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Cos'è la verità

Aperto da Jacopus, 06 Novembre 2018, 00:26:13 AM

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sgiombo

Risposta a Oxdeadbeef (intervento #172 )

Ma dove avresti mai trovato la ben che minima "traccia di relativismo" nei miei interventi (nei quali il relativismo é sempre puntualmente stato bollato e stigmatizzato come falso e insensato (pretesa che tutte le affermazione -comprese quelle fra loro contraddittorie- sarebbero "verità", che non esistano "fatti" ma solo "interpretazioni" delle quali l' una vale l' altra) ? ? ?

O sono io che non comprendo, e quanto affermi in quell' intervento non é un' obiezione ma invece  un' espressione di concordanza con quanto da me sostenuto, magari "calcando anche la mano"?

Ipazia

Citazione di: Lou il 14 Novembre 2018, 17:39:23 PM
@Ipazia
"Quindi la struttura triadica peirciana può essere un bel modellino rappresentativo di un processo, ma da qui all'ontologia il passo è mooolto lungo. "
Non troppo, una ontologia che non ricade in questo processo, che non si fa a sua volta segno, sarebbe del tutto muta, sine "logia", detto banalmente, non sarebbe tale. Ma le neuroscienze di discorsi e narrazioni ne fanno assai..:) che poi se nel loro a(m)bito di pertinenza non si sognano che un fotone possa esser segno, beh su questo aspetto, chissà.

Confutazione ineccepibile dal punto di vista del logos (linguistica), incluso il logos scientifico (ontologia). Un po' meno dal punto di vista delle neuroscienze che studiano l'essere (ta onta) a prescindere dall'osservatore. A modo suo anche questo è un salto mortale, ma assai proficuo. Si chiama: oggettività. Tolto l'abito di pertinenza, inclusivo di narrazioni, rimane la nuda veritas. Della scienza sperimentale, non del Tutto, ovviamente.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2018, 19:44:23 PM

Quello di cui parli qui non sono "le neuroscienze" ma invece l' interpretazione (filosofica) monistica materialistica di quanto le neuroscienze ci insegnano (cioé, per dirlo in due parole, che non si dà alcuna determinata esperienza cosciente in generale, e in particolare alcun determinato pensiero, e più in particolare ancora alcun determinato pensiero simbolico - linguistico senza un determinato processo neurofisiologico in un determinato cervello; e viceversa. Punto e basta).


Il supporto "fisico" è una parte non trascurabile della comunicazione.

Citazione

Fotoni, elettroni e sostanze chimiche denominate mediatori, recettori, neurotrasmettitori non sono affatto il mediatore tra l'oggetto e l'interprete del linguaggio; sono soltanto ciò che al linguaggio pensato o parlato dal parlante (interprete), che é interno alla (accade nella) esperienza cosciente* del parlante stesso corrisponde inevitabilmente (se si danno le "opportune condizioni di recezione sensibile - osservazione") all' interno di ben altre esperienze coscienti** (non ciò che pensa -e dice- il parlante ma ciò che altri possono vedere se osservano il cervello del parlante).

Le neuroscienze trattano il supporto fisico della comunicazione umana, la linguistica il suo strumentario di cui il segno è lo strumento principale. Entrambi i punti di vista sono necessari, finchè non si unificheranno in un sapere unificato, che corrisponderebbe ad una perfetta conoscenza dell'universo cognitivo. Nel frattempo eviterei di fisicizzare il segno, come di metafisicizzare i mediatori fisicochimicobiologici della comunicazione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

#183
Citazione di: Ipazia il 15 Novembre 2018, 08:04:23 AM
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2018, 19:44:23 PM

Quello di cui parli qui non sono "le neuroscienze" ma invece l' interpretazione (filosofica) monistica materialistica di quanto le neuroscienze ci insegnano (cioé, per dirlo in due parole, che non si dà alcuna determinata esperienza cosciente in generale, e in particolare alcun determinato pensiero, e più in particolare ancora alcun determinato pensiero simbolico - linguistico senza un determinato processo neurofisiologico in un determinato cervello; e viceversa. Punto e basta).


Il supporto "fisico" è una parte non trascurabile della comunicazione.
Citazione
Non vedo il nesso con il fatto della diversità della filosofia monistica materialistica dalle neuroscienze.

La comunicazione come fatto fisico di trasmissione di informazioni é altro che (benché ovviamente correlato a) la neurofisiologia (cerebrale) e che la coscienza (due cose  a loro volta ulteriormente reciprocamente altre fra loro).







CitazioneFotoni, elettroni e sostanze chimiche denominate mediatori, recettori, neurotrasmettitori non sono affatto il mediatore tra l'oggetto e l'interprete del linguaggio; sono soltanto ciò che al linguaggio pensato o parlato dal parlante (interprete), che é interno alla (accade nella) esperienza cosciente* del parlante stesso corrisponde inevitabilmente (se si danno le "opportune condizioni di recezione sensibile - osservazione") all' interno di ben altre esperienze coscienti** (non ciò che pensa -e dice- il parlante ma ciò che altri possono vedere se osservano il cervello del parlante).

Le neuroscienze trattano il supporto fisico della comunicazione umana, la linguistica il suo strumentario di cui il segno è lo strumento principale. Entrambi i punti di vista sono necessari, finchè non si unificheranno in un sapere unificato, che corrisponderebbe ad una perfetta conoscenza dell'universo cognitivo. Nel frattempo eviterei di fisicizzare il segno, come di metafisicizzare i mediatori fisicochimicobiologici della comunicazione.
Citazione
Non le neuroscienze ma le scienze della comunicazione e dell' informatica trattano (fra l' altro) dei supporti fisici della comunicazione umana.
La neurofisiologia tratta delle entità fisiche (biologiche cerebrali perfettamente riducibili alla fisica - chimica) implicate nella (e necessariamente coesistenti alla) esperienza cosciente. Ivi compreso ovviamente il linguaggio umano attraverso il quale (oltre che pensare) si comunica; ma che non ha un "supporto" nel senso in cui un software é supportato o implementato su un  hardware o un discorso scritto é supportato su carta o altro materiale o la registrazione sonora di un discorso la é in una chiavetta USB, un CD o un nastro magnetico: tutti supporti materiali sui quali una mente cosciente può leggere o sentire e decodificare messaggi simbolici (ovvero "tradurre" simboli verbali scritti o pronunciati nei rispettivi significati) che vi sono stati codificati (ovvero "tradotti" in simboli dai rispettivi significati) da un' altra mente cosciente.
Non così i correlati neurologici del pensiero e della coscienza in generale (e in particolare del linguaggio), i quali non sono affatto "supporti materiali" di informazioni comunicate mediante simboli linguistici da qualche "omuncolo" emittente a (da leggersi e da decodificarsi da parte di) nessun altro "omuncolo" ricevente o "spettro nella macchina cerebrale"; ma invece meri eventi fisici non simbolici che divengono "parallelamente senza interferenze reciproche" con la coscienza cui sono per l' appunto correlati, nell' ambito della quale soltanto accadono simbolizzazioni linquistiche (poi decodificate nei loro significati in altre coscienze, corrispondenti  ad altri cervelli: quelle e quelli dei lettori o ascoltatori della comunucazione stessa).

A parte il fatto che la perfezione non esisterà mai, non vedo come si possano unificare (ma casomai reciprocamente integrare nella complementare diversità ontologica dei rispettivi oggetti o argomenti di indagine) lo studio della neurofisiologia del (corrispondente al) linguaggio e quello della semantica e della sintassi, cioé delle caratteristiche proprie del linguaggio stesso come tecnica di comunicazione e di pensiero simbolico (sarebbe come pretendere di unificare cose diverse come la neurofisiologia del pensiero razionale in generale e la logica pretendendo di sostituire lo studio della logica formale -inferenze deduttive, induttive, modus ponens, modus tollens, ecc.- con quello della neurofisiologia degli eventi cerebrali che accadono quando si ragiona logicamente facendo deduzioni e altri calcoli logici).

I segni mi sembrano con ogni evidenza fisici (anche se i loro significati sono mentali), e dunque non possono essere "fisicizzati".
I mediatori neurofisiologici ("fisicochimicobiologici") dell' attività cerebrale e i (diversi!) mediatori fisici della comunicazione non li ho mai "metafisicizzati" (= identificati con la cosa in sé o nuomeno, la quale "sta oltre la materia fisica"; e anche il pensiero mentale: é anche metapsichica) e men che meno "mentalizzati" (= identificati col pensiero).

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 14 Novembre 2018, 11:17:20 AMCredo si possa ben affermare che ogni linguaggio, o meglio, lingua, una volta decontestualizzata, "vale" un'altra: «sedia» o «chair» o «chaise», l'importante è che sia chiaro per chi si esprime, ed eventualmente per chi ascolta, l'oggetto (o meglio l'identità) di cui si parla; altrimenti il linguaggio non comunica e dunque non funziona.

Purtroppo non è così facile  :)
Come anticipato già da sgiombo, va distinta la comunicazione dalla verifica del contenuto della comunicazione: se dico «la sedia è rossa» e tu affermi «la sedia non è rossa», usiamo lo stesso linguaggio, apparteniamo alla stessa comunità di parlanti, ma uno di noi due si sbaglia (senza voler qui cavillare su daltonismi, etc.).


Ciao Phil
Non vorrei si riducesse il "segno" semiotico ai diversi modi in cui si dice "sedia" nelle varie lingue...
Con l'amica Ipazia facevamo l'esempio del leone (per me, dicevo, il termine "leone" assume significati diversi
a seconda che l'interprete sia una donna africana intenta a raccogliere frutta selvatica; un guerriero armato
di frecce e lancia o un cacciatore bianco impegnato in un safari), che è già più esplicativo della sedia.
In questo caso abbiamo individuato tre "comunità di parlanti"; ma quante altre se ne potrebbero individuare
(potenzialmente per quanti individui pensano il leone)?
Figuriamoci poi quando si passa a definire concetti fondamentali come, si diceva, è quello di "giustizia"...
Ritengo qui emerga chiaramente tutta la "debolezza" del concetto di verità per convenzione.
Se, per fare un esempio, io dico che la giustizia è "l'utile del più debole" mentre tu dici che è "l'utile
del più forte" (come nel celebre dialogo platonico...) su quale criterio stabiliamo chi ha ragione e chi torto?
In altre parole, di cosa pensiamo consista l'oggetto-giustizia per dire di essa se è l'utile del più forte o
quello del più debole?
Con ogni evidenza, ed esattamente come nel caso del leone, se assumiamo che la corrispondenza fra l'oggetto e
il segno che lo designa è convenzionale, allora quale strumento possediamo per dire, ad esempio, che la
giustizia è l'utile del più debole (come sostenne Socrate) e con ciò implicitamente affermare che non è l'utile
del più forte (come invece sosteneva Trasimaco)?
Con questo discorso non intendo certo dire che un concetto (ma nemmeno un ente concreto) possiede un "in sè"
necessariamente "vero" (la verità, dicevo, non è nell'oggetto in sè, ma nel linguaggio che lo designa), ma
che laddove si assuma la corrispondenza fra l'oggetto e il segno come convenzione, l'esito non può essere
altro che il relativismo; che la verità come "ciò che si dice" (e dove qualunque cosa si dica ha sempre il
medesimo valore).
Affermi infatti che va distinta la comunicazione dalla verifica del contenuto della comunicazione. Ma quale
verifica sarà mai possibile fra "segni" diversi (ad esempio fra le donne africane e i cacciatori bianchi)?
Una verifica, al limite, sarà possibile solo all'interno dello stesso gruppo (cioè dello stesso "segno" semiotico);
ma anche all'interno di questo l'individuo potrà sempre dire che, nell'inesistenza di qualsiasi criterio oggettivo,
la sua difforme opinione non è un "errore", ma una diversa e legittima prospettiva.
saluti

0xdeadbeef

#185
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2018, 20:39:44 PM
Risposta a Oxdeadbeef (intervento #172 )

Ma dove avresti mai trovato la ben che minima "traccia di relativismo" nei miei interventi (nei quali il relativismo é sempre puntualmente stato bollato e stigmatizzato come falso e insensato (pretesa che tutte le affermazione -comprese quelle fra loro contraddittorie- sarebbero "verità", che non esistano "fatti" ma solo "interpretazioni" delle quali l' una vale l' altra) ? ? ?

O sono io che non comprendo, e quanto affermi in quell' intervento non é un' obiezione ma invece  un' espressione di concordanza con quanto da me sostenuto, magari "calcando anche la mano"?


Ciao Sgiombo
Mi hai proprio frainteso, perchè quell'intervento è proprio un'espressione di concordanza con quanto sostieni.
Boh, mi sono forse espresso male io (adesso me lo rileggo)
saluti
Sì ecco, l'equivoco è nato perchè tu avevi commentato una mia risposta all'amico Phil (e nella mia successiva
risposta a te mi riferivo proprio a lui - e non l'ho fatto capire...).
Comunque non è che la tesi convenzionalista sia sbagliata (e che ne so io); è che conduce dritti al relativismo.

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
Con l'amica Ipazia facevamo l'esempio del leone (per me, dicevo, il termine "leone" assume significati diversi
a seconda che l'interprete sia una donna africana intenta a raccogliere frutta selvatica; un guerriero armato
di frecce e lancia o un cacciatore bianco impegnato in un safari),
Certo, il cosiddetto "significato" è diverso in ciascun caso, ma il referente empirico è il medesimo (l'animale leone).

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
In questo caso abbiamo individuato tre "comunità di parlanti"; ma quante altre se ne potrebbero individuare
(potenzialmente per quanti individui pensano il leone)?
In teoria, infinite, anche composte da un solo individuo; tuttavia, come sopra, il referente empirico resterebbe il medesimo...

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
Figuriamoci poi quando si passa a definire concetti fondamentali come, si diceva, è quello di "giustizia"...
Ritengo qui emerga chiaramente tutta la "debolezza" del concetto di verità per convenzione.
Se, per fare un esempio, io dico che la giustizia è "l'utile del più debole" mentre tu dici che è "l'utile
del più forte" (come nel celebre dialogo platonico...) su quale criterio stabiliamo chi ha ragione e chi torto?
Non c'è criterio dirimente applicabile, perché la verifica non ha un referente empirico (quindi intersoggettivo, studiabile, etc.) a cui rivolgersi; per quanto possa risultare sconsolante, è solo una questione di definizioni e visione del mondo. Per questo motivo un'etica non può falsificare "oggettivamente" un'altra etica.

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
In altre parole, di cosa pensiamo consista l'oggetto-giustizia per dire di essa se è l'utile del più forte o
quello del più debole?
Trattandosi di un concetto, consiste nella definizione (convenzionale, quindi interpretabile e mutevole) che se ne dà (e nella più o meno coerente interazione con altri concetti pertinenti).

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
che laddove si assuma la corrispondenza fra l'oggetto e il segno come convenzione, l'esito non può essere
altro che il relativismo;
Solo se l'"oggetto" del discorso è un concetto (come quello del "significato" del leone), ovvero un elemento culturale non empirico, il cui senso cambia geograficamente, temporalmente, culturalmente, etc.
Il relativismo è certamente deludente (se non persino frustrante) per chi era fiducioso che si potesse verificare l'esistenza di una "giustizia oggettiva" proprio come si verifica l'esistenza oggettiva di un leone o di una sedia. Tuttavia, se si tiene ben presente la differenza ontologica (in chiave laica) fra un ente e un concetto, mi sembra una conseguenza piuttosto inevitabile...

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
dove qualunque cosa si dica ha sempre il
medesimo valore.
Né il convenzionalismo, né il relativismo, né il pluralismo sono un "qualunquismo" (come vengono spesso stereotipati).
Se il cacciatore vede nel leone un possibile trofeo di caccia, questa è la sua verità e per lui è quella che vale di più; ma il cacciatore stesso può capire che per la donna intenta a raccogliere frutta, non è vero che quel leone è un possibile trofeo, piuttosto è vero che è una minaccia potenzialmente mortale. Nessuna contraddizione, nessun appiattimento semantico e nessun qualunquismo; si tratta solo di non ontologizzare la verità, ovvero di non rinnegare la sua "natura" esclusivamente concettuale e contestuale (mentre l'ex-sistenza del leone non è di natura solo concettuale; salvo allucinazioni e simili).
Eppure qual'è, si chiederà qualcuno, la verità più vera in assoluto fra le due? Se restiamo fuori dal monismo delle lettere maiuscole (Verità) e passiamo dall'approccio metafisico a quello epistemologico, tale domanda espone un falso problema, o meglio, un problema insensato.

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
Affermi infatti che va distinta la comunicazione dalla verifica del contenuto della comunicazione. Ma quale
verifica sarà mai possibile fra "segni" diversi (ad esempio fra le donne africane e i cacciatori bianchi)?
Ad ogni contesto segnico (semantico, pragmatico, etc.) la sua verifica: per verificare il leone-trofeo o il leone-minaccia serviranno magari procedure differenti... una verifica che mette in comunicazione i due contesti è quella empirica, ovvero verificare che si tratti davvero di un leone; poi ognuno dei due contesti, procederà secondo la sua direzione.

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Novembre 2018, 15:30:32 PM
Una verifica, al limite, sarà possibile solo all'interno dello stesso gruppo (cioè dello stesso "segno" semiotico);
ma anche all'interno di questo l'individuo potrà sempre dire che, nell'inesistenza di qualsiasi criterio oggettivo,
la sua difforme opinione non è un "errore", ma una diversa e legittima prospettiva.
Infatti il medesimo leone (unico referente empirico) può assumere il "significato" (seguo il tuo linguaggio) di minaccia, preda, soggetto fotografico, animale da studiare, o altro, e la verità di tali significati (inevitabilmente plurali) dipende da chi ne parla e dal contesto. Di (inters)oggettivo (denominatore comune) a tutte le suddette verità c'è solo l'esistenza dell'animale con le sue proprietà fisiche e biologiche.

Lou

#187
Citazione di: Ipazia il 15 Novembre 2018, 07:41:41 AM
Citazione di: Lou il 14 Novembre 2018, 17:39:23 PM
@Ipazia
"Quindi la struttura triadica peirciana può essere un bel modellino rappresentativo di un processo, ma da qui all'ontologia il passo è mooolto lungo. "
Non troppo, una ontologia che non ricade in questo processo, che non si fa a sua volta segno, sarebbe del tutto muta, sine "logia", detto banalmente, non sarebbe tale. Ma le neuroscienze di discorsi e narrazioni ne fanno assai..:) che poi se nel loro a(m)bito di pertinenza non si sognano che un fotone possa esser segno, beh su questo aspetto, chissà.

Confutazione ineccepibile dal punto di vista del logos (linguistica), incluso il logos scientifico (ontologia). Un po' meno dal punto di vista delle neuroscienze che studiano l'essere (ta onta) a prescindere dall'osservatore.
Vedi, questo "a prescindere dall'osservatore" lo trovo poco convincente, visto e considerato che lo sguardo dell'osservatore "intenziona" in un certo qual modo l'emergere dell'aspetto tra gli aspetti del ta onta indagato. Io, ad esempio, ritengo che Husserl in queste analisi sia ammirabile. Ma la "cosa stessa" a cui tornare non è riducibile alla narrazione neuroscientifica e, più in generale, scientifica. Questo è il punto. Il biologico, il neuroscientifico, il fisico sono un modo in cui si dice l'essere e la sua verità, sostituire una narrazione dell'essere all'essere stesso è una operazione che io trovo fraudolenta. Per questo sostengo che ci sia una verità dell'essere che si dice in molti modi, ma è il modo di dirla che è plurale, non la verità. E pure le neuroscienze se vogliono dire al dire sono piegate. E perciò rientrano a pieno titolo alle regole dei segni e tutto l'ambaradan del caso.
Ci sono una o più immagini on-line che si riferiscono a questo busillis, ispirate alla celebre favola dell'elefante e del saggio cieco.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 14 Novembre 2018, 14:10:12 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 13:36:44 PMCome ho avuto modo di dire molte volte, è bene essere consapevoli che la conoscenza extra-linguistica "esiste",
ma presenta la forma della contraddizione.
Non riesco ancora a comprendere tale contraddizione: se tocco una bottiglia d'acqua e mi accorgo che è fredda, acquisisco un'informazione non linguistica che mi fa conoscere meglio la bottiglia e l'acqua; se osservo che per impastare il pane sono necessari alcuni tipi di movimento e riesco ad imitarli con successo, ho imparato ad impastare (ne conosco la tecnica) senza usare il linguaggio; e si potrebbero fare altri esempi... dove si pone la contraddizione in queste forme di conoscenza?


Ciao Phil
Qui mi sono espresso male, perchè avrei dovuto dire "extra-segnica" (invece di "extra-linguistica).
Del resto, come ho già avuto modo di dire, in questo contesto non ritengo indispensabile distinguere fra
"segno" linguistico e non linguistico.
Chiaramente, da questo punto di vista anche il freddo percepito della bottiglia è un già interpretato.
saluti

Jacopus

A proposito di questi ultimi interventi fra linguistica e neuroscienze mi è avvenuto un brano di rilke, un libro che mi è caro, perché fu il primo libro non di fantascienza che comprai.
"La tristezza è un concetto nella lingua vera e propria, ma nel linguaggio della vita ci sono migliaia di tristezze: la tristezza che si prova nel non vedere altro che rocce, mare e cielo; la tristezza di quando, magari sentendo l'odore di fragole fresche, si pensa a certi giorni d'infanzia; la tristezza negli occhi stanchi di certe scimmie; la tristezza affatto diversa di quando il sole tramonta in un certo modo; e ancora così tante tristezze no? Le parole non sono di questo mondo, sono un mondo a sé stante, un mondo indipendente, come il mondo dei suoni."
R.M.Rilke, Lettere a un giovane poeta.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

#190
Citazione di: Lou il 15 Novembre 2018, 18:24:43 PM

Vedi, questo "a prescindere dall'osservatore" lo trovo poco convincente, visto e considerato che lo sguardo dell'osservatore "intenziona" in un certo qual modo l'emergere dell'aspetto tra gli aspetti del ta onta indagato. Io, ad esempio, ritengo che Husserl in queste analisi sia ammirabile. Ma la "cosa stessa" a cui tornare non è riducibile alla narrazione neuroscientifica e, più in generale, scientifica. Questo è il punto. Il biologico, il neuroscientifico, il fisico sono un modo in cui si dice l'essere e la sua verità, sostituire una narrazione dell'essere all'essere stesso è una operazione che io trovo fraudolenta. Per questo sostengo che ci sia una verità dell'essere che si dice in molti modi, ma è il modo di dirla che è plurale, non la verità. E pure le neuroscienze se vogliono dire al dire sono piegate. E perciò rientrano a pieno titolo alle regole dei segni e tutto l'ambaradan del caso.
Ci sono una o più immagini on-line che si riferiscono a questo busillis, ispirate alla celebre favola dell'elefante e del saggio cieco.

Infatti io non ne sostengo alcuna in particolare, bensì auspico come il principe, un'unificazione, anche federativa, dei saperi sulla cognitività umana. Il metodo scientifico è perfettamente consapevole di quanto difficile sia prescindere dall'osservatore, ma nelle sue dimostrazioni sperimentali e applicazioni pratiche si sforza di farlo. Un pace-maker, progettato e impiantato correttamente, funziona a prescindere da qualsiasi osservatore e nel farlo afferma un principio di verità, ovvero di corrispondenza del fatto alla narrazione. Altrettanto bene funziona l'organo, qualunque ne sia la narrazione e il presidio antropico, che la natura ha predisposto al medesimo scopo.

Che le facoltà cognitive richiedano un mediatore logico, talvolta logorroico, per esplicitarsi e svolgere il processo cognitivo non significa che tale mediatore debba essere sempre presente all'interno del mondo che il processo modifica. Se tale processo ha un carattere effettuale, il suo risultato si limiterà, per dirla con Wittgenstein, a mostrarsi, senza più alcun bisogno di un supporto logico o narrante (se non ai margini del suo mostrarsi). Il logos in tal caso diviene la scala, per dirla sempre con LW, che possiamo lasciarci alle spalle una volta oltrepassato l'ostacolo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

Citazione di: Lou il 15 Novembre 2018, 18:24:43 PM
Citazione di: Ipazia il 15 Novembre 2018, 07:41:41 AM
Citazione di: Lou il 14 Novembre 2018, 17:39:23 PM
@Ipazia
"Quindi la struttura triadica peirciana può essere un bel modellino rappresentativo di un processo, ma da qui all'ontologia il passo è mooolto lungo. "
Non troppo, una ontologia che non ricade in questo processo, che non si fa a sua volta segno, sarebbe del tutto muta, sine "logia", detto banalmente, non sarebbe tale. Ma le neuroscienze di discorsi e narrazioni ne fanno assai..:) che poi se nel loro a(m)bito di pertinenza non si sognano che un fotone possa esser segno, beh su questo aspetto, chissà.

Confutazione ineccepibile dal punto di vista del logos (linguistica), incluso il logos scientifico (ontologia). Un po' meno dal punto di vista delle neuroscienze che studiano l'essere (ta onta) a prescindere dall'osservatore.
Vedi, questo "a prescindere dall'osservatore" lo trovo poco convincente, visto e considerato che lo sguardo dell'osservatore "intenziona" in un certo qual modo l'emergere dell'aspetto tra gli aspetti del ta onta indagato. Io, ad esempio, ritengo che Husserl in queste analisi sia ammirabile. Ma la "cosa stessa" a cui tornare non è riducibile alla narrazione neuroscientifica e, più in generale, scientifica. Questo è il punto. Il biologico, il neuroscientifico, il fisico sono un modo in cui si dice l'essere e la sua verità, sostituire una narrazione dell'essere all'essere stesso è una operazione che io trovo fraudolenta. Per questo sostengo che ci sia una verità dell'essere che si dice in molti modi, ma è il modo di dirla che è plurale, non la verità. E pure le neuroscienze se vogliono dire al dire sono piegate. E perciò rientrano a pieno titolo alle regole dei segni e tutto l'ambaradan del caso.
Ci sono una o più immagini on-line che si riferiscono a questo busillis, ispirate alla celebre favola dell'elefante e del saggio cieco.
ogni tanto una corrente d'aria in un forum che è diventato antifilosofico e pochezza scientifico linguistica.

Due almeno sono gli aspetti essenziali nel criticismo kantiano e nella fenomenologia husserliana:
universali e trascendenza.
Perchè il nocciolo del problema non è la cosa in-sè-e-per- sè, ma la trascendenza concettuale dell'essenza dell'ente
L'errore fu nel separare il soggetto dall'oggetto e pensare di oggettivare L'Essere, quando non sappiamo nemmeno oggettivare un sasso.
Lasciamo pure al linguaggio scientifico, che è una modalita epistemologica importante, "calcolare" e "quantifcare" pensare che la verità venga riscontrata in beute e apparati di laboratori,, ma non può qualificare il sistema relazionale fra essenze degli universali e l'Essere.
Le domande poste dalla scienza  e direi almeno in parte dai linguaggi (Wittgenstein filosoficamente dice scempiaggini, nemmeno Godel lo sopportava)sono diverse dalle modalità filosofiche

Ipazia

#192
Citazione di: paul11 il 16 Novembre 2018, 09:01:21 AMLasciamo pure al linguaggio scientifico, che è una modalita epistemologica importante, "calcolare" e "quantifcare" pensare che la verità venga riscontrata in beute e apparati di laboratori,, ma non può qualificare il sistema relazionale fra essenze degli universali e l'Essere.
Le domande poste dalla scienza  e direi almeno in parte dai linguaggi (Wittgenstein filosoficamente dice scempiaggini, nemmeno Godel lo sopportava)sono diverse dalle modalità filosofiche

Meno male che la scienza "non può qualificare il sistema relazionale fra essenze degli universali e l'Essere", altrimenti saremmo fermi alle scempiaggini di 2500 anni fa. (Con attese e qualità della vita di allora) Rispetto alle quali siamo già arrivati sulla luna, qui:

"Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è" (TLPh 6.44).

"Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta" (TLPh 6.52).

Certo che le domande filosofiche sono diverse dalle domande scientifiche, ma, tanto per dirne una, la invenzione del soggetto e dell'oggetto è una scempiaggine tutta filosofica, su cui la filosofia si è avvitata per secoli. E il cui unico merito è stato liberare la scienza da un soggetto trascendentale ormai marcescente. Lasciando la scienza in balia dell'oggetto, nell'assenza assoluta di un discorso filosofico adeguato ai nuovi compiti. Di ciò, almeno, LW era perfettamente consapevole. E la scienza pure, che quando non si mette a filosofeggiare e trescare, rimane l'unico punto di appoggio antropologico rimasto per sollevare il mondo. In attesa che la bella addormentata si svegli.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

Citazione di: Ipazia il 16 Novembre 2018, 09:14:52 AM
Citazione di: paul11 il 16 Novembre 2018, 09:01:21 AMLasciamo pure al linguaggio scientifico, che è una modalita epistemologica importante, "calcolare" e "quantifcare" pensare che la verità venga riscontrata in beute e apparati di laboratori,, ma non può qualificare il sistema relazionale fra essenze degli universali e l'Essere.
Le domande poste dalla scienza  e direi almeno in parte dai linguaggi (Wittgenstein filosoficamente dice scempiaggini, nemmeno Godel lo sopportava)sono diverse dalle modalità filosofiche

Meno male che la scienza "non può qualificare il sistema relazionale fra essenze degli universali e l'Essere", altrimenti saremmo fermi alle sciempiaggini di 2500 anni fa. (Con attese e qualità della vita di allora) Rispetto alle quali siamo già arrivati sulla luna, qui:

"Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è" (TLPh 6.44).

"Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppur toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta" (TLPh 6.52).
francamente mi spiace constatare che nulla capisci di filosofia e forse qualcosa di scienze.
Diversamente da questo forum, avendo avuto un percorso educativo scolastico scientifico, mi permetto di dire che conosco le modalità scientifiche.
Ma a differenza di chi fa solo invettive antifilosofiche ,nulla avendo approfondito di filosofia, quanto meno il sottoscritto legge attualmente anche un testo di filosofia analitica su Kripke sul il linguaggio estensivo modale e la verità.

Voglio dire che almeno il sottoscritto può mettersi in gioco su più modalità gnoseologiche poichè compito del filosofo è anche 
l' Episteme, la Verità incontrovertibile.

sgiombo

Anch' io cerco di coltivare sia interessi scientifici che filosofici (questi ultimi li sento maggiormente).

Concordo con il giudizio di Paul11 sulle infondate, pregiudiziali invettive antifilosofiche non infrequenti (perfino) in questo forum e sul fatto che chi le lancia non coglie importanti questioni filosofiche poste dalla vita reale e che la scienza non può per sua natura risolvere (anche perché generalmente compie l' errore opposto al suo, quello di ignorare le numerose e interessantissime filosofie non idealistiche).

Dissento invece, per l' appunto, con quella che mi sembra da parte sua un errata limitazione della filosofia alle sue correnti idealistiche (a parere mio ne esistono di ben più valide e attuali, maggiormente razionalistiche).

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