contro il riduzionismo neurologico

Aperto da davintro, 24 Ottobre 2017, 00:06:21 AM

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paul11

Davintro,
sono d'accordo su tutta la parte di premessa, ho delle perplessità che la fenomenologia di Husserl a cui fai riferimento sia la strada "giusta". C'è un problema ontologico nel suo epochè o giudizio in sospensione.
Husserl è stato importante storicamente nel togliere lo steccato fra oggetto e soggetto, aprendo a due strade,
una filosofica che è l'esistenzialismo ,ma non in "senso stretto" e l'altro alla scienza naturale, perché dopo di lui
diverse branche di scienze hanno accettato questo nuovo approccio scientifico ,dalla psicologia alla corrente costruttivista.

Alla scienza chiederei semplicemente: ci sono 4 forze o interazioni fondamentali, elettromagnetismo, gravità ,
interazione nucleare debole, interazione nucleare forte.
Il pensiero a quale delle 4 forze risulterebbe? Le imaging utilizzano l'elettromagnetismo, un computer lavora sull'energia elettromagnetica ,il nostro corpo percepisce sensitivamente l'elettromagnetismo dai sensi.
Allora perché non appaiono i nostri pensieri? Siamo sicuri che è dominio fisico, quale energia porta al pensiero e quale energia costituisce il pensiero?

sgiombo

Citazione di: baylham il 26 Ottobre 2017, 15:59:29 PM
A sgiombo

La neuroscienza è un campo relativamente giovane, i progressi mi appaiono rilevanti, sia dal punto di vista teorico che tecnico.
Intuisco i problemi sottostanti alla ricerca scientifica sulla mente, forse sono irresolubili, il principale mi sembra l'autoreferenzialità e la relazione soggetto-oggetto. Infatti sono problemi schiettamente filosofici.
Posso immaginare che nel futuro il pensiero di un individuo possa essere letto attraverso una tecnologia. Già ora considero il linguaggio una causa ed effetto della mente. Inoltre comprendo il rigore e la precisione dei modelli matematici e quantitativi tuttavia non li considero essenziali per la scienza, che quindi può bene occuparsi della mente. Conosco la tua posizione dualistica sulla mente e cervello ma la mia posizione è monista. In particolare condivido l'impostazione biologica ed evoluzionista darwiniana di Edelmann.

CitazioneNaturalmente sono anch' io ben consapevole delle nostre divergenze di opinioni sulla portata dei progressi compiuti dalla neurologia negli ultimi decenni e di quelle relative alle rispettive concezioni ontologiche.

Non comprendo però come la scienza possa fare a meno de- (non siano per essa essenziali) il rigore e la precisione dei modelli matematici e quantitativi (e dunque in che modo, per questo motivo, possa occuparsi della mente; ovviamente non nel senso di limitarsi a stabilire le corrispondenze fra processi cerebrali e processi coscienti, che mi pare fosse un programma scientifico ben chiaro e fuori discussione fin dai tempi di Broca e Wernicke).

Mi resta inoltre un dubbio circa la possibilità (che mi pare tu intenda in senso effettivo, pratico, di fatto e non solamente teorico, di principio) che nel futuro il pensiero di un individuo possa essere letto attraverso una tecnologia.
Non credo nel senso che si possano produrre macchine che, analizzando l' imaging neurologico esternamente osservabile intersoggettivamente da "osservatori" di un determinato cervello, riproducano esteriormente, intersoggettivamente, "in terza persona" le esperienze coscienti interiori, soggettive "in prima persona" o "private" ad esso corrispondenti, così da immediatamente farle sentire agli utilizzatori di tali macchine.
Questo infatti non é possibile nemmeno solo in linea teorica o di principio dal momento che inevitabilmente ciò che tali macchine farebbero percepire agli osservatori che le utilizzassero non potrebbe che essere costituito da dati empirici esterni, intersoggettivi, "in terza persona" e non da sensazioni interiori soggettive, "private" "in prima persona" ( e dunque non dal pensiero soggettivo, "privato" "in prima persona" dell' individuo in questione): quanto da me scritto qui sopra in grassetto é puramente e semplicemente contraddittorio.
Credo che in linea teorica o di principio (anche se non credo di fatto, per parte mia) ciò che simili macchine comunicherebbero agli osservatori di un determinato cervello che le impiegassero potrebbe al massimo essere costituito da una sorta di resoconto linguistico simile alla descrizione che del proprio pensiero potrebbe fare il "titolare" del cervello osservato (che non é una sorta di impossibile perché autocontraddittoria sensazione pubblica in terza persona di quanto privatamente sta esperendo in prima persona).


sgiombo

Citazione di: viator il 25 Ottobre 2017, 09:44:29 AM
Salve. Per Sgiombo: La forma non rappresenta l'insieme dei profili visibili di qualcosa. Tale parola è il condensato filosofico del termine struttura. LA FORMA E' LA STRUTTURA INTRINSECA DI QUALCOSA, CIOE' L'INSIEME DELLE RELAZIONI CHE NE LEGANO I COMPONENTI, GLI INGREDIENTI.

Con centomila mattoni identici collocati all'interno di volumi identici, si possono costruire centinaia di edifici diversi. La stessa qualità e quantità di sostanza, se diversamente disposta all'interno di un medesimo spazio, genera strutture diverse. IO SONO LA FORMA DELLA MIA COSCIENZA LA QUALE E' COSTITUITA DALL'INSIEME DEL TUTTO PERSONALIZZATO, INDIVIDUALE ED IMMATERIALE DEI COLLEGAMENTI TRA I NEURONI OSPITATI DALLA MIA SCATOLA CRANICA.
CitazioneCome con centomila mattoni identici collocati all'interno di volumi identici, si possono costruire centinaia di edifici diversi, e non altre cose che edifici (nessun fiore, frutto o animale, per esempio), così con miliardi e più di diverse connessioni sinaptiche in diversi cervelli si possono realizzare moltissimi diversi cervelli in moltissime diverse situazioni funzionali.
Ma le numerosissime esperienze coscienti ciascuna delle quali necessariamente corrisponderebbe a ciascuno di tali cervelli non sarebbero comunque la stessa cosa di tali cervelli, non si identificherebbero con essi.

Dunque la forma del tuo cervello percepibile da altri intersoggettivamente "in terza persona" (qualsiasi cosa sia: confesso che non l' ho ben capito) ) é una cosa, la forma (qualsiasi cosa sia) della tua esperienza cosciente percepita da te soggettivamente "in prima persona" é ben altra cosa (essendo cose reciprocamente ben diverse quelle delle quali sono le forme).

sgiombo

Citazione di: viator il 26 Ottobre 2017, 18:04:38 PM
Salve a tutti. Per Sgiombo: tutto quello che citavi circa la mia (o altrui coscenza) rappresenta i CONTENUTI COSCIENTI DELLA MIA MENTE (poi ci sono i contenuti inconsci, ospitati dalla psiche) e non la FORMA della mia COSCIENZA.

Tornando alla descrizione di un edificio, quelli che citavi sono gli arredi degli ambienti dell'edificio, non la disposizione ed il ruolo dei diversi ambienti dell'edificio.
L'edificio ha anzitutto delle fondamenta: il corpo (senza il quale non esiste NESSUNO PSICHISMO, NESSUN MENTALISMO, NESSUNA SPIRITUALITA'). Sulle fondamenta poggia la struttura portante formata da colonne : l'istinto di sopravvivenza. A questo punto abbiamo uno scheletro che è in grado di reggersi (può quindi "sopravvivere" passivamente) ma è privo di funzioni chiare e ragionevoli.
Occorre completare, raffinare, RENDERE PIU' COMPLESSA la struttura, LA FORMA, per poter utilmente allestire l'edificio. Questo è il lavoro del costruttore, cioè dell'evoluzione darwiniana.
Si provvede allora a suddividere gli spazi interni per creare ambienti diversi. Al piano terreno creeremo un unico ambiente assai ampio e soprattutto pieno di aperture vetrate che permettano di veder fuori e, da fuori, di veder dentro (una specie di autosalone!!). Cinque vetrine che chiameremo SENSI. Servono per comunicare all'esterno o dall'esterno.
Al primo piano invece creeremo un ambiente privo di finestre: la PSICHE.
Al secondo piano, altro ambiente senza finestre : la MENTE, con un tramezzo che divide la COSCIENZA dall'INTELLETTO
Al terzo piano, l'ultimo ambiente. Anch'esso senza finestre ma con il soffitto di vetro perchè dovrà permettere agli occupanti di poter osservare solo ciò che è sopra di loro : si chiamerà CAPACITA' di ASTRAZIONE........................................
La parte più interessante della costruzione, una volta che essa risulti completata, sarà poi l'impianto elettrico, installato nelle colonne portanti, e che permetterà ai diversi piani di comunicare tra loro......................
A questo punto non posso però dilungarmi, ma è proprio oltre la CAPACITA' di ASTRAZIONE che inizia il cammino che genera lo SPIRITUALISMO, cioè la struttura sempre più minuta ed ordinata dell'interiorità - questa volta umana e non più edilizia - talmente complessa da non potersi nemmeno più chiamare STRUTTURA bensì' PURA FORMA. Infatti la COSCIENZA consiste nella capacità di concepire astrattamente sia il significato della propria identità che l'esistenza degli altri.

Perdonate la rozza allegoria con la quale ho cercato di spiegare in cosa consista la STRUTTURA di una costruzione indipendentemente dai materiali impiegati, dalla tinteggiatura delle pareti, dall'arredamento etc.
Mentre la STRUTTURA di una costruzione o di un essere umano può variare per robustezza o leggerezza, l'insieme delle funzioni svolgibili ed il grado della loro complessità vanno a costituire la FORMA INTRINSECA di una costruzione. In questo caso del nostro encefalo. Il quale si è geneticamente evoluto mantenendo (grosso modo) la stessa FORMA basata sulla stessa STRUTTURA e sulla stessa SOSTANZA che poi le nostre vicende individuali hanno riempito di CONTENUTI del tutto specifici.
CitazioneMa mentre le fondamenta, i pilastri portanti, i muri, gli intonaci, le finestre, ecc. di un edificio sono in continuità fisica gli uni con gli altri ed esercitano reciprocamente effetti gli uni sugli altri, invece la coscienza non é in continuità col corpo e col cervello, il quale é un insieme di ben diverse sensazioni fenomeniche all' interno di altre coscienze diverse da quella che vi corrisponde.

Ciò che chiami psiche, mente, intelletto, capacità di astrazione mi sembrano in realtà i processi cerebrali a queste funzioni mentali (sulle quali avrei motivi di dissenso che però non mi sembrano essenziali per la comprensione del problema; io per esempio ritengo che tutto ciò che é mentale debba necessariamente essere cosciente) corrispondenti, e non esse stesse.

La selezione naturale ha prodotto (fra l' altro) i cervelli degli animali (uomo compreso) così come sono; ma sulle menti coscienti che ai cervelli corrispondono non ha avuto alcun effetto, dal momento che ai cervelli potrebbero anche non corrispondere esperienze coscienti (altri uomini e animali potrebbero essere delle specie di zombi privi di coscienza comportatisi esattamente come se di coscienza fossero corredati) e nulla cambierebbe nella realtà fisica, e non potremmo accorgercene in alcun modo (e così pure, per dirlo con una metafora antropomorfica, nemmeno la selezione naturale potrebbe accorgersene).

baylham

A sgiombo

Non contesto affatto alla scienza l'impiego di modelli formali matematici, quantitativi, ritengo che non siano essenziali. L'evoluzionismo di Darwin, che considero la teoria scientifica più rivoluzionaria, non ha richiesto alcun modello formale matematico per essere formulato.

Sulla lettura del pensiero. Il pensiero ha la forma del linguaggio, il linguaggio è una tecnica di comunicazione tra gli uomini. C'è un linguaggio interiore, il pensare, il parlarsi, e uno esteriore, l'esprimere il pensiero, il parlare all'altro. Come è possibile comprendere il linguaggio esteriore immagino che sia possibile l'invenzione di un congegno tecnologico che legga, senta, riveli il pensiero interiore. Ovviamente non ritengo possibile l'immedesimazione delle coscienze, la cessazione della distinzione, relazione tra soggetto ed oggetto, tra esperienza interiore ed esteriore, come è altrettanto impossibile l'autoreferenzialità della coscienza. Questi sono temi centrali della filosofia ma riguardano anche la scienza e la religione.


Tornando al nucleo dell'argomento ripeto la mia impressione che si imputi alla scienza, nello specifico la neuroscienza, delle limitazioni di cui molti scienziati sono consapevoli, mentre tali deficienze andrebbero attribuite in maggior grado alla religione e alla filosofia, dato che le condizioni da cui originano fanno parte dei loro temi principali.

Studiare la mente in termini di forze elettromagnetiche, ormoni, sinapsi è estremamente riduttivo, ma quale approccio, indirizzo alternativo propone la filosofia o la religione? Qualche indicazione, per esempio, su come accade che la realtà spirituale o Io o anima sia influenzata da allucinogeni, psicofarmaci o altre sostanze oppure dalle demenza senile o malattia di Alzheimer.

sgiombo

Citazione di: baylham il 27 Ottobre 2017, 16:08:54 PM
A sgiombo

Non contesto affatto alla scienza l'impiego di modelli formali matematici, quantitativi, ritengo che non siano essenziali. L'evoluzionismo di Darwin, che considero la teoria scientifica più rivoluzionaria, non ha richiesto alcun modello formale matematico per essere formulato.
CitazioneLa scienza empirica (prescindendo dalla matematica pura) non é di certo limitata alla biologia, ma comprende anche la fisica, la chimica, la cosmologia, la geologia, ecc., per le quali l' applicazione della matematica, del suo formalismo, dei suoi calcoli e operazioni quantitative é essenziale.
Dunque, se anche alcune sue branche possono forse farne a meno, non ne può fare a meno di certo la scienza complessivamente intesa.



Sulla lettura del pensiero. Il pensiero ha la forma del linguaggio, il linguaggio è una tecnica di comunicazione tra gli uomini. C'è un linguaggio interiore, il pensare, il parlarsi, e uno esteriore, l'esprimere il pensiero, il parlare all'altro. Come è possibile comprendere il linguaggio esteriore immagino che sia possibile l'invenzione di un congegno tecnologico che legga, senta, riveli il pensiero interiore. Ovviamente non ritengo possibile l'immedesimazione delle coscienze, la cessazione della distinzione, relazione tra soggetto ed oggetto, tra esperienza interiore ed esteriore, come è altrettanto impossibile l'autoreferenzialità della coscienza. Questi sono temi centrali della filosofia ma riguardano anche la scienza e la religione.
CitazionePenso che il pensiero linguistico possa essere comunicato con notevole precisione (quasi sempre, per fortuna, più che sufficiente per intendersi ragionevolmente bene).
La questione che ponevo é che per pensiero si intendono solitamente sensazioni coscienti mentali, esperite privatamente, soggettivamente, "in prima persona", e queste possono essere comunicate ad altri da parte di chi le esperisce e (e in linea teorica ma non in pratica, secondo la mia certamente discutibile opinione) da eventuali congegni artificiali che le ricavassero dall' attività cerebrale di chi le esperisce solo indirettamente attraverso simboli verbali materiali (sonori o visivi), intersoggettivi, vissuti (e non: espressi grammaticalmente) "in terza persona" dal significato condiviso, e non come immediata "condivisione" degli stessi: ciò che accade nelle altre esperienze coscienti ci può essere comunicato a mezzo del linguaggio, non "mostrato" o "fatto sentire" immediatamente come tale, a nessun uomo e a nessuna futuribile macchina é dato di "sbirciare" nelle coscienze altrui.
Ma questa non era propriamente un' obiezione a quanto da te affermato, ma una precisazione a mio avviso necessaria (e tale da evidenziare le differenze fra coscienza e cervello, l' impossibilità di identificare l' una con l' altro) che ti chiedevo se condividi, come mi pare chiaro di fatto sia da questa tua risposta.



Tornando al nucleo dell'argomento ripeto la mia impressione che si imputi alla scienza, nello specifico la neuroscienza, delle limitazioni di cui molti scienziati sono consapevoli, mentre tali deficienze andrebbero attribuite in maggior grado alla religione e alla filosofia, dato che le condizioni da cui originano fanno parte dei loro temi principali.

Studiare la mente in termini di forze elettromagnetiche, ormoni, sinapsi è estremamente riduttivo, ma quale approccio, indirizzo alternativo propone la filosofia o la religione? Qualche indicazione, per esempio, su come accade che la realtà spirituale o Io o anima sia influenzata da allucinogeni, psicofarmaci o altre sostanze oppure dalle demenza senile o malattia di Alzheimer.
CitazionePer parte mia trovo non più né meno grossolanamente errato e falso dello "spiritualismo o del dualismo interazionista" delle religioni il monismo materialista molto diffuso soprattutto fra i cultori di neuroscienze, specialmente fra quelli che amano spesso discettare di filosofia della mente senza avere un' adeguata preparazione in materia, ma piuttosto radicati pregiudizi "da senso comune" e finiscono generalmente per pretendere di ridurre la mente al cervello..

davintro

grazie a tutti per gli spunti!
 
non volevo negare la necessità di uno studio della componente materiale del cervello, quindi do ragione a Jacopus riguardo l'ammettere la validità dei risultati delle scienze naturali, come appunto le neuroscienze, anche perché io non intendevo soffermarmi sullo studio del cervello in sé, ma provavo ad argomentare la non esauribilità a partire dal cervello dei temi della coscienza, e dell'aspetto spirituale. Considerando lo spirituale non come sostanza separata ma forma immanente alla materia, lo stesso cervello, non è, come nessun ente, pura materia, bensì materia formata, da una forma che consiste nel principio vitale e razionale che lo configura in un certo modo e lo determina come supporto dalle varie funzionalità cognitive, nonché supporto del formarsi dei vari vissuti sensibili o sentimentali-assiologici che costituiscono il flusso di coscienza. Inteso in questo modo, la stessa localizzazione cerebrale di alcune componenti psichiche non andrebbe necessariamente interpretata come fisico causa efficiente dello psichico, ma al contrario come modellazione del fisico per rendersi adeguato all'essere supporto della forma psichica che pone la materia come contenuto del suo interagire con l'esterno. In questo senso la validità dei risultati delle scienze naturali, fintanto che indagano la materialità del cervello, va certamente riconosciuta, come integrazione ai risultati dell'approccio filosofico, fintanto che non presumono di essere onniesplicativi del problema della coscienza, travalicando i limiti ontologici del loro ambito di attinenza, quello materiale, che non esaurisce la realtà in questione, anche se ne fa parte a pieno titolo.
 
Rispondendo a Phil mi verrebbe da dire che il riconoscimento del ruolo fondamentale del cervello nella percezione localizzata del dolore, non cambia il senso del mio discorso riguardo la localizzazione spaziale dei sentimenti sensibili come appunto il dolore, che il meccanismo comprenda come medium necessario il cervello, non cambia il fatto che il dolore viene avvertito nel punto in cui il corpo subisce un'azione causale di un oggetto, in un rapporto di causalità prettamente fisico, e che dunque la spazializzazione di un vissuto sia una ragione sufficiente per ammettere un dualismo tra vissuti caratterizzati da tale spazializzazione, e quelli che non lo sono, e che dunque dovrebbero essere ricondotti ad un'origine distinta da quella corporea, seppur mai separata da essa, cioè l'Io inteso come soggetto di atti intenzionali regolati da una causalità non di tipo fisico, ma motivazionale, spirituale, una causalità che non consiste nel "mi dai un calcio alla gamba ergo provo dolore", ma nel "mi stai a cuore ergo mi preoccupo per te". Non sentirei il dolore se fossero recisi i nervi, ma in ogni caso il presupposto del dolore è la presenza di una certa struttura fisica, che comprende i nervi, e ciò è sufficiente per ricondurlo nella serie di vissuti la cui origine può essere spiegate fermandosi al livello della dimensione psico-fisica, ma non spirituale, che era il punto che mi interessava quando sono andato a esporre.
 
Concordo con la precisazione di Sgiombo riguardo la considerazione del cervello come "strumento". Effettivamente messa come l'avevo posta parlare di "strumentalità" poteva sembrare alludere a un rapporto troppo estrinseco tra mente e cervello, come se quest'ultimo fosse solo qualcosa che, una volta effettuata una certa azione, potrebbe anche essere dismesso o sostituito da qualcos'altro, come noi usiamo forbici o tagliacarte come strumenti, solo fino a quando non ne troviamo di più efficienti per poterli sostituire. In realtà il cervello è condizione necessaria per il funzionamento di attività cognitive, che private di un contenuto materiale a cui applicarsi non potrebbero in alcun modo porsi come sostanza autosufficiente. Intendendo l'uomo non come puro forma, né come pura materia, ma sintesi delle due componenti, allora è inevitabile che l'interazione con il mondo esterno, nelle quali le funzioni cognitive si attuano, cioè l'interazione con l'ambito della causalità fisica, presupponga il coinvolgimento della materialità, che sia adeguata a esprimere la forma immateriale che le attribuisce il proprio modo d'essere e funzionalità. In questo senso parlavo di "strumento", adeguazione della materia ai fini posti dalla coscienza, che però a sua volta necessita di tale substrato materiale per interagire con un mondo materiale a sua volta composto da enti materiali.
 
La coincidenza essere-apparenza la riferisco alla coscienza intesa come complesso degli atti di un Io cosciente, cioè complesso di vissuti intesi dal punto di vista soggettivo, il residuo del radicalizzarsi del dubbio riguardo le pretese conoscitive dei giudizi riferiti al mondo, inteso come insieme di fatti esistenti. In questo senso, non è possibile negare la realtà della coscienza: posso mettere in dubbio i giudizi riferiti al mondo dei fatti oggettivi , trascendenti, ma non la mia esperienza soggettiva, che in quanto tale, soggettiva, non rientra tra gli oggetti del giudizio, dunque è sempre al riparo da ogni possibile dubbio riferito a quei giudizi. Va distinto il soggetto empirico, anche se portatore di coscienza, e il soggetto trascendentale. Quell'esistenza soggettiva, che resterebbe reale anche in assenza di attività soggettiva mentale (i casi del sonno senza sogni, del coma ecc.), rientra nell'aspetto empirico, che effettivamente rientra tra l'ambito potenziale della messa in discussione, effettivamente per quanto ne so, potrei smettere di esistere nel sonno, e nel come, per poi tornare di nuovo all'esistenza ad ogni risveglio, dato che non esisterebbe un'autocoscienza che attesti una reale continuità. L'esistenza che invece non può essere messa in discussione, cioè rientra nell'ambito del non-dualismo tra verità e apparenza, è il soggetto trascendentale, quel nucleo del soggetto pensante la cui esistenza è necessariamente dedotta dall'esistenza della coscienza, come abbiamo visto necessaria. Una volta ammessa la non dubitabilità della mia coscienza, questa però richiede, per la sua attualità reale, che non sia solo astrazione, ma che sia supportata da un soggetto reale, avente una reale energia psichica che renda possibile il concretizzarsi dei vissuti della coscienza, anche se di tale soggetto, l'indubitabilità dovrebbe restare entro i limiti per i quali esso si pone come necessario supporto della coscienza, a sua volta riconosciuta indubitabile. Cioè se nella coscienza essere e apparenza coincidono, ma a sua volta la coscienza presuppone un soggetto reale, un Io dal quale i suoi atti di esperienza vissuta scaturiscono, allora anche tale soggetto va "salvato" dalla dubitabilità. Del resto la coincidenza realtà-apparenza nel mio post di apertura l'aveva esplicitamente riservata solo alla "coscienza", senza tirare in ballo "soggetti" o "oggetti", proprio alla luce dell'ambiguità della nozione di "soggetto" che può essere considerata in modo diverso, o empirico o trascendentale, dubitabile o indubitabile.
 
Non ho capito come si concilierebbe il rifiuto del riduzionismo materialista per cui la connotazione materiale determinerebbe i vissuti della coscienza con il negare che sia il desiderio dell'azione ad essere la causa dell'azione stessa. Se la coscienza non si esaurisce nella causalità fisica, allora nemmeno le azioni volontarie che provengono da vissuti cosciente, come gli impulsi volontari dovrebbero essere determinati dalle reazioni volontarie, ma proprio dai desideri di compiere le azioni. Tramite l'introspezione noi siamo in grado, di riconoscere le motivazioni che stanno dietro alle azioni, motivazioni legate al sentire etico, il sentire valoriale che differisce da individuo a individuo. Se fosse il cervello la causa fondamentale delle nostre azioni, queste dovrebbero essere pressoché identiche da persona a persona, sulla base di una sostanziale uguaglianza della struttura fisica del cervello, mentre in realtà la differenza proviene da qualcosa di non materiale come il carattere, cioè la sensibilità valoriale che differisce in ogni singolo individuo. Il che non esclude la convergenza di una causalità materiale, la predisposizione materiale del corpo, a partire appunto dal cervello, ad essere adeguato ad assecondare la spinta psichica proveniente dal nostro libero (entro certi limiti) arbitrio.
 
 
Per Angelo Cannata
 
Il rifiuto estremo di qualunque razionalità oggettivante, se coerentemente seguito, impedirebbe qualunque comunicazione e discussione teoretica, dato che il presupposto di ogni confronto è pur sempre la convinzione che ciò si pensa corrisponda alla realtà oggettiva. Non c'è pensiero senza oggettività, il pensiero è proprio ciò tramite cui si supera il livello esperienziale in cui subisce passivamente il flusso dei dati sensibili proveniente dall'influsso degli oggetti esterni, senza alcuna possibilità di rielaborazione e critica, finché si giunge a un livello di distacco che consente di porre il flusso come oggetto distinto da noi, polo verso cui potersi rivolgere attivamente, interpretandolo, concettualizzandolo, individuando delle forme e delle leggi, cosicché il flusso di pure sensazioni immediate diviene mondo di oggetti, latori di un senso che il soggetto può riconoscere. E se spiritualità vuol dire capacità di dare un senso e un valore alle cose, allora essa presuppone necessariamente l'oggettivazione. Ma non solo la comunicazione dialettica, ma anche quella narrativa, quella in cui uno invece di esporre un pensiero, racconta di sé, della propria vita, degli eventi individuali, comunicazione che poi si esprime nelle forme dell'estetica, romanzi, poesie, arti figurative..., diverrebbe impossibile senza pensiero oggettivante. Perché anche quando esprimo una verità soggettiva, che riguarda me, io sto pur sempre riflettendo su di me, cioè oggettivando me stesso, divengo il tema oggettivo a cui la mia attività riflettente, e poi la mia attività espressiva-linguistica si riferisce. In pratica la condanna del pensiero oggettivamente implica la condanna di ogni forma di comunicazione, dato che le parole non sono cose individuali, ma generalizzazioni che il pensiero produce per astrazione dalle cose individuali, che subiscono la nostra attività astrattiva nella misura in cui sono oggetti della nostra coscienza, cioè riconoscibili come distinti rispetto al soggetto, di fronte a noi.


Per Baylam

non necessariamente il "progresso" è un parametro adeguato di validità di un sapere rispetto a un altro. Non ha senso dire che le scienze naturali sarebbero più valide della metafisica perché maggiormente progressive. Ciò che rende valida una forma di sapere è il rispecchiamento della natura degli oggetti che costituiscono il loro ambito di ricerca. L'ambito della metafisica sono i princìpi primi, immutabili in quanto assoluti dell'essere, le altre scienze si occupano della realtà contingente diveniente, quindi nel loro punto di vista la progressività è fondamentale, intesa come costante aggiornamento delle teorie in relazioni al divenire reale dei loro oggetti di studio. Ma non ha senso porre tale progressività come fattore "vincente" in confronto alla metafisica, in quanto la metafisica, mirante a individuare princìpi e leggi aprioriste e immutabili, non deve mirare a essere progressiva, ma deve raggiungere certezze il più possibile definitive, che rispecchino il carattere d' immutabilità, cioè necessità, dei propri oggetti di indagine. Se mi interessa cogliere i princìpi immutabili, allora il divenire della ricerca non potrebbe essere elemento positivo, ma limitativo, in quanto testimoniante l'incapacità di raggiungere il fine della ricerca, cioè una visione teorica definitiva che rispecchi l'immutabilità degli oggetti della visione. Cioè non ha a mio avviso senso, confrontare le scienze naturali, empiriche e induttive, con la razionalità metafisica deduttiva e speculativa, sulla base di un parametro, quello della "progressività" totalmente interno all'ottica di una delle parti in confronto, cioè le scienze naturali.

Senza contare che il termine "progresso" presuppone una valenza positiva, qualcosa che tende verso il miglioramento, applicato alla conoscenza, vorrebbe dire che i risultati della ricerca migliorerebbero via via lo stato attuale e provvisorio delle conoscenze scientifiche in direzione del conseguimento di una meta ideale, cioè il sapere assoluto e totalizzante. Per dire che la scienza amplia sempre di più la verità sulle cose io devo per forza presupporre un ideale, un modello regolativo di "verità" in relazione al quale lo stato delle ricerche si starebbe sempre più avvicinandosi. Se io parto da Milano e affermo di stare sempre più avvicinandomi a Roma, come potrei affermarlo se non avessi già in questo momento un'idea della locazione di Roma? Dunque affermare che le scienze naturali siano "progressive" implica porre apriosticamente un'idea di verità universale, seppur vaga e generica, del fine verso cui i risultati di tali scienze starebbero conducendo l'uomo, ed è la filosofia a definire l'ideale regolativo di verità universale, certo non ricavabile per via empirica, dunque a individuare il fine ultimo e il senso del divenire della scienza. Tutto ciò è ulteriore testimonianza che ogni critica alla filosofia, come il contrapporre alla sua (presunta) staticità il valore progressivo delle scienze particolari, è pur sempre critica filosofica. Solo la filosofia possiede gli strumenti per criticare se stessa. Ecco perché tutti gli epistemologi, coloro che hanno riflettuto sulla scienza, sui suoi metodi, sui fini, sulle possibilità, i limiti ecc. sono sempre filosofi, l'epistemologia è una branca della filosofia, filosofia della scienza, mentre non mi risulta esistano branche della fisica, della chimica, della biologia che riflettano sui problemi filosofici, ed ecco perché lo stesso positivismo che in nome del progresso delle scienze sperimentali vedeva lo spazio della metafisica via via ridursi fino a scomparire, era a tutti gli effetti una corrente filosofica, non scientifica. Sono convinto che gli scienziati, quelli autentici e seri, non trovino in alcun modo sensato contrapporre il loro lavoro a quello dei filosofi, sentendosi migliori, ma si limitino a concentrarsi sul loro lavoro rispettando la distinzione dei diversi ambiti di ricerca, senza sconfinare o squalificare gli ambiti a loro trascendenti.

Phil

Citazione di: davintro il 03 Novembre 2017, 17:01:46 PM
il senso del mio discorso riguardo la localizzazione spaziale dei sentimenti sensibili come appunto il dolore, che il meccanismo comprenda come medium necessario il cervello, non cambia il fatto che il dolore viene avvertito nel punto in cui il corpo subisce un'azione causale di un oggetto, in un rapporto di causalità prettamente fisico, e che dunque la spazializzazione di un vissuto sia una ragione sufficiente per ammettere un dualismo tra vissuti caratterizzati da tale spazializzazione, e quelli che non lo sono, e che dunque dovrebbero essere ricondotti ad un'origine distinta da quella corporea, seppur mai separata da essa, cioè l'Io inteso come soggetto di atti intenzionali regolati da una causalità non di tipo fisico, ma motivazionale, spirituale, una causalità che non consiste nel "mi dai un calcio alla gamba ergo provo dolore", ma nel "mi stai a cuore ergo mi preoccupo per te".
Non è il tema centrale, ma vorrei capire meglio questa dualità fra vissuti spazializzati e non-spazializzati. Nel mio piccolo, mi pare che anche i vissuti psichici-emotivi abbiano una "spazializzazione": il mio "preoccuparmi per te"(riprendo il tuo esempio, non dico sul serio ;D ) ha un suo posto nella mia coscienza/spirito/anima/psiche/etc. che, almeno in questo caso, mi sembra localizzata stabilmente nel mio cervello. Lo dimostra la variazione dei parametri fisiologici gestiti dal cervello (se sono in ansia per te avrò battiti alti e altri sintomi fisici tutti regolati, se non erro, proprio dal cervello), inoltre tale ansia sfumerà quando il mio cervello sarà distratto da altro (supponiamo l'incontro improvviso con un vecchio amico che mi riporta alla memoria episodi passati emotivamente rilevanti). Reazioni fisiche (vissute emotivamente) e attività di pensiero condizionante: il ruolo del cervello non è quindi marginale nel mio all'essere preoccupato per te; come/perché supporre che tuttavia ci sia dell'altro?

Indubbiamente non ho una percezione sensibile del mio cervello e della sua attività, come non ho una percezione sensibile di un mio rene e della sua funzione (salvo sia ammaccato o dolorante); infatti se mi chiedi esattamente dov'è, non so indicartelo per sensazione percettiva, ma solo per cognizione di (carenti) studi del corpo umano, ma ciò non toglie che il mio rene funzioni (almeno spero!). Ugualmente i fenomeni di coscienza psichica-emotiva, suppongo ma non sono affatto erudito in materia, siano plausibilmente localizzati nel cervello, poiché neurotrasmettitori e altre "strutture biologiche" producono, rispondendo a stimoli esterni, una reazione fisica che io vivo (rieccoci a "spiegazione vs vissuto") come ansia, gioia, perplessità, etc.
Forse mi dirai che la gioia non ha solo il suo aspetto fisiologico, ma ciò comporterebbe, radicalizzando, che si possa provare gioia anche senza secrezione di endorfina, serotonina o non so quale altra sostanza, perché in fondo è l'anima/psiche/spirito a gioire in sé... siamo sicuri sia possibile un qualche forma di verifica di ciò?
Oppure alludi forse a una catena di reazioni di questo tipo: tu mi dici una bella notizia / la percepisco con l'udito / il mio cervello decodifica il senso di quei suoni / il senso piace alla mia anima-psiche-spirito / l'anima-psiche-spirito innesca un meccanismo cerebrale / il cervello attiva la secrezione di serotonina o altro / provo gioia e annesse reazioni fisiologiche (sorrido, etc.)?
Non si ritorna sempre all'atavica questione aporetica di spiegare come l'immateriale (spirito o altra postulazione) condizioni il materiale (corpo)?

Sariputra

#23
Il problema della coscienza non è univoco. Le neuroscienze al momento attuale non sono in grado di fornire dati sui meccanismi interni del cervello tali da poter spiegare il funzionamento della coscienza e come essa abbia la qualità di emergere dall'attività bioelettrica dei neuroni. Ciò che è possibile attendersi dalla ricerca è l'individuazione nelle strutture del cervello dei correlati neurofisiologici di ciascuna esperienza mentale. Nella consapevolezza che non potrà mai trattarsi di un'equivalenza che abbia il valore di una simmetria funzionale tra struttura neuronale e pensiero.
......... ........

Allos tesso tempo il contributo di altri ricercatori (Parnia 2007) ha messo in evidenza che la coscienza e la mente, in condizione di sospensione della circolazione cerebrale che si determina durante l'arresto cardiaco, continuano a funzionare, mentre si riscontra che l'attività elettrica del cervello è cessata.

( Luigi Scoppola- Il rapporto tra mente e cervello)

Un piccolo contributo alla discussione, che comunque mi sembra di aver compreso fosse già stato toccato da altri... :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Angelo Cannata

Mi aveva incuriosito quest'affermazione a prima vista straordinaria, ma poi, come sempre succede, appena si comincia ad approfondire, tutto svanisce come minimo nell'incertezza, quando non chiaramente nella fantasia o nell'impostura.

Come ha fatto Parnia a giungere all'affermazione che in mancanza di attività cerebrale c'era coscienza? Semplicissimo: si è basato sui racconti dei pazienti, i quali riferivano ricordi relativi a quei momenti.

Ma è ovvio che possedere il ricordo di qualcosa non significa affatto che quel qualcosa si sia davvero verificato.

In questo senso viene in mente un paragone molto facile: è risaputo che persone, che purtroppo avevano dovuto subire l'amputazione di un arto, nonostante i loro stessi occhi dicessero alla loro coscienza che quell'arto non c'era più, avevano la netta sensazione che quell'arto ci fosse ancora. Secondo il criterio di Parnia, questa sarebbe una chiara dimostrazione che esiste un corrispettivo spirituale (o immateriale, chiamiamolo come vogliamo), ad esempio, di una gamba. La gamba ha una sua anima, tant'è vero che l'interessato la percepisce perfettamente presente anche dopo che è stata amputata.

Riguardo all'affermazione di davintro,
Citazione di: davintro il 03 Novembre 2017, 17:01:46 PMNon c'è pensiero senza oggettività
mi viene in mente un altro semplice paragone: secondo questo criterio, anche un gatto potrebbe affermare tranquillamente che non esiste pensiero senza fare "miao", o fisicamente o come minimo mentalmente. La cosa interessante è che questo gatto non potrà mai essere smentito: egli potrà sempre ribattere che siamo noi a non accorgerci che, tutte le volte che elaboriamo un pensiero, in realtà la nostra mente, senza accorgersene, s'immette nella struttura mentale del fare "miao".

Voglio dire, quando uno s'immette in uno schema mentale e decide di mantenersi ermeticamente al suo interno, non solo tutti i suoi conti tornano, ma non esiste neanche alcuna possibilità di smentire le sue affermazioni.

Il problema è che ciò vale per qualsiasi sistema mentale, cosicché alla fine tornano i conti e non c'è possibilità di smentita sia per chi dice che due e due fanno quattro, sia per chi dice che fa cinque.

Sariputra

Citazione di: Angelo Cannata il 04 Novembre 2017, 01:03:51 AMMi aveva incuriosito quest'affermazione a prima vista straordinaria, ma poi, come sempre succede, appena si comincia ad approfondire, tutto svanisce come minimo nell'incertezza, quando non chiaramente nella fantasia o nell'impostura. Come ha fatto Parnia a giungere all'affermazione che in mancanza di attività cerebrale c'era coscienza? Semplicissimo: si è basato sui racconti dei pazienti, i quali riferivano ricordi relativi a quei momenti. Ma è ovvio che possedere il ricordo di qualcosa non significa affatto che quel qualcosa si sia davvero verificato. In questo senso viene in mente un paragone molto facile: è risaputo che persone, che purtroppo avevano dovuto subire l'amputazione di un arto, nonostante i loro stessi occhi dicessero alla loro coscienza che quell'arto non c'era più, avevano la netta sensazione che quell'arto ci fosse ancora. Secondo il criterio di Parnia, questa sarebbe una chiara dimostrazione che esiste un corrispettivo spirituale (o immateriale, chiamiamolo come vogliamo), ad esempio, di una gamba. La gamba ha una sua anima, tant'è vero che l'interessato la percepisce perfettamente presente anche dopo che è stata amputata. Riguardo all'affermazione di davintro,
Citazione di: davintro il 03 Novembre 2017, 17:01:46 PMNon c'è pensiero senza oggettività
mi viene in mente un altro semplice paragone: secondo questo criterio, anche un gatto potrebbe affermare tranquillamente che non esiste pensiero senza fare "miao", o fisicamente o come minimo mentalmente. La cosa interessante è che questo gatto non potrà mai essere smentito: egli potrà sempre ribattere che siamo noi a non accorgerci che, tutte le volte che elaboriamo un pensiero, in realtà la nostra mente, senza accorgersene, s'immette nella struttura mentale del fare "miao". Voglio dire, quando uno s'immette in uno schema mentale e decide di mantenersi ermeticamente al suo interno, non solo tutti i suoi conti tornano, ma non esiste neanche alcuna possibilità di smentire le sue affermazioni. Il problema è che ciò vale per qualsiasi sistema mentale, cosicché alla fine tornano i conti e non c'è possibilità di smentita sia per chi dice che due e due fanno quattro, sia per chi dice che fa cinque.

Possedere il ricordo significa forse che c'era coscienza , altrimenti come si fa a possedere il ricordo circostanziato di quel momento? Comunque le ricerche di Parnia sono considerate 'serie' e scientifiche e si trovano in numerose pubblicazioni scientifiche. Non mi sembra che lo stesso sia giunto a conclusioni che definiscono cos'è o non è la coscienza..."lavori in corso", si direbbe...allo stato attuale sembra che nessuna ricerca sia in grado di capire l'insorgere dela coscienza...ci sono anche quelli che negano che esista del tutto... :)

Nel XX secolo di pari passo con lo sviluppo della fisica moderna e delle neuroscienze sono state proposte diverse teorie sulla formazione della coscienza, nessuna delle quali ancora provata sperimentalmente; una di queste è stata elaborata dal fisico teoricoRoger Penrose ed implicherebbe fenomeni connessi alla meccanica quantistica e alla teoria della relatività .
(Coscienza in Wikipedia),
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Apeiron

Personalmente, a differenza di quanto forse pensa la maggioranza dei miei colleghi scienziati, ritengo che il problema del riduzionismo sia dovuto ad un fraintendimento di cosa è la "coscienza".

Per capirci supponiamo di descrivere un fenomeno mentale, ad esempio io che stamattina decido di scrivere questo messaggio. Supponiamo che il mio cervello sia collegato con un macchinario perfetto che rileva e assoccia correttamente ogni mio pensiero (o altra attività mentale, come un'emozione) ad un determinato fenomeno neurologico. Un fantomatico neuroscienziato che studia la mia attività cerebrale dirà: "ora ti si sono attivati questi neuroni, QUINDI scrivi il messaggio". Questo "QUINDI" mette in relazione un fenomeno "oggettivo" (mi si perdoni il termine dogmatico  ;D ) ossia l'attivazione di "questi neuroni" con un altro fenomeno oggettivo, ossia la mia decisione di scrivere "questo messaggio". Qual è il problema? Semplice questa descrizione fin dal principio non ha MAI tenuto conto che ci possa essere qualcosa di associato a tali fenomeni rilevabili che non può essere rilevato. Il problema di ogni teoria scientifica della coscienza è che fin dal principio esclude la possibilità che esista qualcosa di "non rilevabile". Ergo l'esperienza soggettiva può essere certamente associata a fenomeni "oggettivi" però per sua natura non può essere rilevata.  E questo nel caso estremo in cui è possibile associare ogni fenomeno mentale a qualcosa di neurologico.

Poi ci sono i cosiddetti "philosophical zombies" (zombie filosofico). Visto il carattere soggettivo dell'esperienza e visto che nessuno di noi può avere coscienza di quello che sperimenta "davvero" un altro, se faccio una descrizione dei fenomeni che fin dal principio non tiene conto di eventuali fenomeni non rilevabili allora posso pensare a questo esperimento mentale. Ossia ad "esseri" che si comportano come esseri coscienti pur non essendolo. Questo io ritengo sia il punto fondamentale di questo dibattito. Visto che non è possibile "provare" ciò che prova un altro (e ciò vale anche per la lettura del pensiero: in tal caso io conosco gli stati mentali dell'altro ma non provo ciò che lui prova!) allora per quanto mi riguarda in una descrizione puramente "oggettivistica" posso benissimo dimenticarmi della "coscienza" - o meglio dire della "soggettività". Eppure come ben sappiamo la soggettività c'è. Quindi la domanda è: come posso distinguere se quello che ho davanti è uno zombie filosofico o un essere "senziente"? (questo è legato al problema dei "qualia")

Poi ci sono altri problemi. Ad esempio: l'informazione può essere ridotta alla sua "attualizzazione" fisica. Pensiamo ad un bit e ad avere due sistemi di codifica dell'informazione. Un interruttore spento o acceso e una porta aperta o chiusa. Associo al valore "zero" l'interruttore spento e la porta chiusa. Ora: un calcolatore deve spegnere l'interruttore ogni volta che vede la porta chiusa. La porta si chiude e quindi spegne l'interruttore. Ora il problema è che l'informazione è qualcosa di molto interessante perchè questo "evento" può in realtà avere molti significati. Uno è quello banale appena visto. Un altro è questo: un mio amico per dirmi che è uscito il mio film preferito al cinema chiude la porta. Io ho davanti invece l'interruttore. Lo vedo spegnersi e capisco che è uscito il mio film preferito. Tuttavia il mio amico invece di farmi questo tipo di messaggio poteva anche darmi un colpo di telefono. Come possiamo vedere tutti queste "attualizzazioni" dell'informazione sono "associate" allo stesso significato. Quindi lancio questa sfida al materialista. Da dove dunque nasce il significato?


Altro problema: la stanza cinese di Searle (personalizzo la variante). Io non conosco né il cinese né l'inglese ma sono in possesso di un vocabolario cinese-inglese. Sono intrappolato in una stanza a due porte. Sotto una delle due porte arriva un messaggio in cinese. Io utilizzando il vocabolario traduco la frase dal cinese all'inglese e passo il messaggio sotto l'altra porta. Io non ho capito il messaggio. Però chi riceve il messaggio in inglese può pensare che invece io abbia capito tutto. Se poi questo "vocabolario" in realtà è il testo di un programma di intelligenza artificiale che ha passato il Test di Turing, io ho simulato la capacità di comprendere il testo, pur non comprendendo affatto le lingue (la versione di Searle è più semplice: doveva "solo" tradurre dal cinese all'inglese, che conosceva). Nuovamente come può un osservatore esterno capire se ho "capito" o meno qualcosa? Nuovamente mi si potrebbe dire: guardando l'attività neuronale. Ma nuovamente il fatto che a tale attività sia associata un'esperienza è un mero assioma. Qui non c'è una "spiegazione" dell'esperienza soggettiva.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

X Davintro
 
Poiché potrebbe sembrare che sia stato frainteso, preciso che quando affermo che secondo me dai tempi di Broca e Wernicke la neurologia non ha compiuto progressi "rivoluzionari" o "sostanziali", intendo riferire queste valutazioni alla portata filosofica delle conoscenze neurologiche stesse (senza certo negarne in assoluto la validità e la "bontà" nel loro specifico campo di indagine scientifico): secondo me per un' adeguata filosofia della mente sarebbe stata più che sufficiente (anche se gli sviluppi successivi ne confermano e ampliano le conoscenze filosoficamente rilevanti, ma senza alcun vero e proprio "salto di qualità") la neurologia dei tempi di Brooca e di Wernicke.
 

L' uso (aristotelico?) del concetto di "forma immateriale", accanto a quello di "materia" per affrontare la questione materia-coscienza mi sembra si configuri come un "materialismo di fatto".
Se "Considerando lo spirituale non come sostanza separata ma forma immanente alla materia, lo stesso cervello, non è, come nessun ente, pura materia, bensì materia formata, da una forma che consiste nel principio vitale e razionale che lo configura in un certo modo", allora la forma "immateriale" non é in realtà che un mero aspetto ("dinamico") della realtà materiale, non é che il modo di divenire ordinatamente secondo determinate modalità universali e costanti, di "organizzarsi" (in particolare in seguito alla comparsa nel suo ambito della vita e all' evoluzione biologica) della materia stessa.
E allora resta da risolvere il problema di come, in che senso, questo ente fisico fatto di materia e forma (ovvero, secondo quanto mi par di capire, di materia non informe e caotica ma in divenire ordinato) "lo determina [lo "spirituale", il mentale] come supporto dalle varie funzionalità cognitive, nonché supporto del formarsi dei vari vissuti sensibili o sentimentali-assiologici che costituiscono il flusso di coscienza": il mondo fisico ("materiale" secondo il corrente modo di esprimersi, ovvero costituito da materia e forma costituenti la natura "corporea", e nel suo ambito in particolare il cervello, non comprende in sé la coscienza (e in particolare il pensiero; ma invece neuroni, assoni, potenziali d' azione, ecc. in divenire ordinato secondo le leggi neurofisiologiche perfettamente riducibili a quelle fisico–chimiche) perché é anzi esso stesso ad essere contenuto nella coscienza (di chi di volta in volta lo osserva).
Allora come "La forma psichica che pone la materia come contenuto del suo interagire con l'esterno" potrebbe essere intesa (posto che non potrebbe, del tutto materialisticamente, come i modi di funzionare del cervello)?
 
 
Il dolore viene avvertito nel punto in cui il corpo subisce un'azione causale di un oggetto, in un rapporto di causalità prettamente fisico, ma sia il corpo e l' oggetto, sia il dolore avvertiti spazialmente sono contenuti (con lo spazio stesso) nella coscienza: non é la coscienza ad essere nello spazio (vi é casomai il cervello ad essa corrispondente), ma invece lo spazio a essere nella coscienza, come parte materiale del "vissuto", per l' appunto, cosciente, accanto alla parte costituita dalle sensazioni mentali.
 
 
La distinzione fra il soggetto empirico, anche se portatore di coscienza, e il soggetto trascendentale non riesco a comprenderla se non come distinzione fra (un determinato) soggetto in quanto oggetto fenomenicamente percepito riflessivamente da parte di se stesso "interiormente", come sensazioni mentali ("res cogitans": i suoi pensieri, sentimenti, ecc.), e soggetto "in sé", in quanto "entità noumenica*" al cui "essere in determinate relazioni*" con se stessa corrispondono (nell' ambito della "sua propria" esperienza fenomenica cosciente) determinate sensazioni interiori o mentali, e al cui "essere in determinate relazioni*" con "altre, da se stessa diverse, entità o eventualità noumeniche*" corrispondono nella medesima esperienza fenomenica cosciente determinate sensazioni esteriori o materiali.
Di modo che allorché l' "io" inteso come soggetto in sé della mia propria (di Sgiombo) esperienza fenomenica cosciente "si trova in determinate relazioni riflessive con se stesso*", allora nell' ambito della "sua propria (di Sgiombo)" esperienza cosciente accadono determinate sensazioni interiori o mentali (costituenti l' "io fenomenico", il "soggetto in sé in quanto fenomenicamente percepito" come oggetto,riflessivamente da se stesso); mentre se un altro soggetto in sé (per esempio Davintro) si trova in determinate relazioni non riflessive con l' "io" di cui sopra (Sgiombo, da questo secondo soggetto in sé altro, diverso), allora nell' ambito dell' esperienza cosciente "propria di questo secondo soggetto in sé (Davintro)" accadono determinate sensazioni esteriori o materiali costituite dal determinato cervello corrispondente all' "io" (al primo soggetto in sé considerato: il cervello di Sgiombo) in una determinata situazione funzionale (neurofisiologica).
Ovviamente si danno anche casi nei quali i soggetti in sé di esperienze fenomeniche coscienti non si trovano in relazioni con sé stesse o con altre diverse "entità o eventualità noumeniche*" tali che ad esse corrispondano eventi fenomenici coscienti, né materiali, né mentali: sonno senza sogni.
 
Dunque l'esistenza che rientra nell'ambito del non-dualismo tra apparenza fenomenica mentale e materiale, è per me il noumeno, comprendente il soggetto in sé, il soggetto senziente materia e pensiero (fenomenici) l' esistenza del quale è dedotta dall'esistenza della coscienza come non limitata all' esistenza dell' esperienza fenomenica cosciente stessa, (alla coesistenza con quest' ultima), ma comunque secondo me non dimostrabile né men che meno mostrabile (empiricamente, fenomenicamente constatabile) ma invece solo ipotizzabile per spiegare i nessi e rapporti esistenti fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti (peraltro anch' essi credibili ma non dimostrabili).
 
Concordo peraltro con la non dubitabilità della mia coscienza, e col fatto che questa però richiede, per la sua attualità reale, che non sia solo astrazione, ma che sia supportata da un soggetto reale, anche se di tale soggetto, l'indubitabilità dovrebbe restare entro i limiti per i quali esso si pone come necessario supporto esplicativo della coscienza, a sua volta riconosciuta indubitabile.
Ma secondo me se nella coscienza essere e apparenza coincidono, ma a sua volta la coscienza presuppone un soggetto reale, un Io dal quale i suoi atti di esperienza vissuta scaturiscono, allora l' "indubitabilità" (la necessità onde comprendere i nessi fra le diverse coscienze) di  tale soggetto é un po' meno forte dell' indubitabilità immediatamente constatata dell' esperienza fenomenica cosciente stessa.
 
 
Il rifiuto del riduzionismo materialista per cui la connotazione materiale determinerebbe i vissuti della coscienza (o vi coinciderebbe) si concilia secondo me con il negare che sia il desiderio dell'azione ad essere la causa dell'azione stessa postulando il "divenire parallelo su piani ontologici reciprocamente trascendenti, in corrispondenza biunivoca senza reciproche interferenze" di materia e mente (entrambe fenomeniche :"esse est percipi"!).
Se decido di alzare un braccio (eventi fenomenici nell' ambito della "mia propria" coscienza, quella "di Sgiombo"), allora inevitabilmente, purché si compiano le appropriate osservazioni, nell' ambito di altre coscienze (per esempio della "tua", quella "di Davintro") accadono determinati eventi fenomenici all' interno del "mio, di Sgiombo" cervello (in esse compreso) costituiti dall' attività neurofisiologica che si conclude con le scariche dei potenziali d' azione dei motoneuroni che determinano le contrazioni muscolari appropriate al gesto del mio alzare quel braccio; dunque non é il desiderio di alzarlo nell' ambito della mia coscienza a determinare causalmente il gesto mio, ma invece sono gli eventi neurofisiologici da esso trascendenti ma biunivocamente corrispondenti che accadono nel mio cervello nell' abito di altre esperienze coscienti diverse dalla mia (e che accadrebbero anche nella mia, comunque trascendendo l' esperienza mentale del desiderio: solamente insieme, contestualmente, o "accanto ad essa", qualora mi fosse possibile osservare - di fatto in qualche modo indiretto, per esempio con la RM funzionale- il mio cervello).
Essendo il cervello la causa fondamentale delle nostre azioni, queste non dovrebbero essere pressoché identiche da persona a persona, in quanto sulla base di un' apparente sostanziale uguaglianza della struttura fisica del cervello in quanto grossolanamente osservata, in realtà vi sono grandissime differenze "di grana fine" nelle connessioni sinaptiche fra i neuroni e nei loro funzionamenti, differenze biunivocamente corrispondenti alle differenze fra i pensieri, fra le "disposizioni d' animo", le caratteristiche comportamentali personali delle menti corrispondenti ai vari cervelli, nonché e ai soggetti in sé corrispondenti biunivocamente ad entrambi.
Tutto ciò mi sembra chiaramente comprensibile, contrariamente a una differenza di comportamento che provenisse "da qualcosa di non materiale come il carattere, cioè la sensibilità valoriale che differisce in ogni singolo individuo", sia pure senza escludere "la convergenza di una causalità materiale, la predisposizione materiale del corpo, a partire appunto dal cervello, ad essere adeguato ad assecondare la spinta psichica proveniente dal nostro libero (entro certi limiti) arbitrio".
 
 
 
X Phil

"I fenomeni di coscienza psichica-emotiva", non sono affatto "plausibilmente localizzati nel cervello" poiché "neurotrasmettitori e altre "strutture biologiche" producono, rispondendo a stimoli esterni, una reazione fisica" che altri possono rilevare osservando il tuo cervello, sono altre, ben diverse cose (che tu non "vivi"; come "vissuti fenomenici mentali": le "vivrebbero" invece casomai come "vissuti fenomenici materiali" quelli che osservassero il tuo cervello) che ansia, gioia, perplessità, etc. nell' ambito della tua esperienza cosciente in necessaria corrispondenza biunivoca con tali eventi neurofisiologici del tuo cervello in altre esperienze coscienti diverse dalla tua.
 
 
 
X Sariputra

Concordo che "Le neuroscienze al momento attuale non sono in grado di fornire dati sui meccanismi interni del cervello tali da poter spiegare il funzionamento della coscienza e come essa abbia la qualità di emergere dall' attività bioelettrica dei neuroni [né secondo me lo saranno mai per incontrovertibili ragioni di principio] e che "Ciò che è possibile attendersi dalla ricerca è l'individuazione nelle strutture del cervello dei correlati neurofisiologici di ciascuna esperienza mentale. Nella consapevolezza che non potrà mai trattarsi di un'equivalenza che abbia il valore di una simmetria funzionale [identità] tra struttura neuronale e pensiero".

Non credo invece che si provabile "(Parnia 2007) che la coscienza e la mente, in condizione di sospensione della circolazione cerebrale che si determina durante l'arresto cardiaco, continuano a funzionare, mentre si riscontra che l'attività elettrica del cervello è cessata".
Come già rilevato da AngeloCannata, questa presunta continuità cosciente oltre l' inattività cerebrale non può che essere riferita a posteriori come ricordo da chi ritiene di averla avvertita; ma in quanto tale non é qualcosa di oggettivamente provato (ci si può erroneamente illudere di ricordare qualcosa di mai accaduto; fra l' altro non vedo come possa essere cronologicamente misurata in minuti o secondi): costoro dovrebbero riferire le loro persistenti sensazioni coscienti durante la (oltre l' inizio della) inattività del loro cervello, pretesa evidentemente autocontraddittoria: nessuno parla se il suo cervello non funziona.
 
 
 
X AngeloCannata

Trovo del tutto "fuori bersaglio le tue obiezioni a Davintro.

Non c' é alcuno "schema mentale" che aprioristicamente "decide di mantenersi ermeticamente al suo interno" nel constatare che l' esperienza cosciente é tutt' altra, diversa cosa della (necessariamente coesistente) corrispondente attività cerebrale (in altre esperienze coscienti): ma come si fa a confondere cose completamente diverse come il vedere un colorato arcobaleno, ragionare su un teorema della geometria, evocare un ricordo, provare un sentimento, ecc. da parte tua e i necessariamente coesistenti determinati eventi neurofisiologici (trasmissioni di potenziali d' azione, eccitazioni e inibizioni trans-sinaptiche nel tuo cervello) percepiti da parte di altri (per esempio da parte mia) mentre tali diversissime esperienze accadono nella tua coscienza.

green demetr

Si Davintro scusa il ritardo.

Io sono contro il riduzionismo neurologico.

E' che non mi convincono le argomentazioni, il cervello non ha dolore. E questo squalifica la tua argomentzione sulla localizzazione.

Sull'epifenomeno, io sarei in massima linea d'accordo con l'accetarlo (se proprio devo), ma il punto non è tanto quello lato fenomenologico, quanto quello di controllo della mappature mentali.
Perchè di fatto l'epifenomeno sarebbe comunque indagabile, proprio per il suo emergentismo, anche a livello fenomenologico. (voglio dire esiste anche un riduzionismo fenomenologico, nel caso tu non lo sappia già, dualista e non monista, ma nel 3d non specifici che tipo di riduzionismo alludi anche se mi pare sia quello monista).

Ma come ben dici come si può mappare il vissuto?
Credo che la vera sfida che ci pongono è appunto quella di hackerare il sistema cognitivo umano.
Di modo che non importa cosa io viva, esso sarà previsto dalla mappature mentali del nostro livello cognitivo.

Cioè da una cosa che vivo non posso aggiungere dati rispetto a quelli disponibili. Questo sarebbe il trionfo del riduzionismo. E ci stanno lavorando sodo per arrivarci.

Dunque più che una contro-argomentazione mi pare invece un banco di prova per loro.


L'argomentazione migliore invece per me è quella della Divina Commedia, perchè è sulla loro metodologia che vanno battuti.
Infatti il vocabolario italiano ha tot parole, ma uno solo è stato in grado di scrivere la commedia.

Questo porterebbe il livello di complicazione a dei livelli epifenomenici a potenze di 32 numeri. (da una ricerca californiana),

Voglio dire ok, può anche essere che noi viviamo a quel livello computazionale, ma questo vorrebbe dire una miriade di possibilità calcolatorie, più di quante una vita umana è in grado di provare.

Non è in sè il riduzionsimo qui in discussione, quanto le sue manie di controllo dell'agire umano.

Anche perchè un livello a 32 cifre computazionale, è comunque un livello epifenomenico diverso da quello cellulare che viene computato a 1 cifra, 1 - 0. 

Sono sistemi assolutamente non convertibili, umanamente parlando. (l'AI è altra cosa ancora anche se evidentemente strettamente connessa, e infatti penso che la bolla del riduzionismo verrà infine assorbita dalle scienze dell'informazione e della cibernetica, che io impropriamente chiamo AI).

Perciò ritengo il vecchio dualismo ancora valido, proprio perchè riguarda grandezze  a misura d'uomo.

Una estesa (la res cogitans) e una inerente contenuta in quella estesa, ossia quella extensa, ossia quella extensa percepita dal soggetto.

Lasciando per un attimo i 2 problemi fondamentali della metafisica, ossia l'origine e il das ding, fuori dalla nostra discussione.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: paul11 il 26 Ottobre 2017, 19:00:48 PM
Davintro,
sono d'accordo su tutta la parte di premessa, ho delle perplessità che la fenomenologia di Husserl a cui fai riferimento sia la strada "giusta". C'è un problema ontologico nel suo epochè o giudizio in sospensione.
Husserl è stato importante storicamente nel togliere lo steccato fra oggetto e soggetto, aprendo a due strade,
una filosofica che è l'esistenzialismo ,ma non in "senso stretto" e l'altro alla scienza naturale, perché dopo di lui
diverse branche di scienze hanno accettato questo nuovo approccio scientifico ,dalla psicologia alla corrente costruttivista.

Alla scienza chiederei semplicemente: ci sono 4 forze o interazioni fondamentali, elettromagnetismo, gravità ,
interazione nucleare debole, interazione nucleare forte.
Il pensiero a quale delle 4 forze risulterebbe? Le imaging utilizzano l'elettromagnetismo, un computer lavora sull'energia elettromagnetica ,il nostro corpo percepisce sensitivamente l'elettromagnetismo dai sensi.
Allora perché non appaiono i nostri pensieri? Siamo sicuri che è dominio fisico, quale energia porta al pensiero e quale energia costituisce il pensiero?

Non ho ben capito.

Comunque si parla di epifenomeno, qualcosa di fenomenico oltre il fenomenico.

Il punto è se vi sia una coincidenza o meno, tra mondi fenomenici.

Esattamente come per le forze da te elencate avviene.

Ossia la coincidenza è proprio la presunzione che queste forze esistano.

Cioè siano calcolabili rispetto al mondo fenomenico percepito.

Voglio dire vedo il sasso cadere, vedo una noce cadere, ipotizzo sia calcolabile esista epifenomenicamente qualcosa come la forza di gravità etc....

Hai ragione a far notare come esista comunque una fenomenologia dlle scienze naturali, come il pittorialismo, neologismo da me inventato (prima o poi devo fare il 3d in cui espongo tutte le correnti contemporanee...è che le odio tutte!)

Per me invece è meglio ragionare in termini di computazione. (vedi la mia risposta a Davintro, tu cosa ne pensi?)



Vai avanti tu che mi vien da ridere

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