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Cos'è la verità

Aperto da Jacopus, 06 Novembre 2018, 00:26:13 AM

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sgiombo

Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2018, 14:12:14 PM
@ Ox

Prendo atto della precisazione. Rimane comunque quello kantiano della cosa-in-sè un terreno sdrucciolevole non totalmente a prova di strumentalizzazioni metafisiche. Posso accettarlo solo come incentivo ad un dubbio metodologico, un vaccino teorico contro le verità assolute della metafisica idealista o scientista. La ricerca scientifica e filosofica (della prassi) già da molto tempo l'ha accantonata come postulato ontologico, concentrando l'attenzione su quello che Lenin, rifacendosi a Marx, definì cosa-per-noi.


Ma c' é anche chi ha il coraggio di affrontare strade sdrucciolevolissime per cercare conoscenze non necessariamente utili in pratica (e non per questo deve necessariamente cadere nella contemplazione passiva delle teorie: può benissimo essere anche praticamente attivissimo).

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Novembre 2018, 18:44:39 PM
Citazione di: Ipazia il 09 Novembre 2018, 14:12:14 PM
@ Ox

Prendo atto della precisazione. Rimane comunque quello kantiano della cosa-in-sè un terreno sdrucciolevole non totalmente a prova di strumentalizzazioni metafisiche. Posso accettarlo solo come incentivo ad un dubbio metodologico, un vaccino teorico contro le verità assolute della metafisica idealista o scientista. La ricerca scientifica e filosofica (della prassi) già da molto tempo l'ha accantonata come postulato ontologico, concentrando l'attenzione su quello che Lenin, rifacendosi a Marx, definì cosa-per-noi.


Beh, diciamo che la "cosa per noi" Kant l'ha già teorizzata nel "fenomeno", non credi?
Una volta, su un altro forum, discussi a lungo sulla cosa in sè al singolare, come sosteneva il mio
interlocutore, e sulle cose in sè, al plurale, come sostenevo io (affermando che questa era l'originaria
intenzione di Kant).
Ma, dico io, è persino banale dirlo: a molteplici fenomeni di molteplici oggetti corrispondono molteplici
cose in sè
E altrettanto banale è dire che a molteplici fenomeni di molteplici oggetti corrispondono molteplici
cose in sè.
La cosa in sè diventa "terreno di strumentalizzazioni metafisiche" quando, appunto, è intesa erroneamente
al singolare...
saluti

Concordo.

In particolare con la cosa per noi da intendersi come i fenomeni (che infatti, come dice anche Ipazia, sono ciò di cui si occupa la scienza) e con l' uso del plurale a proposito del noumeno (anche se sono un ben scarso conoscitore di Kant; indipendentemente da quel che egli ne pensava).

0xdeadbeef

Citazione di: Lou il 09 Novembre 2018, 15:17:28 PMPosto che la cosa in sè non è oggetto di conoscenza, oggetto di conoscenza sono i fenomeni, la verità kantiana a lato formale è l'accordo tra tra i principi universali e necessari dell'intelletto ("terra della verità", il fondamento saldo delle nostre conoscenze, qui kant è epistemologo, cerca le fondamenta per una conoscenza certa, la scienza) e le conoscenze, a lato materiale nell'accordo tra conoscenze e oggetti. La verità o falsità e quindi l'errore  certamente non sono negli oggetti, essendo degli intuiti (le intuizioni sensibili, in senso kantiano, per l'appunto non giudicano affatto), ma in ultima analisi, nei giudizi che ne diamo.


Beh, come dicevo qui (in questo discorso) "oggetto di conoscenza" è sia il fenomeno che la cosa in sè.
Il fenomeno per esserlo propriamente, la cosa in sè perchè ci dà modo di arrivare ad una "direzione di
verità", come dicevo in un precedente intervento (#30).
La verità è, secondo Kant, la corrispondenza fra l'oggetto (inteso sia come fenomeno che noumeno) e il
segno linguistico che pone il criterio di verità (chiaramente qui, diciamo, "modernizzo" molto la
terminologia di Kant...).
Esempio: sto scrivendo queste parole per mezzo di un oggetto (fenomeno o noumeno che sia). Se chiamo
questo oggetto "tastiera" dico il vero, mentre se lo chiamo "pianta" dico il falso.
Questo vuol dire che la verità non risiede nell'oggetto con cui scrivo, ma nel termine linguistico
(segno) che uso per designare tale oggetto. Perchè è esso, il segno linguistico, che pone il criterio
di verità (cioè è esso che dice che "tastiera" è il vero e "pianta" è il falso).
saluti

Lou

#63
Allora, ci ritorno più tardi, è una prospettiva più peirciana la tua che kantiana, pur riconoscendone una genealogia, occorrerebbe un attimo di chiarezza, lo dico per me, non per voi - leggendovi mi trovo un tantino confusa e disorientata. La carne al fuoco è parecchia. Ci devo pensare.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 09 Novembre 2018, 18:37:55 PM


Ma fra i criteri che i linguaggi di fatto correnti pongono alla verità (ciò che comunemente si intende per "verità") sta quello della "conformità" alla realtà (indipendente dal fatto di essere pure oggetto di pensiero o meno): la verità é propria di un predicato ("interno al linguaggio"), ma dipende (anche) "in maniera decisiva" da come é o meno la realtà indipendentemente dal linguaggio (da qualsiasi linguaggio).

Sì certo, stai parlando della verità come corrispondenza del segno linguistico con l'oggetto...
Lo trovo francamente un pò semplicistico come concetto; sicuramente andava bene quando il mondo era
concepito come un mondo di oggetti che l'uomo poteva solo "nominare" (c'era comunque anche la
concezione opposta, quella nominalistica della "convenzionalità" del linguaggio).
Diciamo che almeno da Kant (pur se non sono mancate importanti anticipazioni) la concezione che
a me sembra più congrua è quella che vede la corrispondenza del segno lingustico con il fenomeno...
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Lou il 09 Novembre 2018, 19:20:01 PM
Allora, ci ritorno più tardi, è una prospettiva più peirciana la tua che kantiana, pur riconoscendone una genealogia, occorrerebbe un attimo di chiarezza, lo dico per me, non per voi - leggendovi mi trovo un tantino confusa e disorientata. La carne al fuoco è parecchia. Ci devo pensare.


A più tardi allora.
Se posso darti un'indicazione in più ti dico: sì, certamente, Peirce non è affatto estraneo al mio
ragionamento (ma ritengo che un pò tutta la semiotica abbia detto cose molto importanti...)
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: bobmax il 09 Novembre 2018, 18:48:29 PM


Ciao 0xDeadbeef

Indubbiamente il pensiero razionale ha bisogno degli enti per poter lavorare.
Ciò che non è ente non è pensabile. Così ci ritroviamo a entificare persino l'Essere e il Nulla, nella speranza illusoria per poterli trattare.

Di fatti il pensiero o è determinato o non è.
Se rimaniamo nell'ambito logico/razionale non vi è modo di superare l'impasse.

Tuttavia, la questione riguardo alla Verità non appartiene alla logica. Perché la Verità è il fondamento di ogni possibile logica!
Per convincersene, è sufficiente che interroghiamo noi stessi su cosa davvero vale.
E la logica, in quanto tale, non vale assolutamente niente!
(Forse strano detto da me dopo aver lavorato una vita in informatica, ma è così)
Ciò che conta è il Bene!

Ora, se noi teniamo fermo il Bene, come assoluto a cui tutto il resto si deve assoggettare... ebbene l'Essere di Parmenide rifulge come non mai.

Ma allora la verità della tastiera va necessariamente in secondo piano. La tastiera sfuma, così come il nostro pensiero di essa. E noi, il nostro io, svaniamo con essi.

Ciò che trapela è solo ed esclusivamente l'amore infinito del Nulla/Essere.

Ciao Bobmax
Comprendo il tuo punto di vista e, in un certo qual modo, lo condivido. Ma esso è frutto di una fede,
e come tale va inteso.
saluti
PS
Una vita in informatica? Di cosa ti occupi/occupavi? (se posso chiederlo, naturalmente)

acquario69

Citazione di: sgiombo il 09 Novembre 2018, 18:30:35 PM
Un' allucinazione (se c'é) consiste nell' esserci reale di una sensazione senza oggetto (in sé) reale distinto dal soggetto nella cui esperienza cosciente realmente essa accade.

L' assenza di autocoscienza non si identifica affatto con un' allucinazione: quante volte vediamo e sentiamo cose reali (e non allucinatorie) senza renderci conto che le stiamo vedendo o sentendo?
Per esempio quando camminiamo su un cammino o guidiamo su una strada abituali con la mente immersa nei più disparati pensieri.
D' altra parte mi sembra molto ragionevole credere che gli altri animali diversi dal' uomo siano coscienti e solo molto raramente subiscano allucinazioni (anche più raramente degli uomini; se non altro di solito questi ultimi sono molto più frequenti utilizzatori di droghe allucinogene), ma invece non siano autocoscienti.

Che molti subiscano una sorta di asservimento alle macchine (ma in realtà secondo me piuttosto ai possessori-utilizzatori delle e -non utilizzati dalle- macchine non dipende (per lo meno non affatto necessariamente; di fatto per lo meno non in molti casi) dall' abbandono di una concezione idealistica della realtà.

Sgiombo io non la farei cosi complicata 
La cosa importante credo sia il significato complessivo del messaggio.

Comunque secondo me dire allucinazione equivale a non avere più il senso della realtà e quindi mi sembra una chiara perdita di coscienza.

Il termine deriva dal latino hallucinere o allucinere, che significa "perdere la coscienza" e ha nella sua radice la particella "lux" (luce-illuminazione-percezione). Alternativamente si può far risalire al greco ἁλύσκειν (haluskein), che significa "scappare", "evitare", riferendosi all'interpretazione diffusa dell'allucinazione come fuga dalla realtà

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Novembre 2018, 19:06:14 PM
Se chiamo questo oggetto "tastiera" dico il vero, mentre se lo chiamo "pianta" dico il falso.Questo vuol dire che la verità non risiede nell'oggetto con cui scrivo, ma nel termine linguistico (segno) che uso per designare tale oggetto. Perchè è esso, il segno linguistico, che pone il criteriodi verità (cioè è esso che dice che "tastiera" è il vero e "pianta" è il falso).

Anche se dico keyboard dico il vero. Il vero non sta nel significante (segno), ma nel significato (concetto) e qui si riaprono le danze. E si riducono anche le illusioni di una conoscenza tutta per via linguistica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Ciao 0xDeadbeef

Certo che è una questione di fede. Ciò che conta è sempre un questione di fede.

Da non confondersi con la superstizione. Il che non è facile, perché siamo sempre tentati di credere vero ciò che c'è, come per esempio il linguaggio...
Ma credere in ciò che c'è, o dovrebbe esserci, è sempre solo superstizione.

PS
Ho avuto la fortuna di vivere l'avventura dell'informatica, dalla mia tesi sul 8080 della Intel fino a Internet.
Mi sono buttato nello sviluppo con i più diversi linguaggi ma ciò che più mi ha coinvolto è stata l'analisi, con la progettazione di applicazioni industriali.
Negli anni, l'analisi Entità/Relazioni applicata nei più diversi ambiti ha plasmato il mio modo di vedere il mondo. Sono tornato bambino a furia di chiedermi il perché della cose...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 10 Novembre 2018, 08:23:30 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Novembre 2018, 19:06:14 PM
Se chiamo questo oggetto "tastiera" dico il vero, mentre se lo chiamo "pianta" dico il falso.Questo vuol dire che la verità non risiede nell'oggetto con cui scrivo, ma nel termine linguistico (segno) che uso per designare tale oggetto. Perchè è esso, il segno linguistico, che pone il criteriodi verità (cioè è esso che dice che "tastiera" è il vero e "pianta" è il falso).

Anche se dico keyboard dico il vero. Il vero non sta nel significante (segno), ma nel significato (concetto) e qui si riaprono le danze. E si riducono anche le illusioni di una conoscenza tutta per via linguistica.

Ciao Ipazia
Ritengo capzioso distinguere fra la parola propriamente detta e il concetto, o immagine mentale. Perchè
con il termine "segno" (semioticamente inteso) li intendiamo entrambi.
Da questo punto di vista, se dico "keyboard" dico il vero adesso, cioè in una società nella quale la
terminologia è mutata nel tempo assumendo nuovi ed inediti significati. Ma non sarei stato nel vero ieri,
cioè in una società nella quale l'uso di termini informatici e della lingua inglese non aveva ancora avuto
luogo.
In altre parole oggi è mutato il "segno", per cui la validità della definizione di "verità" che ho dato ("la
corrispondenza dell'oggetto di conoscenza con la regola che un certo segno linguistico ha posto come
criterio di verità") ritengo resti immutata pure chiamando la tastiera "keyboard".
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: bobmax il 10 Novembre 2018, 12:47:14 PM
Ciao 0xDeadbeef

Certo che è una questione di fede. Ciò che conta è sempre un questione di fede.


Ciao Bobmax
Tralascio sulla fede, non perchè non importante (anzi, condivido che forse sia l'unica cosa che davvero conta),
ma solo perchè, diciamo, clamorosamente fuori dal tema in questione...
Ti ho chiesto dell'informatica perchè anch'io ne ho una certa esperienza (ne parlo in "La filosofia come
condivisione", nella sezione "Percorsi ed esperienze").
Però sono molti anni che non me ne occupo più (ero arrivato a stare al pc 8-9 ore al giorno, e ho dovuto darci
un taglio drastico)
saluti

paul11

#72
ci vuole fede e ragione

I linguaggi seguono regole sintattiche in cui vi sono le semantiche, così la semiologia dei token e type.
La logica che vi sussiste è il sistema di regole che ci permette di descrivere correttamente il passaggio, il processo, di una percezione al concetto e stabilirne regole, leggi che ora sono concettuali.
Ma la verità non è la veridicità di un sillogismo, di un'argomentazione semiologica,di un'inferenza,ecc.
La verità filosofica è incontrovertibile,dove i linguaggi possono aiutare a seguirne il processo razionale.

Incontrovertible per la filosofia è il vero che non può mutare nel relativo fino a diventare "la verità è  a misura di uomo", scadere nell'opinione. Per cui una verità non può che essere eterna e non in ciò che diviene.
Per questo la filosofia cerca l'essenza degli enti, intese in cose, eventi che ci vengono incontro nell'esistenza.
Dalla torre di Babele dei linguaggi, dagli infiniti enti che appaiono e scompaiono, gli enti ci vengono incontro e si dis-velano nella conoscenza.Ma gli innumerevoli enti devono rispondere a loro volta  ad una  unica regola che le essenze degli enti portano all'Essere

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Novembre 2018, 13:31:06 PM
Citazione di: Ipazia il 10 Novembre 2018, 08:23:30 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Novembre 2018, 19:06:14 PM
Se chiamo questo oggetto "tastiera" dico il vero, mentre se lo chiamo "pianta" dico il falso.Questo vuol dire che la verità non risiede nell'oggetto con cui scrivo, ma nel termine linguistico (segno) che uso per designare tale oggetto. Perchè è esso, il segno linguistico, che pone il criteriodi verità (cioè è esso che dice che "tastiera" è il vero e "pianta" è il falso).

Anche se dico keyboard dico il vero. Il vero non sta nel significante (segno), ma nel significato (concetto) e qui si riaprono le danze. E si riducono anche le illusioni di una conoscenza tutta per via linguistica.

Ciao Ipazia
Ritengo capzioso distinguere fra la parola propriamente detta e il concetto, o immagine mentale. Perchè
con il termine "segno" (semioticamente inteso) li intendiamo entrambi.
Da questo punto di vista, se dico "keyboard" dico il vero adesso, cioè in una società nella quale la
terminologia è mutata nel tempo assumendo nuovi ed inediti significati. Ma non sarei stato nel vero ieri,
cioè in una società nella quale l'uso di termini informatici e della lingua inglese non aveva ancora avuto
luogo.
In altre parole oggi è mutato il "segno", per cui la validità della definizione di "verità" che ho dato ("la
corrispondenza dell'oggetto di conoscenza con la regola che un certo segno linguistico ha posto come
criterio di verità") ritengo resti immutata pure chiamando la tastiera "keyboard".
saluti


Concordo.

Secondo me ciò che conta nei predicati circa la realtà (a proposito della loro verità o meno) non sono i simboli verbali (arbitrari, diversi fra le diverse lingue) che i vari concetti di cui i predicati stessi sono costituiti significano (nel senso che "simboleggiano"), ma invece sono le connotazioni o intensioni "cogitative" e soprattutto le denotazioni o estensioni reali (o meno).
E qui sta il punto: che le denotazioni o estensioni reali ci siano effettivamente se predicate esserci ovvero che non  ci siano realmente se predicate non esserci, oppure viceversa fa la differenza fra verità e falsità dei predicati.

sgiombo

Citazione di: paul11 il 10 Novembre 2018, 14:55:50 PM
ci vuole fede e ragione

I linguaggi seguono regole sintattiche in cui vi sono le semantiche, così la semiologia dei token e type.
La logica che vi sussiste è il sistema di regole che ci permette di descrivere correttamente il passaggio, il processo, di una percezione al concetto e stabilirne regole, leggi che ora sono concettuali.
Ma la verità non è la veridicità di un sillogismo, di un'argomentazione semiologica,di un'inferenza,ecc.
La verità filosofica è incontrovertibile,dove i linguaggi possono aiutare a seguirne il processo razionale.

Incontrovertible per la filosofia è il vero che non può mutare nel relativo fino a diventare "la verità è  a misura di uomo", scadere nell'opinione. Per cui una verità non può che essere eterna e non in ciò che diviene.
Per questo la filosofia cerca l'essenza degli enti, intese in cose, eventi che ci vengono incontro nell'esistenza.
Dalla torre di Babele dei linguaggi, dagli infiniti enti che appaiono e scompaiono, gli enti ci vengono incontro e si dis-velano nella conoscenza.Ma gli innumerevoli enti devono rispondere a loro volta  ad una  unica regola che le essenze degli enti portano all'Essere


Ho l' impressione che tu (un po' come Ipazia "dal versante" o "sulla barricata teorica" opposto) tenda indebitamente a confondere la filosofia con le filosofie platoniche - idealistiche - heideggeriane - severiniane et similia (il "tutto" con una sua parte).

Per altre filosofie non affatto meno degne di essere ritenute tali di queste la verità é di fatto per lo meno in moltissimi casi in linea di principio controvertibilissima (oltre che limitata, parziale, relativa; e in tanti altri casi ignota e magari "ignoratura"; o "ignoranda"? Insomma si può dire con certezza in molti casi: "ignorabimus", cioé sappiamo per lo meno che non lo sapremo mai).

Fra gli opposti errori (secondo me) di Nietzche e di Severino, per fortuna "tertium datur" (e anche quartum, quintum, sextum e così via indefinitamente...).

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