse nessun ente lo è propriamente, a parte forse quegli enti che sono appunto i numeri), ma il niente è un ente dietro la sua maschera mentitrice che finge di essere niente, se infatti, come dici il niente è assenza di ogni ente si è già dichiarato come ente che qualcosa è, esattamente "l'assenza di ogni ente". Severino dice che il niente è un significante che significa l'autocontraddizione ossia significa niente, dato che ad autocontraddirsi non si dice niente, ma questo non vuol dire che non è, ovviamente, ma che è. Perché il niente non fosse bisognerebbe non dirlo né pensarlo, ma come si fa? Una volta pensato l'Essere (maledetto Parmenide!) non resta che pensare il niente (e oggi non manca certo chi afferma pure il contrario, ossia che si comincia con il non pensare niente per poi pensare qualcosa: come è noto tutto cominciò da niente e forse proprio lì alla fine tutto ritorna). Anche l'Essere dopo tutto è ente che dice sempre il vero, ossia ripete sempre la sua tautologia di cui ogni ente partecipa al participio presente. Heidegger voleva provarci a concepire l'Essere a prescindere dagli enti (l'ente è la radura dell'Essere andava dicendo), finì depresso sull'orlo del suicidio, la piantò lì dopo aver cercato l'Essere nella illuminazione poetica e concluse che solo un Dio ci potrà salvare e da cosa se non dal Niente? Wittgenstein, da buon mistico appassionato di logica, concluse che di ciò che non si può parlare bisogna tacere, ma così dicendo, ahimè, si era già contraddetto, se semplicemente fosse stato zitto avrebbe dimostrato più coerenza. Una cosa però mi sembra di poter dire a favore del Niente, pur essendo l'autocontraddizione fatta ente a modo suo è terribilmente coerente, infatti a rimuginare sul niente non si conclude mai niente, comunque la si metta, è logico. :D P.S a me non pare che a dire essente sia dire esistente, uno è il participio presente di essere, l'altro di esistere, sono due verbi diversi e un motivo ci sarà, il primo richiama qualcosa che sta, definitivo, inamovibile, incontaminabile nella purezza tautologica di "è", il secondo invece qualcosa che si fa largo per saltar fuori e apparire nella fenomenologia dei suoi significati per ogni altro ente (i "cerchi dell'apparire", come direbbe Severino). Ma ognuno può vederla come meglio crede, che nulla, finché non si muore, sarà mai definitivo :) .

Anche Severino però, come mi sembra ricordare dalla bellicosa discussione di qualche tempo fa, pare approdare alle stesse conclusioni di Parmenide, ossia negando in definitiva il divenire e "cristallizzando" in eterno gli enti...

P.S. Tra poco entrerò nella ristretta elite degli utenti "storici" del forum, dove mi sembra abbia trovato posto fin'ora, e da poco tempo, il solo Paul11 ( cha Allah lo preservi!). Per l'occasione ho intenzione di festeggiare con un sontuoso e poco buddhista banchetto tenuto nel salone della Villa. Naturalmente siete tutti virtualmente invitati. Potrete conoscere meglio la Vania e la Maddi... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Eh infatti Wittgenstein era il primo a rompere il suo auspicato silenzio (d'altronde a differenza di Laozi e Chuang-Tzu non si limitava a usare la logica per creare paradossi e a contemplare in silenzio...filosofava ancora quindi http://www.roangelo.net/logwitt/acassino.html sito in inglese dove ci sono importanti riflessioni sulla sua filosofia. In particolare il link contiene una pagina con la traduzione italiana e la frase "filosofava ancora quindi"). Tant'è che ad esempio per tutta la vita si trovò in una situazione imbarazzante: era cristiano fideista e al contempo era convinto che "non dovevamo mai smettere di pensare". Questo suo conflitto si traduceva ad esempio nell'etica. Negli scritti filosofici non ne parlava mai ma nella vita continuava a porsi (e a porre agli altri...) problemi etici. Motivo per cui credo che con lui si sia passati da una filosofia errata (la bimillenaria filosofia dell'Essere-come-Ente) alla morte della filosofia (se si prende totalmente sul serio la sua filosofia, la filosofia è morta). Motivo per cui personalmente scelgo una via di mezzo (e qui Sariputra dovrebbe "accendersi"  ;D ): cerco cioè di usare i concetti metafisici finchè si possano applicare alla nostra esperienza sia in senso fisico (per parlare del mondo) che in senso "spirituale" (per parlare di etica, spiritualità, religione...). Cerco di seguire poi il suo esempio per non cercare di costruire vaniloqui.  

Detto questo secondo tutta la questione e tutti i paradossi sull'Essere sono dovuti ad una incomprensione linguistica. Si dice "Essere" sia per indicare che qualcosa esiste, "essere" per indicare che un oggetto ha una certa proprietà ecc ma l'Essere fuori contesto è una chimera. Motivo per cui credo che l'unico modo per parlare in modo sensato di enti sia quello di dire che enti ed esistenti sono la stessa cosa. Altrimenti possiamo costruire sistemi filosofici assurdi e che spiegano tutto (e quindi solitamente un bel Nulla  ;D ). Intanto vado a godermi la vista del drago nei cieli della Padova ormai liberata (purtroppo  ::) ) dall'effimera copertura nevosa...

P.S. Accetto l'invito... virualmente ahahah. A parte gli scherzi buon banchetto!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 21:44:12 PM
mi pare più complesso definire cos'è quel qualcosa che c'è. Ossia definire la natura dell'ente che poi è proprio la domanda nel titolo della discussione. Osserviamo che ogni ente è formato da innumerevoli altri enti, a sua volta formati da altri innumerevoli e così via.
Come accennavo, per me rimane sempre una questione soprattutto linguistica: radicalizzando, potremmo dire che l'ente è il soggetto grammaticale di ogni proposizione. Questo spiegherebbe perchè si può parlare anche del "non-essere", del "niente" e del "nulla", in modo perfettamente logico e coerente: se posso farli funzionare come soggetto di una proposizione, allora ne posso parlare, e allora possono essere enti di pensiero-discorso logico. Ovviamente la proposizione più importante è quella che definisce tale ente ("l'ente x è bla bla bla..."), proposizione che solitamente riteniamo implicita nel comun parlare (e questo crea spesso problemi di malintesi e fraintendimenti).
Un ente può essere suddiviso in altri piccoli enti "minori" (costituenti l'intero)? Si tratta solo di trovare una parola per questi enti di "secondo livello" e il gioco è fatto; possiamo parlare logicamente anche di loro...

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 21:44:12 PMCiò che non-è non è possibile nemmeno pensarlo; come può allora essere una parte della realtà? Non-essere, per Parmenide, è pertanto impossibile.
Eppure proprio il buon Parmenide dice "il non essere non è, e non può essere" dando una definizione del non-essere, quindi parlandone, e quindi rendendolo perfettamente pensabile e "ragionabile". Si tratta di discernere fra l'essere-empirico (e in quel caso chiaramente il non-essere-empirico è impossibile da "incontrare") e l'essere-logico (che invece appartiene anche a enti non vincolati dalle leggi dell'esistenza sensibile).

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 21:44:12 PMIl corollario di questa affermazione è l'impossibilità del cambiamento, dato che il cambiamento comporta tanto l'essere che il non-essere. Per es. quando A cambia in B, A non esiste più. Come si può pensare una siffatta contraddizione? [...] Se è questo il caso, non è certo un caso di "divenire". Parmenide , da quel poco che ho letto, è costretto a concludere che da un essere può venire solo un essere, che nulla può diventare qualcos'altro
La netta divisione dei due enti, A e B, preclude il divenire in modo capzioso: se A è il giorno e B è la notte, non avremmo problemi ad affermare che il giorno diventa notte, senza nessuna contraddizione logica... perchè quello che definiamo "giorno" e "notte" sono strettamente connessi da una continuità spazio-temporale che la logica parmenidea non contempla: o luce o ombra (la penombra, il crepuscolo non esistono in quella logica). Ma A non diventa B in un batter d'occhio (così come A non genera B in un giorno, talvolta ci vogliono almeno nove mesi di graduale gestazione  ;) ): A diventa Ab, poi AB, poi BA, poi Ba poi rimane solo B (fermo restando che permane il problema di definire arbitrariamente cosa intendiamo esattamente per "A" e cosa intendiamo esattamente per "B"). La logica parmenidea vedeva il bicchiere o pieno o vuoto, e guai a prenderne un sorso, altrimenti Zenone avrebbe sostenuto comunque che era impossibile finire tutta l'acqua del bicchiere  ;D

P.s.
Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 22:10:01 PM
Non scoraggiarti Sari, l'ente non è mai niente (e non tanto perché non è numerabile, mi pare, dato che di enti non numerabili ce ne sono tanti e forse nessun ente lo è propriamente, a parte forse quegli enti che sono appunto i numeri)
Per enti "numerabili" intendevo semplicemente che è possibile contarli (a differenza del niente), magari quantificandoli in modo grossolano con "infiniti" (come nel caso dei numeri); non capisco a cosa alludi affermando "di enti non numerabili ce ne sono tanti e forse nessun ente lo è propriamente"... potresti fare qualche esempio di ente che non possa essere contato?

P.p.s.
Ahimè, devo declinare l'invito al banchetto per motivi di salute (influenza... e non vorrei fare l'untore! A proposito, spero che il tuo pc abbia l'antivirus  ;D ). Porgi i miei saluti ai due "enti femminei" che abitano la Villa...

Sariputra

#14
@Phil
Mi spiace per la tua influenza. In questo momento l'ente influenza è diverso da te o tu sei anche l'ente influenza?  ;D
scrivi:
se A è il giorno e B è la notte, non avremmo problemi ad affermare che il giorno diventa notte, senza nessuna contraddizione logica...

Ma per accettare che il giorno diventa la notte, dobbiamo per l'appunto accettare il divenire di A in B che, come giustamente scrivi, si pone in uno spazio e in un tempo. C'è un continuo divenire di momenti ( chiamiamoli Ab, Ac, Ad.ecc.non ha importanza) che fanno sì che l'ente A si trasformi nell'ente B che poi darà vita , in momenti successivi, a C, D, E.ecc.
Come "seguace" dell'impermanenza non ho alcuna difficoltà a intuire e ritenere valido questo processo di trasformazione, anzi ritenendolo il vero essere del reale. L'ente però si dimostra mutabile e non potrebbe essere altrimenti. Ma dov'è l'essere ( che per definizione è e quindi non può mutare) di questo ente? Qual'è il momento in cui A è A e B è B? Introvabile...
La legge d'identità ci dice che A=A. Un cane è un cane ; un uomo è un uomo. Un cane non può essere un non-cane e un uomo un non-uomo. Solo che l'"essere" cane è introvabile, non essendo mai, in nessun momento, cane ( se non come designazione convenzionale)  . Qual'è il momento esatto in cui il giorno è giorno e la notte è notte? Introvabile...Solamente come designazione possiamo dire "Ora è giono" e "Adesso è notte".Quindi , come direbbe il Nagarjuna "A è anche Non-a, e proprio per questo può essere A". ( ente è anche niente e proprio per questo è un ente).
Come è possibile verificare che A è A? Come possiamo verificare questa fondamentale Legge di Identità, questo modello archetipico su cui si debbone basare i ragionamenti logici?
Irvin Copi scrive:
"Ogni sistema deduttivo, a meno che non voglia cadere in una circolarità o in un regresso all'infinito, deve contenere alcuni assiomi o postulati che vengono assunti ma non dimostrati nell'ambito del sistema...essi non sono dimostrati nell'ambito dello stesso sistema...Ogni argomentazione intesa a stabilire la verità degli assiomi è assolutamente fuori dal sistema, ovvero extra-sistemica"
Secondo questa visione, la premessa di base della logica espressa nella formula A=A è pertanto una verità presunta, non dimostrata. Penso possa essere definita come una verità di tipo intuitivo, infatti  intuiamo che un cane è un cane e non certo un asino. Questa intuizione però, che è vera certamente, è condizionata e non esclude altre intuizioni quali per l'appunto: A non è A, pertanto A, la realtà esistenziale nel tempo dell'ente cane.
Sulla strada del bosco
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