Cos'è un ente? Perchè è diverso da un niente?

Aperto da Sariputra, 13 Gennaio 2017, 11:13:24 AM

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Apeiron

@Phil tu hai chiarito molto bene il concetto di "ente" e anzi qui in questo forum in generale lo si fa. La mia era più che altro un'esortazione "in generale" e non l'ho rivolta a nessuno in particolare. Detto questo anche nel caso di un concetto, affinchè esso sia un "ente" deve avere un'identità propria deve essere in sostanza "qualcosa" - ossia la sua identità (NON la sua esistenza ma la sua identità!) non deve dipendere da altro. Per un buddhista madhyamaka un concetto è un prodotto dell'"aggregato" intelletto e perciò non ha né esistenza né identità (atman) indipendente e perciò è soggetto al mutamento (da cui il trio anitya-dukkha-anatman). Platone non era d'accordo e invece pensava che i concetti avessere "identità propria" e li piazzò nell'Iper-uranio. Per chi crede nell'esistenza dello spirito individuale l'atman è lo spirito, ossia il "tuo io", cioè la tua identità è lì. Chiaramente se uno crede di essere stato creato da Dio non c'è indipendenza esistenziale ma solo di "identità".
Per un advaitin esiste solo Nirguna Brahman in quanto tutto il mondo fenomenico è interdipendente e quindi non puoi trovare "essenze", "atman" in esso. La differenza col buddismo è appunto che per l'Advaitin c'è un Ente/Atman per il buddista no.  Quindi per questi filosofi indiani (ossia Advaita e Buddismo) indipendenza nell'identità=indipendenza nell'esistenza, ergo siccome tutti i fenomeni sono interdipendenti nei fenomeni non troverai mai un "ente", un' "essenza" e un "atman".

@davidintro (ma è rivolto un po' a tutti) in genere per la filosofia occidentale l'esistenza dei concetti è assicurata per la loro indipendenza "di identità" viceversa un buddhista o un advaitin ti direbbe che i concetti stessi sono "creazioni" della mente e perciò anch'essi hanno un'esistenza dipendente e quindi in realtà sono "falsi enti". Per loro io, te, il PC su cui scrivo, il pianeta Terra, la Via Lattea e l'atomo di idrogeno, le teorie della fisica, le opere d'arte sono tutti "enti apparenti", siamo noi nel nostro stato di "ignoranza" (avidya) a ritenere che abbiano un'identità (atman). La Liberazione si ottiene appunto quando si cessa di ritenere che cose senza identità abbiano identità e nel caso dell'Advaita scopri Brahman, unico vero Atman, nel caso del Buddismo scopri il Nirvana, l'assenza di identità. In occidente tutto ciò è una sorta di "bestemmia": ma come i concetti non sono indipendenti da noi? "2+2=4" per tutti no? In sostanza noi tutti siamo "platonici" e crediamo nell'esistenza degli enti e finiamo a volte per etichettare troppo, loro invece ritengono che proprio questa tendenza a dare etichette e nomi è l'Errore. Tant'è che Maya (l'inganno "illusionistico") per l'Advaita ci fa credere di trovare il suo "atman" "in questo mondo" mentre Mara (il Re di questo mondo della morte, dell'esistenza condizionata, del samsara, figura che trovo simile al "nostro" diavolo...) cerca di distoglie il buddista dalla pratica per farlo "morire" nella perdizione dell'illusione, facendogli credere di trovare il suo "atman" nel mondo. 
Per me sinceramente sbagliano entrambi ma di questo parlerò un'altra volta e porterò la mia personale opinione sul merito! Volevo però darvi una panoramica sugli "estremi" di questo tema...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

maral

#46
Citazione di: Sariputra il 15 Gennaio 2017, 01:11:02 AM
Allora, se si dice che non c'è divenire dell'ente, perché quando osservo una foto dell'ente Sari giovane e con un rigoglioso ciuffo e la confronto con quella dello stesso ente Sari attuale, non trovo alcuna rassomiglianza; così che si potrebbe dire , senza essere smentiti da un'estraneo a cui si mostrassero le due foto, che si tratta di due enti diversi?
Infatti, sono due enti diversi, proprio per quello che mostrano di sé, uno ha il ciuffo, l'altro no. Dire "il mio" non significa riferirsi a un io che rimane identico con o senza ciuffo. Il "mio" è solo un modo di apparire di un presente che adesso e solo adesso definisce un io: tutto quello che appare adesso mio sono io, anche il ricordo di un ciuffo sulla "mia" fronte.

Concordo comunque con Paul11, in realtà c'è qualcosa di "buddistico" nella visione di Severino. Alla fine cos'è l'assoluta permanenza logica dell'essente che è se non proprio l'assoluta non permanenza fenomenologica dell'esistente che tenta all'infinito di dire di se stesso cos'è a mezzo di un "non" che lo lega a ogni altro? Certo qui tutto è giocato sugli enti, ma in fondo l'ente mon è altro che una tautologia di cui nulla si può dire se non attraverso la fenomenologia, mai totale, mai definitiva o conclusa del suo concreto apparire in cui solo può manifestarsi.

Citazione di: sgiombo il 15 Gennaio 2017, 10:56:12 AMSe le parole in lingua italiana (non in "severinese", che non conosco e non ho alcun interesse ad imparare) hanno un senso, allora, se dicessi che un pezzo di legno segato dal ramo di un albero ieri e bruciato nel camino oggi ieri era cenere e fumo mi contraddirei, ma se dico che oggi è diventato cenere e fumo non mi contraddico affatto (lo farei casomai se dicessi " a la Severino" che oltre a diventare cenere e fumo oggi, dopo la combustione, inoltre è -continua ad essere- anche un pezzo di legno).
Sgiombo, per pensare di non contraddirti nel dire che il legno di ieri è diventato la cenere di oggi, hai bisogno di pensare che c'è un ieri (con tutto quello che contiene, proprio di quel ieri) che è diventato oggi (con tutto quello che contiene) ossia che quel "ieri", pur non essendo assolutamente ieri e non oggi, ora continua in "oggi", è oggi. Altrimenti non puoi dire che ieri diventa oggi. Ieri e oggi sono esattamente il legno e la cenere, tutto quello che fai è solo cambiare il nome con cui li identifichi.
Citazione"svolgersi" è sinonimo di "divenire", "mutare"
Non se quello svolgersi è svolgersi dell'Apparire e non (come nel significato del Divenire) dell'Essere. L'Essere (o meglio, ogni Essente) non può svolgersi in alcun modo, è.
CitazionePegaso é solo un concetto, con una connotazione arbitrariamente stabilita e basta, senza alcuna denotazione reale.
Non ci sono né concetti (significati) puri (tranne forse il "niente") né cose pure, ma solo significati e cose insieme. Vale anche per Bigio, che non è quella cosa, ma quella cosa che si può, a differenza di Pegaso, vedere e toccare e che significa: "Bigio, il cavallo di mio nonno", mentre Pegaso è il significato di qualcosa che, come tale, non si può né vedere né toccare, ma pensare e immaginare (ossia che produce pensieri e immagini con tutte le realissime conseguenze che da queste conseguono). Aggiungo che il nome-concetto-significato riassunti (che non è la cosa) prende il posto della cosa, se c'è il nome la cosa non c'è, essa appare solo nel suo nome, nel suo farsi concetto e significato che la evocano.

Citazione di: cvc il 15 Gennaio 2017, 12:12:59 PMMa è un ragionamento arbitrario, perché l'immutabilità del pezzo di legno o di cenere non è un attributo del pezzo di legno o cenere stesso, bensì una caratteristica che gli attribuisce quel commisto di ragione-coscienza-pensiero che è la visione umana.  
Sì certo, ma cos'è che non è nella coscienza umana? Il mutamento forse? A me pare di no e mi pare che anche il tuo discorso (come i miei discorsi e quelli di Severino) rientri nel punto di vista della coscienza/conoscenza umana. In quale altra forma di conoscenza potrebbe mai trovarsi?

paul11

Come quasi sempre mi trovo d'accordo con Davintro. Così come la definizione data da Donquixote  è sinteticamente esatta
L'unica cosa su cui forse trovo una differenza è quel nulla, niente,
Esiste il nulla e il niente in quanto sono predicabili  anche se lo fossero solo come contraddizioni.
Sono comunque problematizzate nella filosofia,come l'oblio, come la morte,
L'ente niente è un insieme vuoto, ma esiste come ragionamento, come zero.

Non voglio quì, visto che forse l'ho introdotto, una polemica fra buddismo e fiosofia e nello specifico severinana.
si parla di enti come anima/atman come se non fossero predicati delal razionalità prima di tutto umana.
Come se Buddha non fosse esistito come ente con una autocoscienza in grado di razionalizzare il mondo fenomenico  e di spingersi fino al Nirvana,
Ma quello a cui miravao è che se il soggetto Buddha razionalizza la sua esperienza raggiungendo un fine,come appunto il nirvana, a suo modo categorizza tutti gl ienti esistenti nel mondo e non solo, quindi decide quale e come conoscere come Sè(o atman/anima, o autocoscienza, o ....).
Questo procedimento in Severino non è un soggetto che lo compie è la logica dialettica stessa che relaziona il principio di identità cone la manifestazione delle apparenze infinite ne l mondo.
Il movimento epistemologcio, quindi della conoscenza, è il confronto fra il Sè (la logica severiniana) e i fenomeni.gli essenti, e per essenti si intendono non solo il dominio naturale, ma anche quello culturale dei pensieri dei costrutti umani.
Il Nirvana appartiene al dominio naturale fenomenico? E' un divenire o assoluto ed eterno?
Non è vero, come per le religioni, che le origini filosofiche siano così lontane fra oriente e occidente, semmai sono svolte in maniera diversa.
Erodoto racconta che Democrito, il filosofo dell'atomos  nel suo peregrinare, venne a conoscenza del sillogismo utilizzato in oriente, prima che fosse filosoficizzato e predicato nella logica aristotelica. o proposizionale. degli stoici.
Solo che i Greci alla fine soprattutto con i la scuola peripatetica o aristotelica, influirà sul modo di fare filosofia per un millennio,, dove personalmente trovo che sua caratteristica è che l'episteme viene cercato nelle differenze,nella separazione.

Sariputra

@Paul11
La critica dialettica portata dal pensiero buddhista al concetto di ente è radicale. Ci si spinge persino a negare il Nirvana stesso come ente ( come se un sistema teistico affermasse che Dio è anche non-essere).
"Tutti gli asceti e i bramini che concepiscono le molteplici ( cose o idee) come un sé, concepiscono i cinque aggregati, o uno qualsiasi di essi,(come un sé).  Samyutta nikaya, 22:47
Se il Nirvana, invece che essere realizzato , viene solo pensato è irreale.
Questa affermazione del Buddha dice chiaramente che tutte le molteplici concezioni di un sé sono sempre relative ai cinque aggregati, nel loro insieme oppure considerati separatamente. Come potrebbe formarsi una qualsiasi idea di un sé o di una personalità, se non in base al materiale costituito dai cinque aggragati (contatto, sensazione, percezione, formazioni mentali e coscienza) e ad un fraintendimento al loro riguardo? Su che altro potrebbero essere fondate le nozioni riguardo al sé? Inoltre viene detto:
"Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità e lo speculare relativo ad un sé!" (s.N. 22)
Se il Nirvana buddhista non è un concetto ( e non lo è) cosa e chi lo realizza? La pratica meditativa e la retta condotta di vita lo realizza e viene realizzato dalla mente priva dell'idea di un sé , o individualità eterna, immutabile, permanente, duratura, ecc. Anche Buddha stesso iniziava i suoi discorsi con "Io dico...ecc." ma è chiara la distinzione e la consapevolezza che questo Io è solo necessario per...e non è dotato di esistenza indipendente (cioè come ente in sé stesso fondato, ma solo come ente esistente in modo dipendente).
A mio parere, da quel poco che ho capito, Severino tenta di conciliare con la logica ciò che non è conciliabile. Lo fa "spezzettando" il fluire in infiniti enti eterni, forse pensando di salvare capra e cavoli in questo modo, cioè di dimostrare la possibilità dell'apparire del divenire salvando la concezione di ente in se stesso indipendente. La concezione filosofica  buddhista dell'interdipendenza di ogni cosa ( sia reale che mentale) e l'enfasi posta sull'esperienza meditativa dell'impermanenza mi sembrano negare questa visione di Severino. In ultima analisi a me pare che la visione di Severino manchi di necessità, soprattutto perché viene a mancare la definizione di che cosa sono questi enti eterni. 
Alcuni affermano che il Buddha voleva negare solamente l'esistenza di un sè separato e che non ha negato in nessun discorso l'esistenza di un sé ( ente) trascendente.
A questi risponde "La parabola del serpente":
"Se, o monaci, esiste un sé, ci sarà anche ciò che appartiene al sé?". "Sì, o Signore"." Se c'è ciò che appartiene al sé, ci sarà anche un me stesso?". "Sì, o Signore". ""Ma poiché non si possono veramente trovare né un sé né ciò che appartiene a un sé, non è forse una dottrina perfettamente assurda quella che dice:'Questo è il mondo, questo è il sé. Dopo la morte io resterò, durevolmente, eternamente, immutabilmente, e permarrò in un'eterna identità'?." E' davvero, o Signore, una dottrina perfettamente assurda".
Per restare lontano da ogni estremo, sia della concezione di essere che di quella di non-essere, vediamo che l'elemento Nirvana viene descritto a volte con termini positivi e altre con termini negativi. Positivi: il profondo, il vero, il puro, il meraviglioso, ecc.
Negativi: la distruzione del desiderio, dell'odio e dell'ignoranza, la cessazione dell'esistenza. 
Se si vuol comprendere in maniera più possibile corretta la concezione buddhista del Nirvana, diventa necessario prendere in considerazione entrambi i tipi di definizioni. Il citarne uno solo risulta una interpretazione non equilibrata. 
Però , e questo è il cardine della via mediana insegnata, non viene negato solo il concetto di esistente ma anche il concetto di non-esistente ( e per questo non può essere definito un nichilismo). Il reale è oltre il pensare in termini di esistente/non-esistente. Cito, sempre per dare più "importanza" e apparire dotto... ;D:
Per colui che considera secondo la realtà e con vera saggezza l'originarsi del (e nel) mondo, non cé quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza'. Per colui che considera secondo la realtà e con vera saggezza il cessare del ( e nel) mondo non c'é quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' ( notare il termine chiamata...).S.N. 12:15
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: maral il 15 Gennaio 2017, 21:19:38 PM

CitazionePegaso é solo un concetto, con una connotazione arbitrariamente stabilita e basta, senza alcuna denotazione reale.
Non ci sono né concetti (significati) puri (tranne forse il "niente") né cose pure, ma solo significati e cose insieme. Vale anche per Bigio, che non è quella cosa, ma quella cosa che si può, a differenza di Pegaso, vedere e toccare e che significa: "Bigio, il cavallo di mio nonno", mentre Pegaso è il significato di qualcosa che, come tale, non si può né vedere né toccare, ma pensare e immaginare (ossia che produce pensieri e immagini con tutte le realissime conseguenze che da queste conseguono). Aggiungo che il nome-concetto-significato riassunti (che non è la cosa) prende il posto della cosa, se c'è il nome la cosa non c'è, essa appare solo nel suo nome, nel suo farsi concetto e significato che la evocano.
CitazioneIl senso (connotazione) del concetto di "ippogrifo Pegaso" é reale unicamente nei pensieri di chi lo pensa; invece nel caso del cavallo Bigio, oltre alla connotazione del concetto di "cavallo Bigio" nei pensieri di chi lo pensa, c'é realmente anche la sua denotazione, che é un quadrupede reale, che qualcuno ci pensi o meno.
C' é una bella differenza: anche se é vero che i pensieri di cose non reali (vedi gli dei delle religioni, soprattutto monoteiìste) o non ancora reali (vedi il comunismo) possono avere e hanno spesso di fatto conseguenze reali, Pegaso non potrà mai darmi un sonoro calcione, mentre Bigio sì, e quindo devo stare molto più attento a Bigio che a Pegaso).

Ed é del tutto ragionevole pensare che esistano o per lo meno siano esistiti realmente in passato tantissimi cavalli selvaggi mai visti da alcun uomo (contrariamente a Bigio) e dunque mai pensati, mai concettualizzati (non sono mai esistiti i relativi nomi-concetti-significati-riassunti): essi apparivano nell' esperienza di tanti altri animali non umani, fra cui sicuramente quella di predatori che ne hanno realissimamente divorati parecchi) o di più piccoli animali che ne hanno realissimamente ricevuto sonori calcioni, malgrado non fossero in grado di dare loro un nome, elaborarne un concetto, pensarli linguisticamente).
E contrariamente agli ipppogrifi i quali solo nella fantasia e non affatto realmente possono portare cavalieri sulla luna o altrove, dare calcioni, essere divorati, ecc..

paul11

#50
Citazione di: Sariputra il 16 Gennaio 2017, 10:12:27 AM
@Paul11
La critica dialettica portata dal pensiero buddhista al concetto di ente è radicale. Ci si spinge persino a negare il Nirvana stesso come ente ( come se un sistema teistico affermasse che Dio è anche non-essere).
"Tutti gli asceti e i bramini che concepiscono le molteplici ( cose o idee) come un sé, concepiscono i cinque aggregati, o uno qualsiasi di essi,(come un sé).  Samyutta nikaya, 22:47
Se il Nirvana, invece che essere realizzato , viene solo pensato è irreale.
Questa affermazione del Buddha dice chiaramente che tutte le molteplici concezioni di un sé sono sempre relative ai cinque aggregati, nel loro insieme oppure considerati separatamente. Come potrebbe formarsi una qualsiasi idea di un sé o di una personalità, se non in base al materiale costituito dai cinque aggragati (contatto, sensazione, percezione, formazioni mentali e coscienza) e ad un fraintendimento al loro riguardo? Su che altro potrebbero essere fondate le nozioni riguardo al sé? Inoltre viene detto:
"Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità e lo speculare relativo ad un sé!" (s.N. 22)
Se il Nirvana buddhista non è un concetto ( e non lo è) cosa e chi lo realizza? La pratica meditativa e la retta condotta di vita lo realizza e viene realizzato dalla mente priva dell'idea di un sé , o individualità eterna, immutabile, permanente, duratura, ecc. Anche Buddha stesso iniziava i suoi discorsi con "Io dico...ecc." ma è chiara la distinzione e la consapevolezza che questo Io è solo necessario per...e non è dotato di esistenza indipendente (cioè come ente in sé stesso fondato, ma solo come ente esistente in modo dipendente).
A mio parere, da quel poco che ho capito, Severino tenta di conciliare con la logica ciò che non è conciliabile. Lo fa "spezzettando" il fluire in infiniti enti eterni, forse pensando di salvare capra e cavoli in questo modo, cioè di dimostrare la possibilità dell'apparire del divenire salvando la concezione di ente in se stesso indipendente. La concezione filosofica  buddhista dell'interdipendenza di ogni cosa ( sia reale che mentale) e l'enfasi posta sull'esperienza meditativa dell'impermanenza mi sembrano negare questa visione di Severino. In ultima analisi a me pare che la visione di Severino manchi di necessità, soprattutto perché viene a mancare la definizione di che cosa sono questi enti eterni.
Alcuni affermano che il Buddha voleva negare solamente l'esistenza di un sè separato e che non ha negato in nessun discorso l'esistenza di un sé ( ente) trascendente.
A questi risponde "La parabola del serpente":
"Se, o monaci, esiste un sé, ci sarà anche ciò che appartiene al sé?". "Sì, o Signore"." Se c'è ciò che appartiene al sé, ci sarà anche un me stesso?". "Sì, o Signore". ""Ma poiché non si possono veramente trovare né un sé né ciò che appartiene a un sé, non è forse una dottrina perfettamente assurda quella che dice:'Questo è il mondo, questo è il sé. Dopo la morte io resterò, durevolmente, eternamente, immutabilmente, e permarrò in un'eterna identità'?." E' davvero, o Signore, una dottrina perfettamente assurda".
Per restare lontano da ogni estremo, sia della concezione di essere che di quella di non-essere, vediamo che l'elemento Nirvana viene descritto a volte con termini positivi e altre con termini negativi. Positivi: il profondo, il vero, il puro, il meraviglioso, ecc.
Negativi: la distruzione del desiderio, dell'odio e dell'ignoranza, la cessazione dell'esistenza.
Se si vuol comprendere in maniera più possibile corretta la concezione buddhista del Nirvana, diventa necessario prendere in considerazione entrambi i tipi di definizioni. Il citarne uno solo risulta una interpretazione non equilibrata.
Però , e questo è il cardine della via mediana insegnata, non viene negato solo il concetto di esistente ma anche il concetto di non-esistente ( e per questo non può essere definito un nichilismo). Il reale è oltre il pensare in termini di esistente/non-esistente. Cito, sempre per dare più "importanza" e apparire dotto... ;D:
Per colui che considera secondo la realtà e con vera saggezza l'originarsi del (e nel) mondo, non cé quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza'. Per colui che considera secondo la realtà e con vera saggezza il cessare del ( e nel) mondo non c'é quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' ( notare il termine chiamata...).S.N. 12:15
Sariputra,
non sto affermando che la logica dialettica di Severino è uguale al pensiero buddhista.
Semmai affermo che alcuni procedimenti, ma semplicemente perchè tutti siamo umani, sono simili.

Se il Nirvana è come può anche non essere?
Se un ente è come fa anche a non essere?
Come può "ciò che è" sparire e diventare "ciò che non è" ?

Basta utilizzare i tempi delle predicazioni, in: è, è stato, era, fu, ecc, per risolvere il problema?

L'errore occidentale è ave dato verità alle differenze, alle separazioni riconducendole alle percezioni del cervello.
Allora anche S.Tommaso crede solo se tocca e vede.Ma non è la verità, non è l'episteme.

Persino le stesse scienze hanno modificato  i valori epistemici, mutando gli enunciati, i postulati ,assiomatizzando la conoscenza.
La fiisica della relatività, la fisica della meccanica quantistica, superano il valore tautologico di verità corrispondente all'evidenza sensoriale  la razionalità non è da tempo uguale all'evidenza della percezione sensoriale, e qual è lo strumento per antonomasia della razionalità se non la logica? e la logica dice altro rispetto alle percezioni.

La logica dialettica comprende le logiche predicative e proposizionali, ma non è la stessa cosa.
Basta leggersi la diattriba apparsa anche sui quotidiani, qualche anno fa,fra lo stesso Severino e docenti di logica formale.

Il Tao dello ying e yang, l'essere e il non essere, sono nella teologia negativa e nella gnosi della Pistii Sophia, sono chiaramente similitudini, non uguaglianze.
Semplicemente perchè qualunque umano di qualunque cultura appartenente, confronta per conoscere, ne vede similitudini, differenze, ecc. ma è sul cosa costruisce la gerarchi degli enti che lo distingue.

Gli aggregati a cui fai riferimento la differenza fra realtà ed astrazione sono contemplati nelle categorie e nel rapporto dialettico fra il concreto e l'astratto, quando si discute di forma e di sostanza, fino all'essenza

Apeiron

Dunque ogni ente secondo me per essere definito tale deve avere un'identità che non dipende da altro. Io che credo nell'esistenza di Dio lo ritengo chiaramente un ente, anzi l'Ente. Nel caso di Dio c'è anche l'indipendenza per quanto riguarda l'esistenza (ossia necessità). Tutto il resto "deriva", ossia viene "creato", da Dio e perciò l'esistenza degli eventuali altri enti dipende da Dio. Tuttavia quello che nego rispetto ad Advaita e Buddismo è che la dipendenza dell'esistenza di un qualcosa non implica che quel "qualcosa" non abbia un'identità propria. Ora se ci liberiamo dal vincolo di dover abusare la logica mi sembra più che plausibile che un ente possa essere soggetto a mutamento e cioè che la sua "identità" possa essere plasmata e costruita senza che necessariamente ciò significhi la distruzione dell'ente. Il solo fatto che io invecchio non significa che io cambio identità ogni momento ma significa semplicemente che parte integrante dell'ente che sono io sia la possibilità di cambiare. Ossia in sostanza che il mio divenire costituisca la mia entità! Perchè mai dovremmo ritenere solo le cose immutabili come "oggetti" che possiedono un'identità/atman? Il semplice motivo è che per noi un'identità è come un'idea platonica o una substantia aristotelica, ossia immutabile. Eppure il Sole è tale perchè al suo interno continuamente vengono bruciati protoni, il fuoco è tale perchè continuamente brucia il suo combustibile. La nostra essenza perciò comprende il mutamento e non lo esclude! Ora noi esseri umani possediamo l'autocoscienza e quindi secondo me siamo enti, ossia possediamo una nostra identità separata dal resto del mondo. Dire che questo è un auto-inganno (attenzione non nego l'anicca o l'impermanenza...) a mio giudizio è sbagliato perchè d'altronde la percezione di avere un "io" ci eleva rispetto al resto della "natura". Se poi questo "io" muta non significa che questo "io" sia illusorio ma invece significa che è nella sua natura cambiare.

Per quanto riguarda le idee e i concetti secondo me gli unici che possono veramente essere "enti" sono quelli matematico-logici e quelli etici. Tutti gli altri sono sicuramente invenzioni nostre: il concetto di "drago" in realtà è uno pseudo-concetto e quindi "non è un ente". A mio giudizio ciò che è chiaramente invenzione umana (ci metto anche le teorie della fisica...) sono creazioni nostre e non sono enti, anche perchè altrimenti ci sarebbe il problema della proliferazione degli enti.

In ogni caso non funziona nemmeno il discorso di eternalizzare ogni istante. Perchè se ogni "io istantaneo" è eterno allora comunque il mio "io" reale non coincide mai con questi "io" perchè appunto il mio io persiste nel tempo e in ogni caso non percepiamo mai l'istante. Dovremo ritenere che la fantomatico "istantanea" della natura sia "più reale" della natura stessa?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

@paul11
Il Nirvana del buddismo madhyamaka coincide col samsara (!). Non devi considerarlo come un ente ma devi considerarlo come una "liberazione" dalla tendenza a trovare identità. Non a caso la filosofia buddista non afferma mai, il suo scopo è fare in modo di distruggere la tendenza ad identificarci, a dire "questo è il mio io". Ciò causa l'attaccamento. Per il buddista di questa scuola tutto è condizionato e quindi nulla è propriamente un "ente" (perchè non distinguono l'indipendenza dell'identità dall'indipendenza dell'esistenza...).

La scuola Theravada invece dice che "il Nirvana è la negazione del samsara" e in effetti la ritiene la Realtà "più pura", incondizionata, l'elemento "senza morte". Il loro Nirvana è Nicca (permanente) eppure viene descritto come "anatta". Tuttavia mi chiedo io: se una cosa è incondizionata, permanente ecc perchè non è un ente (atta/atman)? La scuola madhamaka semplicemente dice che non essendoci vera differenza tra nirvana e samsara il Nirvana è un semplice "stato" e non una "realtà". L'Advaita invece rifiuta questa soluzione e ti dice che c'è un Ente incondizionato, senza morte, senza nascita e questo è Brahman.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

#53
Aperion (ma comunque come al solito è rivolto a tutto il forum, per chi ha voglia di intervenire)
E' strano che avendo studiato, forse  praticato tu, Sariputra il buddhismo non riuscite a riflettere su alcuni passaggi fondamentali.

Nel momento in cui io definisco un ente, lo tolgo dal "Tutto", diventa una differenza, una sottrazione.
Ogni definizione ha appellattivi e/o attributi, caratteristiche per cui quell'ente è possible sia parte di una categoria, vale a dire di un insieme di ordine superiore che raccoglie enti con caratteristiche identificative.
Noi umani siamo simili, non uguali, ognuno ha un'identità, ma siamo parte dell'insieme umanità.

Un ente, e dò ragione a Davintro, non esiste solo perchè vive fisicamente, esiste materialmente.
Nel momento in cui penso e definisco anche un'astrazione che può essere la libertà ad esempio è un ente in quanto pensato e predicabile argomentativamente. Semmai entra a far parte di una categoria di enti che ovviamente non è ad esempio le rocce.

Ma sia la scienza che la razionalità ci dicono che tutto deriva da un'energia originaria(cosmologia), o da Dio, o da chi si ritiene; insomma le differenziazioni originariamente erano  un principio unitario, similmente Severino istituisce che la regola logica dell'Identità sia il paradigma fondamentale per capire la verità
Il Tutto era in quella capocchia di spillo in cui l'energia cosmologica della teoria  scientifica  tratteneva la materia e non esisteva ancora tempo e spazio, perchè le quattro forze, elettromagnetica, gravitazionale, nucleare forte e debole erano "trattenute",Il ragionamento non è molto diverso, direi piuttosto simile, anche per le cosmogonie praticamente di tutte le culture.
Allora gli enti via via appaiono temporalmente come energia che si condensa in massa, materia e intanto il tempo inizia metronomicamente a scandire.
La regola logica dell'identità, Dio, oserei dire anche il Nirvana per il buddhista , sono le verità fondamentali originarie sono lor la pietra di paragone, il paradigma che decide il movimento della conoscenza fra le contraddizioni.Per il credente in Dio potrebbe essere il "male" la contraddizione, per la regola identitaria ,tutto ciò che è contraddittorio nella forma logica, per il Nirvana, l'attaccamento alle apparenze.
Non so se riesco a spiegarmi, ogni forma conoscitiva è come se costruisse un suo dominio ,come la matematica, con delle sue regole, sappiamo che 0/1 è impossibile e 1/0 è indeterminato ad esempio, ma così per ogni forma che attraverso delel sue regole enunciative, postulate attraverso logiche sillogistiche, inferenziali, confronta  i termini argomentativi, quindi c'è originariamente la regola di definire gli enunciati che costruiranno la sintassi entro cui ogni forma conoscitiva ,anche semantica, viene regolata nel processo del conoscere dalle prime regole enunciate. Per quanto possa sembrare sfuggente a questa regola, anche il buddhismo le ha, diversamente non si caratterizzerebbe infatti come buddhismo,non esisterebbe nè come ente del pensiero nè come fisicità.

Apeiron

@Paul11 anche io ritengo che un ente per avere identità debba distinguersi e sinceramente non credo che questo sia ritenuto un "male" nelle religioni monoteistiche. Discorso diverso per le religioni non-duali. La descrizione buddista del Nirvana così come è scritta nelle suttas non si capisce se si riferisce ad un ente o no e ciò ha creato divergeneze tra gli interpreti. Comunque l'unità originaria non è presente nel buddismo, anzi Buddha dice proprio che è una visione "errata".

Sul discorso di cosa sia un ente... se non abbiamo un'identità indipendente allora ha ragione il buddismo e quindi la ricerca dell'identità è l'inganno supremo. Personalmente non sono d'accordo ma rispetto il pensiero buddista.

Detto questo potresti rispondermi a questa domanda: l'adulto è lo stesso ente del bambino? E perché? (magari l'hai detto prima e non ho capito...)

P.S. Non ho mai praticato il buddismo. Comunque "saper tante cose non da la comprensione" (Eraclito) motivo per cui anche se "ne so tante" magari della vita e del mondo non c'ho capito nulla  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

Aperion,
allora il buddhismo è una contraddizione in termini, e forse piace proprio per questo.
E' una contraddizione diversa dalla contraddizione dell'occidentale.
Tutto è duale, è tipico della condizione umana.Non saremmo costretti alla conoscenza se non lo fossimo..
Credo davvero che l'esistenza, come ho scritto qualche post fa, sia contraddittoria e ponga problemi esistenziali.Alla base del ragionamento umano è il sillogismo, l'inferenza, il sistema del confronto, delle opzioni  se (if) ....allora(then)..
Prima ci attacchiamo alle differenze pensando che siano verità e poi le confrontiamo fra di loro, fra le miriadi di opzioni.L'occidentale affidandosi e fidandosi delle apparenze si attacca a tutto, piuttosto di non scivolare nell'oblio.
E' umano, molto umano.
Oggi tu sei quello di ieri, e ieri quello dell'altro ieri, E' questa continuità nonostante la schiavitù del tempo che ti convince che l'identità sia tua e lo sai da quando sei cosciente di una tua identità.Dovremmo chiederci l'ente memoria cosa sia razionalmente, mentalmente, non solo come memorie di un cervello che per natura anch'esso si sostituisce mattone per mattone fino a non più essere degli stessi costituenti fisici originari.
fisicamente non siamo più il bambino di quel tempo,metabolicamente costituenti organici rimpiazzano i nostri vecchi mattoni, eppure mentalmente la coscienza mantiene un'identità e la ragione, la razionalità rafforza l'identità

Jean

cit. paul 11 - 
Aperion,
allora il buddhismo è una contraddizione in termini, e forse piace proprio per questo.
E' una contraddizione diversa dalla contraddizione dell'occidentale.
Tutto è duale, è tipico della condizione umana.Non saremmo costretti alla conoscenza se non lo fossimo..
Credo davvero che l'esistenza, come ho scritto qualche post fa, sia contraddittoria e ponga problemi esistenziali. Alla base del ragionamento umano è il sillogismo, l'inferenza, il sistema del confronto, delle opzioni  se (if) ....allora(then)..
Prima ci attacchiamo alle differenze pensando che siano verità e poi le confrontiamo fra di loro, fra le miriadi di opzioni. L'occidentale affidandosi e fidandosi delle apparenze si attacca a tutto, piuttosto di non scivolare nell'oblio.
E' umano, molto umano.
Oggi tu sei quello di ieri, e ieri quello dell'altro ieri, E' questa continuità nonostante la schiavitù del tempo che ti convince che l'identità sia tua e lo sai da quando sei cosciente di una tua identità. Dovremmo chiederci l'ente memoria cosa sia razionalmente, mentalmente, non solo come memorie di un cervello che per natura anch'esso si sostituisce mattone per mattone fino a non più essere degli stessi costituenti fisici originari.
fisicamente non siamo più il bambino di quel tempo, metabolicamente costituenti organici rimpiazzano i nostri vecchi mattoni, eppure mentalmente la coscienza mantiene un'identità e la ragione, la razionalità rafforza l'identità.


Le nostre vecchie cellule (mattoni) muoiono continuamente venendo rimpiazzate dalle nuove... la forma di una cicatrice tuttavia rimane nel tempo, ad indicare che la materia viene modellata secondo un disegno, probabilmente un campo morfogenetico:
 
La causa formale di Aristotele sotto una nuova denominazione?

Il biologo britannico Rupert Sheldrake ritiene che i sistemi siano regolati non solo dalle "leggi" conosciute dalla scienza, ma anche da campi da lui definiti morfogenetici, introducendo la nozione di causazione strutturale o formativa. 
In base alla sua teoria, quando emersero per la prima volta, le molecole di proteine avrebbero potuto ordinarsi in un numero qualsiasi di modelli strutturali: non esistono, infatti, leggi conosciute che implichino la produzione di una sola di queste forme. 
Tuttavia quando un numero bastevole di molecole assume una determinata configurazione, tutte le molecole successive, anche in tempi e spazi diversi, acquisiscono la medesima forma. 
Una volta in cui una molecola si organizza in un pattern, esso sembra influire sui patterns simili.

Inoltre questi campi emersero come novità creative della natura, ma in seguito diventarono abitudini cosmiche in grado di agire su elementi inanimati ed animati. 
Questo spiegherebbe la cristallizzazione sincronica di molecole complesse, l'apprendimento simultaneo o quasi di nuovi percorsi in un labirinto per opera delle cavie, ma anche la coniazione di nuovi termini, l'apprendimento di tecniche (si consideri il caso della centesima scimmia). 
La teoria di Sheldrake suppone che, se l'individuo di una specie impara un nuovo comportamento, il campo morfogenetico cambia, mentre la risonanza morfica, con una sorta di vibrazione, si trasmette all'intera specie. 
Lo scienziato distingue anche tra causazione morfogenetica e causazione energetica: la prima è un arké che si concreta attraverso un substrato di materia-energia. 
Secondo la ricercatrice Maria Caterina Feole, poiché la vita è coscienza e tutto è collegato, applicando le idee della Sheldrake allo sviluppo degli stati di coscienza, si può arguire che anche tali stati siano connessi ai campi morfogenetici. 
In tale contesto, le cosiddette forme-pensiero sarebbero in grado di fungere da calamita verso altre forme-pensiero simili, attirando persone con caratteristiche analoghe.

L'elaborazione concettuale concisamente presentata mostra degli addentellati con la filosofia aristotelica, in ordine a quelle che lo Stagirita definì causa formale (campo morfogenetico) e causa materiale: la prima è, infatti, il modello, il principio generatore, la legge di una cosa; la seconda è la materia. 
Anzi pare proprio che, mutatis mutandis, Sheldrake rivisiti i concetti aristotelici passibili di stabilire un collegamento tra un quid immateriale e la sfera energetica. 
Anche l'espressione "campo morfogenetico" richiama il pensiero del "maestro di color che sanno": il vocabolo greco "morphé" vale "forma", intesa in tutta la sua gamma di possibili significati, anche piuttosto difficili da concettualizzare. 
Il nesso tra campo morfogenetico e campo energetico ricalca il sinolo aristotelico, unione di elemento formale e materiale. 
Ancora una volta Nil novi sub sole.

È comunque significativo che varie ricerche di frontiera tendano, in questi ultimi decenni, a convergere verso acquisizioni risalenti all'antichità.

Fonti:
Enciclopedia di filosofia, Milano, 2002, s.v. Aristotele e causa M. C. Feloe, Dalla fisica dei quanti alla realtà, Macerata, 2007
R. Sheldrake, A new science of life, 1981


http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/campi-morfici-o-morfogenetici-risonanza

 
analogamente il senso di continuità (il nocciolo della questione) quando appare nell'individuo... permane... indipendentemente da quanto gli succede, salvo assumere una diversa connotazione  come nel caso di una cicatrice che si forma a causa di un evento oltre la tolleranza/autoriparazione dell'organismo.

Ma per "sentirsi" proprio qualcun altro... ce ne vuole.

Concordo (...spesso...) con paul che l'esistenza umana non possa che essere contraddittoria; anche dal solo punto di vista psicologico, l'inconscio cui tutti accediamo in maggior o minor grado, si può considerare il "database" della coscienza che conserva tutti i contenuti, da cui la dualità, che ha originato il nostro universo.


Ma questa contraddittorietà, per l'uomo, è qualcosa di più, nasconde un disegno, un'intenzionalità... solo una mente che abbia fatto un proprio percorso di conoscenza (nel bene... e necessariamente, in qualche modo... abbia conosciuto il male...) alfine affrancandosene... può seguirne le tracce, riavvolgendo il filo d'Arianna.

Apeiron

#57
Divido il post in due, la prima parte sulla (mia e quindi molto probabilmente errata  ;D ) interpretazione di come il buddismo tratta la questione degli enti e la seconda sulla questione degli enti secondo il mio pensiero interpretato da me (e quindi sarà un'interpretazione errata di una filosofia errata  ;D ).

"Caso buddismo". Allora secondo il buddismo theravada ossia la corrente che si basa sul sole canone Pali l'esistenza del samsara è dolorosa (dukkha) perchè noi cerchiamo di indentificarci (cerchiamo il nostro ente/atta) in cose che sono impermanenti (anicca). Buddha arriva in aiuto e assicura una liberazione da odio, attaccamento e ignoranza. Quest'ultima coincide proprio col fatto che noi pensiamo di avere un'identità e per questo motivo la cerchiamo. Realizzato il Non-Sé ossia Anatta "estinguiamo" il male dalla radice ossia finiamo di cercare l'atta e otteniamo la Suprema Estinzione ossia il Nibbana/Nirvana. Chiaramente abbiamo solo parlato negativamente e così il Nibbana e il Nulla sembrano identici. Il punto è che Buddha ci parla anche in modo positivo:
"Vi è, monaci, un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato. Se non vi fosse quel non-nato — non-divenuto— non-creato — non-formato, non si potrebbe conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. Ma poichè vi è un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato, si può conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato."

— Ud 8.3
Ora da affermazioni come queste la scuola theravada dice che Nibbana è una Realtà (anzi la Realtà più Sublime) incondizionata! Ora se prima abbiamo detto che le cose sono senza sé perchè esistono in modo dipendente perchè mai anche questa Realtà è anatta, senza sé? Chi segue la scuola theravada non ti risponde. Invece la scuola madhyamaka fondata da Nagarjuna ti da una risposta: il Nirvana non è un ente ma uno stato. In particolare è quello stato mentale che ti libera dalla ricerrca dell'identificazione, perchè d'altronde tutto è vacuo - Vacuità/Shunyata compresa. Ora anche se questo ragionamento è consistente a me sembra un nichilismo mascherato, ma qui ammetto di potermi sbagliare io ;)

"Turno mio". Nel caso della mia esistenza io credo di avere un'identità nella quale il cambiamento gioca un ruolo fondamentale. Ogni volta che scelgo nel bene o nel male cambio la mia identità ossia procedo verso il "perfezionamento" di me stesso o nel modo opposto. Chiaramente in questo mio modello una cosa pur cambiando rimane se stessa, quindi certamente mi trovo costretto ad ammettere che la realtà è contraddittoria, ossia ammetto che "io e il me stesso di ieri siamo la stessa cosa" e "io e il me stesso di ieri non siamo la stessa cosa" sono entrambe vere (nota che il buddismo invece direbbe che sono entrambe false perchè semplicemente l'io non c'è). D'altronde Eraclito diceva la stessa cosa per i fiumi, nell'ormai dimenticato frammento autentico DK12 "a coloro che scendono in fiumi che rimangono gli stessi diverse e ancora diverse acque affluiscono"! Sì la realtà è contraddittoria e quindi? Dobbiamo rinunciare alla pretesa che la nostra logica si applichi perfettamente ad essa! In ogni caso ci sono vari logici moderni che lavorano sulle logiche paraconsistenti, come ad esempio Graham Priest. Quindi Jean e paul11 se ammettete la contraddittorietà siete molto vicini alla mia posizione :)



P.S. Se Sariputra vorrà correggere la mia (errata) interpetazione del Dhamma è bene accetto!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

Aperion,
penso di sì, che la nostra esistenza sia il dipanare contraddizioni,dove la parte più difficile è scegliere fra due enti che ci appaiono entrambi con lo stesso peso di verità.
Personalmente ritengo che il buon Jean abbia dato una risposta, riaggomitolare il filo d'Arianna, in quanto c'è qualcosa che noi chiamiamo memoria che è dentro le forme e le sintassi nell'ordine( che ci permette in quanto tale che la memoria abbia un senso) sia naturale che razionale.
penso, ma questo dovete dirlo voi che avete approfondito il buddhismo, che i contrari finiscono con la stessa regola identitaria. Intendo dire che il paradigma della regola identitaria serve per dipanare le contraddizioni attraverso la dialettica, ma tutto finisce quando i negativi e i positivi si riconducono alla totalità.
Ecco, penso che il Nirvana implichi la perdita d'identità finale, perchè non è più necessario che esista se la comprensione è arrivata alla totalità.Ognuno di noi ha un nome che lo identifica che lo differenzia e in qualche modo lo separa, non c'è più bisogno alla fine di identità quando la fine ricircola ( chiude il cerchio) nell'origine cioè ritorniamo alla totalità che ci comprende e abbiamo compreso.
Ma anche quì in qualche modo la scienza ci aiuta, Moriamo e le nostre molecole ritornano a disposizione della natura che le riutilizzerà, magari per ricomporre altre vite:questo è il fisico, il corporeo, il materiale.
Similmente penso che la ragione, la razionalità tende a ricomporre le contraddittorietà come se vi fosse una "pista". una via che la stessa natura oltre che la ragione ci lasciano intuire come memoria, come dice Jean, con cui mi trovo d'accordo.

Sariputra

#59
Non possiamo pensare alla concezione del termine "enti" che svolge la filosofia buddhista semplicemente come un momento di speculazione logica. Non possiamo dimenticare che ci troviamo dinanzi ad un Insegnamento che non ha la finalità di dare un'interpretazione, una teoria sulla realtà. Buddha non era un filosofo.  La sua vita , la sua pratica e il suo insegnare erano un tutt'uno. Così i discorsi servivano poi per la meditazione e per il retto agire ( moralità) e dalla pratica e dalla purezza di condotta di vita nascevano i discorsi. Saranno poi nei secoli i vari monaci studiosi a dare una struttura filosofica all'Insegnamento. Abbiamo però dei punti fermi in questo passaggio di villaggio  in villaggio durato cinquant'anni e sono punti che tutte le scuole budddhiste posteriori autentiche condividono. Uno di questi punti è sicuramente l'insegnamento a vedere le cose come vuote. C'è per es. la frase:"vedete il mondo come vuoto. se sarete consapevoli della natura vuota del mondo, la morte non vi troverà". La frase viene anche tradotta come:"Chi vede il mondo come vuoto si situa oltre il potere del dolore (dukkha), che ha il suo rappresentante principale nella morte". (Mogharaja-sutta,1119)
Per Siddharta questo significa vedere le cose nella loro realtà, cioè prive di io e di mio. Il Nibbana/Nirvana, l'estinzione totale del dukkha , del dolore , è identico al supremo vuoto. Dire che il supremo vuoto è il nibbana, o identico al nibbana, sta a significare che il vuoto è l'estinzione definitiva di tutto ciò che brucia, che si agita , che muta in maniera vorticosa in noi. Supremo vuoto e suprema estinzione sono la stessa cosa. Però questo stato non si può intendere come "la suprema felicità", come viene comunemente inteso ( particolarmente da noi in Occidente). Quando si parla di nibbana come di 'felicità'è una sorta di propaganda allettante che ricorre al linguaggio convenzionale perché gli uomini sono affascinati dalla felicità e non desiderano altro. In realtà non bisognerebbe definirlo né felicità né sofferenza, perchè si situa al di là della concezione ordinaria di queste. Però se si parla così...la gente non capisce...Se la vita è continuo agitarsi e mutare, l'elemento nibbana è invece la quiete, la calma  e , mentre l'agitarsi è insoddisfacente ( o temporaneamente soddisfacente), il nibbana è realmente soddisfacente.
Il Cuore di questo insegnamento dato dal buddha è racchiuso nella frase famosissima:
Sabbe dhamma nalam abhinivesaya
Nessun dhamma ( cosa) a cui attaccarsi.
Quando si dice "ogni cosa" s'intende ogni cosa , compreso il senso interiore di continuità di cui parlano Paul11 e Jean.
Il termine dhamma (minuscolo) , tradotto in 'cosa', include tutto, senza eccezioni. Ossia 'enti' mondani o spirituali, materiali o mentali. Se ci fosse qualcosa che esula da queste quattro categorie sarebbe sempre compreso nel termine 'dhamma'. La mente che conosce il mondo è dhamma. Il contatto tra la mente e il mondo è dhamma.Questo termine abbraccia tutto, dal periferico al centrale, dagli oggetti materiali , alla pratica del Dhamma ( maiuscolo inteso come Insegnamento), compreso il nirvana. Non dovremmo provare attaccamento per nessuna di queste cose, compreso il nirvana. Il Buddha addirittura insegna a non attaccarsi nemmeno alla 'consapevolezza-saggezza' ( sati-panna ), perché è anch'essa un processo naturale. Attaccarcisi con l'idea: "Io sono un saggio, uno consapevole" è un'illusione in più. Il nirvana è anch'esso un dhamma, un evento naturale, così come la pratica meditativa e i suoi frutti, sono "così come sono". Persino il vuoto stesso è un evento naturale. E' l'attaccamento all'idea  che lo riduce ad un falso nibbana, ad un falso vuoto , perché il vero nirvana è senza appigli.
Tutti questi dhamma, secondo il buddhismo, sono divisi in due categorie: mutevoli e immutabili. Quelli mutevoli, in perenne trasformazione, a causa di forze e condizioni che li producono si mantengono in esistenza all'interno di questo flusso del divenire, della trasformazione dinamica. Quello immutabile è il nirvana, unico dhamma nella sua categoria. Si mantiene esente dal cambiamento, la sua natura è il non mutamento. ora, tutti i dhamma, sia mutevoli che il nirvana immutabile, sono semplici dhamma: cose che conservano se stesse in un determinato modo. Ecco come non c'è altro che natura, solo eventi naturali, solo dhamma , per l'appunto...Dhamma quindi significa natura, processi naturali. Nel buddhismo prendono anche il nome di 'tathata'  ( 'così come sono'), in quanto non potrebbero essere in modo diverso. In termini di logica viene espresso così:
tutte le cose sono dhamma
tutte le cose sono vuoto
i dhamma sono il vuoto
Naturalmente si può esprimere in molti altri modi ma il punto centrale resta, a mio parere, che non c'è niente al di fuori della natura e che la natura è vuoto. Niente a cui attaccarsi come Io e mio. Il vuoto, o vacuità di esistenza intrinseca è, per il buddhismo, la natura di tutte le cose possibili.
L'attaccamento all'idea dell'Io è un'eredità che ci viene da un tempo immemorabile...tutto ciò che viene insegnato, fin dalla più tenera età, è in termini di "io". Alla nascita la mente del bimbo non ha alcun senso dell'Io...ma poi, diventati adulti, la vita stessa diventa l'Io, e l'Io la vita...e Io sono esausto e vado a sognare un altro illusorio Io che vive in un'altra realtà illusoria...  :-X :-X

P.S.Ovviamente, quando si dice che ci sono solo eventi naturali o 'solo natura', non dobbiamo intenderla secondo il criterio della filosofia materialista occidentale...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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