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Cos'è la verità

Aperto da Jacopus, 06 Novembre 2018, 00:26:13 AM

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0xdeadbeef

#150
Citazione di: Phil il 13 Novembre 2018, 16:04:50 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 13:37:17 PM
Quindi anche il "fuori bordo", essendo prima pensato poi detto, è inequivocabilmente un "dentro il bordo".
Però, ti chiedevo appunto se trovi contraddittorio questo "dire", o pensare, il "fuori bordo" (e pur
con la consapevolezza dell'intima contraddizione che vi è insita)...
Non colgo la (possibile) contraddizione nel/del dire ciò che è "fuori": questa è la funzione principale del linguaggio (metalinguaggio a parte ;) ), ovvero creare un "mondo" linguistico (dicibile, ma prima ancora pensabile) ispirato e possibilmente conforme a quello non-linguistico, in una sorta di appropriazione/traduzione semantica che rende "ragionabile" il reale (non linguistico).
Che il linguaggio (i concetti, la logica, etc.) non possa uscire da se stesso (nel dire ciò che è fuori), non mi pare contraddittorio, piuttosto è una questione di limite strutturale (che non ne inficia il funzionamento... anzi, è il "senso" dell'esistenza del linguaggio).
Sarebbe contraddittorio se l'indicazione per l'uscita di emergenza fosse posta fuori dall'edificio, ma finché è dentro fa egregiamente la sua funzione (indicando l'altro da sé).

Ciao Phil
La contraddizione consiste nel parlare di "fatti"; di "oggetti" e via discorrendo senza aver la consapevolezza
che laddove non si ipotizzi una "posizione privilegiata" non se ne dovrebbe parlare.
Perchè il problema non è la verità, o per meglio dire il "criterio di verità" (che risiede nel linguaggio), ma
la corrispondenza di questo con l'oggetto di cui si sta affermando qualcosa.
E allora, a me pare, la domanda diventa: su cosa ci basiamo per affermare tale corrispondenza?
Cosa, ovvero, conosciamo dell'oggetto per poter affermare che vi è corrispondenza fra questo e il segno linguistico
con cui lo nominiamo? Come facciamo, per usar le tue parole, a "creare un mondo linguistico ispirato e possibilmente
conforme a quello non linguistico" se tale mondo non linguistico ci è noto solo attraverso il segno linguistico?
Sarebbe come dire che per creare un mondo linguistico ci avvaliamo dello stesso linguaggio (cioè che creiamo quel
che è già creato)...
Non può evidentemente essere così. Diciamo allora che per creare un mondo linguistico il più possibile "corrispondente"
agli oggetti che si intendono nominare si devono conoscere quanto più possibile questi oggetti.
E su questo, diciamo ironicamente, "punto fatale" comincia la "grande avventura" della conoscenza dell'oggetto "in sè".
Una conoscenza, dicevo lungo tutti i miei interventi in questa discussione, impossibile se non come "direzione";
"luogo"; "approssimazione" (questa l'unica conoscenza oggettiva possibile, perchè l'oggetto "in sè" non è conoscibile
se non come "fenomeno", ovvero come segno linguistico - che come tale non può "creare" un mondo linguistico, essendo
già esso stesso tale mondo).
saluti

Lou

#151
Citazione di: Phil il 13 Novembre 2018, 16:04:50 PM
Citazione di: Lou il 13 Novembre 2018, 13:04:56 PM
Proprio Socrate @.@ per cui la ricerca della verità è l'anticamera necessaria per l'etica, anzi è la prima mossa etica par excellence dell'uomo, la conoscenza!
Non a caso l'ho citato fra coloro che ci invitano a rivolgerci all'uomo non come ente ontologico, ma come essere vivente (per non dire "animale").
Secondo me, la necessità di un'etica pur senza il possesso della verità è un'istanza da non sottovalutare... il che non svaluta certo il programma della ricerca socratica :)
Guarda io non sottovaluto nessuna prospettiva, però mi son sentita di esprimere, con quel "proprio" un anelito di ricerca verso l'universalità e l'oggettività della verità portata avanti da Socrate medesimo, un invito rinnovato nel titolo di questo topic, roba per cui ci ha lasciato le penne, non perché ne fu in possesso, nè custode, ma, da posseduto alla ricerca, non la tradì e la difese non cercando compromessi. Forse, perchè in antichità, fu etico e virtuoso un margine di coerenza tra pensare, dire e fare.
Peraltro la svolta che la storiografia filosofica vuole che sia con la sofistica e con socrate che si passi da un interesse cosmologico a un interesse antropologico, è assai opinabile, gran parte della filosofia presocratica è permeata sull'uomo.

"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Ipazia

Ridurre il fenomeno a segno linguistico, il concetto a segno concettuale, e il linguaggio ad unico strumento cognitivo, è quantomeno azzardato. I primi a non esserne così convinti sono proprio linguisti e cognitivisti le cui scuole proliferano assai, l'una contro l'altra armate da posizioni teoriche assai lontane tra loro:

TEORIA DEI LINGUAGGI
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2018, 19:47:28 PM
Ridurre il fenomeno a segno linguistico, il concetto a segno concettuale, e il linguaggio ad unico strumento cognitivo, è quantomeno azzardato. I primi a non esserne così convinti sono proprio linguisti e cognitivisti le cui scuole proliferano assai, l'una contro l'altra armate da posizioni teoriche assai lontane tra loro:

TEORIA DEI LINGUAGGI


Il fenomeno è senz'altro corrispondente al segno (linguistico o meno ) e al concetto. Trovo, anzi, che questi tre
termini siano in un certo qual modo semiologicamente equivalenti.
Il linguaggio non è l'unico strumento cognitivo. L'intelletto può rendersi consapevole che vi è una realtà ad esso
esterna, estranea ed irriducibile; quindi può, attraverso il linguaggio, esprimere un qualcosa che va "oltre" il
linguaggio.
saluti

sgiombo

Citazione di: Phil il 13 Novembre 2018, 12:45:27 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Novembre 2018, 07:58:48 AM
Forse hai commesso un lapsus per "qualcuno che rinneghi il concetto di verità... ".
Ma io ho conosciuto (anche in questo forum) chi afferma (pretende erroneamente, falsamente) che ci sono infinite verità (anche reciprocamente contraddittorie) tutte ugualmente vere
Non credo abbia avuto un lapsus, volevo distinguere fra "ci sono molte verità" e "tutte le posizioni sono verità": la prima non implica l'assenza di falsità (molte verità non escludono molte falsità), la seconda comporta che nulla sia falso (se tutto è vero...).
Citazione
"Tutte le posizioni sono verità" é una quasi-definizione del relativismo.

Se per "verità" si intende "predicato vero (conoscenza vera)", allora "ci sono molte verità" (oltre a moltissime falsità) mi sembra una cosa ovvia e banale.
Se nell ' universo infinito ci sono e ci saranno sempre infiniti pianeti abitati da animali coscienti e intelligenti (come sono propenso a credere), allora non ci sono solo "molte" "bensì "infinite" verità (in quel senso).





Citazione di: sgiombo il 13 Novembre 2018, 07:58:48 AM
(Se non hai commesso un lapsus questo potrebbe essere "rinnegare il concetto di falsità"; ed é ciò che comunemente si intende per "relativismo).
Se il relativismo comunemente inteso rinnega il concetto di falsità, è una fortuna che ci sia anche il relativismo filosoficamente inteso (da wikipedia in su...)  ;)
CitazioneMa allora per farmi capire  cosa pensi (ed eventualmente fare apprezzare anche a me il relativismo filosoficamente inteso) dovresti spiegarmi che cosa é il relativismo filosoficamente inteso e in che cosa differisce dal relativismo comunemente inteso (quello per il quale su qualsiasi questione ci sono tante (forse infinite) verità, anche reciprocamente contraddittorie (ovvero non ci sono cose ma interpretazioni).





Tornando più in tema
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2018, 09:58:35 AM
Se c'è una cosa che non serve a nulla nella ricerca della verità è sparare a zero sulla modernità nel suo complesso [...] Elaborato il lutto, alla filosofia restano aperte le sconfinate praterie dell'etica.

Concordo che oggi la filosofia trovi più terreno fertile se si rivolge "etologicamente" (oltre che eticamente) all'uomo, piuttosto che all'Essere e all'essere-dell'-uomo-in-quanto-ente (lasciamolo a biologi, genetisti, neurologi, etc.).
In fondo è il consiglio che ci diedero già i primi pensatori non-troppo-metafisici: Socrate, i sofisti, gli epicurei, i cinici, gli scettici, etc. (a cui aggiungerei il recente "quintuplice sentiero" di Sariputra  :) ), tuttavia la storia occidentale premiò (non troppo ingiustamente) Platone e Cristo, così ora, per chi vuole, se ne può affrontare il suddetto gramo "lutto" (anche se preferisco, come detto, parlare di meritato "pensionamento" nell'"ospizio" dei libri di storia, sempre aperti a proficue "visite"...).
Citazione
Concordo che sparare a zero acriticamente sulla modernità (ma anche sull' antichità) non serve a nulla nella ricerca della verità (non così criticare la modernità, non accettarla acriticamente; e anche l' antichità).

La filosofia oggi e sempre ha tanti terreni fertili, utilissimi e interessantissimi da coltivare, oltre a quello dell' etica: per esempio la critica razionale della conoscenza in generale e della conoscenza scientifica in particolare e l' ontologia (lo studio della realtà, che non è limitata alla materia scientificamente conoscibile, nella sia accezione più generale, astratta, complessiva; e fra l' altro la natura delle relazioni fra materia, in particolare cerebrale, e coscienza, che sono ben altro della banale constatazione scientifica, già rilevabile ai tempi di Broca e di Wernicke, che ad ogni determinato stato di coscienza necessariamente coesiste un un determinato stato neurofisiologico di un determinato cervello e viceversa).

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
La contraddizione consiste nel parlare di "fatti"; di "oggetti" e via discorrendo senza aver la consapevolezza
che laddove non si ipotizzi una "posizione privilegiata" non se ne dovrebbe parlare.
Eppure non se ne può non parlare  :)
La posizione (non privilegiata ma inevitabile) è quella prospettica-individuale che può aprirsi al dialogo con la comunità (la funzione interpersonale del linguaggio è fondamentale).

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
Perchè il problema non è la verità, o per meglio dire il "criterio di verità" (che risiede nel linguaggio), ma
la corrispondenza di questo con l'oggetto di cui si sta affermando qualcosa.
E allora, a me pare, la domanda diventa: su cosa ci basiamo per affermare tale corrispondenza?
Sulla manifestazione sensibile (non-linguistica: vedo una sedia, sento un suono, etc.) o la sua narrazione (linguistica: mi si dice che c'è una grossa muraglia in Cina o che se mi butto dal decimo piano muoio), ovvero sull'esperienza diretta, la mediazione della logica (e dell'interpretazione individuale) e la (eventuale) accettazione/mediazione da parte della comunità dei parlanti e del suo vocabolario.

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
Cosa, ovvero, conosciamo dell'oggetto per poter affermare che vi è corrispondenza fra questo e il segno linguistico
con cui lo nominiamo?
La corrispondenza fra l'identità dell'oggetto e la sua identità logico-linguistica è convenzionale, si basa su una definizione arbitraria e sulla sua appartenenza al vocabolario di una certa comunità di parlanti (v. molteplicità delle lingue, aspetto diacronico delle lingue, etc.).

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
Come facciamo, per usar le tue parole, a "creare un mondo linguistico ispirato e possibilmente
conforme a quello non linguistico" se tale mondo non linguistico ci è noto solo attraverso il segno linguistico?
Non direi: il mondo non-linguistico ci è noto attraverso i sensi che colgono gli eventi (o attraverso il suddetto tipo di narrazione che presuppone, in buona fede, che il narratore possa riferirsi ad esperienze sensibili... altrui, possibilmente, se si parla del decimo piano  ;D ).
Il mondo linguistico è demiurgico in modo autoreferenziale solo nella speculazione astratta (compresi metalinguaggi), in cui usa parole note per forgiare nuove definizioni o, talvolta, istituisce neologismi, ma resta un'attività interna al linguaggio (e infatti non è garantita corrispondenza esterna: se dico "Zeus" e lo definisco, non c'è probabilmente nulla che gli corrisponda al di fuori del piano linguistico).

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 17:11:40 PM
come "fenomeno", ovvero come segno linguistico
Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 20:24:39 PM
Il fenomeno è senz'altro corrispondente al segno (linguistico o meno ) e al concetto. Trovo, anzi, che questi tre
termini siano in un certo qual modo semiologicamente equivalenti.
Come anticipato da Ipazia, non ridurrei il fenomeno al linguaggio, il fenomeno linguistico è un tipo di fenomeno, ma ci sono anche fenomeni non linguistici, se per fenomeno intendiamo (etimologicamente) ciò che appare, ciò che si manifesta (è, come dicevo, una questione di vocabolario e definizioni che non sono la realtà, ma la indicano/esprimono, come dicevano già Husserl, Derrida, etc.).

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 20:24:39 PM

Il fenomeno è senz'altro corrispondente al segno (linguistico o meno ) e al concetto.

Ma anche no. Il fenomeno di un'eruzione vulcanica può corrispondere al segno e al concetto di una forza tellurica o di una manifestazione divina in base alle credenze dell'osservatore.

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 20:24:39 PM

Trovo, anzi, che questi tre
termini siano in un certo qual modo semiologicamente equivalenti.


Io no, e così pure molti linguisti e cognitivisti. Che fanno anche la distinzione tra segno, simbolo e conoscenza in-mediata tipo la tetta della mamma.

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 20:24:39 PM

Il linguaggio non è l'unico strumento cognitivo.

E meno male. Quindi esiste anche una conoscenza extralinguistica.

Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Novembre 2018, 20:24:39 PM
L'intelletto può rendersi consapevole che vi è una realtà ad esso esterna, estranea ed irriducibile; quindi può, attraverso il linguaggio, esprimere un qualcosa che va "oltre" il linguaggio.


Sui salti mortali del linguaggio e dell'immaginazione umana non ci piove.
saluti
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2018, 14:43:11 PM
Nella scienza c'è tutta l'ontologia possibile e dimostrabile.
CitazioneLe qualità fenomeniche dell' esperienza esistono eccome nelle coscienze (anche se non sono intersoggettive; ma intersoggettivo =/= reale e meramente soggettivo ovvero non intersoggetivo =/= non reale)  e la scienza non ci capisce (non può capirci) nulla.




(Al supermercato si va anche con Einstein, avendo un orologio così sensibile da autocorreggersi quando sali dal primo al secondo piano). La quantistica non è incompatibile con la relatività e il modello dei campi sta mettendo tutti d'accordo
CitazioneA me non pare proprio (ma qui si tratta semplicemente di essere più o meno ottimisti).




. Ma non è questo il problema. Il problema è che l'ontologia scientifica, con tutte le sue approssimazioni, ha allungato la vita anche ai filosofi, mentre con l'Essere non si sopravvive nemmeno da mattina a sera. Veridicamente almeno, perchè sulla finzione si può anche campare mille e più anni. Ma non diventa per questo verità.
Citazione(A parte il fatto che l' "ontologia scientifica", oltre che per allungare la vita, é stata applicata anche per distruggerla fino a perpetrare genocidi; e rischia fortemente di essere applicata all' umanicidio) i filosofi, senza negare l' importanza delle produzioni materiali (se non nelle maligne e false deformazioni caricaturali di scientisti e positivisti), generalmente non hanno mai preteso di spacciarsi per agricoltori, artigiani o produttori di altri beni e servizi materiali.
Ma non di solo pane vive l' uomo (per lo meno ad un elevato grado di civiltà), ma fra l' altro anche di conoscenza (e non solo di conoscenza pratica strumentale ma pure di consocenza come fine a se stessa).





Esiste pure un'ontologia degli enti immateriali, dei valori, propria della filosofia. Uno di questi è la verità. E' in nome di tale valore che si è dovuto consegnare l'Essere alla casa di riposo della filosofia e cominciare a ragionare sugli esseri della realtà empirica.
CitazioneNoto per la cronaca che la scienza, non meno della filosofia, ha enormi ospizi pieni di bavosi anziani rincoglioniti col pannolone e delle rispettive teorie da gran tempo tramontate.

A parte il fatto che la realtà materiale scientificamente conoscibile non esaurisce affatto la realtà in toto, la ricerca scientifica empirica (scopre molte verità particolari, ma) é costretta a ricorrere alla critica razionale filosofica per  comprendere natura, significato, limiti, condizioni di verità della della conoscenza in generale e della stessa sua propria conoscenza (scientifica).

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 13 Novembre 2018, 21:19:13 PMLa corrispondenza fra l'identità dell'oggetto e la sua identità logico-linguistica è convenzionale, si basa su una definizione arbitraria e sulla sua appartenenza al vocabolario di una certa comunità di parlanti (v. molteplicità delle lingue, aspetto diacronico delle lingue, etc.).


Ciao Phil
Se, come dici, la corrispondenza fra l'identità dell'oggetto e la sua identità logico-linguistica (nei miei termini:
la corripondenza fra l'oggetto e il segno che lo designa) è convenzionale etc.(vedi sopra), allora questo vuol
semplicemente dire che una convenzione vale l'altra, visto che non possediamo nessun "metro" per misurare la
oggettività, il "valore", di una convenzione rispetto ad una qualsiasi altra.
Posizione rispettabilissima, per carità, ma è bene essere consapevoli che con un tale punto di vista ogni convenzione
(basandosi, secondo le tue stesse parole, su una definizione arbitraria) linguistica può aspirare ad arrogarsi il
diritto di rappresentare il "vero".
Chi o che cosa, infatti, stabilisce cos'è "una certa comunità di parlanti"?
Può essere questa di questo forum; può essere quella dei contrari ai vaccini o quella di coloro che sostengono che la
terra è piatta: tutto quello che all'interno di queste "comunità di parlanti" viene detto ha, secondo il tuo
ragionamento, il medesimo valore veritativo.
Ma poi perchè mai, se il principio viene accettato, "limitarci" alla comunità? Vi è forse un motivo per non restringere
il campo all'individuo? Se c'è io non lo vedo, perchè se la base del ragionamento è la "definizione arbitraria" (pur
se della comunità) allora chi lo dice all'individuo che la sua, di definizione arbitraria, è meno valida di quella
di una comunità qualsiasi?
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 13 Novembre 2018, 21:19:13 PMSulla manifestazione sensibile (non-linguistica: vedo una sedia, sento un suono, etc.) o la sua narrazione (linguistica: mi si dice che c'è una grossa muraglia in Cina o che se mi butto dal decimo piano muoio), ovvero sull'esperienza diretta, la mediazione della logica (e dell'interpretazione individuale) e la (eventuale) accettazione/mediazione da parte della comunità dei parlanti e del suo vocabolario.

Come anticipato da Ipazia, non ridurrei il fenomeno al linguaggio, il fenomeno linguistico è un tipo di fenomeno, ma ci sono anche fenomeni non linguistici, se per fenomeno intendiamo (etimologicamente) ciò che appare, ciò che si manifesta (è, come dicevo, una questione di vocabolario e definizioni che non sono la realtà, ma la indicano/esprimono, come dicevano già Husserl, Derrida, etc.).



Ciao Phil (e scusami se rispondo in due tempi...)
Su quest'altra questione occorre che io ti chiarisca un attimo il mio punto di vista (che poco distingue fra segno
linguistico e non-linguistico).
Per me esiste soprattutto (cioè è determinante) il "segno", e basta. Nel modo cui lo intendeva Peirce (già il
pensarlo è inserire il pensato all'interno di una catena segnica).
Non che, naturalmente, non vi sia differenza fra segno linguistico e non-linguistico; ma mi pare, appunto, che
determinante sia il "segno", soprattutto laddove questo va ad interpretare l'oggetto "primo" (e la prima
interpretazione di questo è senza dubbio un pensiero).
E' solo a seguito di questo primo e determinante momento che comincia la sequela dei significanti e dei
significati (e con essi comincia il segno linguistico).
Da questo punto di vista, la sedia, il suono o la muraglia Cinese sono sì eventi del sensibile, ma sono anche e
soprattutto dei già interpretati, cioè dei segni (lungo questa discussione abbiamo fatto gli esempi di una
tastiera di pc, di un leone e della giustizia; di come essi cambiano a seconda delle varie interpretazioni).
saluti

Ipazia

@sgiompo

Dal mio commento risultava che:

1) non riduco tutta l'ontologia all'ambito scientifico, ma solo quella degli oggetti materiali (e stranezze ibride postulate da altri saperi come esistenti, su cui aiuta a fare chiarezza e verità)

2) lascio alla filosofia il dominio importantissimo dell'ontologia degli oggetti immateriali derivanti dall'operari umano, compresa la scienza nei suoi aspetti metafisici ed etologici (epistemologia, non surrogati metafisici pseudoscientifici)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Fenomenologia del segno

Il "segno" è un segno concettuale  :) caratteristico di un sapere che estrapola dalla sua disciplina (scrittura) un elemento dilatandolo erga omnes nel campo della sensorialità cognitiva. Operazione legittima finchè non viene spacciata come verità scientifica acclarata, ma rimane nell'ambito di un trattamento analogico della realtà. Sicuramente la memoria del nostro cervello (.. tracce mnestiche...), e il modo con cui i segnali esterni arrivano alla nostra coscienza sono fatti di qualcosa che potremmo anche definire "segno". Ma la materia - neuroscientifica - è ancora talmente sub judice, che attribuire verità scientifica ad alcune teorie linguistiche fortemente orientate personalmente non me la sento. Per ora so soltanto che quando Ox, e i linguisti a cui fa riferimento, parlano di segno intendono l'agente complessivo, dinamico e statico, dell'input dell'esperienza umana.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

#162
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
Citazione di: Phil il 13 Novembre 2018, 21:19:13 PMLa corrispondenza fra l'identità dell'oggetto e la sua identità logico-linguistica è convenzionale, si basa su una definizione arbitraria e sulla sua appartenenza al vocabolario di una certa comunità di parlanti (v. molteplicità delle lingue, aspetto diacronico delle lingue, etc.).


Ciao Phil
Se, come dici, la corrispondenza fra l'identità dell'oggetto e la sua identità logico-linguistica (nei miei termini:
la corripondenza fra l'oggetto e il segno che lo designa) è convenzionale etc.(vedi sopra), allora questo vuol
semplicemente dire che una convenzione vale l'altra, visto che non possediamo nessun "metro" per misurare la
oggettività, il "valore", di una convenzione rispetto ad una qualsiasi altra.
Posizione rispettabilissima, per carità, ma è bene essere consapevoli che con un tale punto di vista ogni convenzione
(basandosi, secondo le tue stesse parole, su una definizione arbitraria) linguistica può aspirare ad arrogarsi il
diritto di rappresentare il "vero".
Chi o che cosa, infatti, stabilisce cos'è "una certa comunità di parlanti"?
Può essere questa di questo forum; può essere quella dei contrari ai vaccini o quella di coloro che sostengono che la
terra è piatta: tutto quello che all'interno di queste "comunità di parlanti" viene detto ha, secondo il tuo
ragionamento, il medesimo valore veritativo.
Ma poi perchè mai, se il principio viene accettato, "limitarci" alla comunità? Vi è forse un motivo per non restringere
il campo all'individuo? Se c'è io non lo vedo, perchè se la base del ragionamento è la "definizione arbitraria" (pur
se della comunità) allora chi lo dice all'individuo che la sua, di definizione arbitraria, è meno valida di quella
di una comunità qualsiasi?
saluti

Scusate se continuo a intromettermi.

La corrispondenza fra l'oggetto e il segno che lo designa è convenzionale. Infatti  uno stesso oggetto si può far corrispondere ad libitum, de, tutto indifferentemente, a un numero indefinito di diversi segni: uno per ciascuna lingua esistente (e anche per ogni lingua morta; ma considerate le sinonimie anche più di uno per ciascuna lingua).

E anche le definizioni dei concetti (lo stabilirne la connotazione o intensione cogitativa) é arbitrario: per esempio per "America" si può intendere l' intero continente dal Quebek alla provincia cilena di Punta Areas; oppure tutto il continente più le isole contigue (dalla Groenlandia alla Terra del Fuoco); oppure ancora, come spesso si fa, specialmente parlando di politica internazionale, gli Stati Uniti d' America; basta mettersi d' accordo per comprendersi.

Quello che non é convenzionale ma dipende dalla realtà quale é del tutto indipendente dal linguaggio, nonché dai rapporti fra questa e il linguaggio stesso, é la verità delle proposizioni attraverso il linguaggio espresse; la quale necessita che se il linguaggio afferma la realtà di un determinato concetto, allora questo "abbia" (che ci sia realmente di esso) anche una denotazione o estensione reale; e se il linguaggio afferma la non realtà di un determinato concetto, allora questo "non abbia" (che non ci sia realmente di esso) anche una denotazione o estensione reale.

sgiombo

#163
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 04:04:22 AM
Citazione di: Phil il 13 Novembre 2018, 21:19:13 PMSulla manifestazione sensibile (non-linguistica: vedo una sedia, sento un suono, etc.) o la sua narrazione (linguistica: mi si dice che c'è una grossa muraglia in Cina o che se mi butto dal decimo piano muoio), ovvero sull'esperienza diretta, la mediazione della logica (e dell'interpretazione individuale) e la (eventuale) accettazione/mediazione da parte della comunità dei parlanti e del suo vocabolario.

Come anticipato da Ipazia, non ridurrei il fenomeno al linguaggio, il fenomeno linguistico è un tipo di fenomeno, ma ci sono anche fenomeni non linguistici, se per fenomeno intendiamo (etimologicamente) ciò che appare, ciò che si manifesta (è, come dicevo, una questione di vocabolario e definizioni che non sono la realtà, ma la indicano/esprimono, come dicevano già Husserl, Derrida, etc.).



Ciao Phil (e scusami se rispondo in due tempi...)
Su quest'altra questione occorre che io ti chiarisca un attimo il mio punto di vista (che poco distingue fra segno
linguistico e non-linguistico).
Per me esiste soprattutto (cioè è determinante) il "segno", e basta. Nel modo cui lo intendeva Peirce (già il
pensarlo è inserire il pensato all'interno di una catena segnica).
Non che, naturalmente, non vi sia differenza fra segno linguistico e non-linguistico; ma mi pare, appunto, che
determinante sia il "segno", soprattutto laddove questo va ad interpretare l'oggetto "primo" (e la prima
interpretazione di questo è senza dubbio un pensiero).
E' solo a seguito di questo primo e determinante momento che comincia la sequela dei significanti e dei
significati (e con essi comincia il segno linguistico).
Da questo punto di vista, la sedia, il suono o la muraglia Cinese sono sì eventi del sensibile, ma sono anche e
soprattutto dei già interpretati, cioè dei segni (lungo questa discussione abbiamo fatto gli esempi di una
tastiera di pc, di un leone e della giustizia; di come essi cambiano a seconda delle varie interpretazioni).
saluti

(Non comprendo bene il discorso. Non sono sicuro che sia attinente a quanto sto per affermare).

Noi uomini adulti e civili pensiamo quasi inevitabilmente linguisticamente (almeno quando pensiamo "cose scientifiche e affini"; spero di rendere l' idea); ma il pensiero (entro certi limiti anche di "cose scientifiche e affini") non é necessariamente, esclusivamente linguistico (i concetti si possono pensare, sebbene a un livello di sofisticazione decisamente limitata, nel' impossibilità di fatto di compiere lunghe argomentazioni e catene di inferenze, anche senza simboleggiarli verbalmente, anche senza "ricorrere alle parole che ce li simboleggiano").

Se così non fosse, allora le persone colpite da varie forme di afasia (e magari non da agrafia, cosicchè possono scrivere parole significanti concetti, frasi, "discorsi grafici", anche discretamente lunghi e complessi) non sarebbero in grado di pensare, ricordare il proprio passato, progettare il proprio futuro, considerare se stessi e i propri intenti; non sarebbero più autocoscienti (come molto presumibilmente sono gli animali non umani).

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 14 Novembre 2018, 06:30:01 AM
@sgiompo

Dal mio commento risultava che:

1) non riduco tutta l'ontologia all'ambito scientifico, ma solo quella degli oggetti materiali (e stranezze ibride postulate da altri saperi come esistenti, su cui aiuta a fare chiarezza e verità)
Citazione
Non mi era sembrato ("Nella scienza c'è tutta l'ontologia possibile e dimostrabile", tuo intervento #146 in questa discussione).

2) lascio alla filosofia il dominio importantissimo dell'ontologia degli oggetti immateriali derivanti dall'operari umano, compresa la scienza nei suoi aspetti metafisici ed etologici (epistemologia, non surrogati metafisici pseudoscientifici)
Citazione
Anche questo non mi era sembrato ("Esiste pure un'ontologia degli enti immateriali, dei valori, propria della filosofia. Uno di questi è la verità. E' in nome di tale valore che si è dovuto consegnare l'Essere alla casa di riposo della filosofia e cominciare a ragionare sugli esseri della realtà empirica" -ibidem-; "Semmai, dove il discorso langue, è in campo filosofico. Comprensibile, dopo essersi visto scippato il tormentone ontologico da chi dell'essere ha dimostrato di capirci di più. [omissis] Elaborato il lutto, alla filosofia restano aperte le sconfinate praterie dell'etica. Saprà colonizzarle senza ennesime, ma a questo punto della sua storia infinitamente più ridicole, millenarie masturbazioni meta-meta-meta-fisiche. Ai posteri l'ardua sentenza" -intervento # 139-

Comunque sono ben contento di ricredermi:

Viva la filosofia!

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