contro il riduzionismo neurologico

Aperto da davintro, 24 Ottobre 2017, 00:06:21 AM

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sgiombo

Citazione di: paul11 il 26 Novembre 2017, 01:07:45 AM
Sgiombo,
se vuoi ci dilunghiamo sulla filosofia della mente,a me non interessa "vincere" con delle tesi, non sono nel form per questo,
ma per riflettere e far riflettere e per quanto mi è possibile nelle mie modeste possibilità, portare a conoscenza.
Mi piace il confronto, non lo scontro.
Citazione"Perfettissimamente" d' accordo! (licenza poetica).

David Chalmers  è un emergentista e un monista neutro,per quanto valgono queste definizioni.
Ritiene la coscienza un emergere del cervello e non è un dualista.

CitazioneNon credo che Chalmers possa essere definito un "emergentista", in quanto sostiene (se non ha cambiato idea da La mente cosciente) che gli aspetti qualitativi dell' esperienza fenomenica cosciente (il "che effetto fa" a...) non sono da ricercare nel mondo materiale (in particolare nei cervelli) e che il problema dei rapporti fra essi e la materia é il "difficile problema" di filosofia della mente, non risolto né dalla neurologia (ovviamente) né dai vari monismi materialistici (emergentistici compresi).

Molti lo "accusano" (dal loro punto di vista monistico materialistico, che non condivido affatto, é un errore; ma l' "accusa" in sè e per sè, dalla quale a mio parere può ben andar fiero, a mio parere gli é mossa non a torto) di essere un dualista, o per lo meno un agnostico sulla questione.

Non esiste solo il dualismo cartesiano.

L'esempio degli zombie  da te posto in sintesi dice che se esistessero degli zombie, vale a dire degli umani replicati cellula per cellula ,ma privi di coscienza, avremmo un mondo in cui è privo delle esperienze qualitative logiche, cioè delle qualità delal coscienza, per cui sarebbe tutto spiegabile biologicamente, fisicamente.

E' il contrario di quello che esponi e infatti Chalmers, fra i pensatori nella filosofia della mente, è nella posizione opposta  dei riduzionisti.
CitazioneAh, perché io secondo te sarei un riduzionista in filosofia della mente (riduzionista della coscienza al cervello; e non invece del cervello alla restante materia vivente e di questa alla materia in generale) ? ? ?

Che brutto effetto fa non essere compresi per nulla !!!
Essere fraintesi nell' esatto contrario!!!


baylham

Come fa la mente a sapere, conoscere che il mondo fisico è chiuso casualmente se non ha relazioni, comunicazioni col mondo fisico? Come fa la mente a sapere, conoscere che c'è una relazione, corrispondenza biunivoca tra la mente e il cervello (?) se la mente non è in relazione col mondo fisico?

Come ho sostenuto in precedenza non c'è soltanto il riduzionismo materialistico o scientifico, c'è anche il riduzionismo spiritualistico o mentalistico o idealistico, il quale non è in grado di rispondere  affatto alla domanda che cos'è la coscienza o la mente, mentre il riduzionismo materialistico o scientifico, la neuroscienza, sarà in grado perlomeno di mettere in relazione, almeno grossolanamente, determinati processi cerebrali con determinati pensieri ed attività di un uomo, senza osservarlo direttamente ma soltanto dalla lettura, visione tramite qualche congegno dei suoi processi cerebrali, come avviene già con il linguaggio.

Ho l'impressione invece che si pretenda dalla scienza cose impossibili, quali l'oggettivazione del soggetto o la soggettivazione dell'oggetto. Impossibilità da cui deriva quest'ultima mia asserzione sull'autocoscienza: la coscienza della coscienza è impossibile. I pensieri, i sentimenti, le emozioni non sono la coscienza, che appunto è assai probabile che sia il prodotto, risultato dei processi cerebrali sottostanti.

sgiombo

Citazione di: baylham il 27 Novembre 2017, 16:13:19 PM
Come fa la mente a sapere, conoscere che il mondo fisico è chiuso casualmente se non ha relazioni, comunicazioni col mondo fisico? Come fa la mente a sapere, conoscere che c'è una relazione, corrispondenza biunivoca tra la mente e il cervello (?) se la mente non è in relazione col mondo fisico?
CitazioneLa chiusura causale del mondo fisico non é dimostrabile (ma nemmeno é dimostrabile che il mondo fisico divenga causalmente per concatenazioni di cause-effetti secondo modalità o leggi generali astratte universali e costanti: Hume), ma é una conditio sine qua non perché sia conoscibile scientificamente.
Se non si desse, allora il susseguirsi degli eventi non sarebbe regolato prevedibilmente secondo tali leggi, ma caotico, imprevedibile per l' interferenza con esse e la negazione di esse ad opera di cause "anomale" (= per la sua "apertura a causazioni extrafisiche", come sarebbero quelle mentali, se ci fossero).
 
Dunque non si può coerentemente, non contraddittoriamente accettare la conoscenza scientifica come possibile e vera e contemporaneamente negare la chiusura causale del mondo fisico.
 
 
Sia il mondo fisico che il mondo mentale sono (costituiti da) fenomeni coscienti (accadenti nell' ambito di esperienze coscienti).
Dunque sono conoscibili sia il mondo fisico, sia il ondo mentale.
La relazione che propongo fra esperienza cosciente e mondo fisico é per l' appunto di trascendenza (ma di corrispondenza biunivoca) proprio per salvaguardare la chiusura causale del mondo fisico.
"trascendenza" significa che non si influenzano causalmente a vicenda, non che non coesistano, che non siano entrambi esperibili, e conoscibili.



Come ho sostenuto in precedenza non c'è soltanto il riduzionismo materialistico o scientifico, c'è anche il riduzionismo spiritualistico o mentalistico o idealistico, il quale non è in grado di rispondere  affatto alla domanda che cos'è la coscienza o la mente, mentre il riduzionismo materialistico o scientifico, la neuroscienza, sarà in grado perlomeno di mettere in relazione, almeno grossolanamente, determinati processi cerebrali con determinati pensieri ed attività di un uomo, senza osservarlo direttamente ma soltanto dalla lettura, visione tramite qualche congegno dei suoi processi cerebrali, come avviene già con il linguaggio.
CitazioneNon conosco personalmente alcun riduzionismo spiritualistico o mentalistico o idealistico della coscienza, e non saprei bene chi oggi possa sostenerlo -i.
Conosco invece bene il riduzionismo fisicalistico, oggi molto in voga, e la sua inadeguatezza a risolvere il problema dei rapporti mente-corpo.
 
Pur essendo di fatto seguito da non pochi neuroscienziati (filosoficamente alquanto "scarsi"), non va comunque confuso con un corretto studio scientifico delle correlazioni fra coscienza e cervello.



Ho l'impressione invece che si pretenda dalla scienza cose impossibili, quali l'oggettivazione del soggetto o la soggettivazione dell'oggetto. Impossibilità da cui deriva quest'ultima mia asserzione sull'autocoscienza: la coscienza della coscienza è impossibile. I pensieri, i sentimenti, le emozioni non sono la coscienza, che appunto è assai probabile che sia il prodotto, risultato dei processi cerebrali sottostanti.
CitazioneNon comprendo bene questa tesi.
Ma per me I pensieri, i sentimenti, le emozioni, ecc. sono proprio la coscienza (altrimenti cos' altro sarebbero pensieri, sentimenti, emozioni, ecc.? E cos' altro sarebbe la coscienza?).
 
E unici prodotti (effetti) dei processi cerebrali (sottostanti a che? Casomai sono contemporanei, coesistenti alla coscienza fatta di sentimenti, emozioni, ecc.) sono i comportamenti attivi od omissivi (e i mutamenti nei potenziali comportamenti futuri: per esempio l' aver acquisito determinate abilità pratiche o potenziali disposizioni ad agire in certi modi in determinate circostanze) del corpo cui il cervello appartiene.

paul11

Sgiombo,
non sei un riduzionista "estremo", perchè ritieni esistente la coscienza, ma non riuscendo a relazionarla e prima di tutto, secondo la tua ottica ,da un punto di vista fisico, allora scegli una posizione dualistica.
La mia posizione personale è per certi versi simile, ma dal punto di vista opposto.Il problema per me è poco fisico, ma molto sulle relazioni mente e cervello.Poco mi importa se la scienza non dimostra fisicamente la mente, per me esiste senza necessità che qualcuno la veda strumentalmente
Perchè se esiste la coscienza il problema non è aspettare, se mai si potrà tecnologicamente, che la neurologia dimostri fisicamente che la coscienza è ,penso secondo la loro ottica, fisicamente rilevabile.
Tu dici che è il cervello che è dentro la mente, ma non capisco allora come mai tu non sia un emergentista , ad esempio.

Una breve disamina sull'emergentismo secondo cui  la totalità è superiore alla somma delle parti, per cui ci sono le parti, la somma e il "quid" emergente.I riduzionisti vedono le parti, la somma, ma non il "quid" emergente(che potrebbe essere la coscienza)Il quid emergente  sarebbe il processo, l'interazione delle parti e della loro somma.
Accade che al crescere delle complessità emergono nuove proprietà irriducibili.

sgiombo

Citazione di: paul11 il 29 Novembre 2017, 01:02:58 AM
Sgiombo,
non sei un riduzionista "estremo", perchè ritieni esistente la coscienza, ma non riuscendo a relazionarla e prima di tutto, secondo la tua ottica ,da un punto di vista fisico, allora scegli una posizione dualistica.
La mia posizione personale è per certi versi simile, ma dal punto di vista opposto.Il problema per me è poco fisico, ma molto sulle relazioni mente e cervello.Poco mi importa se la scienza non dimostra fisicamente la mente, per me esiste senza necessità che qualcuno la veda strumentalmente
Perchè se esiste la coscienza il problema non è aspettare, se mai si potrà tecnologicamente, che la neurologia dimostri fisicamente che la coscienza è ,penso secondo la loro ottica, fisicamente rilevabile.
Tu dici che è il cervello che è dentro la mente, ma non capisco allora come mai tu non sia un emergentista , ad esempio.
CitazioneRitenendo che la coscienza non si trovi nel mondo materiale, in particolare nel cervello, ma invece che quest' ultimo si trovi nella coscienza (di chi lo osservi) non posso essere un riduzionista, nemmeno "debole" (del cosciente e in particolare del mentale al fisico).
Credo che la scienza non potrà mai trovare la coscienza nel cervello perché non c' é affatto, mentre  invece é il cervello a trovarsi nella coscienza.
Ma non sono nemmeno un "monista materialista debole",quale può essere considerato chi ritenga che la coscienza "emerga dal" o "sopravvenga al" cervello (comunque nell' ambito del mondo fisico - materiale):

Sono un dualista (dei fenomeni; e monista "neutro", se così vogliamo dire, del noumeno).

Per essere un emergentista dovrei credere che la coscienza emerga dal cervello, comunque nell' ambito del mondo materiale.

Perciò la tua posizione non m i pare così opposta alla mia (per qianto riguarda i rapporti mente-cervello).

Una breve disamina sull'emergentismo secondo cui  la totalità è superiore alla somma delle parti, per cui ci sono le parti, la somma e il "quid" emergente.I riduzionisti vedono le parti, la somma, ma non il "quid" emergente(che potrebbe essere la coscienza)Il quid emergente  sarebbe il processo, l'interazione delle parti e della loro somma.
Accade che al crescere delle complessità emergono nuove proprietà irriducibili.
CitazioneSono invece un riduzionista "esageratamente forte", "estremista", per così dire, del neurologico al restante biologico e del biologico al restante materiale (fisico - chimico), senza alcuna aggiunta nel tutto alla somma delle parti (più ovviamente le relazioni fra le parti).
Nell' ambito del mondo fisico - materiale (e dunque non nei rapporti far questo e la coscienza e in particolare con la mente, che non ne fa parte) non credo che per quanto cresca la complessità dei sistemi emergano porprietà che non siano perfettamente riducibili alle leggi generali del divenire della materia, puramente e semplicemente "per come si applicano" alle condizioni di complessità date (per quanto grande questa sia).

davintro

scrive Phil:

"Non è il tema centrale, ma vorrei capire meglio questa dualità fra vissuti spazializzati e non-spazializzati. Nel mio piccolo, mi pare che anche i vissuti psichici-emotivi abbiano una "spazializzazione": il mio "preoccuparmi per te"(riprendo il tuo esempio, non dico sul serio ) ha un suo posto nella mia coscienza/spirito/anima/psiche/etc. che, almeno in questo caso, mi sembra localizzata stabilmente nel mio cervello. Lo dimostra la variazione dei parametri fisiologici gestiti dal cervello (se sono in ansia per te avrò battiti alti e altri sintomi fisici tutti regolati, se non erro, proprio dal cervello), inoltre tale ansia sfumerà quando il mio cervello sarà distratto da altro (supponiamo l'incontro improvviso con un vecchio amico che mi riporta alla memoria episodi passati emotivamente rilevanti). Reazioni fisiche (vissute emotivamente) e attività di pensiero condizionante: il ruolo del cervello non è quindi marginale nel mio all'essere preoccupato per te; come/perché supporre che tuttavia ci sia dell'altro?

"Indubbiamente non ho una percezione sensibile del mio cervello e della sua attività, come non ho una percezione sensibile di un mio rene e della sua funzione (salvo sia ammaccato o dolorante); infatti se mi chiedi esattamente dov'è, non so indicartelo per sensazione percettiva, ma solo per cognizione di (carenti) studi del corpo umano, ma ciò non toglie che il mio rene funzioni (almeno spero!). Ugualmente i fenomeni di coscienza psichica-emotiva, suppongo ma non sono affatto erudito in materia, siano plausibilmente localizzati nel cervello, poiché neurotrasmettitori e altre "strutture biologiche" producono, rispondendo a stimoli esterni, una reazione fisica che io vivo (rieccoci a "spiegazione vs vissuto") come ansia, gioia, perplessità, etc.
Forse mi dirai che la gioia non ha solo il suo aspetto fisiologico, ma ciò comporterebbe, radicalizzando, che si possa provare gioia anche senza secrezione di endorfina, serotonina o non so quale altra sostanza, perché in fondo è l'anima/psiche/spirito a gioire in sé... siamo sicuri sia possibile un qualche forma di verifica di ciò?
Oppure alludi forse a una catena di reazioni di questo tipo: tu mi dici una bella notizia / la percepisco con l'udito / il mio cervello decodifica il senso di quei suoni / il senso piace alla mia anima-psiche-spirito / l'anima-psiche-spirito innesca un meccanismo cerebrale / il cervello attiva la secrezione di serotonina o altro / provo gioia e annesse reazioni fisiologiche (sorrido, etc.)?
Non si ritorna sempre all'atavica questione aporetica di spiegare come l'immateriale (spirito o altra postulazione) condizioni il materiale (corpo)?"






anche nell'esperienza soggettiva dei vissuti siamo accompagnati da percezioni localizzate, ad esempio quando abbiamo paura, o più in generale, siamo fortemente emozionati sentiamo il cuore battere forte. Ma tali esperienze hanno una peculiarità fenomenica non confondibile con la spazialità del dolore, del caldo o del freddo nella zona corporea entrata in contatto con un stimolo esteriore. In questo ultimo caso le sensazioni sono avvertite come davvero originatesi dalla zona corporea che subisce la causalità fisica dall'esterno, mentre la paura non è originata dal cuore che batte, il battito è una conseguenza concomitante, non la causa efficiente produttore del vissuto. Attraverso la riflessione possiamo sempre collegare il sorgere di un certo vissuto con delle motivazioni correlate ad esse. I vissuti spirituali, paura, gioia, malinconia sono intenzionali, dotati di un senso, attività di un Io che si dirige intenzionalmente verso un mondo di cose, a cui noi attribuiamo una valenza positiva o negativa sulla base di una sensibilità assiologica che ci costituisce nella nostra singolarità. La mia paura ha un senso, è motivata perché sempre intenzionata dal valore che l'Io attribuisce a un oggetto o stato di cose del mondo, se non ci fosse tale attribuzione assiologica, non avrebbe alcun senso o ragion d'essere provare paura o di qualunque altro sentimento. Qui sta lo scarto tra la causalità fisica per cui essendo colpito da un calcio provo dolore, e la motivazionalità per la quale un certo vissuto dell'Io come la paura è motivato non da una causa esterna all'Io, ma interna, vale a dire una certa intenzionalità valoriale per la quale la paura è sempre collegata al mio orientamento di valore, in gran parte assunto liberamente dalla personalità. Non esiste invece alcuna "motivazione" al fatto che io provi dolore dopo un calcio, eppure lo provo, lo provo sulla base di un fattore esterno nei cui confronti il mio Io è passivo. La psiche la vedo come questo continua reciproca interconnessione tra causalità fisica, per la quale l'Io subisce passivamente, sulla base della sua componente materiale, l'influsso degli agenti dal mondo esterno, e la motivazione spirituale, per la quale i vissuti promanano da un Io dotato di libertà, che liberamente si rivolge intenzionalmente verso le cose del mondo. Chiaramente non si può riferire la totalità dello psichico al piano motivazionale, ma resta comunque una dimensione fondamentale che fissa i limiti all'approccio materialista che ritiene di poter studiare la mente sulla base dell'osservazione dall'esterno. L'osservazione esteriore è metodologicamente valida nella misura in cui l'oggetto di indagine è passivo, qualcosa di morto, che si presta docilmente a essere studiato da una mente che lo studia manipolandolo, mentre nella misura in cui l'Io si pone come soggetto libero, che produce un vissuto sulla base di un altro prima prodotto, in un flusso temporale unitario di coscienza, allora non può essere osservato dall'esterno, ma lascia che sia un approccio autocoscienziale e introspettivo, per il quale il soggetto dell'osservazione coincide con il "tema" osservato, ad essere il più attinente, cioè l'approccio in cui il dinamismo coscienziale si rispecchia nel soggetto stesso che lo percepisce interiormente, proprio in quanto avverte in sé tale dinamismo, un approccio in cui il soggetto viene considerato maggiormente in quanto tale, cioè come soggetto dinamico, senza essere frainteso nello sguardo reificante delle scienze naturali (pur fondamentali per quanto riguarda lo studio dell'ambito materiale-passivo dell'uomo, ma che si arrestano di fronte a quello intenzionale-attuale).

davintro

Angelo Cannata scrive

"mi viene in mente un altro semplice paragone: secondo questo criterio, anche un gatto potrebbe affermare tranquillamente che non esiste pensiero senza fare "miao", o fisicamente o come minimo mentalmente. La cosa interessante è che questo gatto non potrà mai essere smentito: egli potrà sempre ribattere che siamo noi a non accorgerci che, tutte le volte che elaboriamo un pensiero, in realtà la nostra mente, senza accorgersene, s'immette nella struttura mentale del fare "miao".

Voglio dire, quando uno s'immette in uno schema mentale e decide di mantenersi ermeticamente al suo interno, non solo tutti i suoi conti tornano, ma non esiste neanche alcuna possibilità di smentire le sue affermazioni.

Il problema è che ciò vale per qualsiasi sistema mentale, cosicché alla fine tornano i conti e non c'è possibilità di smentita sia per chi dice che due e due fanno quattro, sia per chi dice che fa cinque."


va distinto il piano formale-trascendentale, quello su cui si situano i princìpi della logica a cui ogni razionalità deve necessariamente attenersi, e un piano fattuale empirico, di per sé contingente. L'universalità dei princìpi della logica non ha un'accezione solo quantitativa, universalità intesa come semplice insieme compiuto delle realtà comprendenti il pensiero che la logica è chiamata a fondare, ma è un'universalità intesa come necessità a-priori, vigente non solo per tutte le determinazioni attualmente esistenti in cui un pensiero si realizza in una certa particolare esperienza, ma per tutte le determinazioni possibili immaginabili, per ogni tempo e luogo possibile. Quindi per smentire la pretesa del gatto di porre il miao come presupposto necessario di ogni pensiero è sufficiente riconoscere la non-assurdità, cioè la non-impossibilità di un pensiero che non necessita del miao, senza bisogno che un uomo hic et nunc riconosca con certezza il suo pensiero come indipendente dal miagolio (effettivamente in linea teorica potrebbe esserci una dipendenza senza che l'uomo se ne accorga).  Se il gatto non riesce a dimostrare l'assurdità di un pensiero che non si regge sul miao, allora non potrà porre il miao come norma apriorista del pensiero, ma solo, al massimo, come princìpio che fonda il suo particolare modo di pensare, il pensiero di una determinazione empirica e particolare incapace però di escludere modalità di pensiero diverse. Diverso il caso degli assiomi logici, come ad esempio il principio del terzo escluso, per il quale "A non può essere al contempo A e non-A": qualunque tentativo di negare la validità universale di tale princìpio farebbe cadere nell'assurdo ogni forma di pensiero, compreso lo stesso pensiero che nega tale validità, che dovrebbe così ammettere anche in se stesso la sua contraddittorietà, autosvalutandosi. Ciò perché la fondatività della logica non consiste in una comune struttura psichica (sempre contingente) che dovrebbe accomunare storicamente le varie determinazioni del pensiero, ma in un'evidenza oltre la quale si cadrebbe nell'assurdo e nel non-senso. La logica fissa le condizioni minime (certamente non sufficienti, ma nemmeno le fondamenta di una casa sono sufficienti alla costituzione della casa, però senza di esse la casa crolla), di ogni pensiero, e per questo non sono relativizzabile sulla base di alcuna esperienza, non ha direttamente a che fare con le particolari determinazioni della realtà, ma fissa i limiti oltre i quali la realtà non avrebbe più alcun senso.

Angelo Cannata

Questo sistema che hai presentato si regge, a mio parere, su basi fragilissime: si basa tutto sullo spauracchio dell'assurdo come unica alternativa, che sta lì a minacciare ciò che non risponde a ciò che chiami logica. Ma nulla vieta di sospettare che ciò che non ci sembra logico oggi possa risultare logico domani e che quindi eravamo noi a non accorgerci della sua logicità. Basti pensare ai sogni: possono sembrare assurdi, strani, incoerenti, illogici, poi viene Freud e ci mostra che sono strapieni di logiche e di significato, bisogna solo saper leggere il loro linguaggio. Insomma, ogni cosa che pensiamo di chiamare logica è soggetta a relativismo.

Non possiamo fidarci di nessuna cosa che ci venga detta dal nostro cervello, neanche quando esso ce la presenta come coerenza inventata, decisa arbitrariamente.

Questo non poterci fidare significa che anche quando io penso di essere riuscito a smentire un tuo pensiero (in questo caso i criteri di logicità che hai esposto), non posso mai essere certo di averlo davvero smentito; ne ho solo dubitato e perfino su questo posso nutrire sospetti: chissà se ne ho davvero dubitato. Il fatto è che ciò vale anche quanto tu vorresti smentire me. Nessun sistema di pensiero è definitivamente demolibile, né, al contrario, difendibile. Non possiamo essere certi né di ciò che sta in piedi, che stia davvero in piedi, né di ciò che è crollato, che sia davvero crollato.

Insomma, qui stiamo ancora a cadere nei tranelli mentali di pretendere di giungere a conclusioni ultime, definitive, certe, tranelli che ancora ci portiamo dietro perché la filosofia greca pervade tuttora le nostre menti di stampo occidentale.

davintro

Citazione di: Angelo Cannata il 29 Novembre 2017, 20:36:34 PMQuesto sistema che hai presentato si regge, a mio parere, su basi fragilissime: si basa tutto sullo spauracchio dell'assurdo come unica alternativa, che sta lì a minacciare ciò che non risponde a ciò che chiami logica. Ma nulla vieta di sospettare che ciò che non ci sembra logico oggi possa risultare logico domani e che quindi eravamo noi a non accorgerci della sua logicità. Basti pensare ai sogni: possono sembrare assurdi, strani, incoerenti, illogici, poi viene Freud e ci mostra che sono strapieni di logiche e di significato, bisogna solo saper leggere il loro linguaggio. Insomma, ogni cosa che pensiamo di chiamare logica è soggetta a relativismo. Non possiamo fidarci di nessuna cosa che ci venga detta dal nostro cervello, neanche quando esso ce la presenta come coerenza inventata, decisa arbitrariamente. Questo non poterci fidare significa che anche quando io penso di essere riuscito a smentire un tuo pensiero (in questo caso i criteri di logicità che hai esposto), non posso mai essere certo di averlo davvero smentito; ne ho solo dubitato e perfino su questo posso nutrire sospetti: chissà se ne ho davvero dubitato. Il fatto è che ciò vale anche quanto tu vorresti smentire me. Nessun sistema di pensiero è definitivamente demolibile, né, al contrario, difendibile. Non possiamo essere certi né di ciò che sta in piedi, che stia davvero in piedi, né di ciò che è crollato, che sia davvero crollato. Insomma, qui stiamo ancora a cadere nei tranelli mentali di pretendere di giungere a conclusioni ultime, definitive, certe, tranelli che ancora ci portiamo dietro perché la filosofia greca pervade tuttora le nostre menti di stampo occidentale.

questo punto di vista continua a reggersi sull'errore di non distinguere la logica dall'esperienza, sulla base di un pregiudizio direi empirista, prima che relativista. La logica non si fonda sull'esperienza, sull'induzione, la verità dei suoi assiomi è riconoscibile dialetticamente, mostrando l'assurdità di qualsivoglia tesi finalizzata a smentirli. La non-definitività di un sapere è un carattere presente in ogni conoscenza fondata sull'osservazione dei contesti spaziotemporali, perché l'esperienza è un campo infinitamente aperto, dal punto di vista spaziale e temporale, e perché i livelli di efficienza degli strumenti osservativi sono teoricamente infiniti: in ogni momento una nuova esperienza può smentire i risultati ricavati da esperienze precedenti, si possono sempre creare nuovi strumenti di osservazioni sempre più efficienti che correggono quelli precedenti. L'esempio della psicanalisi freudiana è attinente in questo ambito... il metodo di Freud (che non era un filosofo o un logico, ma un medico, un empirico) era sperimentale, nessuna meraviglia che abbia prodotto dei dati innovativi che hanno messo in discussione il punto di vista sulla psiche dominante nelle epoche precedenti. Ma la logica formale non ha nulla a che fare con tutto ciò, non si occupa di fornire regole al pensiero nelle sue determinazioni storiche, come invece la psicanalisi, che si occupa di un certo tipo di soggettività, contingente, ma ad ogni forma di pensiero come tale, indipendentemente da ogni contesto particolare e limitato, e per far questo non può porre l'esperienza come fondamento, in quanto questa è sempre limitata all'apprensione di un certo contesto spaziotemporale e non può soddisfarne le istanze di validità universale. Che A sia A e non possa mai essere non-A non è una verità ricavata per generalizzazioni induttive o per sperimentazioni, e quindi nessuna esperienza potrà mai smentirla, perché non è su di essa che tale verità si fonda. Quando una smentita si regge su presupposti diversi da quelli su cui si regge la tesi da smentire, finisce sempre con l'essere estrinseca, non potendo intaccare le ragioni autentiche di ciò che si vuole smentire. Per criticare in modo razionale un discorso occorre o squalificarne le premesse, oppure cogliere l'incoerenza tra queste e lo sviluppo del discorso, quindi per smentire che sia assurdo A= non A bisognerebbe o squalificare il metodo dialettico di reductio ad absurdum, identificando come unico metodo valido conoscitivo quello sperimentale induttivo (ma con quali argomenti?), o dimostrare la non assurdità della tesi portando dimostrazioni, ma non rinviando a un ipotetico futuro in cui una certa esperienza potrebbe far cambiare le cose, utilizzando un presupposto irrilevante (l'esperienza) per il contesto in cui stiamo discutendo, cioè un ambito del sapere che non considera tale presupposto come fondativo, cambiando solo, come si suol dire, le carte in tavola. La sovrapposizione tra ambiti distinti come piano trascendentale e piano empirico-fattuale porta a confusioni ed equivoci che vanno chiariti in modo analitico.

Angelo Cannata

In questo modo mi sembra che tu dia conferma di ciò che avevo detto del gatto: nessuno può smentire il gatto, perché il suo è un sistema chiuso. Allo stesso modo, nessuno può smentire ciò che hai chiamato logica, perché è un sistema chiuso.

Il dubbio che ho posto nei confronti di ciò che hai chiamato logica non si basa sull'esperienza, poiché non ha alcun bisogno di ricevere dati dall'esperienza per poter funzionare. Quando io parlo di futuro, quel futuro di cui io parlo non ha alcun bisogno di essere sperimentato per esercitare la sua funzione demolitrice: è sufficiente ipotizzarlo. In questo senso, ciò che ho chiamato "futuro" è solo il simbolo di tutto ciò che può essere alternativo a ciò che hai chiamato logica: piuttosto che del futuro, può trattarsi, ad esempio, del modo di pensare di altre persone che non si servono di ciò che hai chiamato logica. Anche in questo caso, tali modi di pensare non hanno alcun bisogno di essere prima sperimentati: è già sufficiente la possibilità di ipotizzarli.

Si può andare ancora oltre, considerando che, a tal fine, non c'è bisogno di ricorrere all'esperienza neanche come ipotesi: è sufficiente condurre alle sue conseguenze la logica stessa che s'intende sostenere. In questo senso, il dubbio si fonda sulla logica dell'interlocutore, che in questo caso sei tu, come persona che interloquisce con me. Io non faccio altro che entrare nella tua logica e portarla alle sue conseguenze. Tu sostieni di stabilire una logica universale, che hai fatto corrispondere al principio di non contraddizione. Io adotto questa tua logica e ti faccio vedere che, se sviluppata coerentemente, essa porta ad autonegarsi, autocontraddirsi. L'unico modo che tale logica ha per non autocontraddirsi è quello di chiudersi ermeticamente, cioè rifiutare di essere condotta alle sue conseguenze.

È come se in matematica ci si rifiutasse di prendere in considerazione la radice quadrata di un numero negativo. In questo senso trovo che la matematica si sia invece storicamente comportata con estrema lealtà: essa ha ammesso candidamente, umilmente, modestamente, di essere costretta a far ricorso a numeri "immaginari" o numeri "irrazionali".

Entrando più in dettaglio nella questione, le conseguenze che la logica di cui parli si rifiuta di prendere in considerazione riguardano la sua dipendenza da un pensare umano. È questo che la tua logica si rifiuta di prendere in considerazione. È il solito rifiuto di prendere in considerazione il soggetto, cioè come se adesso questo mio parlare tra me e te avvenisse tra argomentazioni che si confrontano tra di loro, senza l'intromissione di cervelli umani, cioè senza soggetti. Questo contraddice la pretesa di tale logica di essere universale: come fa a dirsi universale se rifiuta di prendere in considerazione i fattori da cui dipende? Questa contraddizione risulta pesante per una logica che si presenta come basata proprio sul principio di non contraddizione.

Una logica non diventa universale solo perché tu dici che è universale: bisogna far vedere che è davvero universale. Tu come fai a far vedere che è universale? Ovviamente non servirà dire che io, per dire tutto ciò, mi sono già basato su di essa, perché per dire ciò hai bisogno di usare il tuo cervello e come farai a dimostrarmi che il tuo cervello non ti ha ingannato? E se anche io volessi crederti, chi mi dirà che il mio cervello non mi ha ingannato?

paul11

Citazione di: sgiombo il 29 Novembre 2017, 15:03:01 PM
Citazione di: paul11 il 29 Novembre 2017, 01:02:58 AM
Sgiombo,
non sei un riduzionista "estremo", perchè ritieni esistente la coscienza, ma non riuscendo a relazionarla e prima di tutto, secondo la tua ottica ,da un punto di vista fisico, allora scegli una posizione dualistica.
La mia posizione personale è per certi versi simile, ma dal punto di vista opposto.Il problema per me è poco fisico, ma molto sulle relazioni mente e cervello.Poco mi importa se la scienza non dimostra fisicamente la mente, per me esiste senza necessità che qualcuno la veda strumentalmente
Perchè se esiste la coscienza il problema non è aspettare, se mai si potrà tecnologicamente, che la neurologia dimostri fisicamente che la coscienza è ,penso secondo la loro ottica, fisicamente rilevabile.
Tu dici che è il cervello che è dentro la mente, ma non capisco allora come mai tu non sia un emergentista , ad esempio.
CitazioneRitenendo che la coscienza non si trovi nel mondo materiale, in particolare nel cervello, ma invece che quest' ultimo si trovi nella coscienza (di chi lo osservi) non posso essere un riduzionista, nemmeno "debole" (del cosciente e in particolare del mentale al fisico).
Credo che la scienza non potrà mai trovare la coscienza nel cervello perché non c' é affatto, mentre  invece é il cervello a trovarsi nella coscienza.
Ma non sono nemmeno un "monista materialista debole",quale può essere considerato chi ritenga che la coscienza "emerga dal" o "sopravvenga al" cervello (comunque nell' ambito del mondo fisico - materiale):

Sono un dualista (dei fenomeni; e monista "neutro", se così vogliamo dire, del noumeno).

Per essere un emergentista dovrei credere che la coscienza emerga dal cervello, comunque nell' ambito del mondo materiale.

Perciò la tua posizione non m i pare così opposta alla mia (per qianto riguarda i rapporti mente-cervello).

Una breve disamina sull'emergentismo secondo cui  la totalità è superiore alla somma delle parti, per cui ci sono le parti, la somma e il "quid" emergente.I riduzionisti vedono le parti, la somma, ma non il "quid" emergente(che potrebbe essere la coscienza)Il quid emergente  sarebbe il processo, l'interazione delle parti e della loro somma.
Accade che al crescere delle complessità emergono nuove proprietà irriducibili.
CitazioneSono invece un riduzionista "esageratamente forte", "estremista", per così dire, del neurologico al restante biologico e del biologico al restante materiale (fisico - chimico), senza alcuna aggiunta nel tutto alla somma delle parti (più ovviamente le relazioni fra le parti).
Nell' ambito del mondo fisico - materiale (e dunque non nei rapporti far questo e la coscienza e in particolare con la mente, che non ne fa parte) non credo che per quanto cresca la complessità dei sistemi emergano porprietà che non siano perfettamente riducibili alle leggi generali del divenire della materia, puramente e semplicemente "per come si applicano" alle condizioni di complessità date (per quanto grande questa sia).
Non scrivo ricitandoti per non rendere illeggibile il post.
Chiariamo alcuni aspetti.
1) SE il cervello muore ,la mente muore
2) Il cervello agisce sulla mente; la mente agisce sul cervello
3)Come è definita la mente; cosa intendiamo per proprietà mentali
4) qualunque animale ha un minimo di strategia, essendo deambulante potrebbe scegliere qualunque direzione, ma il suo dinamismo ha scopi: possiamo parlare di un abbozzo "mentale" soprattutto per glia animali superiori?

Allora:
1) se muore il cervello e muore la mente sono correlati anche fisicamente; se la mente sopravvive alla morte morte allora sono su due domini indipendenti
2) Sappiamo che il cervello raccoglie le percezioni esterne attraverso i sensi, quindi l'ambiente agisce sulla formazione esperienziale dell'individuo. Ma sappiamo anche che quando siamo nella fase riflessiva, quando raccogliamo i nostri pensieri, la relazione non è più cervello/ambiente,ma diciamo cervello/cervello o cervello/mente.

Sappiamo pure che sono fisicamente nel  cervello le aree deputate alla memoria e al linguaggio
3) La mente ha proprietà intellettive, razionali, logiche, correlative di pensieri.
4)Se gli animali abbozzano una strategie ma molto prossima all'istinto, la mente umana è più sviluppata, in quanto non si limita ad una strategia di sopravvivenza, ma l'autoconsapevolezza correla il rapporto di uno sviluppo di un "io" con se stesso e con l'ambiente,sviluppando a sua volta la sfera conoscitiva.Intendo dire che la mente ha in sè e per sè capacità di svilupparsi ,di far emergere complessità su complessità.

Quando ciò che emerge dal cervello, la mente, si sviluppa intellettivamente si apre una relazioni biunivoca.
la mente influisce sul cervello e il cervello agisce sulla mente.
Il problema delle neuroscienze è il passaggio dalla fisicità del cervello all'etereità della mente.
Ma quando noi conosciamo,impariamo la matematica, impariamo a correlare oggetti fisici e pensieri eterei, noi agiamo sulle stesse aree linguistiche e sulle memorie che ricevono i segnali, gli impulsi dall'ambiente esteriore .
Le aree fisiche del cervello che sono proprietà fisiche tipicamente umane sono quelle che permettono l'emersione al mentale e sono influenzate a loro volta dal mentale, dal pensiero cognitivo e dalle percezioni sensoriali del sistema ambiente.

Quindi, la prova che esiste la mente e il rapporto con il cervello sono le aeree fisiche nel cervello che da una parte permettono la predisposizione cognitiva umana e dall'altra interagiscono sia sul mondo fisco che su quello mentale, sia sulle percezioni sensoriali fisiche che sui pensieri, sui concetti tipici del pensiero intellettivo.
Tant'è che quello che noi percepiamo dall'esterno sensorialmente, una volta sviluppata la mente, è la mediazione fra le nostre credenze(mentale) e quelle stesse percezioni.Noi possiamo vedere uno stesso oggetto a due anni di età a venti anni e sessant'anni di età, Quell'oggetto sensorialmente è percepito alla stessa maniera, ma è la mente che lo muta interpretandolo diversamente in base al nostro sistema esperienziale(memorie e linguistica e intellettività) perchè noi siamo "diversi" seppure identici come stessa persona ,ma diversa personalità acquisita, mutata nel tempo e intendo mentalmente a prescindere dai processi fisiologici dell'invecchiamento fisico.

sgiombo

Citazione di: paul11 il 29 Novembre 2017, 23:49:26 PM

Non scrivo ricitandoti per non rendere illeggibile il post.
Chiariamo alcuni aspetti.
1) SE il cervello muore ,la mente muore
2) Il cervello agisce sulla mente; la mente agisce sul cervello
3)Come è definita la mente; cosa intendiamo per proprietà mentali
4) qualunque animale ha un minimo di strategia, essendo deambulante potrebbe scegliere qualunque direzione, ma il suo dinamismo ha scopi: possiamo parlare di un abbozzo "mentale" soprattutto per glia animali superiori?

Allora:
1) se muore il cervello e muore la mente sono correlati anche fisicamente; se la mente sopravvive alla morte morte allora sono su due domini indipendenti
2) Sappiamo che il cervello raccoglie le percezioni esterne attraverso i sensi, quindi l'ambiente agisce sulla formazione esperienziale dell'individuo. Ma sappiamo anche che quando siamo nella fase riflessiva, quando raccogliamo i nostri pensieri, la relazione non è più cervello/ambiente,ma diciamo cervello/cervello o cervello/mente.

Sappiamo pure che sono fisicamente nel  cervello le aree deputate alla memoria e al linguaggio
3) La mente ha proprietà intellettive, razionali, logiche, correlative di pensieri.
4)Se gli animali abbozzano una strategie ma molto prossima all'istinto, la mente umana è più sviluppata, in quanto non si limita ad una strategia di sopravvivenza, ma l'autoconsapevolezza correla il rapporto di uno sviluppo di un "io" con se stesso e con l'ambiente,sviluppando a sua volta la sfera conoscitiva.Intendo dire che la mente ha in sè e per sè capacità di svilupparsi ,di far emergere complessità su complessità.

Quando ciò che emerge dal cervello, la mente, si sviluppa intellettivamente si apre una relazioni biunivoca.
la mente influisce sul cervello e il cervello agisce sulla mente.
Il problema delle neuroscienze è il passaggio dalla fisicità del cervello all'etereità della mente.
Ma quando noi conosciamo,impariamo la matematica, impariamo a correlare oggetti fisici e pensieri eterei, noi agiamo sulle stesse aree linguistiche e sulle memorie che ricevono i segnali, gli impulsi dall'ambiente esteriore .
Le aree fisiche del cervello che sono proprietà fisiche tipicamente umane sono quelle che permettono l'emersione al mentale e sono influenzate a loro volta dal mentale, dal pensiero cognitivo e dalle percezioni sensoriali del sistema ambiente.

Quindi, la prova che esiste la mente e il rapporto con il cervello sono le aeree fisiche nel cervello che da una parte permettono la predisposizione cognitiva umana e dall'altra interagiscono sia sul mondo fisco che su quello mentale, sia sulle percezioni sensoriali fisiche che sui pensieri, sui concetti tipici del pensiero intellettivo.
Tant'è che quello che noi percepiamo dall'esterno sensorialmente, una volta sviluppata la mente, è la mediazione fra le nostre credenze(mentale) e quelle stesse percezioni.Noi possiamo vedere uno stesso oggetto a due anni di età a venti anni e sessant'anni di età, Quell'oggetto sensorialmente è percepito alla stessa maniera, ma è la mente che lo muta interpretandolo diversamente in base al nostro sistema esperienziale(memorie e linguistica e intellettività) perchè noi siamo "diversi" seppure identici come stessa persona ,ma diversa personalità acquisita, mutata nel tempo e intendo mentalmente a prescindere dai processi fisiologici dell'invecchiamento fisico.
Citazione1 Se il cervello muore, la mente muore.
Concordo (anche se non é dimostrabile).
Ma da ciò non consegue affatto necessariamente che se muore il cervello e muore la mente sono correlati anche fisicamente, che comporterebbe la negazione della chiusura causale del mondo fisico e quindi l' impossibilità della conoscenza scientifica (del mondo fisico stesso); e che solo se la mente sopravvive alla morte allora sono su due domini indipendenti.
Se divengono separatamente senza interferenze reciproche (il che consente di salvaguardare la chiusura causale del mondo fisico e quindi della possibilità della conoscenza scientifica dello stesso), in reciproca corrispondenza biunivoca su distinti, reciprocamente trascendenti piani ontologici, possono ben morire necessariamente entrambi senza alcuna correlazione fisica (ma solo con una correlazione ontologica, "metafisica", se vogliamo, ben diversa da rapporti di causazione reciproca fra di essi: quella di corrispondenza biunivoca).
 
2 La mente non agisce sul cervello e il cervello non agisce sulla mente (se, come credo, vige la chiusura causale del mondo fisico e dunque la conoscibilità scientifica di esso).
 
3 In corrispondenza biunivoca con i rispettivi cervelli, le menti umane sono molto più sviluppate, complesse creative di quelle degli altri animali, fatto che consente il linguaggio e l' autocoscienza.
 
La mente non emerge dal cervello, dal quale emergono solo i comportamenti che esso dirige.
 
La scienza (compresa la neurologia) non può occuparsi di "eterietà (?), ma solo di fisicità.
 
Le aeree fisiche nel cervello che permettono la predisposizione cognitiva umana (come fatto fisico, interno al cervello), non interagiscono in alcun modo sul mondo quello mentale se il mondo fisico é causalmente chiuso, e dunque la conoscenza scientifica di esso possibile; ciò che in esse accade corrisponde biunivocamente ai ragionamenti e alle altre operazioni mentali umane; compresa la conoscenza (come coscienza di pensieri, predicati circa la realtà -fenomenica: materiale e mentale- ad essa conformi = predicanti che di essa-accade é ciò che essa é-accade o che di essa non é-non accade ciò che di essa non é-non accade).
 
Ciò che noi percepiamo é ciò che noi percepiamo e le nostre credenze circa ciò che noi percepiamo sono le nostre credenze circa ciò che percepiamo: due ben diversi ordini di cose!
Ed é proprio per questo che Noi possiamo vedere uno stesso oggetto a due anni di età a venti anni e sessant'anni di età, Quell'oggetto sensorialmente è percepito alla stessa maniera, ma è la mente che muta i suoi propri pensieri circa di esso interpretandolo diversamente in base al nostro sistema esperienziale (memorie e linguistica e intellettività) perchè noi siamo "diversi" seppure identici come stessa persona ,ma diversa personalità acquisita, mutata nel tempo e intendo mentalmente a prescindere dai processi fisiologici dell'invecchiamento fisico.

paul11

#87
Sgiombo scrive:
1 Se il cervello muore, la mente muore.
Concordo (anche se non é dimostrabile).
Ma da ciò non consegue affatto necessariamente che se muore il cervello e muore la mente sono correlati anche fisicamente, che comporterebbe la negazione della chiusura causale del mondo fisico e quindi l' impossibilità della conoscenza scientifica (del mondo fisico stesso); e che solo se la mente sopravvive alla morte allora sono su due domini indipendenti.
Se divengono separatamente senza interferenze reciproche (il che consente di salvaguardare la chiusura causale del mondo fisico e quindi della possibilità della conoscenza scientifica dello stesso), in reciproca corrispondenza biunivoca su distinti, reciprocamente trascendenti piani ontologici, possono ben morire necessariamente entrambi senza alcuna correlazione fisica (ma solo con una correlazione ontologica, "metafisica", se vogliamo, ben diversa da rapporti di causazione reciproca fra di essi: quella di corrispondenza biunivoca).

2 La mente non agisce sul cervello e il cervello non agisce sulla mente (se, come credo, vige la chiusura causale del mondo fisico e dunque la conoscibilità scientifica di esso).

3 In corrispondenza biunivoca con i rispettivi cervelli, le menti umane sono molto più sviluppate, complesse creative di quelle degli altri animali, fatto che consente il linguaggio e l' autocoscienza.

La mente non emerge dal cervello, dal quale emergono solo i comportamenti che esso dirige.

La scienza (compresa la neurologia) non può occuparsi di "eterietà (?), ma solo di fisicità.

Le aeree fisiche nel cervello che permettono la predisposizione cognitiva umana (come fatto fisico, interno al cervello), non interagiscono in alcun modo sul mondo quello mentale se il mondo fisico é causalmente chiuso, e dunque la conoscenza scientifica di esso possibile; ciò che in esse accade corrisponde biunivocamente ai ragionamenti e alle altre operazioni mentali umane; compresa la conoscenza (come coscienza di pensieri, predicati circa la realtà -fenomenica: materiale e mentale- ad essa conformi = predicanti che di essa-accade é ciò che essa é-accade o che di essa non é-non accade ciò che di essa non é-non accade).

Ciò che noi percepiamo é ciò che noi percepiamo e le nostre credenze circa ciò che noi percepiamo sono le nostre credenze circa ciò che percepiamo: due ben diversi ordini di cose!
Ed é proprio per questo che
Noi possiamo vedere uno stesso oggetto a due anni di età a venti anni e sessant'anni di età, Quell'oggetto sensorialmente è percepito alla stessa maniera, ma è la mente che muta i suoi propri pensieri circa di esso interpretandolo diversamente in base al nostro sistema esperienziale (memorie e linguistica e intellettività) perchè noi siamo "diversi" seppure identici come stessa persona ,ma diversa personalità acquisita, mutata nel tempo e intendo mentalmente a prescindere dai processi fisiologici dell'invecchiamento fisico.

La tua è una curiosa ipotesi.
Dalla parte del cervello sei un riduzionista fisicalista.
Dall'altra accetti il concetto di mente e lo poni nel metafisico.
Hai costruito un dualismo incomunicante perchè ritieni che la prova delle correlazioni debbano essere dimostrazioni scientifiche.
applicando la via induttiva(dalla materia "in su" down-top) e non deduttiva (dalla mente " in giù, top-down")

Però:
sappi che   la mente è concettualmente irriducibile come lo è qualunque complessità anche fisica.
Il tessuto è un complesso di cellule, un organo è un complesso di tessuti, un apparato è un insieme di organi, un corpo è un insieme di apparati.Significa che il corpo non è "solo" un insieme di cellule perchè ad ogni passaggio di complessità appaiono in relazione nuove proprietà anche fisiche.

Ecco perchè difendi la dualità interpretando il determinismo e l'ìindeterminismo alla tua maniera.
Cerchi di togliere  la parte volitiva, la volontà di scelta, poggiandola sulla causalità deterministica, tipica del meccanicismo
(causa/effetto)
Se una patologia fisica del cervello toglie alla mente sue specifiche prerogative, proprietà, anche la mente, la nostra conoscenza modifica le memorie fisiche poste nel cervello. Tu invece queste relazioni biunivoche non le accetti sempre per la prova deterministica secondo il metodo scientifico fisicalista. Quindi accetti ciò che le attuali strumentazioni, atte a rilevare attività nel cervello, mostrano.
Eppure scrivi:
3 In corrispondenza biunivoca con i rispettivi cervelli, le menti umane sono molto più sviluppate, complesse creative di quelle degli altri animali, fatto che consente il linguaggio e l' autocoscienza.
Non capisco, mi pare che quì sostieni la mia stessa ipotesi?Quindi c'è una relazione fra la fiscità de lcervello che permette l'"emergenza"della mente?
Ma subito dopo scrivi: La mente non emerge dal cervello, dal quale emergono solo i comportamenti che esso dirige.
La scienza (compresa la neurologia) non può occuparsi di "eterietà (?), ma solo di fisicità.
...ritornando sulla posizione riduzionista fisicalista.

Mi pare che da una parte non accetti la relazione cervello/mente, ma dall'altra la ritieni opportuna, ma probabilmente, non sai in quale dominio collocarlo (fisico o come ho scritto"etereo"?)
Questa dualità "secca" crea un abisso di domini, li accetti ontologicamente, ma non sai epistemologicamente come relazionarli.

Mi sembra di capire che il cervello muta per suo conto e la mente altrettanto per suo conto per cui non esiterebbe una relazione fisica fra mente e cervello.Secondo te quindi le memorie fisiche non sono "condivise"? E dove sarebbero le memorie della mente?

baylham

#88
Citazione di: sgiombo il 27 Novembre 2017, 20:01:11 PM
Citazione di: baylham il 27 Novembre 2017, 16:13:19 PM
I pensieri, i sentimenti, le emozioni non sono la coscienza, che appunto è assai probabile che sia il prodotto, risultato dei processi cerebrali sottostanti.
CitazioneNon comprendo bene questa tesi.
Ma per me I pensieri, i sentimenti, le emozioni, ecc. sono proprio la coscienza (altrimenti cos' altro sarebbero pensieri, sentimenti, emozioni, ecc.? E cos' altro sarebbe la coscienza?).

Per me la coscienza esprime, controlla i pensieri, il linguaggio, che perciò non sono la coscienza. Pensieri, linguaggio che sono una costruzione relazionale tra la coscienza, la mente, ed il mondo sociale. Il testo materiale che vedo influenza la mia mente.

paul11

Citazione di: baylham il 30 Novembre 2017, 15:53:15 PM
Citazione di: sgiombo il 27 Novembre 2017, 20:01:11 PM
Citazione di: baylham il 27 Novembre 2017, 16:13:19 PM
I pensieri, i sentimenti, le emozioni non sono la coscienza, che appunto è assai probabile che sia il prodotto, risultato dei processi cerebrali sottostanti.
CitazioneNon comprendo bene questa tesi.
Ma per me I pensieri, i sentimenti, le emozioni, ecc. sono proprio la coscienza (altrimenti cos' altro sarebbero pensieri, sentimenti, emozioni, ecc.? E cos' altro sarebbe la coscienza?).

Per me la coscienza esprime, controlla i pensieri, il linguaggio, che perciò non sono la coscienza. Pensieri, linguaggio che sono una costruzione relazionale tra la coscienza, la mente, ed il mondo sociale. Il testo materiale che vedo influenza la mia mente.
...  ma lo vedi prima con gli occhi o con la sola mente?
perchè questo è il  curioso paradosso dualistico di Sgiombo

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