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CONTRO IL NICHILISMO

Aperto da PhyroSphera, 22 Luglio 2021, 17:40:33 PM

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Kobayashi

#75
Sul rapporto nichilismo-morale vale la pena ricordare una delle tesi di Nietzsche: è la morale stessa a determinare il nichilismo perché nella sua evoluzione storica caratterizzata da una progressiva tendenza critica a smascherare tutto ciò che non è puro, disinteressato, rigoroso, alla fine arriva a svuotarsi dal suo interno: adeguatamente analizzati i valori tradizionali si rivelano nient'affatto puri e disinteressati; vengono dal corpo, dal desiderio di dominare gli altri, dalle paure; insomma, tutto molto più carnale di quanto si credeva.
Svuotati i valori, rimangono però le categorie con cui si è sempre guardato l'universo: lo scopo, l'unità, l'essere.
Il nichilismo è il risultato di uno sguardo sul mondo basato ancora su queste categorie, le quali però non sono più sorrette dalla fede in una metafisica, fede che appunto, nell'ambito di questo discorso, è venuta meno proprio dai risultati, dalle scoperte, dello stesso pensiero etico della tradizione.

Bisognerebbe dunque smettere di giudicare la vita in base alla presenza o meno di un fine generale.
Quindi la vita va avanti così, quasi per inerzia, una generazione dopo l'altra senza un perché e nella ripetizione degli stessi errori?
Certo che una visione del genere non fa che favorire il dominio dei potenti. Paul dice: almeno un tempo c'erano i saggi a contrastare questo potere. Ora non più.
Al suo posto si è ipotizzato, qui, una restaurazione della metafisica, nell'idea quindi che il processo di pensiero critico che ha condotto allo smantellamento della metafisica sia stato non solo l'effetto di una progressiva semplificazione della conoscenza del mondo, ma anche qualcosa di ideologico, in funzione di un più efficace dominio sulle popolazioni.

Al di là della correttezza di queste tesi, non si vede come una civiltà possa fare retromarcia, come si possa tornare indietro. Il singolo pensatore lo può fare, certo, ma nella consapevolezza di non poter avere in questo modo alcuna influenza sui processi della civiltà, arrivando, nella migliore delle ipotesi, a convincere altri singoli a guardare il mondo con i suoi stessi riferimenti.
Il che mi fa pensare che forse, anche se non lo vogliamo ammettere, la filosofia è solo un modo per il singolo di capirci qualcosa del mondo. Che se è potente, la sua potenza si sprigiona nella conquista della singola persona del controllo della propria vita o dell'accrescimento delle proprie potenzialità, e mai nei fenomeni sociali come l'educazione o la prassi politica, benché siano oggetti consueti (e quasi necessari) delle nostre dispute.

viator

Citazione di: Kobayashi il 10 Agosto 2021, 09:59:34 AM
Sul rapporto nichilismo-morale vale la pena ricordare una delle tesi di Nietzsche: è la morale stessa a determinare il nichilismo perché nella sua evoluzione storica caratterizzata da una progressiva tendenza critica a smascherare tutto ciò che non è puro, disinteressato, rigoroso, alla fine arriva a svuotarsi dal suo interno: adeguatamente analizzati i valori tradizionali si rivelano nient'affatto puri e disinteressati; vengono dal corpo, dal desiderio di dominare gli altri, dalle paure; insomma, tutto molto più carnale di quanto si credeva.
Svuotati i valori, rimangono però le categorie con cui si è sempre guardato l'universo: lo scopo, l'unità, l'essere.
Il nichilismo è il risultato di uno sguardo sul mondo basato ancora su queste categorie, le quali però non sono più sorrette dalla fede in una metafisica, fede che appunto, nell'ambito di questo discorso, è venuta meno proprio dai risultati, dalle scoperte, dello stesso pensiero etico della tradizione.

Bisognerebbe dunque smettere di giudicare la vita in base alla presenza o meno di un fine generale.
Quindi la vita va avanti così, quasi per inerzia, una generazione dopo l'altra senza un perché e nella ripetizione degli stessi errori?
Certo che una visione del genere non fa che favorire il dominio dei potenti. Paul dice: almeno un tempo c'erano i saggi a contrastare questo potere. Ora non più.
Al suo posto si è ipotizzato, qui, una restaurazione della metafisica, nell'idea quindi che il processo di pensiero critico che ha condotto allo smantellamento della metafisica sia stato non solo l'effetto di una progressiva semplificazione della conoscenza del mondo, ma anche qualcosa di ideologico, in funzione di un più efficace dominio sulle popolazioni.

Al di là della correttezza di queste tesi, non si vede come una civiltà possa fare retromarcia, come si possa tornare indietro. Il singolo pensatore lo può fare, certo, ma nella consapevolezza di non poter avere in questo modo alcuna influenza sui processi della civiltà, arrivando, nella migliore delle ipotesi, a convincere altri singoli a guardare il mondo con i suoi stessi riferimenti.
Il che mi fa pensare che forse, anche se non lo vogliamo ammettere, la filosofia è solo un modo per il singolo di capirci qualcosa del mondo. Che se è potente, la sua potenza si sprigiona nella conquista della singola persona del controllo della propria vita o dell'accrescimento delle proprie potenzialità, e mai nei fenomeni sociali come l'educazione o la prassi politica, benché siano oggetti consueti (e quasi necessari) delle nostre dispute.


Perfetta sintesi, questa di kobayashi+Nietzsche.


Il problema che impedisce il "ritorno" al primato delle saggezze è rappresentato dal mostruoso dilatarsi delle conoscenza specifiche, specialistiche e dal loro necessariamente inevitabile frazionamento. La saggezza era ed è anzitutto capacità di sintesi circa i diversi aspetti del mondo, richiede intrinsecamente una versatilità che - col correre dei tempi - nessun singolo riesce più a totalizzare.


Piaccia o dispiaccia, il mondo sarà composto da "specialisti sempre più ignoranti" pagati per ricoprire ruoli sempre più strumentali, a vantaggio di un "sistema" anch'esso sempre più impersonale. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Alexander

Buon martedì Viator


Sono molto d'accordo con il tuo post.
Aggiungerei: con l'aggravante che questi "specialisti sempre più ignoranti" pretendono spesso di parlare per assoluti. Non so se sei d'accordo..

bobmax

Anche se può apparire paradossale, l'accrescimento esponenziale delle conoscenze specialistiche non inficia per nulla la possibilità di acquisire saggezza.

Perché se da un lato le conoscenze si moltiplicano approfondendosi, dall'altro questo stesso inoltrarsi nel mondo libera da tante "verità" che proprio vere non erano mai state.

Queste conoscenze così dettagliate rivelano infatti con sempre maggiore evidenza la semplicità che le fonda.
E non bisogna affatto essere specialisti per cogliere la semplicità!
Occorre invece aver fede nella Verità.

La difficoltà è perciò nel riuscire a cogliere l'essenza del conosciuto, senza cadere nelle tante superstizioni in cui la mente sovente si perde.

Un Parmenide, un Platone, avrebbero oggi ben più possibilità di speculare che non ai loro tempi, quando occorreva grande capacità per andare oltre all'ovvio.
Concetti che sono ormai di uso comune, o lo dovrebbero, come il principio di inerzia, la relatività dello spazio-tempo, l'elettromagnetismo... non fanno che spingerci a liberarci dalle superstizioni.

Per andare dove?

Ma verso la metafisica!

L'autentica metafisica, che è sempre la medesima. Seppur spesso offuscata dalle tante superstizioni.

Gli dei sono fuggiti.

Ma solo perché Dio sta tornando.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Citazione di: Alexander il 10 Agosto 2021, 13:49:16 PM
Buon martedì Viator


Sono molto d'accordo con il tuo post.
Aggiungerei: con l'aggravante che questi "specialisti sempre più ignoranti" pretendono spesso di parlare per assoluti. Non so se sei d'accordo..


Salve alexander. Essere specialisti significa anzitutto volersi/doversi occcupare del relativo. Gli specialisti saranno poi inclinati a parlare per assoluti dovendo - ovviamente - mascherare la propria limitatezza ergendola ad una assolutezza la quale - inoltre - funge benissimo in sede di autocelebrazione culturale. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: Kobayashi il 10 Agosto 2021, 09:59:34 AM
Sul rapporto nichilismo-morale vale la pena ricordare una delle tesi di Nietzsche: è la morale stessa a determinare il nichilismo perché nella sua evoluzione storica caratterizzata da una progressiva tendenza critica a smascherare tutto ciò che non è puro, disinteressato, rigoroso, alla fine arriva a svuotarsi dal suo interno: adeguatamente analizzati i valori tradizionali si rivelano nient'affatto puri e disinteressati; vengono dal corpo, dal desiderio di dominare gli altri, dalle paure; insomma, tutto molto più carnale di quanto si credeva.
Svuotati i valori, rimangono però le categorie con cui si è sempre guardato l'universo: lo scopo, l'unità, l'essere.
Il nichilismo è il risultato di uno sguardo sul mondo basato ancora su queste categorie, le quali però non sono più sorrette dalla fede in una metafisica, fede che appunto, nell'ambito di questo discorso, è venuta meno proprio dai risultati, dalle scoperte, dello stesso pensiero etico della tradizione.
Lo svuotamento dei valori antichi non implica una negazione di tutti i valori ma solo di quelli falsificati dall'esperienza storica. Il "nichilista" FN è intriso di valori e il suo richiamo ad essi è costante:
"Ve ne scongiuro, fratelli miei, rimanete fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali".
"Non cacciate più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portatela liberamente: una testa terrestre, che crea, essa, il senso della terra. Il superuomo è il senso della terra".

CitazioneBisognerebbe dunque smettere di giudicare la vita in base alla presenza o meno di un fine generale.
Quindi la vita va avanti così, quasi per inerzia, una generazione dopo l'altra senza un perché e nella ripetizione degli stessi errori?
In tale richiamo alla terra, all'immanenza, è già inscritto un fine, o meglio un senso, generale. E' un senso profondamente umanistico che non ha carattere inerziale, ma attivo.
CitazioneCerto che una visione del genere non fa che favorire il dominio dei potenti. Paul dice: almeno un tempo c'erano i saggi a contrastare questo potere. Ora non più. Al suo posto si è ipotizzato, qui, una restaurazione della metafisica, nell'idea quindi che il processo di pensiero critico che ha condotto allo smantellamento della metafisica sia stato non solo l'effetto di una progressiva semplificazione della conoscenza del mondo, ma anche qualcosa di ideologico, in funzione di un più efficace dominio sulle popolazioni.
Indipendentemente dai miti dominanti, essi sono sempre stati ad immagine e somiglianza delle classi dominanti. Avveniva anche prima della "famigerata" mitologia tecnoscientifica che vi fosse una pretesa di accentramento totalitario del sapere nel potere. Ed una prassi sociale coatta conseguente.
CitazioneAl di là della correttezza di queste tesi, non si vede come una civiltà possa fare retromarcia, come si possa tornare indietro. Il singolo pensatore lo può fare, certo, ma nella consapevolezza di non poter avere in questo modo alcuna influenza sui processi della civiltà, arrivando, nella migliore delle ipotesi, a convincere altri singoli a guardare il mondo con i suoi stessi riferimenti.
Lo penso anch'io, ma dovrebbe rispondere Paul a tale questione e non limitarsi, alla Roberto Pecchioli, alla pars destruens, con cui si vince facile. Maliziosamente penso che tale preferenza sia dovuta all'impresentabilità metafisica, etica e razionale della pars (ri)costruens. Per cui ci si affida, abbastanza nichilisticamente, alla retorica del negativo.
CitazioneIl che mi fa pensare che forse, anche se non lo vogliamo ammettere, la filosofia è solo un modo per il singolo di capirci qualcosa del mondo. Che se è potente, la sua potenza si sprigiona nella conquista della singola persona del controllo della propria vita o dell'accrescimento delle proprie potenzialità, e mai nei fenomeni sociali come l'educazione o la prassi politica, benché siano oggetti consueti (e quasi necessari) delle nostre dispute.
Se un modello esistenziale e valoriale risulta valido per i singoli perché non dovrebbe valere anche per la società ? Al netto delle contrapposizioni dialettiche e della natura propria delle organizzazioni complesse che non sono mai semplici sommatorie di problemi e soluzioni individuali ? Ma almeno in linea ipotetica ...
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

#81
 @kobayashi
citaz. Kobayashi




Al di là della correttezza di queste tesi, non si vede come una civiltà possa fare retromarcia, come si possa tornare indietro. Il singolo pensatore lo può fare, certo, ma nella consapevolezza di non poter avere in questo modo alcuna influenza sui processi della civiltà, arrivando, nella migliore delle ipotesi, a convincere altri singoli a guardare il mondo con i suoi stessi riferimenti.
Il che mi fa pensare che forse, anche se non lo vogliamo ammettere, la filosofia è solo un modo per il singolo di capirci qualcosa del mondo. Che se è potente, la sua potenza si sprigiona nella conquista della singola persona del controllo della propria vita o dell'accrescimento delle proprie potenzialità, e mai nei fenomeni sociali come l'educazione o la prassi politica, benché siano oggetti consueti (e quasi necessari) delle nostre dispute.

   

E' evidente che non si possa fare retromarcia, il tempo sembra che scorra verso il futuro, ma ciò non significa non sapere guardare indietro per capire, come nella vita singola di una persona, cosa è andato giusto e cosa sbagliato .E' proprio nelle crisi culturali che si ha necessità di trovare e fare archeologia culturale. Adatto che del futuro nulla si può dire, allora significa che dalla storia del pensiero che ha determinato le mentalità , le filosofie, le inclinazioni, vanno cercate le essenze., le sintesi del pensiero.


Il ruolo e la qualità dei filosofi dell'ultimo secolo, dimostrano se non la morte, l'agonia del filosofo e del suo ruolo. Bisognerebbe capire se è l'ambiente culturale che ha deciso che la filosofia si sia marginalizzata oppure è il filosofo che ha pochezza qualitativa: penso che lo siano entrambi .I media, il peso dell'immagine superiore alla scrittura e alla parola, sono effetti della cultura moderna.
Però, e questo parrebbe la stranezza, ai meeting, festival di filosofia il pubblico accorre.
Nell'epoca del tecnico supino a novanta gradi poiché scolasticamente incretinito e confacente più all'automa che all'umano e all'allevamento in batteria di polli produttivi, c'è chi ha ancora necessità di ascoltare pensieri un po' più alti dei giornalai dei media che fanno ormai gossip della politica, dell'economia, e parlano come vuole la nomenklatura, appare ormai palese nell'epoca della pandemia delle "larghe intese".


Apro una parentesi e profetizzo che entro i prossimi vent'anni l'Occidente si giocherà la potenza culturale, degli armamenti, dell'economia, perché è ormai assodata la posizione della Cina superiore al dominio USA (cominciano a dare i numeri ) e con la cultura soprattutto anglosassone, calvinista e protestante .
Non so i cinesi quali reale cultura abbiano un domani, oggi sicuramente come quella Occidentale, di primeggiare in potenza tecnica, e ne vedremo di focolai di guerre con armi, guerre economiche di conquiste, Marte con due spedizioni, guarda caso USA e quasi contemporaneamente anche Cina. E' quindi strategico che questa cultura moderna e post moderna ,costruita sulla tecnica, sull'immanentismo fine a se stesso, sull'edonismo economico e l frammentazione sociale, non regge più. Realisticamente dubito che "una nuova cultura" sorgerà a breve.
Questo è comunque per dire che la decadenza culturale e dei costumi sfocerà ina nuova fase del declino dell'imperialismo statunitense e dell'assurgere al ruolo della Cina, e questo non si era mai visto nella storia che un luogo non occidentale primeggi in tecnica , armi e quant'altro. Questa attuale cultura occidentale non farà che inasprire il confronto, e se non ci fossero armi da sterminio di massa dell'intero pianeta avremmo una guerra mondiale, perché è interna alla quarta rivoluzione industriale che manderà a "spasso" (altro che balle ideologiche dei politicanti) parecchie persone, aprendo ad una prossima crisi del ciclo economico . Sarà la realtà storica, forse, a richiedere un pensiero che gestisca questa transizione, non priva di pericoli sociali. Il passaggio dall'auto con motore a scoppio a quello elettrico, manderà a spasso milioni di persone nel mondo, perché quello elettrico ha molte meno componentistiche, quindi tutta la filiera ne risentirà.
Intano anche nella riconversione verso l'elettrico la Cina è più avanti di Usa ed Europa.
Noi italiani intanto procediamo verso il futuro ......con i tre pilastri di uno stato "civile": scuola, sanità, tribunali.......che sono peggiorati negli ultimi decenni.
Tanti auguri alla next generation........dove il sistema pubblico nel periodo pandemico è al collasso e nessuno lo dice.....ma fanno riforme....cioè come nella cultura, invece di andare nelle fondamenta marce si verniciano di nuovo le pareti. Ormai non seguo quasi più l'attualità, mi irrita l'eterna contraddizione di un sistema che è in avvitamento su se stesso , con classi dirigenti che sono ancora lì come avvoltoi e iene a cercare denaro dallo Stato e sono gli abbienti......i poveri  "cristi" sono dimenticati da tutti.

Questo è per dire che siamo in ritardo con un nuovo pensiero.....diversamente arrangiatevi con questa cultura del menefreghismo. Di servi di partito, di servi della scienza e tecnica, di facebook e tik tok .....dove le notizie politiche o della mia città si devono leggere sulle pagine dedicate in facebook...mi manca il "vaffanculo" di De Andrè.
@Bobmax
..che dire, sono d'accordo.
@viator
a volte mi spaventa la tua lucidità.
@ipazia
"Ve ne scongiuro, fratelli miei, rimanete fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali".
"Non cacciate più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portatela liberamente: una testa terrestre, che crea, essa, il senso della terra. Il superuomo è il senso della terra".




Io avrei gentilmente paracadutato in mezzo alla giungla i fascinatori delle cose terrestri, fra pitoni  e tigri affamate a farsi dire quale è la "regola della terra"  e chiedere poi allo stomaco del leone dove fosse finito il superuomo.
E' passato un secolo e mezzo di questi vaneggiamenti e stordimenti mentali , abbiamo avuto due guerre mondiali, lager e gulag e cretini che dopo che volevano la morte di "dio" si chiedevano come mai quel "dio è morto" non si facesse vivo , dopo tanta ignominia e sterminio umano.......l'umanità dovrebbe sparire dalla faccia della terra, l'ha appestata troppo....
Se mai ci fosse oggi una scimmia troppo intelligente per essere scimmia e ancora scema per essere umano......gli consiglierei di rimanere quello che è .

iano

#82
Citazione di: paul11 il 04 Agosto 2021, 23:36:47 PM
@iano
Non c'è mai una netta distinzione, questo è l'errore dell'indagine scientifica. oltre che entrare nelle particolarità perdendo di vista spesso il quadro generale. C'è sempre una relazione.







Ho isolato questa frase perché, magari riscritta con qualche aggiustamento, è il centro della mia filosofia.
Non c'è mai una netta distinzione. È vero. Anche ciò che sembra nettamente distinto se meglio indagato perde la sua definitezza. Ciò perché ogni distinzione, cioè ogni cosa,  nasce da un preciso nostro rapporto con la realtà ed è funzionale ad esso e la sua distinzione inizia ad apparire vaga quando lo consideriamo come cosa in se', andando oltre i confini che l'hanno generata.
Il motivo per cui c'è  una relazione fra le cose e' che sono il prodotto della stessa interazione con la realtà .
Non è che la scienza perde il quadro generale, ma volutamente lo ignora.
Ciò vale in genere per ogni processo conoscitivo, se lo si considera strettamente funzionale all'azione, e non come puro atto contemplativo.
Una azione che voglia essere efficace deve concentrarsi sull'essenziale che sia ad essa funzionale, non perdendosi sul generale.
Se pensiamo che una pura contemplazione che non perda di vista il generale possa condurci alla verità, stiamo sottintendendo che forse potremmo non giungere mai alla verità , perché non sappiamo per quale via la contemplazione possa condurci ad essa, sperando solo di poterla intuire, e stiamo così sottintendendo che potenzialmente il raggiungimento della verità non comporta di fatto un improponibile spesa di energia.
Si tratterebbe però di una verità fine a se stessa, non spendibile in termine di azioni.
La fisica invece è una ricerca che investe qualcosa che poi ha in cambio qualcosa di spendibile,, cioè una inevitabile ricaduta in termini di azioni.
La ricerca scientifica, pur non riferendosi al generale, perché ogni suo esperimento riguarda volutamente un sistema isolato e quindi particolare, è essa stessa azione con ricadute tecniche che ci ridefiniscono, evolvendoci in tal modo.
Il raggiungimento della verità , posto che abbia senso cercarla, equivarrebbe alla fine di ogni azione e di ogni evoluzione.
Più in generale, se ci riflettiamo bene, quali azioni dovrebbe promuovere la conoscenza della verità?
Io non riesco a immaginarlo. A me sembra in effetti alcuna che non sia un'azione che si ripeta in un eterno ed inevitabile ciclo . Un uomo che conosca la verità se non si annulla in essa è condannato a ripetersi per sempre.
Sarebbe perfettamente definito una volta per tutte ed immodificabile. Finalmente puro essere , esente dal divenire, perché una ciclica ripetizione non può dirsi vero divenire, ma solo un diverso modo di essere.
Un essere comunque stabile, finalmente corrispondente alla definizione in se', in quanto tale, stabile, al massimo condannato a una ciclica ripetizione.
È incredibile che ciò a cui molti di noi aspirano è invece, a ben considerare una condanna.
La peggiore delle condanne.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#83
Citazione di: paul11 il 11 Agosto 2021, 00:03:21 AM
Se mai ci fosse oggi una scimmia troppo intelligente per essere scimmia e ancora scema per essere umano......gli consiglierei di rimanere quello che è .
Alcune specie come gli squali, i coccodrilli e le libellule sembrano aver risposto al tuo invito e sono rimaste uguali a se stesse da milioni di anni.
Però quando parliamo di specie ci riferiamo a convenzioni, a specifiche definizioni scientifiche, a particolari , che come tu lamenti, ci distolgono dal generale.
In che senso quell specie dovrebbero rispondere al tuo appello se, essendo pure convenzioni, di fatto non esistono?
Se vogliamo tenerci più sul generale dovremmo parlare di esseri viventi, ma senza uscire anche così dal solito circolo vizioso.
Cosa sono veramente gli esseri viventi.
Sembriamo ben saperlo, ma quando poi indaghiamo più a fondo le definizioni iniziano a farsi sfumate.
Si può dire che i virus siano vivi come pure no.
Dipende solo in che senso lo diciamo.
È il senso è sempre quello scientifico di catalogare ciò che a rigore non è catalogabile in assoluto.
Esistono diversi modi di fare un catalogo , nessuno dei quali corrisponde a verità, ma ognuno dei quali ha una funzione.
Così ha senso parlare di scimmie e di uomini se ci teniamo dentro ai limiti funzionali che hanno generato il catalogo che contiene scimmie e uomini.
Ma andiamo fuori dal catalogo quando incitiamo le scimmie a fermarsi.


Io non credo che la filosofia sia mai nata ne' che sia mai morta.
La verità è che facciamo sempre filosofia anche quando non lo sappiamo, e perciò essa non sempre appare in evidenza.
Ognuno di noi ha la sua filosofia anche quando lo nega.
Il filosofo è chi questa coscienza persegue, conscio del fatto che la sua filosofia influenza la sua vita.
È quello che non nasconde la testa nella sabbia del cielo, come sembra abbia detto FN , se non cito imprecisamente a memoria ciò che ha citato da Ipazia.
Le diverse notevoli citazioni fatte da Ipazia su FN mi inducono a credere questo filosofo fosse un vero poeta di cui dovremmo provare a seguire l'esempio, più che a cercare di capire cosa abbia voluto dire davvero.
Ma poi chi sarà davvero questo superuomo?
Magari un uomo che ha smesso di credere di essere un uomo, perché molte e diverse sono le sue possibili definizioni, nessuna delle quali corrisponde al vero.


Ogni catalogo convenzionale nasce in funzione del suo uso, ma non bisogna mai confondere le convenzioni mediante le quali interagiamo con la realtà, con la realtà stessa.
Non dobbiamo più in generale  usare un catalogo oltre gli scopi che lo hanno generato.
Se si costruisce un catalogo dove si ritiene utile per un qualche preciso motivo distinguere gli esseri viventi per il colore della pelle, attenzione a non credere che quegli esseri esistano davvero.
Non esistono esseri inferiori e superiori se non per accidentale ordine alfabetico di accidentale catalogo.
Esiterà però temo sempre chi farà  uso improprio di un catalogo.
Perché ciò avvenga devono verificarsi due condizioni:
1. Esso deve credere che esista una verità.
2. Deve credere che quel catalogo corrisponda alla verità e ci sarà sempre qualcuno disposto a crederlo.


Qual'e' dunque il vero compito del filosofo?
Quello di scegliere un catalogo fra tanti, fra quelli passati presenti e futuri e chiamare quello verità?
Detto così appare un compito dozzinale. Poco glorioso in effetti.
Forse si può fare meglio.


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Kobayashi

#84
@Ipazia
Rimanere fedeli alla terra: è in sintesi il programma di Nietzsche del rovesciamento del platonismo.
Riguarda il tema della verità: ciò che è vero è il sensibile, non il soprasensibile.
Ma questo non dice nulla sul fine. Non dice nulla su cosa fare di questa terra a cui si è giurato fedeltà, se il luogo dello scontro, se un impossibile ritorno all'incontaminato, se un giardino da modellare dove ciascuno possa vivere bene, etc.
Vivere senza un fine è cosa adeguata alle macchine, non agli umani, per cui il cammino (che si può trarre dalla filosofia di Nietzsche) del voler pensare e vivere al di là di questa categoria è, probabilmente, un vicolo cieco.
Così come l'insistenza sull'immanentismo quando in verità noi siamo, come dice giustamente Heidegger, apertura, progetto, un andare oltre a noi stessi. E quindi "immanentismo" alla fin fine non può significare altro che il rifiuto della trascendenza platonico-cristiana. Che è però ormai storia. Mentre la trascendenza (senza fuga soprasensibile) dalle cose e dalle immagini che mi assediano e mi schiacciano è la vera vita e il presupposto della pratica filosofica.

Piuttosto bisognerebbe approfondire il tema della determinazione di un fine a partire dalla volontà di potenza. Cioè la questione della decadenza o della salute di una civiltà che riesce a porsi un fine, senza che questo debba essere per forza suggerito dalla voce di un nuovo dio.
Bisogna approfondire il tema della volontà di potenza in relazione alla creatività.
Non penso si tratti di vaneggiamenti – come dice Paul a conclusione del suo post. Altrimenti saremmo di fronte all'enigma di un pensatore che su alcuni temi mostra una profondità unica, e su altri solo banalità violente e di cattivo gusto. Il che per me sarebbe del tutto incomprensibile.

iano

#85
Leggendo i vostri ultimi post, della cui accessibilità mi compiaccio, diverse sono le domande che mi si affollano nella mente.
La tentazione di semplificare al fine di giungere a una risposta sembra compito quasi banale per una mente come la mia non appesantita da conoscenza della materia, e così mi accingo a fare.
La distinzione fra sensibile e sovrasensibile, così come là si fa', là si può anche disfare, se si vuole riportare ad unità l'essere.
La mia sensazione è che si eviti di mettere in evidenza i diversi gradi dell'essere, coi quali però non si può non fare i conti.
Un modo per farlo è privilegiare ora un grado, ora l'altro, come il sensibile e il soprasensibile, cercando di derivare uno dall'altro o viceversa.
Però a me pare che se vogliamo cercare l'origine dell'essere non dobbiamo cercarla in uno dei tanti aspetti con cui ci appare, ma derivarla da tutti questi insieme.
La ricchezza delle forme in cui ci appare l'essere è tale da farci apparire queste forme antitetiche, testimoniando invece solo la diversificazione e complessità del nostro rapporto con la realtà che tali forme produce.
Il considerare prevalente una forma sull'altra, come storicamente è avvenuto,  se da un lato lo si può vedere come uno scusabile quanto inevitabile errore, dovrebbe però equivalere ormai a una presa di coscienza del fatto che nessuna forma è privilegiata riportando le diverse forme ad una unità che io suggerisco trovarsi nel rapporto con la realtà, che è unico seppur vario.
Nel caso specifico dell'uomo questo rapporto contempla un pesante uso della coscienza, ma più in generale ciò riguarda credo gli esseri viventi, apparendo solo meglio evidente nell'agire umano per motivi quantitativi.
Da ciò traiamo l'idea di un agire volontario , che io non mi sogno di negare, ma credo al contempo che non ci aiuti a capire il relegare tale volontà al solo uomo.
Così facendo infatti poi non possiamo che restare sorpresi delle soluzioni escogitate dalla natura, come cose meravigliose se venute veramente da se', senza alcuna volontà guida.
Le distinzioni servono a capire, ma quando vogliamo allargare la nostra comprensione non serve stiracchiare quelle distinzioni all'infinito, ma occorre disfarle per ricomporle , se è il caso, diversamente.
Così mi sembra essere arrivato storicamente il momento di disfare sensibile e sovrasensibile se vogliamo approfondire la nostra conoscenza rendendone un quadro più aderente ai nuovi fatti.
Certe discussioni filosofiche che sembrano ripetersi all'infinito trovano credo la loro causa in una inconscia astrazione , che l'uomo, pur nel suo divenire, rimanga tale, e  ciò sembra derivare da un nostro inconfessato desiderio.
Così la nostra conoscenza semplicemente si accumula affollando oltre la sua capienza il relativo quadro, anche quando è arrivato il momento invece di cambiarlo.
Di disfarlo per diversamente ricomporlo.
Questa è una esigenza ciclica perché quando hai completato l'album di figurine Panini, non ti resta che comprarne uno nuovo.
Bisogna per forza porsi un fine per agire?
Ciò sembra essere inevitabile perché la conoscenza genera previsioni che giustificano l'intervento della volontà come scommessa sulle diverse possibili opzioni da intraprendere.
Per fine però si è soliti intendere una scelta a lunga scadenza. Meglio se appare definitiva, ma ciò è in netto contrasto con la dinamica della vita.
Così, in tal senso, a volte sembra mancare un fine nell'agire, ma ciò non può mai essere , ma solo apparire.
È solo una distorsione percettiva che riguarda l'individuo, che non riesce a vedere il fine della vita, composta di individui, pena la sua fine.
Si tende , per motivi che non so', forse legati all'istinto di sopravvivenza, a idealizzare l'essere in un Dio che tutto sa' e che tutto può, ma a cui alla fine manca un buon motivo per fare alcunché. Dio è l'essere senza un fine.
Strano che proprio in esso si cerchi una guida, un fine da perseguire.
Ciò significa solo che una qualunque possibile distinzione , come è ad esempio l'essere, quando portata oltre i limiti di ciò che l'ha generata , non può che mutarsi nella sua negazione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#86
La distinzione fra materia e spirito spiega molte cose, ma non è necessaria in se'.
Essa non è inevitabile, seppure quando non riuscissimo a vedere come disfarla per poi diversamente ridefinirla.
Però non per questo siamo autorizzati a credere che la realtà corrisponda a ciò cui siamo stati capaci filn qui di giungere.
La volontà non si esplica solo nella relativa applicazione della conoscenza, ma anche nel cambiarne il quadro, il quale ogni volta che viene ridefinito somiglia a un fine, cioè a ciò che giustifica una azione dalla lunga vista.
Quando il quadro è in via di ridefinizione per fatti nuovi da includervi non può che sentirsi la mancanza momentanea di questo fine.
Si può quindi ben comprendere  la frustrazione di Paul 11 per l'arduità del compito che ci attende.
Ma non resta allora che mettere in moto la volontà di ridefinire il quadro della conoscenza, e ciò non può che renderci felici, essendo maestri nel suo uso.
Chi non è felice infatti quando chiamato a mostrare l'arte in cui eccelle , e ancor più  se il compito non appare facile?
Siamo qui per questo, no?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Kobayashi


@iano
Secondo me non siamo qua per questo.
Perché non è soltanto una questione di conoscenza.
Non si tratta solo di capire la realtà, ma anche di dare un senso al mondo.
Il nichilismo (di cui stiamo trattando) non è il risultato di un deficit di conoscenza, la cui soluzione garantirebbe l'uscita da questa fase storica della civiltà occidentale.
È un problema più profondo e che non ha soluzione, nel senso che dovendosi realizzare un cambio radicale dei fondamenti della nostra civiltà, non può essere affrontato come se si trattasse di un rompicapo.
La filosofia può ripensare a fondo alcuni temi della sua tradizione, ma a volte le difficoltà sono enormi, non solo per l'oggettiva difficoltà di certi testi, ma perché è come se l'orizzonte di senso in cui questi testi sono nati, si sia perso per sempre.
Sono rimasto colpito da una frase di Heidegger in cui dice che l'idealismo classico tedesco (Hegel e Schelling) ormai ci risulta troppo lontano: non siamo più all'altezza del compito della comprensione (vera e profonda) di quella stagione della filosofia.
Si tratta forse di un'esagerazione, e tuttavia è interessante l'espressione "essere all'altezza del compito di ripensare una tradizione filosofica".

Ipazia

#88
Il fine è stato tracciato dalla millenaria parabola umanistica, trasversale a tutte le fedi e ideologie. E' un fine fatto di bellezza, sapere, piacere e consapevolezza. La volontà di potenza è indeclinabile umanisticamente se non includiamo l'amor fati. L'amor fati è consapevolezza del limite, della condizione mortale da superarsi (oltreuomo) nella sua irrevocabile presa d'atto fino a piegare la volontà di potenza nel gesto consapevole del "così volli che fosse":

Ogni "così fu" è un frammento, un enigma, una casualità orrida fin quando la volontà che crea non dica anche: "ma così volli che fosse!" (FN - Zarathustra)

Tale presa in carico della propria storia, mondata e rimondata dei suoi errori, è il motore verso un fine che non è meta palingenetica, ma destino. Il destino di una specie che ha imparato a non essere atterrita dal silenzio degli spazi infiniti in cui essa è l'unica voce pensante. L'unico creatore disponibile.

L.Wittgenstein dice che etica ed estetica pari sono. E lo sono al di là del dicibile tautologico del sapere scientifico. Nell'indicibile (mistico ?) laddove etica ed estetica si fondono sta la salvezza, il fine. Come avevano intuito l'"idiota" di Dostoevskij e l'illuminato Siddharta. Ma pure il terribile Eraclito che alla fine della sua riflessione disse che nel gioco - innocente e totale - di un bambino sta il regno del/sul mondo.

(Caro Paul11 ci siamo paracadutati ovunque, anche nello spazio, combinando pure i nostri sfracelli, come capita ai bambini quando, giocando, presumono troppo di sè e si fanno male. "E' giovane, ma crescerà". Prima o poi. Nel frattempo di dei manco l'ombra, per cui al bambino non resta che crescere e sfangarsela da solo col materiale di studio già disponibile e quello che saprà inventare. E quanto al futuro: bene, male, chissà !?!)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

#89
 @iano
Se l'interazione fra agente  conoscitivo e realtà costituisce un sapere, quel sapere oltre a perturbare la realtà muta la rappresentazione stessa del reale.


Penso che chi, per pura ipotesi avesse le chiavi della verità, semplicemente continua a vivere, non lo comunica a nessuno questo "segreto", e sa predire gli eventi, poiché gli sono chiari gli elementi e le condizioni che costituiscono gli eventi.


Il mio appello a presunte specie con barlumi di intelligenza, non è convenzione è metafora.


A mio parere si fa soprattutto chiacchiera, magari anche con spunti interessanti e ben poco filosofia.
La filosofia non è scrivere o dire qualunque cosa passi per la mente. C'è analisi, c'è un sistema, c'è un linguaggio, ci sono correlazioni....ecc.


Faccio a meno dell'esempio di FN, infatti in questo periodo leggo "Umano troppo umano" che è una sua opera, senza seguirlo, semplicemente riflettendo le sue ambiguità. Ci sono migliori poeti. E' un esteta, non un vero filosofo e piuttosto ambiguo


E quale è il vero compito del ragioniere, del geometra, del ricercatore, del politico, dell'economista?
O più semplicemente: quale è il compito dell'umano?
Stai sottovalutando cosa significa "fare cultura".


@kobayashi
direi che sono d'accordo con ciò che esprimi.


@iano


In questo forum si cade in un luogo comune, che il metafisico conosca e discuta del soprasensibile e lo scienziato moderno solo del sensible. Non è così. Qualunque umano normodotato  utilizza intellezione, ragione. Vede ,osserva, ha intuizione, ci ragiona sopra e cataloga razionalmente la sua esperienza personale dentro un sistema culturale che è quello vigente nella suo tempo d'esistenza. Poi può essere più o meno conformista o anticonformista secondo il pensiero culturale corrente.
Lo scienziato "involontariamente", per modo di dire , ma lo sa, utilizza sistematizzazioni classificatorie che vengono dalla metafisica e solo dopo razionalizzate secondo un canone scientifico , il metafisico non vive a dieci metri da terra, mangia, dorme, ha esperienze, socializza e si occupa di natura, di società come di domande che gli vengono dal mondo, dalle sue correlazioni che hanno finalità e principi che non possono essere ridotti nell'apparire e sparire dei fenomeni, così come dalla nascita o morte di umano.


Quindi non si tratta di operare una mediazione negoziale fra lo scienziato  e il filosofo per capire la "vera realtà", c'è una bella differenza fra la definizione di sostanza per la scienza e per un metafisico.
Quando Aristotele definisce .." Tutte le cose  si dicono in riferimento alla sostanza che fa loro da sostrato" mette in luce due vie diverse di indagine fra lo scienziato e il filosofo. Se ogni cosa si riferisce ad una determinata sostanza ( a cui ognuna  diamo un nome identificativo), che cosa è il "sostrato"?
Ma cosa spinge un seme a finalizzarsi in una pianta o un ovolo con uno spermatozoo a generare vita?E' possible che non si veda che ogni cosa ha un finalismo e da dove mai verrebbe questa "spinta" come l'evoluzionismo darwinista? La scienza su questo può indagare?
L'idea più "cretina" è proprio quello di un fantomatico "spontaneismo autopoietico " chissà mai da dove fuoriuscito. Ma non vedono le aporie culturali dell'indagine scientifica modernista?
Provate anti-filosofi e anti-metafisici a dare almeno una, e dico una risposta logica plausibile sui prinicipi e fondamenti , da come un materiale organico possa generare un essere vivente. Basta solo questa domanda a porre il limite fra metafisica e scienza moderna.


@kobayashi
Non si tratta solo di capire la realtà, ma anche di dare un senso al mondo.


Stai diventando un saggio........ancora sono d'accordo.
Per togliere l'egoismo , colui che vi propende dovrebbe chiedersi se l'alternativa, almeno meno egoismo e più altruismo, abbia un senso sociale migliore. Intendo dire che la risposta sul senso della vita deve a sua volta ridefinirsi in un piàù alto "senso del mondo". Per autogiustificare il proprio egoismo ,non basta una "deviazione" psichica, poiché la ragione mostrerebbe la differenza fra un atto malvagio e uno benevolo  e non conviene alla lunga perseguire una logica di fattività egoistica , ameno che sia paragonabile ad una "malattia".


Quando si tratta di ripensare una tradizione filosofica, e lo avverto in questo forum, significa entrare nella mentalità di quell'epoca e spogliarsi delle proprie preconfezionate pregiudiziali: questo è il problema esegetico ad esempio nelle traduzioni di testi antichi. La natura per i filosofi presocratici è vista con "occhi" diversi dallo scienziato attuale che è "distaccato" dal fenomeno . Noi abbiamo distaccato il potere dell'intellezione che è andare oltre all'epifenomeno", al fenomeno superficiale , non ci entriamo "dentro", perché siamo ormai compromessi dalla cultura attuale che ci educa al distacco e quindi non "viviamo" la relazione.
Questo distacco porta all'indifferenza con tutte le sue nichilistiche decadenze umane. Perchè le popolazioni "non-scientifiche" vedono "lo spirito" in ogni manifestazione del mondo e quindi tendono a far rimanere integro il rapporto natura/uomo, perché non hanno quel distacco che ormai da secoli gli acculturati hanno. Infatti sono le nostre  vecchie generazioni soprattutto di origine contadine, scomparse o in via di sparizione, non acculturate e quindi non educate al distacco  che ancora presentavano questa preservazione di intoccabilità del rapporto uomo/natura.
Conoscevano e sapevano ancora cosa vuol dire "rispetto". 


@ipazia


forse un giorno capirai che Wittgenstein è stato un genio non per quello che ha scritto o detto,.......ma per quello che non ha detto.Lui era un mistico, un diverso, un omosessuale, che tendeva isolarsi dal mondo accademico che non sopportava. Quando la scuola neopositivista austriaca , il Circolo di Vienna di Carnap, gli chiese di entrare fra i suoi accoliti, non accettò. La sua figura era talmente nota nel linguaggio(discepolo prediletto da Russell a Cambridge) ......che fuggì andando  a fare il maestro di matematica a bambini in un paese Svizzero sperduto e aveva poco più di una capanna, in Norvegia se non erro, dove soleva isolarsi dal mondo, dando da mangiare agli uccelli selvatici dalle proprie mani e con le proprie mani costruì una casa per la sorella.
Quando un genio è schiacciato dalla sua immagine formale nota al mondo a quel mondo non può che riproporre il solito ritornello che al mondo piace sentire. ......ma lui in realtà era altro ,era diverso da quel mondo. Non potè comunicare con un mondo che aveva recepito di lui solo una parte e come spesso accade dovette recitare quella parte malvolentieri poiché la sua natura era tutt'altra.


Ho dei forti dubbi razionali che il "bambino" futuro potrà uscire da un sistema educativo che mina la sua sensibilità umana, trattandolo da macchina da istruire:  irrazionalmente glielo auguro un lieto futuro.......

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