Cos'è un ente? Perchè è diverso da un niente?

Aperto da Sariputra, 13 Gennaio 2017, 11:13:24 AM

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acquario69

Citazione"Vi è, monaci, un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato. Se non vi fosse quel non-nato — non-divenuto— non-creato — non-formato, non si potrebbe conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. Ma poichè vi è un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato, si può conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato."


a me viene cosi...e percio,come si suol dire in certi casi do proprio i numeri  :o   :)  

10 - 9-8-7-6-5-4....  3 - 2    -   1   0

(da notare la decade che si presenta già formata all' "inizio" e che coincide con la "fine" - il dieci finale) !


credo che tutte le Dottrine dicono la stessa cosa (Verità')
anche quella Cristiana e il Corano affermano che;

"Veniamo da Dio e torniamo a lui"

Sariputra

Citazione di: acquario69 il 17 Gennaio 2017, 06:32:04 AM
Citazione"Vi è, monaci, un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato. Se non vi fosse quel non-nato — non-divenuto— non-creato — non-formato, non si potrebbe conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. Ma poichè vi è un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato, si può conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato."
a me viene cosi...e percio,come si suol dire in certi casi do proprio i numeri :o :) 10 - 9-8-7-6-5-4.... 3 - 2 - 1 0 (da notare la decade che si presenta già formata all' "inizio" e che coincide con la "fine" - il dieci finale) ! credo che tutte le Dottrine dicono la stessa cosa (Verità') anche quella Cristiana e il Corano affermano che; "Veniamo da Dio e torniamo a lui"

Acquario, a parer mio, il pensare in termini di esistenza e inesistenza ( essere e non-essere- ente e niente ) è una contrapposizione concettuale che ha un forte ascendente sull'uomo, su tutti noi, Sari compreso... E questo si manifesta in maniera così potente perché questo modo di pensare è continuamente alimentato da molte forti "radici" che affondano profondamente nella nostra mente. La più forte è quella di credere praticamente e teoricamente nell'esistenza di un Io-separato o sé autonomo. Penso che , alla base di tutte le credenze eternalistiche o sostanziali, ci sia il potente desiderio di preservare e perpetuare la personalità in versioni più o meno raffinate ( e alcune forme di teismo o deismo sono estremam-ente raffinate...). Però anche chi non crede nell'esistenza di una realtà ultima, di un Dio, ecc. è istintivamente portato a credere nella sua "unicità" e all'importanza della propria personalità individuale e così ritengono che la morte, ossia la fine di questa personalità, significhi un completo annullamento, ossia l'inesistenza.Così, alla fine, il credere nell'ente sé-autonomo, è responsabile non solo dell'eternalismo ma anche del nichilismo che vediamo nella nostra società attuale . Nichilismo sia nella forma "popolare" e non filosofica che considera la morte "la fine di tutto", sia nelle teorie materialistiche che elaborano in maniera raffinata la sstessa posizione.
La credenza in un io-autonomo è anche un problema linguistico ( mi pare ne abbia già parlato Apeiron...) perché la struttura fondamentale del linguaggio (soggettoe predicato, nome e aggettivi) ha la tendenza a semplificare le frasi affermative e negative per facilitare la comunicazione e l'orientamento. Queste caratteristiche della struttura del linguaggio hanno esercitato da sempre una sottile  ma enorme influenza sul nostro modo di pensare, così che alla fine siamo propensi a credere che -"l'esistenza di una parola determina l'esistenza della cosa da essa definita". Poi ci sono tutti fattori emotivi...
Ritengo però che non ci sia parità tra la posizione eternalistica e quella nichilistica, perché la prima porta con sé una forte componente etica mentre la seconda tende a rifiutare qualsiasi etica ( con tutti guai e le malvagità che vediamo...). In poche parole, se non ce la sentiamo di abbracciare una visione come quella buddhista per tanti motivi, è preferibile, ovviamente a parer mio, rivolgersi ad una visione etica ( tendente cioè a non creare ulteriore sofferenza) che non a quella nichilistica.

P.S. Pensi di venire al banchetto?  ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

Citazione di: Sariputra il 17 Gennaio 2017, 01:02:34 AM
Non possiamo pensare alla concezione del termine "enti" che svolge la filosofia buddhista semplicemente come un momento di speculazione logica. Non possiamo dimenticare che ci troviamo dinanzi ad un Insegnamento che non ha la finalità di dare un'interpretazione, una teoria sulla realtà. Buddha non era un filosofo.  La sua vita , la sua pratica e il suo insegnare erano un tutt'uno. Così i discorsi servivano poi per la meditazione e per il retto agire ( moralità) e dalla pratica e dalla purezza di condotta di vita nascevano i discorsi. Saranno poi nei secoli i vari monaci studiosi a dare una struttura filosofica all'Insegnamento. Abbiamo però dei punti fermi in questo passaggio di villaggio  in villaggio durato cinquant'anni e sono punti che tutte le scuole budddhiste posteriori autentiche condividono. Uno di questi punti è sicuramente l'insegnamento a vedere le cose come vuote. C'è per es. la frase:"vedete il mondo come vuoto. se sarete consapevoli della natura vuota del mondo, la morte non vi troverà". La frase viene anche tradotta come:"Chi vede il mondo come vuoto si situa oltre il potere del dolore (dukkha), che ha il suo rappresentante principale nella morte". (Mogharaja-sutta,1119)
Per Siddharta questo significa vedere le cose nella loro realtà, cioè prive di io e di mio. Il Nibbana/Nirvana, l'estinzione totale del dukkha , del dolore , è identico al supremo vuoto. Dire che il supremo vuoto è il nibbana, o identico al nibbana, sta a significare che il vuoto è l'estinzione definitiva di tutto ciò che brucia, che si agita , che muta in maniera vorticosa in noi. Supremo vuoto e suprema estinzione sono la stessa cosa. Però questo stato non si può intendere come "la suprema felicità", come viene comunemente inteso ( particolarmente da noi in Occidente). Quando si parla di nibbana come di 'felicità'è una sorta di propaganda allettante che ricorre al linguaggio convenzionale perché gli uomini sono affascinati dalla felicità e non desiderano altro. In realtà non bisognerebbe definirlo né felicità né sofferenza, perchè si situa al di là della concezione ordinaria di queste. Però se si parla così...la gente non capisce...Se la vita è continuo agitarsi e mutare, l'elemento nibbana è invece la quiete, la calma  e , mentre l'agitarsi è insoddisfacente ( o temporaneamente soddisfacente), il nibbana è realmente soddisfacente.
Il Cuore di questo insegnamento dato dal buddha è racchiuso nella frase famosissima:
Sabbe dhamma nalam abhinivesaya
Nessun dhamma ( cosa) a cui attaccarsi.
Quando si dice "ogni cosa" s'intende ogni cosa , compreso il senso interiore di continuità di cui parlano Paul11 e Jean.
Il termine dhamma (minuscolo) , tradotto in 'cosa', include tutto, senza eccezioni. Ossia 'enti' mondani o spirituali, materiali o mentali. Se ci fosse qualcosa che esula da queste quattro categorie sarebbe sempre compreso nel termine 'dhamma'. La mente che conosce il mondo è dhamma. Il contatto tra la mente e il mondo è dhamma.Questo termine abbraccia tutto, dal periferico al centrale, dagli oggetti materiali , alla pratica del Dhamma ( maiuscolo inteso come Insegnamento), compreso il nirvana. Non dovremmo provare attaccamento per nessuna di queste cose, compreso il nirvana. Il Buddha addirittura insegna a non attaccarsi nemmeno alla 'consapevolezza-saggezza' ( sati-panna ), perché è anch'essa un processo naturale. Attaccarcisi con l'idea: "Io sono un saggio, uno consapevole" è un'illusione in più. Il nirvana è anch'esso un dhamma, un evento naturale, così come la pratica meditativa e i suoi frutti, sono "così come sono". Persino il vuoto stesso è un evento naturale. E' l'attaccamento all'idea  che lo riduce ad un falso nibbana, ad un falso vuoto , perché il vero nirvana è senza appigli.
Tutti questi dhamma, secondo il buddhismo, sono divisi in due categorie: mutevoli e immutabili. Quelli mutevoli, in perenne trasformazione, a causa di forze e condizioni che li producono si mantengono in esistenza all'interno di questo flusso del divenire, della trasformazione dinamica. Quello immutabile è il nirvana, unico dhamma nella sua categoria. Si mantiene esente dal cambiamento, la sua natura è il non mutamento. ora, tutti i dhamma, sia mutevoli che il nirvana immutabile, sono semplici dhamma: cose che conservano se stesse in un determinato modo. Ecco come non c'è altro che natura, solo eventi naturali, solo dhamma , per l'appunto...Dhamma quindi significa natura, processi naturali. Nel buddhismo prendono anche il nome di 'tathata'  ( 'così come sono'), in quanto non potrebbero essere in modo diverso. In termini di logica viene espresso così:
tutte le cose sono dhamma
tutte le cose sono vuoto
i dhamma sono il vuoto
Naturalmente si può esprimere in molti altri modi ma il punto centrale resta, a mio parere, che non c'è niente al di fuori della natura e che la natura è vuoto. Niente a cui attaccarsi come Io e mio. Il vuoto, o vacuità di esistenza intrinseca è, per il buddhismo, la natura di tutte le cose possibili.
L'attaccamento all'idea dell'Io è un'eredità che ci viene da un tempo immemorabile...tutto ciò che viene insegnato, fin dalla più tenera età, è in termini di "io". Alla nascita la mente del bimbo non ha alcun senso dell'Io...ma poi, diventati adulti, la vita stessa diventa l'Io, e l'Io la vita...e Io sono esausto e vado a sognare un altro illusorio Io che vive in un'altra realtà illusoria...  :-X :-X

P.S.Ovviamente, quando si dice che ci sono solo eventi naturali o 'solo natura', non dobbiamo intenderla secondo il criterio della filosofia materialista occidentale...
Direi metaforicamente che il nirvana è trovarsi dentro l'occhio vorticoso di un ciclone, uno stato di quiete ,di pace di serenità, nonostante tutto si muova vorticosamente attorno a noi.
Capisco, Sariputra il tuo ragionamento.
So benissimo che l'uomo ha più linguaggi e quello dei sentimenti, degli atteggiamenti, motivazioni è molto difficile da capire e da comunicare. Ma non pensare che la logica sia calcolo, è ponderazione che per me significa altro.
La forza della filosofia è la capacità di interrogarsi i n maniera distaccata dalla mondanità, cercando di capire i meccanismi, naturali che governano i domini, gli ordini, le dimensioni ,di cui fanno parte tutti gli enti.
La ponderazione è la capacità di utilizzare coerentemente le facoltà umane linguistiche ,dall'intuito, all'intelliggibilità per razionalizzarle in regole.Una persona osserva il mondo nello scandire del tempo e vede le mutazioni e intuisce un ordine interno che le governa in totto., il meccanismo, che regola quello stesso mutare.Il problema allora è il meccanismo dei domini e gli enti che vi sono immersi.
Ed è altrettanto chiaro che essendo l'uomo un essere , un essente, in quanto senziente e vivente e all'interno di un ordine in cui il fattore ( o ente) tempo ha la forza di "spostare" tutti gli enti nel divenire del mutare che si riflette nel governo del sorgere della vita e dei cicli della vita stessa che osserviamo nel percorso delle stagioni. Se l'uomo è nel divenire "nel mezzo", in quanto dimentico della propria origine ,così come della fine, questi due aspetti, inizio e fine noi li interpretiamo osservando i meccanismi che governano l'ordine.
Il potere umano della mente è andare oltre l'esistente dell'attimo,uscire dallo scandire del tempo ovviamente non fisicamente, ma appunto mentalmente e questo gli permette la leggibilità dei meccanismi degli ordini, non ne prende solo atto, ma lo interpreta.

Il come noi leggiamo e interpretiamo il meccanismo che muove gli enti che si mostrano che ci appaiono che le percezioni pongono in divenire, contrastano spesso con l'ordine logico.
Ed è questo ordine logico interpretato che caratterizza una cultura, qualunque cultura e dominio.

Io vedo purtroppo  la morte, la fine nel divenire, ma Severino, ovviamente non solo lui, dice che invece essendo ogni ente eterno in quanto ciò che è non può svanire nel nulla, in quanto tutto non può a sua volta essere uscito dal nulla.
C'è da notare un aspetto fondamentale.
 Noi diciamo che è vero, compresa la morte in quel sistema di mezzo che non conosce però origine  nè fine.
Alcune filosofie, e questo lo è anche Severino nella logica dialettica, pone invece l'origine fondamentale così come la fine (gloria), per cui è proprio il sistema di mezzo del divenire che appare logicamente contraddittorio.(E continuo a vedervi similitudini con le spiritualità nel meccanismo, ovviamente ha caratteristiche diverse)

Ma daccapo, se Severino avesse torto, dobbiamo abbattere tutta la logica che utilizzano le scienze, non solo le filosofie,tutte le applicazioni strumentali digitali che utilizzano operatori booleani, non solo la logica predicativa .
Questo è il grosso problema contraddittorio al suo interno come cultura. Com'è che funziona nelle applicazioni?
Perchè le semplici regole logiche che formano il paradigma originario in Severino (identità e non contraddizione) non funzionano nel divenire. o meglio, il divenire e gli enti che mutano sono contraddittoriamente illogici.
Personalmente ritengo che abbia fondamentalmente una ragione, un ente non può perdere la sua identità che per me è individuata nella sua essenza, semmai modifica mereologicamente le sue parti, ma non può perdere la sua originarietà.
Così come la nostra esistenza appare contraddittoria, perchè la dimensione della sopravvivenza della percezione sensoriale gli indica il divenire come riferimento e la morte come uno svanire nel nulla, ma la mente razionalizza i meccanismi oltrepassando la dimensione spazio/tempo contraddicendo ciò che gli occhi vedono e credono per vero.

Sariputra

@ Paul
ma se non c'è identità fissa non ci può essere nemmeno qualcosa che perda identità. La difficoltà di accettare logicamente la perdita di un'identità di un ente è data dal fatto che si è prima accettato aproristicamente , come scontato, che ci sia un'identità.  E' come un uomo che vada in giro dicendo:"ho perduto il mio essere asino " ma non-sono mai stato un asino! Dal mio punto di vista dunque è sbagliato assumere come dato di fatto che esistano enti immutabili ( in questo caso soprattutto enti-idee ) e quindi sforzarsi di dire che non possono essere/diventare nulla. Fino al punto di cistallizzare il fluire di un universo intero in attimi eterni, fissi, immutabili per non perdere la logica di qualcosa che si accettato senza poterne dimostrare la logica. E' solo perché si accetta senza poterlo dimostrare che A=A  che si arriva al Severino. Ma se anche A=A è vero parzialmente può essere vero anche "A è anche non-A, pertanto è A"( che non esclude A=A), ossia la formula logica che tenta di dare una misera definizione linguistica del mutare, del fluire incessante.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

Citazione di: Sariputra il 17 Gennaio 2017, 09:21:06 AM
Acquario, a parer mio, il pensare in termini di esistenza e inesistenza ( essere e non-essere- ente e niente ) è una contrapposizione concettuale che ha un forte ascendente sull'uomo, su tutti noi, Sari compreso... E questo si manifesta in maniera così potente perché questo modo di pensare è continuamente alimentato da molte forti "radici" che affondano profondamente nella nostra mente. La più forte è quella di credere praticamente e teoricamente nell'esistenza di un Io-separato o sé autonomo. 

P.S. Pensi di venire al banchetto?  ;D

Non so a cosa ti riferisci perché in quello che mi viene da scrivere qui,cerco (in maniera ormai spontanea) di esprimere proprio il contrario e mi sembra che alla fine fai come i prestigiatori che mischiano le carte


Al banchetto ci vengo volentieri....quale sarebbe il menu di villa sariputra?
Io sono per le pietanze casareccie  ... e mi sembra di capire che hai pure il camino col fuoco acceso e con tanto di cantina annessa, quindi le premesse sono ottime.. nonostante le forti divergenze ...e chissa se in circostanze del genere si finirebbe di andare più d'accordo di quello che all'apparenza potrebbe sembrare :)

Apeiron

Come ho già detto più volte il fatto che (hic et nunc!) non abbraccio uno dei percorsi del trittico buddismo-advaita (e simili) - taoismo è il seguente: se rimuovi a mio giudizio l' "atman" ossia l'identità ossia l'essenza e vedi tutto in qualche senso come vuoto è appunto perchè così facendo vai "oltre" l'etica, cosa che a mio giudizio non è veramente possibile. Il linguaggio dell'etica mostra che per l'etica è fondamentale l'esistenza del bene e del male, del libero arbitrio, della responsabilità, dell'io. Motivo per cui postulo, per fede, che siamo entità separate, pur sapendo che il mio postulato è appunto un atto di fede e non è provabile (anzi "empiricamente" tutto ci va contro!). Se fosse semplicemente in palio l'abbandono di altro ok si potrebbe fare ma sinceramente l'abbandono dell'etica mi pare troppo.

Chiaramente uno può dire che in effetti anche la questione dell'io è una illusione linguistica e non a caso la coscienza il buon Siddharta la descrive come un "qualcosa che è come un gioco di magia" e l'advaita dice che il vederci come entità separate è dovuto a Maya che ha lo stesso significato di "gioco magico". Dunque visto che rinunciare all'etica mi sembra "anti-etico" ritengo che alcune distinzioni siano irrinunciabili e che sia sbagliato lasciarle andare.  Sono convinto inoltre per ragioni che magari spiegherò in un'altra sede che l'etica per la sua naturale assolutezza abbia origine "sovrumana" (motivo: l'etica si basa su giudizi assoluti e oggettivi di valore).

Detto questo acquario69 la tua filosofia mi sembra neo-platonismo. Tuttavia a che pro Dio creerebbe degli enti per poi "rimangiarseli"? Detto questo ritengo che dobbiamo "riavvicinarci" a Dio pù che unirci - restando tuttavia enti separati. 

P.S. Gli abusi linguistici pullulano in filosofia e non a caso ritengo che molta filosofia sia nata come un fraintendimento linguistico, come quello di considerare l'Essere come un Ente.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Quello che Sariputra vuole dire è che per il buddismo ogni contrapposizione è illusoria perchè esiste solo nella nostra testa. Nella realtà non c'è nulla che si contrapponga, perchè non ci sono enti e quindi non ci sono identità.

In sostanza per capire il buddismo non bisognerebbe usare il linguaggio perchè bisogna eliminare il problema dalla radice: si elimina da ogni frase ogni soggetto! In sostanza ogni tradizione che tenta di eliminare le contrapposizioni (quindi anche taoismo e advaita...) ritengono che "l'uomo che sa non parla" (Tao Te Ching) e che "l'uomo Perfetto è privo di Sé" (Zuanghzi). Non c'è veramente per queste tradizioni nessun ente. Ma non sono nemmeno nichilismo perchè il nicilismo è la negazione di qualcosa (per quanto dicono loro...)! In sostanza ragiona così: non puoi trovare nulla che abbia identità separata, quindi nessuna cosa ha una vera identità. Se sparisce l'identità spariscono i dualismi e spariscono i concetti.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

acquario69

Citazione di: Apeiron il 17 Gennaio 2017, 11:36:00 AM
Detto questo acquario69 la tua filosofia mi sembra neo-platonismo. Tuttavia a che pro Dio creerebbe degli enti per poi "rimangiarseli"? Detto questo ritengo che dobbiamo "riavvicinarci" a Dio pù che unirci - restando tuttavia enti separati.  

Forse a questa domanda ci passiamo prima o poi tutti. (e a prescindere da Platone o simili)
ed e' la stessa che mi sono posto anch'io (qui sotto) qualche tempo fa...e le risposte a seguire (a distanza di tempo) per me sono state illuminanti

http://www.riflessioni.it/forum/spiritualita/14342-perche-nascere-vivere-e-morire-per-tornare-a-dio-non-potevamo-stare-presso-di-lui.html

paul11

#68
Citazione di: Sariputra il 17 Gennaio 2017, 10:21:42 AM
@ Paul
ma se non c'è identità fissa non ci può essere nemmeno qualcosa che perda identità. La difficoltà di accettare logicamente la perdita di un'identità di un ente è data dal fatto che si è prima accettato aproristicamente , come scontato, che ci sia un'identità.  E' come un uomo che vada in giro dicendo:"ho perduto il mio essere asino " ma non-sono mai stato un asino! Dal mio punto di vista dunque è sbagliato assumere come dato di fatto che esistano enti immutabili ( in questo caso soprattutto enti-idee ) e quindi sforzarsi di dire che non possono essere/diventare nulla. Fino al punto di cistallizzare il fluire di un universo intero in attimi eterni, fissi, immutabili per non perdere la logica di qualcosa che si accettato senza poterne dimostrare la logica. E' solo perché si accetta senza poterlo dimostrare che A=A  che si arriva al Severino. Ma se anche A=A è vero parzialmente può essere vero anche "A è anche non-A, pertanto è A"( che non esclude A=A), ossia la formula logica che tenta di dare una misera definizione linguistica del mutare, del fluire incessante.
L'identità fissa c'è ed equivale alla sua essenza, questo è quello che penso anche nel paradosso della nave di Teseo.
Per i credenti può essere lo spirto/anima/atman o la propria autocoscienza, o il proprio Io, ecc.
Ma lo stesso procedimento è in qualunque ente,soprattutto e necessariamente se si ritene che tutto è eterno e non nel divenire.

Il samsara della reincarnazione che cosa lo identificherebbe se non un atman
Il processo di identificazione non è il possesso, si è a prescindere da ciò che si  ha.
Gesù è Gesù, Buddha è Buddha, ecc. Noi indichiamo un'identità .

C' è un automobile con una targa e la identifica. Il proprietario che la registra come suo bene, può anche alienarlo, compiere una transazione, venderla. ma quell'automobile è rimasta quello che è a prescindere dai suoi proprietari.

Sfugge un concetto fondamentale: la logica non ha il potere fisico di mutare la natura del divenire, ma ha la funzione strumentale di razionalizzare il meccanismo che governa il divenire.
La forza della nostra mente è quella di andare oltre le apparenze che si manifestano, di capire o almeno tentare di capire il meccanismo, che è intellegibile analogicamente al nostro cervello
La natura si mostra, la mente carpisce e capisce gli ordini che la governano mettendo in discussione dialetticamente(confrontandoli) sia gli enti naturali che quelli "mentali".


Noi vediamo esteriormente le lancette di un orologio analogico oppure i numeri che si susseguono in quello digitale, ma il meccanismo è interno e nascosto alla percezione ed è quello che permette il funzionamento

Apeiron

Sì vorrei precisare che quello che critico io è l'abuso della logica "aristotelica", non la "logica". Ma appunto secondo me "io" sono proprio quel "senso di continuità" di cui parlate che però non coincide con la memoria. Buddha criticava soprattutto l'idea che il corpo era un "vascello" di una cosa immutabile che passava da un corpo all'altro e tale cosa immutabile era l'atman da liberare. Ma a mio giudizio Buddha è andato un po' troppo "oltre" con l'anatman. Secondo me "io" sono una cosa che pur cambiando rimango identico, ossia un ente processuale. Ossia un ente (x) per cui dato due tempi t1 e t2:
"x al tempo t1 è uguale x al tempo t2" e "x al tempo t1 è diverso da x al tempo t2" sono entrambe proposizioni vere. In sostanza è una logica "paraconsistente". E ripeto che ci sono studiosi che si stanno specializzando proprio su queste nuove logiche.

P.S. acquario grazie del link, molto interessante :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: paul11 il 17 Gennaio 2017, 12:56:17 PM
Citazione di: Sariputra il 17 Gennaio 2017, 10:21:42 AM@ Paul ma se non c'è identità fissa non ci può essere nemmeno qualcosa che perda identità. La difficoltà di accettare logicamente la perdita di un'identità di un ente è data dal fatto che si è prima accettato aproristicamente , come scontato, che ci sia un'identità. E' come un uomo che vada in giro dicendo:"ho perduto il mio essere asino " ma non-sono mai stato un asino! Dal mio punto di vista dunque è sbagliato assumere come dato di fatto che esistano enti immutabili ( in questo caso soprattutto enti-idee ) e quindi sforzarsi di dire che non possono essere/diventare nulla. Fino al punto di cistallizzare il fluire di un universo intero in attimi eterni, fissi, immutabili per non perdere la logica di qualcosa che si accettato senza poterne dimostrare la logica. E' solo perché si accetta senza poterlo dimostrare che A=A che si arriva al Severino. Ma se anche A=A è vero parzialmente può essere vero anche "A è anche non-A, pertanto è A"( che non esclude A=A), ossia la formula logica che tenta di dare una misera definizione linguistica del mutare, del fluire incessante.
L'identità fissa c'è ed equivale alla sua essenza, questo è quello che penso anche nel paradosso della nave di Teseo. Per i credenti può essere lo spirto/anima/atman o la propria autocoscienza, o il proprio Io, ecc. Ma lo stesso procedimento è in qualunque ente,soprattutto e necessariamente se si ritene che tutto è eterno e non nel divenire. Il samsara della reincarnazione che cosa lo identificherebbe se non un atman Il processo di identificazione non è il possesso, si è a prescindere da ciò che si ha. Gesù è Gesù, Buddha è Buddha, ecc. Noi indichiamo un'identità . C' è un automobile con una targa e la identifica. Il proprietario che la registra come suo bene, può anche alienarlo, compiere una transazione, venderla. ma quell'automobile è rimasta quello che è a prescindere dai suoi proprietari. Sfugge un concetto fondamentale: la logica non ha il potere fisico di mutare la natura del divenire, ma ha la funzione strumentale di razionalizzare il meccanismo che governa il divenire. La forza della nostra mente è quella di andare oltre le apparenze che si manifestano, di capire o almeno tentare di capire il meccanismo, che è intellegibile analogicamente al nostro cervello La natura si mostra, la mente carpisce e capisce gli ordini che la governano mettendo in discussione dialetticamente(confrontandoli) sia gli enti naturali che quelli "mentali". Noi vediamo esteriormente le lancette di un orologio analogico oppure i numeri che si susseguono in quello digitale, ma il meccanismo è interno e nascosto alla percezione ed è quello che permette il funzionamento

Mi rendo perfettamente conto che, quando si va a toccare la convinzione di un'identità permanente, si va a toccare la base stessa delle fedi umane e quindi immediatamente si alzano le barricate, forse perché l'Io si sente minacciato...ma la teoria dell'insostanzialità dell'Io/identità non è l'esperienza dell'insostanzialità.  Sul discorso di fede sull'esistenza di un'identità permanente non mi permetto di entrare. E' libertà di ognuno avere le proprie convinzioni. Al massimo potrei dire: prova l'esperienza e vedrai che ogni senso di minaccia scompare...infatti vedo più minacce per l'autentico vivere etico (  e qui mi ricollego alle valutazioni di Apeiron) proprio nella credenza della sostanzialità dell'io ,piuttosto che il contrario. Perchè questa visione comporta il pensare il Bene come esterno a se stessi ( diventando così il "mio" bene), mentre abitare nella quiete del non attaccamento a questa idea è vivere in una Dimora di Bene ( in cui è il Bene che si manifesta e non "Io" che manifesto il bene...). Nella visione identitaria il bene è qualcosa di esterno a cui devo/posso conformarmi o rfiutarmi; nella realizzazione della vacuità di identità "divento bene" se mi si passa questa forzatura linguistica. Quindi l'abbandono dell'attaccamento all'idea di ente sostanziale non impoverisce nulla anzi, apre uno spazio infinito veramente soddisfacente ( appunto una dimora di pace)in quanto non più costretto , a causa di questo attaccamento, a legarmi in continuazione al vorticoso agitarsi delle cose  che mi spingono lontano dal Bene. Per questo mi sento di rifiutare la teoria di Apeiron che non è possibile alcuna vera etica nel buddhismo, anzi è proprio l'agire etico l'unico modo per raggiungere quella dimora di pace, che mi appare come la realizzazione di un'autentica etica. Un'etica cioè non basata sulla Paura ma nell'esser "noi stessi" etica...( e scusatemi se 'linguisticamente' diventa ardua non contraddirsi usando termini basati sul dualismo soggetto-oggetto...basta esser consapevoli di questi limiti e non prendere i limiti per qualcosa di "vero"). :) :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Sariputra non fraintendermi, non volevo minacciare né far sentire in colpa nessuno, volevo solo esporre il mio pensiero... Non volevo che dire che l'etica ha origine "sovrumana" implicasse che debba essere fondata sulla Paura. Quello che volevo dire io è che tale etica ha sia base interna che esterna, se fosse solo un'imposizione esterna sarebbe una dittatura. Quindi è anche interna. Semplicemente a causa della nostra limitatezza a mio giudizio dobbiamo "accontentarci" di ragionare in termini di bene e di male. E affinché ciò abbia senso dobbiamo ragionare in termini di "io" e di "responsabilità" e di "libero arbitrio". Il libero arbitrio ha senso solo se la nostra identità è indipendente e allo stesso modo la responsabilità ha senso solo se abbiamo un'identità indipendente. Per dirla in termini "buddistici" a mio giudizio è umano ragionare in termini di "karma", ragionare oltre alla morale mi sembra un po' come dimenticarsi di essere limitati e mortali. Anzi sospetto che nel buddismo prima del Nirvana uno si debba "sottomettere" al karma e non a caso ci sono hiri e ottapa. Se fosse possibile veramente la Liberazione allora ti darei ragione ma secondo me non lo è perchè noi siamo troppo limitati per ottenerla (e non lo era nemmeno per i greci "Pensa come un mortale" secondo l'oracolo di Delfi). Pensiero mio, ovviamente.

In ogni caso a meno che uno non faccia la vita della rinuncia il buddismo dice espressamente che bisogna seguire l'etica e in questo contesto uno non può liberarsi di hiri e ottapa.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

Sariputra,
non è mia intenzione mettere in ambascie te o chicchessia, la mia volontà è porre elementi di riflessione filosofica.
Semplicemente perchè le religioni, le spiritualità, la filosofia nella sua essenza  e razionalità,  vanno oltre il percepito della fisicità naturale della mondanità.
Se il corpo chiede di bere e mangiare la mente, o spirito o atman, ci pone da sempre delle domande le cui soluzioni vanno oltre le apparenze del divenire.
 Poi è altrettanto ovvio che ognuno sceglie e pensa e crede ciò che ritene opportuno.

Personalmente ritengo  l'uomo occidentale nella modernità si è illuso di pensare che il sapere sia dato dalla quantità di  enti che si conosce invece di capire il meccanismo che muove gli enti.Spostando l'asse epistemologico, l'uomo è diventato materiale, attaccato alle cose (o enti), più avere che essere, più quantità che qualità, sostenendo (contraddizione della contraddizione) che in fondo lo stesso mecccanismo sia funzionale all'ente finale.
Il risultato è mutare continuamente le leggi e le teorie pur di mantenere il focus epistemologico sul finalismo dell'ente.
Vuol dire farsi un Dio personale per giustificare i propri modi di essere; vuol dire relativizzare tutto pur di rincorrere a scoperte e invenzioni del finalismo della tecnica; vuol dire alienarsi umanamente per diventare essi stessi meccanismo funzionale di unte finale pur sapendo che la verità sarà sempre dopo, oltre...e intanto  Buddha morì guardando  il tramonto a Occidente..

Sariputra

#73
Citazione di: paul11 il 17 Gennaio 2017, 15:20:59 PMSariputra, non è mia intenzione mettere in ambascie te o chicchessia, la mia volontà è porre elementi di riflessione filosofica. Semplicemente perchè le religioni, le spiritualità, la filosofia nella sua essenza e razionalità, vanno oltre il percepito della fisicità naturale della mondanità. Se il corpo chiede di bere e mangiare la mente, o spirito o atman, ci pone da sempre delle domande le cui soluzioni vanno oltre le apparenze del divenire. Poi è altrettanto ovvio che ognuno sceglie e pensa e crede ciò che ritene opportuno. Personalmente ritengo l'uomo occidentale nella modernità si è illuso di pensare che il sapere sia dato dalla quantità di enti che si conosce invece di capire il meccanismo che muove gli enti.Spostando l'asse epistemologico, l'uomo è diventato materiale, attaccato alle cose (o enti), più avere che essere, più quantità che qualità, sostenendo (contraddizione della contraddizione) che in fondo lo stesso mecccanismo sia funzionale all'ente finale. Il risultato è mutare continuamente le leggi e le teorie pur di mantenere il focus epistemologico sul finalismo dell'ente. Vuol dire farsi un Dio personale per giustificare i propri modi di essere; vuol dire relativizzare tutto pur di rincorrere a scoperte e invenzioni del finalismo della tecnica; vuol dire alienarsi umanamente per diventare essi stessi meccanismo funzionale di unte finale pur sapendo che la verità sarà sempre dopo, oltre...e intanto Buddha morì guardando il tramonto a Occidente..

E infatti anche la ricerca dell'elemento nirvana si pone come una meta da raggiungere, una meta stabile che permetta di affrancarsi dall'agitarsi continuo del divenire La differenza è che questa meta viene cercata all'interno del divenire stesso, se così si può dire, e non postulata come trascendente ( trascendente nel senso occidentale del termine) il divenire. Quindi è senz'altro una ricerca di risposta. Ricerca che mette l'enfasi più sulla pratica che sulla teoria.
Sono d'accordo con te sulla seconda parte del tuo commento. Prima mi sono dimenticato di scrivere che l'identificazione con "io-autonomo" ha valenza positiva, se si percorre una strada fondata su un'etica di non creare sofferenza ulteriore , e negativa ,come base del nichilismo che, identificando la sensazione di "io-autonomo" con il proprio ego, rifiuta qualsiasi etica restrittiva dell'incessante bisogno di godere ( godere che può essere indifferente alla sofferenza cagionata ad altre creature...). Se anche possedesse l'intero pianeta l'ego umano sognerebbe un centro turistico sulla Luna!!
Questa precisazione per mettere in evidenza, se ce ne fosse bisogno, che il processo di identificazione non è solamente base per concezioni etiche dell'agire , ma più spesso purtroppo causa anche di concezioni antietiche. Può essere un'arma a doppio taglio insomma... :(

@ Apeiron, libero arbitrio è anche il cercare una risposta ( come direbbe paul) e una soluzione al proprio soffrire. Si può scegliere se cercare oppure non cercare e godere/soffrire il più possibile... ;D
Se anche l'io viene dichiarato insostanziale, non è che per magia la sofferenza umana sparisce...( e nemmeno il valore di ogni essere vivente che soffre).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

@Sariputra,
infatti non ho mai detto che il buddismo "viola la dignità" dell'uomo, anzi il percorso buddista - come ho già detto più volte - secondo me è una delle meraviglie di questo mondo. A mio giudizio però affinchè l'etica abbia senso dobbiamo ragionare in enti (d'altronde la responsabilità necessita un portatore della stessa...) e distinzioni (non tutto è proibito ma non perchè lo dico io ma perchè è così...). La Liberazione sarebbe una sorta di svincolamento dalla necessità di porre distinzioni, ossia si va oltre l'etica. D'altronde se uno è così diciamo "pervaso" dall'amore non necessita più dell'etica perchè d'altronde la sua volontà è purificata e quindi non può "peccare". Tuttavia questi eventuali esseri perfetti e puri a mio giudizio sono sovrumani. Noi come uomini dobbiamo "accontentarci" di fare il più possibile per essere puri, motivo per cui lo stesso buddismo lo riconosce e dice che ogni persona non risvegliata deve coltivare hiri (disgusto per le azioni malvagie) e ottapa (paura delle conseguenze delle azioni malvagie) e dunque essere sottomesso all'etica oggettiva data dal karma e le rinascite. Fatto tutto questo percorso allora si può "accedere" alla liberazione. Perciò il buddismo vede l'etica come appunto una fase preparatoria che molto spesso noi occidentali ci dimentichiamo di associare al Dharma. Invece è molto più importante di quanto pensiamo.

Detto questo io ho la mia opinione e secondo me l'etica - visto che siamo umani - è irrinunciabile. Opinione che d'altronde posso capire che non sia universalmente accettata. In ogni caso il relativismo e il nichilismo possono essere molto pericolosi come già tu hai osservato.

Concordo poi sulla definizione di libero arbitrio. Ma se l'io è illusorio chi sceglie :D ?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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