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CONTRO IL NICHILISMO

Aperto da PhyroSphera, 22 Luglio 2021, 17:40:33 PM

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iano

#90
Citazione di: Kobayashi il 11 Agosto 2021, 12:16:15 PM

@iano
Secondo me non siamo qua per questo.
Perché non è soltanto una questione di conoscenza.
Non si tratta solo di capire la realtà, ma anche di dare un senso al mondo.
Il nichilismo (di cui stiamo trattando) non è il risultato di un deficit di conoscenza, la cui soluzione garantirebbe l'uscita da questa fase storica della civiltà occidentale.
È un problema più profondo e che non ha soluzione, nel senso che dovendosi realizzare un cambio radicale dei fondamenti della nostra civiltà, non può essere affrontato come se si trattasse di un rompicapo.
La filosofia può ripensare a fondo alcuni temi della sua tradizione, ma a volte le difficoltà sono enormi, non solo per l'oggettiva difficoltà di certi testi, ma perché è come se l'orizzonte di senso in cui questi testi sono nati, si sia perso per sempre.
Sono rimasto colpito da una frase di Heidegger in cui dice che l'idealismo classico tedesco (Hegel e Schelling) ormai ci risulta troppo lontano: non siamo più all'altezza del compito della comprensione (vera e profonda) di quella stagione della filosofia.
Si tratta forse di un'esagerazione, e tuttavia è interessante l'espressione "essere all'altezza del compito di ripensare una tradizione filosofica".
Non si tratta di un deficit di conoscenza, certamente.
Si tratta di trovare di volta in volta un quadro per la conoscenza includendo i nuovi fatti, e in questo quadro è già incluso un senso.
I nuovi fatti mettono in discussione il vecchio quadro, e questa è la fase nichilista, in attesa di un nuovo quadro comprensivo di nuovo senso.
Avere un nuovo quadro comprensivo dei nuovi fatti equivale a comprendere la realtà relativamente ad essi.
Il problema della comprensione vera e profonda delle passate stagioni filosofiche, che tu certamente trai da diligente studio, è certamente reale. Ma non fa' che certificare che gli uomini cambiano e con loro il quadro delle conoscenze da cui deriva un nuovo senso comune.
Ci sono certamente dei limiti di comprensione, ma temo siano accentuati dal fatto che oltre cercare di capire dovremmo al contempo trarre esempio.
Il vero processo di comprensione a mio parere equivale a una verifica di equivalenza fra due processi indipendenti, che nel nostro caso sono processi filosofici.
Il processo degli antichi e il tuo attuale.
Io certamente non sono diligente nello studio, ma ritengo anche di avere un buon alibi per ciò.
Mi basta leggere poco degli antichi filosofi perché da ciò parta il mio filosofare.
Una volta ripreso il testo filosofico, magari più in là' nel tempo, ancor meglio se per caso, non potrai che mettere a confronto il tuo processo filosofico recente, con quello del testo.
Se trovi buona coincidenza hai ben capito allora, al di là' del significato delle parole, che mutano nel tempo come mutiamo noi, ma non mutano del tutto i meccanismi del pensiero che ci accomunano agli antichi.
Tutti noi credo proviamo soggezione per la grandezza dei filosofi passati, ma questa soggezione non ci aiuta a comprenderli.
Meglio tentare una dissacrante immedesimazione.
Ci sono anche delle controindicazioni in ciò.
Perché se poi io ti dovessi illustrare il pensiero di Aristotele rischio, seppur in buona fede, di illustrati il mio.
Ti dirò cosa ha detto Aristotele ma in effetti ti dico cosa penso io.
Non so' se riesco a spiegarmi bene, ma sto cercando di dire che la scarsa disponibilità dei testi scritti, per non parlare della tradizione orale, ti obbligavano a metterci del tuo, e sarebbe un peccato se la disponibilità di testi antichi, che altro non è che ricchezza di fonti, inaridisse la nostra.
Il vero antidoto al nichilismo è usare la propria testa , e finché da ciò deriva ricchezza di pensiero di quale nichilismo ci dovremmo preoccupare?
Vedremmo in esso solo un banale cippo che segna un percorso di pensiero sempre in corso.
Io davvero non riesco a trarre preoccupazione da tutto ciò, e forse è un pregio o forse un difetto. Non so'.
Come si fa' a parlare di mancanza di valori se non vi è alcuno di noi che ne è privo?
Quello che manca è solo un nuovo senso comune che non mancheremo di trovare strada facendo, come sempre si è fatto.
I problemi, quando li viviamo in prima persona, sembrano sempre più grandi di quello che sono.
Gli antichi filosofi li hanno già affrontati e risolti e noi dovremmo trarne esempio ancor prima che comprensione.
Nessun testo filosofico ci dice davvero come è fatto il mondo, ma ci dice come siamo fatti noi che con quel mondo ci relazioniamo . In esso possiamo sempre riconoscerci ed immedesimarci e questo vale più  che capire.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#91
Il vero problema credo consista nel fatto che la scienza sembra aver monopolizzato i fatti , di modo che i filosofi , che scienziati non sono, si sentano autorizzati nella loro riflessione a poterne prescindere.
Così al massimo i nuovi fatti sono per loro solo fonte di fastidio indiretto, perché la impersonale società umana di certo non ne prescinde, e in quella loro sono obbligati a vivere, trovando magari rifugio negli antichi testi .
Ma in quei testi noi dovremmo cercare solo l'esempio di come i nuovi fatti creano il nuovo senso comune.
Il problema della ricostituzione di un nuovo senso comune sta nel fatto che esso si basa su cose ovvie per tutti ( che senso comune sarebbe sennò?).
Ma a questo mondo non vi è nulla di ovvio, e di questo dobbiamo ricordarci quando si rende necessario smontare il vecchio senso comune per rimontare uno nuovo.
Scoprire la non ovvietà dell'ovvio e' il compito dei filosofi.
Se poi nel farlo si prova anche un sottile malsano piacere, meglio ancora, anche se ciò , come la storia ci insegna, non è esente da rischi.
Purtroppo, infatti, ci prendiamo sempre troppo sul serio.
Ci prendiamo troppo sul serio quando ciò che traiamo dal nostro rapporto con la realtà diventa la realtà stessa.
Purtroppo sembra che senza far ciò non si riesca a costituire un senso comune.
Non può esistere senso comune laddove non si crede davvero a ciò che si "vede".
Ma purtroppo ciò che si vede non corrisponde mai direttamente alla realtà , ma solo al nostro relativo rapporto con essa che sempre si rinnova.
Un nuovo modo di vedere deriva da un nuovo quadro della conoscenza il quale ci da' un senso e un fine.
Non c'è nulla di predefinito che il nuovo quadro deve contenere , anche se non si inventa nulla da nulla.
Ma nessuno a priori può dire, come fa' Paul 11, che il quadro deve spiegarmi come ha origine il mondo e come la vita si origina dalla materia, come fossero ovvi quesiti ineludibili.
Non c'è proprio nulla di ovvio.
Se poi il quadro contiene l'origine del mondo e il come dalla materia sorga la vita, questo è solo funzionale al quadro di oggi, e potrebbe non più esserlo a quello di domani.
Ma per un filosofo non dovrebbe esistere nulla di ovvio in se'.
Ciò che oggi sembra aver un senso domani lo perde e ciò che conta è solo che sia funzionale alla creazione di un quadro della conoscenza attuale quanto provvisorio.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#92
Il senso della filosofia

Se la filosofia fosse una sostanza, non sarebbe di tipo farmacologico, ma gnoseologico. Nella ricerca della verità può essere - bigmaxianamente - un viaggio nell'Inferno verso il Nulla oppure un'illuminazione verso il Nirvana o, più prosaicamente, una umanistica valle dell'Eden benedetta dal pensiero di Epicuro.

Il sapere filosofico ha in comune col sapere scientifico l'aspetto gnoseologico/epistemico, ma con un ingrediente in più che consiste nel dare un senso alle cose dopo aver trovato degli indizi ragionevoli a supporto di tale senso. Indizi che provengono dal mondo scientifico, con beneficio d'inventario per la falsificazione sempre dietro l'angolo. E indizi propri, più consistenti, che il sapere filosofico individua da sé nell'elaborazione dell'esperienza storica.

Tale elaborazione non ha l'imprimatur di nessun filosofo in particolare, ma è la sommatoria della riflessione umana universale laddove essa abbia colto nuclei di verità della condizione umana persistenti nel tempo, tali da definire la sostanza della natura umana anche in senso aristotelico come richiede Paul11.

Lo iato tra il pensatore e la sua vita non è prova della fallacia del pensiero, ma semmai del carattere poco utopistico della verità, qualunque cosa essa sia, immanente alla condizione umana (mortale, fallace, rissosa,...) cui la filosofia dovrebbe offrire, in seconda battuta, farmaci efficaci per la sua sopportabilità. Tale farmaco per il filosofo è già contenuto nella ricerca ma, per la debolezza del corpo e dello spirito, qualche galenico filosofico è profilassi principale per prevenire la malattia di questa discussione.

La filosofia, a differenza della tecnoscienza (inclusa quella dello Spirito) non necessita di alcuna escatologia per essere pienamente operante. Come il bambino di Eraclito, può trarre tutti i suoi materiali fisici e metafisici dall'immanenza e creare ogni tipo di gioco. Perchè la filosofia è edificante. Termine che odora un po' di sagrestia in ambito cattolico, ma che assume tutta la sua pregnanza semantica nella Bildung, formazione, della tradizione filosofica germanica. Bildung (das Bild, immagine) è immagin-azione al potere, direbbe un poeta. E solo Dio, che probabilmente non c'è, sa quanto la filosofia debba alle intuizioni, talvolta al limite del delirio, dei poeti. Dove vada la Bildung lo sanno forse solo Eraclito, Siddharta, Nietzsche (con riserva) e pochi altri illuminati. Ma filosoficamente non mi preoccuperei troppo. Il bambino è giovane, ma crescerà. E se di aborto si tratta, finirà nella spazzatura della storia cosmica, com'è giusto che sia per chi non paga il filo di Anassimandro. Noblesse oblige.

Che vi sia finalismo nei processi naturali degli organismi viventi è possibile ed è materia scientifica. Aggrapparsi a tale sporgenza per riscrivere filo- e teo- sofie escatologiche mi pare assai periglioso per chi si cimenta nella scalata. Più fecondo è il sentiero della filosofia della prassi radicata nell'immanenza da cui spicca il volo trascendentale negli spazi celesti della cultura. Che ancora una volta in tedesco ha una marcia in più: Kultur, civiltà. Sulla filosofia della prassi, mutuando Marx attraverso Gramsci, Fusaro ha fatto un video che mi riservo di visionare e analizzare con cura.

La filosofia della prassi trae i suoi fondamenti umanistici dalla definizione marxiana di "ricambio organico tra uomo e natura". Che è, compiacendo Paul, definizione totalmente qualitativa e, visto l'autore, anticapitalistica (quindi antiquantitativa, anti disumanizzante accumulativa/statistica) ab origine. Qualitativa tanto in senso gnoseologico che etico. Qualitativa filosoficamente: qualità della vita. Ovvero ciò che fin dagli albori del pensiero filosofico lo ha caratterizzato e sostanziato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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