Menu principale

Cos'è la verità

Aperto da Jacopus, 06 Novembre 2018, 00:26:13 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Lou

#165
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 04:04:22 AM

Non che, naturalmente, non vi sia differenza fra segno linguistico e non-linguistico; ma mi pare, appunto, che
determinante sia il "segno", soprattutto laddove questo va ad interpretare l'oggetto "primo" (e la prima
interpretazione di questo è senza dubbio un pensiero).
E' solo a seguito di questo primo e determinante momento che comincia la sequela dei significanti e dei
significati (e con essi comincia il segno linguistico).
Da questo punto di vista, la sedia, il suono o la muraglia Cinese sono sì eventi del sensibile, ma sono anche e
soprattutto dei già interpretati, cioè dei segni (lungo questa discussione abbiamo fatto gli esempi di una
tastiera di pc, di un leone e della giustizia; di come essi cambiano a seconda delle varie interpretazioni).
saluti
Non vi è differenza, a mio parere, in quanto, se parliamo della semiotica peirciana che è acclaratamente anti-intuizionista , il segno (sia icona, che indice che simbolo - che sono i principali, che hanno la stessa funzione mediatrice, in questo senso non vi è differenza) è il mediatore tra oggetto e interpretante, che sono i tre poli della struttura triadica, dove certamente è il segno a determinare la mediazione  perchè si dia interpretazione, ma il il motore che innesca il circuito delle interpretazioni è l'oggetto.

"pc" è un segno (simbolo, in quanto è un segno linguistico) che sta per l'oggetto dinamico, la realtà esterna (o "cosa in sè) in tutta la sua complessità reale di cui attraverso la semiosi illimitata ne cogliamo alcuni aspetti/proprietà, dando approssimazioni di essa.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
Se, come dici, la corrispondenza fra l'identità dell'oggetto e la sua identità logico-linguistica (nei miei termini:
la corripondenza fra l'oggetto e il segno che lo designa) è convenzionale etc.(vedi sopra), allora questo vuol
semplicemente dire che una convenzione vale l'altra, visto che non possediamo nessun "metro" per misurare la
oggettività, il "valore", di una convenzione rispetto ad una qualsiasi altra.
Credo si possa ben affermare che ogni linguaggio, o meglio, lingua, una volta decontestualizzata, "vale" un'altra: «sedia» o «chair» o «chaise», l'importante è che sia chiaro per chi si esprime, ed eventualmente per chi ascolta, l'oggetto (o meglio l'identità) di cui si parla; altrimenti il linguaggio non comunica e dunque non funziona.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
con un tale punto di vista ogni convenzione
(basandosi, secondo le tue stesse parole, su una definizione arbitraria) linguistica può aspirare ad arrogarsi il
diritto di rappresentare il "vero".
Certo: «la sedia è rossa», «the chair is red», «la chaise est rouge», non si riferiscono a tre realtà differenti e nemmeno direi che solo una frase vera e le altre due false.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
Chi o che cosa, infatti, stabilisce cos'è "una certa comunità di parlanti"?
Una lingua può delineare una comunità di parlanti (per esempio, tutti coloro che parlano italiano), ma anche i dialetti, i sotto-linguaggi settoriali, etc. anche il concetto stesso di «comunità di parlanti» è, in quanto linguistico, inevitabilmente, arbitrario.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
Può essere questa di questo forum; può essere quella dei contrari ai vaccini o quella di coloro che sostengono che la
terra è piatta: tutto quello che all'interno di queste "comunità di parlanti" viene detto ha, secondo il tuo
ragionamento, il medesimo valore veritativo.
Purtroppo non è così facile  :)
Come anticipato già da sgiombo, va distinta la comunicazione dalla verifica del contenuto della comunicazione: se dico «la sedia è rossa» e tu affermi «la sedia non è rossa», usiamo lo stesso linguaggio, apparteniamo alla stessa comunità di parlanti, ma uno di noi due si sbaglia (senza voler qui cavillare su daltonismi, etc.).

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 01:25:11 AM
Ma poi perchè mai, se il principio viene accettato, "limitarci" alla comunità? Vi è forse un motivo per non restringere
il campo all'individuo? Se c'è io non lo vedo, perchè se la base del ragionamento è la "definizione arbitraria" (pur
se della comunità) allora chi lo dice all'individuo che la sua, di definizione arbitraria, è meno valida di quella
di una comunità qualsiasi?
Infatti ogni individuo può forgiare i suoi neologismi, le sue definizioni (e questo forum è ricco di esempi di polisemia ;) ) e persino la sua grammatica; si tratta poi di affrontare i problemi di comunicazione se si usa tale linguaggio con altri che ne parlano uno differente (come quando si va all'estero).
Senza lingua non si dà il concetto di "verità" (e tutte le sue estensioni), ma solo percezioni, eventi, azioni e reazioni della verita biologica.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 04:04:22 AM
Da questo punto di vista, la sedia, il suono o la muraglia Cinese sono sì eventi del sensibile, ma sono anche e
soprattutto dei già interpretati, cioè dei segni (lungo questa discussione abbiamo fatto gli esempi di una
tastiera di pc, di un leone e della giustizia; di come essi cambiano a seconda delle varie interpretazioni).
Concordo, per questo tali identità logico-linguistiche («sedia», «suono», «muraglia», etc.) non sono l'oggetto a cui si riferiscono, ma la sua identificazione linguistica (loro sono dentro il linguaggio, l'"oggetto" corrispondente è postulato come "fuori").

Ipazia

Citazione di: Lou il 14 Novembre 2018, 10:00:36 AM

Non vi è differenza, a mio parere, in quanto, se parliamo della semiotica peirciana che è acclaratamente anti-intuizionista , il segno (sia icona, che indice che simbolo - che sono i principali, che hanno la stessa funzione mediatrice, in questo senso non vi è differenza) è il mediatore tra oggetto e interpretante, che sono i tre poli della struttura triadica, dove certamente è il segno a determinare la mediazione  perchè si dia interpretazione, ma il il motore che innesca il circuito delle interpretazioni è l'oggetto.

"pc" è un segno (simbolo, in quanto è un segno linguistico) che sta per l'oggetto dinamico, la realtà esterna (o "cosa in sè) in tutta la sua complessità reale di cui attraverso la semiosi illimitata ne cogliamo alcuni aspetti/proprietà, dando approssimazioni di essa.

Pare proprio, secondo le neuroscienze (che tu hai dimostrato di apprezzare), che il mediatore tra l'oggetto e l'interprete siano fotoni, elettroni e sostanze chimiche denominate mediatori, recettori, neurotrasmettitori. Tutta roba che nessuno si sogna di chiamare segno. Quindi la struttura triadica peirciana può essere un bel modellino rappresentativo di un processo, ma da qui all'ontologia il passo è mooolto lungo. Vedo che i commenti si soffermano sul linguaggio, dove effettivamente l'ontologia del segno e del simbolo è più cristallina. Incluso il segno concettuale che si riscontra in ogni simbolo logico. Ma lì rimane. Come lo interpreta e rimasterizza la cpu umana non è proprio alla portata della triade. Pretendere che lo possa fare sarebbe come attribuire vita propria ai byte e bit del linguaggio informatico, glissando sul fatto che sono solo sequenze di interruttori elettrici aperti e chiusi la cui combinazione opera su una cpu del cui funzionamento, a differenza del cervello umano, sappiamo tutto. 
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2018, 21:27:07 PM
Ma anche no. Il fenomeno di un'eruzione vulcanica può corrispondere al segno e al concetto di una forza tellurica o di una manifestazione divina in base alle credenze dell'osservatore.


E meno male. Quindi esiste anche una conoscenza extralinguistica.




Ciao Ipazia
C'è evidentemente stato un momento in cui un interprete ha prima pensato, poi detto, questa è una "eruzione
vulcanica". Successivamente, altri interpreti hanno preso quel significato e, sulla base delle loro credenze,
hanno formulato altri significati.
Secondo la mia opinione non è importante (non è importante in questo contesto, non in generale) conoscere
il "punto" della catena segnica ove si trova quella o quell'altra interpretazione, bensì sapere che
tutte queste interpretazioni sono tali in quanto "fenomeni" (kantianamente intesi, naturalmente).
Se poi linguisti e cognitivisti fanno certe distinzioni beh, le faranno certamente con delle ragioni (io
qui mi limito a "coniugare" la semiotica con il kantismo, e a cercare di vedere se ne può scaturire
qualcosa di interessante).
Come ho avuto modo di dire molte volte, è bene essere consapevoli che la conoscenza extra-linguistica "esiste",
ma presenta la forma della contraddizione.
Ad esempio, non ritengo sia immaginazione il pensare ad un universo preesistente a qualsiasi interprete (o ad uno
sperduto pianeta fuori dalla portata di qualunque telescopio). Eppure, queste realtà si "danno" alla nostra
conoscenza solo nel momento in cui divengono "fenomeni" per degli interpretanti che li "nominano"
inserendoli in una precisa catena linguistica.
saluti

InVerno

Citazione di: Phil il 14 Novembre 2018, 11:17:20 AMCredo si possa ben affermare che ogni linguaggio, o meglio, lingua, una volta decontestualizzata, "vale" un'altra: «sedia» o «chair» o «chaise», l'importante è che sia chiaro per chi si esprime, ed eventualmente per chi ascolta, l'oggetto (o meglio l'identità) di cui si parla; altrimenti il linguaggio non comunica e dunque non funziona.
E' un po troppo facile chiudendo il cerchio alle lingue indoeuropee, che sono pressochè identiche. Se prendo la parola "tempo" per esempio, anche decontestualizzata, ha un diverso significato a seconda di ceppi linguistici. Alcuni indicano il progredire del tempo "in avanti" rispetto al soggetto (come noi europei), altri indietro, altri verso l'alto.. In alcune lingue della Nuova Guinea non esiste il saluto, e ciò che tradurresti come "parola di saluto" è invece la domanda "dove stai andando?" cosicchè tutta la tribù ha accesso ad un sistema di georeferenziazione linguistica ogniqualvolta si saluta. La stessa "verità" in molte lingue ha diverse varianti senza complemento (oggettiva, relativa etc) che indicano concetti completamente diversi, e non concetti che si differenziano attraverso un complemento, il che fa una grande differenza con o senza contesto.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Citazione di: InVerno il 14 Novembre 2018, 13:38:30 PM
E' un po troppo facile chiudendo il cerchio alle lingue indoeuropee, che sono pressochè identiche. Se prendo la parola "tempo" per esempio, anche decontestualizzata, ha un diverso significato a seconda di ceppi linguistici. [...] La stessa "verità" in molte lingue ha diverse varianti senza complemento (oggettiva, relativa etc) che indicano concetti completamente diversi, e non concetti che si differenziano attraverso un complemento, il che fa una grande differenza con o senza contesto.
Queste diversità di concettualizzazione, di prassi comunicativa e di semantica, ribadiscono che il rapporto linguaggio/senso/verità è sempre contestuale alla comunità di parlanti (grazie per il bell'esempio della Nuova Guinea).
Quando scrivo che «ogni lingua, una volta decontestualizzata, "vale" l'altra» intendo che il valore dipende appunto dal contesto: in Italia la lingua che "vale" di più è l'italiano perché è quella che consente di parlare con gran parte della popolazione, comprendere comunicazioni scritte, etc. ma il suo "valore d'uso" (à la Marx) è vincolato al contesto e alla comunità di parlanti con cui si ha a che fare.

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 13:36:44 PM
Come ho avuto modo di dire molte volte, è bene essere consapevoli che la conoscenza extra-linguistica "esiste",
ma presenta la forma della contraddizione.
Non riesco ancora a comprendere tale contraddizione: se tocco una bottiglia d'acqua e mi accorgo che è fredda, acquisisco un'informazione non linguistica che mi fa conoscere meglio la bottiglia e l'acqua; se osservo che per impastare il pane sono necessari alcuni tipi di movimento e riesco ad imitarli con successo, ho imparato ad impastare (ne conosco la tecnica) senza usare il linguaggio; e si potrebbero fare altri esempi... dove si pone la contraddizione in queste forme di conoscenza?

Ipazia

#171
La butto lì. La componente percettiva-cognitiva dell'autocoscienza è un fenomeno complesso che interessa varie branche del sapere. (Come l'acqua che per l'agricoltore, il cuoco e il chimico rappresenta tre enti in tre contesti ontologici diversi, ma tutti ugualmente veri). Linguistica, psicologia e neuroscienze rappresentano diverse catene gnoseologiche interessate al fenomeno del linguaggio, ciascuna con i propri ferri del mestiere: il segno per il linguista, l'apprendimento per lo psicologo, i processi fisicochimicobiologici per il neuroscienziato. Sono punti di vista, prospettive, ugualmente legittimi e ognuno utilizza metodologie scientifiche per la propria ricerca.  Ma nessuno di essi ha caratteristiche epistemiche così prevalenti da poter imporre una propria semantica sugli altri. Vanno pertanto presi con la loro ontologia incorporata, evitando commistioni, o dispute, insensate, come sarebbero quelle tra sistemi operativi diversi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2018, 08:49:40 AM

La corrispondenza fra l'oggetto e il segno che lo designa è convenzionale.
Quello che non é convenzionale ma dipende dalla realtà quale é del tutto indipendente dal linguaggio, nonché dai rapporti fra questa e il linguaggio stesso, é la verità delle proposizioni attraverso il linguaggio espresse;


A Sgiombo
Eh lo so che la tesi del convenzionalismo risulta, come dire, comoda comoda...
Naturalmente so anche che spesso è effettivamente così (dicevamo appunto della convenzione per cui gli italiani
chiamano questo aggeggio su cui sto scrivendo "tastiera", mentre gli inglesi lo chiamano "keyboard"), ma
questa della convenzione è una tesi che presenta grossissimi limiti non appena si passa a qualcosa di più
complicato di un pezzo di plastica...
Ad esempio (e mi scuso per stra-abusare di questo esempio), i nazisti (i Polacchi sono usi a dire: i Tedeschi...)
convenivano nel ritenere gli Ebrei una razza infima, e molti convenivano persino sulla necessità che essi fossero
sterminati.
Passando ad esempi meno truci, in alcuni ambienti si conviene che i vaccini siano dannosi, in altri che vi sia un
piano "kalergij" mirante a sostituire la razza bianca con gli immigrati. E via discorrendo...
Ora, il problema consiste essenzialmente nel sapere se l'oggetto (ad esempio i vaccini) sia o meno corrispondente
al criterio di verità che affermiamo con il linguaggio (per me anche con il pensiero, ma non complichiamo).
Nel caso specifico: l'affermazione per cui i vaccini sono dannosi corrisponde ad una effettiva dannosità dei vaccini?
Ora, non mi sembra via sia nulla di "problematico" in questa occorrenza oggetto-criterio di verità.
Non vi è nulla di problematico, senonchè la tesi del convenzionalismo mette al centro della riflessione la "comunità
dei parlanti e il suo vocabolario" (come nella parole dell'amico Phil), riferendo a questa la stessa possibilità
di conoscenza dell'oggetto.
Ma questo, nel nostro esempio, può forse voler dire altro che il giudizio sull'oggetto-vaccini è demandato alla
"comunità dei parlanti e al loro vocabolario?
E questo può forse voler dire altro se non l'indistinzione fra ciò che è oggettivo e ciò che è soggettivo?
In altre parole, se l'oggettivo è demandato alla "comunità dei parlanti e al loro vocabolario" la verità diventa
"ciò che si dice", come nella celebre provocazione di U.Eco (e allora si può dire qualunque cosa, dai vaccini che
sono dannosi agli Ebrei che sono una razza da sterminare...).
saluti

InVerno

Citazione di: Phil il 14 Novembre 2018, 14:10:12 PM
Queste diversità di concettualizzazione, di prassi comunicativa e di semantica, ribadiscono che il rapporto linguaggio/senso/verità è sempre contestuale alla comunità di parlanti (grazie per il bell'esempio della Nuova Guinea).
Quando scrivo che «ogni lingua, una volta decontestualizzata, "vale" l'altra» intendo che il valore dipende appunto dal contesto: in Italia la lingua che "vale" di più è l'italiano perché è quella che consente di parlare con gran parte della popolazione, comprendere comunicazioni scritte, etc. ma il suo "valore d'uso" (à la Marx) è vincolato al contesto e alla comunità di parlanti con cui si ha a che fare.
Scusa avevo letto al contrario il tuo ragionamento, ora ho capito, forse mi sono fatto fuorviare da quel "comunità parlanti" con cui ho inteso solamente le persone fisiche attuali senza il loro "bagaglio culturale". E 'abbastanza difficile capirsi in Italiano!
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 14:24:56 PM
Non vi è nulla di problematico, senonchè la tesi del convenzionalismo mette al centro della riflessione la "comunità
dei parlanti e il suo vocabolario" (come nella parole dell'amico Phil), riferendo a questa la stessa possibilità
di conoscenza dell'oggetto.
Ma questo, nel nostro esempio, può forse voler dire altro che il giudizio sull'oggetto-vaccini è demandato alla
"comunità dei parlanti e al loro vocabolario?
E questo può forse voler dire altro se non l'indistinzione fra ciò che è oggettivo e ciò che è soggettivo?
La conoscenza dell'oggetto eccede e travalica la singola comunità di parlanti poiché non è una questione linguistica (d'altronde anche l'esistenza dell'oggetto vale fuori dai confini della comunità linguistica): il linguaggio identifica (e mai univocamente, come ricordava Ipazia), non conosce.
Sarebbe crudele voler estorcere (fallimentarmente) al linguaggio ciò che non può darci ma solo dirci, ossia la verità.
Il convenzionalismo spiega il linguaggio, non la verità (che in quanto tale esula dal segno, proprio come l'oggetto o "referente" come si dice in semiotica). Il linguaggio consente a me di dire che la sedia è rossa e a te di affermare il contrario; per sapere quel'è la verità, dobbiamo interrogare, ma non-linguisticamente, il mondo tramite verifica empirica, analisi, etc.

Non a caso nella logica formale (vado a memoria) si distingue fra argomentazione valida e argomentazione vera: la prima è tale (valida) per la forma logica, la seconda è tale (vera) per il contenuto. La compilazione dei valori di verità (che non sono solo "V" e "F", come insegnano le logiche polivalenti, paraconsistenti, etc....) non spetta al linguaggio, ma alla attività di verifica (come dice il nome stesso) in tutte le accezioni possibili.
Ad esempio, il sillogismo:
- l'influenza-k si manifesta solo a causa del virus-x
- l'unico effetto del vaccino-y è disinnescare sempre il virus-x
- il vaccino-y impedisce l'influenza-k
è un ragionamento (per come la conclusione è derivata dalle premesse) valido... ma è anche vero? Ovvero come attribuire i rispettivi valori di verità? Questo il linguaggio non può farlo, bisogna uscirne... ed è "là fuori" che nascono i problemi (ma non possiamo darne la responsabilità esclusivamente al linguaggio... proprio come quegli stenografi del tribunale che si trovano diligentemente a trascrivere i processi non hanno colpe o meriti per la "giustizia" o meno della sentenza finale).

Lou

#175
@Ipazia
"Quindi la struttura triadica peirciana può essere un bel modellino rappresentativo di un processo, ma da qui all'ontologia il passo è mooolto lungo. "
Non troppo, una ontologia che non ricade in questo processo, che non si fa a sua volta segno, sarebbe del tutto muta, sine "logia", detto banalmente, non sarebbe tale. Ma le neuroscienze di discorsi e narrazioni ne fanno assai..:) che poi se nel loro a(m)bito di pertinenza non si sognano che un fotone possa esser segno, beh su questo aspetto, chissà.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

sgiombo

Citazione di: Phil il 14 Novembre 2018, 11:17:20 AM

Senza lingua non si dà il concetto di "verità" (e tutte le sue estensioni), ma solo percezioni, eventi, azioni e reazioni della verita biologica.

Concordo con tutto l' intervento # 166.

Solo a questa affermazione mi sentirei di obiettare che esiste anche il pensiero non linguistico, per quanto raramente usato da noi umani che ci siamo inventati il linguaggio il quale (oltre a consentirci di comunicare) moltiplica "prodigiosamente" anche le potenzialità e l' efficacia del pensiero (molto più di quanto un' aereo -invenzione artificiale- moltiplichi la velocità dei nostri viaggi rispetto al cammino o alla corsa -dotazioni naturali).
Certamente il pensiero non linguistico (non simbolico) é molto meno "preciso" e più "impacciato" rispetto al pensiero linguistico, di fatto impossibilitato a compiere troppo lunghe serie di concatenazioni argomentative. Tuttavia non per questo non può consentire credenze e conoscenze vere.
Per esempio si può pensare non linguisticamente quanto linguisticamente é comunicabile (oltre che pensabile) con le parole "amo questa donna" o "domani spero di poter fare un bel giro in bici".
Se così non fosse, ne dovremmo trarre una conclusione con tutta evidenza falsa: che che sia colpito di afasia non sia in grado di pensare, di avere credenze e conoscenze vere.

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 14 Novembre 2018, 13:21:45 PM
Citazione di: Lou il 14 Novembre 2018, 10:00:36 AM

Non vi è differenza, a mio parere, in quanto, se parliamo della semiotica peirciana che è acclaratamente anti-intuizionista , il segno (sia icona, che indice che simbolo - che sono i principali, che hanno la stessa funzione mediatrice, in questo senso non vi è differenza) è il mediatore tra oggetto e interpretante, che sono i tre poli della struttura triadica, dove certamente è il segno a determinare la mediazione  perchè si dia interpretazione, ma il il motore che innesca il circuito delle interpretazioni è l'oggetto.

"pc" è un segno (simbolo, in quanto è un segno linguistico) che sta per l'oggetto dinamico, la realtà esterna (o "cosa in sè) in tutta la sua complessità reale di cui attraverso la semiosi illimitata ne cogliamo alcuni aspetti/proprietà, dando approssimazioni di essa.

Pare proprio, secondo le neuroscienze (che tu hai dimostrato di apprezzare), che il mediatore tra l'oggetto e l'interprete siano fotoni, elettroni e sostanze chimiche denominate mediatori, recettori, neurotrasmettitori. Tutta roba che nessuno si sogna di chiamare segno. Quindi la struttura triadica peirciana può essere un bel modellino rappresentativo di un processo, ma da qui all'ontologia il passo è mooolto lungo. Vedo che i commenti si soffermano sul linguaggio, dove effettivamente l'ontologia del segno e del simbolo è più cristallina. Incluso il segno concettuale che si riscontra in ogni simbolo logico. Ma lì rimane. Come lo interpreta e rimasterizza la cpu umana non è proprio alla portata della triade. Pretendere che lo possa fare sarebbe come attribuire vita propria ai byte e bit del linguaggio informatico, glissando sul fatto che sono solo sequenze di interruttori elettrici aperti e chiusi la cui combinazione opera su una cpu del cui funzionamento, a differenza del cervello umano, sappiamo tutto.

Quello di cui parli qui non sono "le neuroscienze" ma invece l' interpretazione (filosofica) monistica materialistica di quanto le neuroscienze ci insegnano (cioé, per dirlo in due parole, che non si dà alcuna determinata esperienza cosciente in generale, e in particolare alcun determinato pensiero, e più in particolare ancora alcun determinato pensiero simbolico - linguistico senza un determinato processo neurofisiologico in un determinato cervello; e viceversa. Punto e basta).

Fotoni, elettroni e sostanze chimiche denominate mediatori, recettori, neurotrasmettitori non sono affatto il mediatore tra l'oggetto e l'interprete del linguaggio; sono soltanto ciò che al linguaggio pensato o parlato dal parlante (interprete), che é interno alla (accade nella) esperienza cosciente* del parlante stesso corrisponde inevitabilmente (se si danno le "opportune condizioni di recezione sensibile - osservazione") all' interno di ben altre esperienze coscienti** (non ciò che pensa -e dice- il parlante ma ciò che altri possono vedere se osservano il cervello del parlante).

sgiombo

#178
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Novembre 2018, 13:36:44 PM
Citazione di: Ipazia il 13 Novembre 2018, 21:27:07 PM
Ma anche no. Il fenomeno di un'eruzione vulcanica può corrispondere al segno e al concetto di una forza tellurica o di una manifestazione divina in base alle credenze dell'osservatore.


E meno male. Quindi esiste anche una conoscenza extralinguistica.




Ciao Ipazia
C'è evidentemente stato un momento in cui un interprete ha prima pensato, poi detto, questa è una "eruzione
vulcanica". Successivamente, altri interpreti hanno preso quel significato e, sulla base delle loro credenze,
hanno formulato altri significati.
Secondo la mia opinione non è importante (non è importante in questo contesto, non in generale) conoscere
il "punto" della catena segnica ove si trova quella o quell'altra interpretazione, bensì sapere che
tutte queste interpretazioni sono tali in quanto "fenomeni" (kantianamente intesi, naturalmente).
Se poi linguisti e cognitivisti fanno certe distinzioni beh, le faranno certamente con delle ragioni (io
qui mi limito a "coniugare" la semiotica con il kantismo, e a cercare di vedere se ne può scaturire
qualcosa di interessante).
Come ho avuto modo di dire molte volte, è bene essere consapevoli che la conoscenza extra-linguistica "esiste",
ma presenta la forma della contraddizione.
Ad esempio, non ritengo sia immaginazione il pensare ad un universo preesistente a qualsiasi interprete (o ad uno
sperduto pianeta fuori dalla portata di qualunque telescopio). Eppure, queste realtà si "danno" alla nostra
conoscenza solo nel momento in cui divengono "fenomeni" per degli interpretanti che li "nominano"
inserendoli in una precisa catena linguistica.
saluti

Ma non c'é nessuna contraddizione fra l' essere reale di un universo preesistente a qualsiasi interprete (o di uno
sperduto pianeta fuori dalla portata di qualunque telescopio e il non essere reale di alcun interpretante che lo sappia e ne parli:

Ciò che é edtto essere (reale) non si identifica affatto con ciò che é detto non é (reale).

Concordo comunque che la connotazione o intensione cogitativa dello stesso ente o evento reale può essere diversissima (eruzione vulcanica, evento tellurico, manifestazione divina, manifestazione diabolica e chi più ne ha più ne metta), anche se tale ente o evento se può essere significato -come denotazione o estensione reale- con le medesime parole.


La stessa "cosa" reale può essere connotata come un pianeta (Venere) una stella visibile al mattino, una stella visibile alla sera.

sgiombo

Citazione di: InVerno il 14 Novembre 2018, 13:38:30 PM
Citazione di: Phil il 14 Novembre 2018, 11:17:20 AMCredo si possa ben affermare che ogni linguaggio, o meglio, lingua, una volta decontestualizzata, "vale" un'altra: «sedia» o «chair» o «chaise», l'importante è che sia chiaro per chi si esprime, ed eventualmente per chi ascolta, l'oggetto (o meglio l'identità) di cui si parla; altrimenti il linguaggio non comunica e dunque non funziona.
E' un po troppo facile chiudendo il cerchio alle lingue indoeuropee, che sono pressochè identiche. Se prendo la parola "tempo" per esempio, anche decontestualizzata, ha un diverso significato a seconda di ceppi linguistici. Alcuni indicano il progredire del tempo "in avanti" rispetto al soggetto (come noi europei), altri indietro, altri verso l'alto.. In alcune lingue della Nuova Guinea non esiste il saluto, e ciò che tradurresti come "parola di saluto" è invece la domanda "dove stai andando?" cosicchè tutta la tribù ha accesso ad un sistema di georeferenziazione linguistica ogniqualvolta si saluta. La stessa "verità" in molte lingue ha diverse varianti senza complemento (oggettiva, relativa etc) che indicano concetti completamente diversi, e non concetti che si differenziano attraverso un complemento, il che fa una grande differenza con o senza contesto.


Malgrado tutto ciò vorrà pur dire qualcosa il fatto che con un po' di pazienza quasi sempre (la perfezione non esiste!) si riesce di fatto a tradursi reciprocamente i concetti e ad intendersi (altrimenti nemmeno queste considerazioni sulle differenti sfumature nel modo di simbolizzare il mondo da parte delle varie lingue non avrebbero senso).

(Spero proprio che a questo punto nessuno tiri in ballo la solita bufala dei settecentodiciannovemilatrecentoquarantadue e mezzo  modi di dire "neve" degli Esquimesi).

Discussioni simili (5)