conoscenza e critica della conoscenza

Aperto da davintro, 15 Agosto 2016, 18:26:43 PM

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sgiombo

#225
Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 14:28:58 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2016, 08:09:19 AM
Forse tu no, ma le comunità dei parlanti sì: così é nato il linguaggio e si evolvono le lingue (o credi che le abbia insegnate una qualche divinità o che le cose stesse abbiano detto: "chiamatemi "così" e non "cosà"?).
Forse una qualche mitologica comunità di parlanti, perché che io sappia non vi è nessuna traccia di una comunità i cui membri, senza avere alcun linguaggio, si mettano a inventarne uno convenzionando su di esso.

CitazioneOvvio: non vi é alcuna traccia dell' inizio del linguaggio, comunque sia avvenuto!
Ma di fatto il linguaggio é un insieme di arbitrari e convenzionalmente accettati simboli verbali e delle regole grammaticali e sintattiche del loro impiego.


CitazioneAppunto: dire che le cose reali esistono é un fatto, mentre l' esistenza reale delle cose é un altro, ben diverso fatto (e spessissimo si dà l' uno e non l' altro o viceversa)!
E come fanno le cose reali a esistere se la loro esistenza reale non ha luogo?
CitazioneInfatti non ho scritto: L' avere luogo delle cose reali é un fatto, mentre l' esistenza reale delle cose é un altro, ben diverso fatto (e spessissimo si dà l' uno e non l' altro o viceversa)!
Bensì:  
dire che le cose reali esistono é un fatto, mentre l' esistenza reale delle cose é un altro, ben diverso fatto (e spessissimo si dà l' uno e non l' altro o viceversa)!

L' affermazione che mi attribuisci e quella che ho effettivamente sostenuto mi sembrano completamente diverse!

Non so più come cercare di fartelo capire: un fatto è l' esistere delle cose (enti ed eventi) reali, cioè l' "avere luogo" delle loro esistenze (del loro accadere) nella realtà, un' altro ben diverso (eventuale) fatto è il pensare, il dire, il considerare teoricamente le cose (reali o meno): l' uno di questi due generi completamente diversi di fatti può accadere insieme all' altro (dicesi "conoscenza vera"), ma può anche benissimo accadere e di fatto accade anche senza che accada l' altro: se tu non cogli questa enorme differenza è inutile continuare a discutere: continua pure a considerare assurde farneticazioni quanto io sostengo perché non c' è modo da parte mia di farti comprendere che non lo sono.

CitazioneCECI N' EST PAS UNE PIPE
Certo, l'immagine di una pipa non è una pipa, esattamente come il termine "pipa" non è la cosa che quel termine indica, è solo il suo segno. Questo però non significa che quel segno possiamo decidere di cambiarlo quando e come ci pare, né inventarcelo dal nulla di punto in bianco. Nel momento in cui la cosa si presenta si presenta in un significato (e non in tutti i significati) che gli è proprio e quel significato è tradotto da un nome e proprio in quel nome (che non è la cosa) appare in oggetto l'accadere di quella cosa.  
Che ci siano montagne in luoghi mai visitati dall'uomo fa parte del significato che l'uomo (e solo l'uomo) dà al termine "montagna", proprio come che non ci possano essere ippogrifi fa parte del significato che l'uomo dà al termine "ippogrifo", ove "l'uomo", in entrambi i casi, non è né questo né quell'uomo, ma la comunità umana nelle condizioni storiche, tecniche e culturali da cui si trova espressa e in cui realmente accade solo ciò che in quel contesto di significati può apparire.
CitazioneNon ho mai visto e sentito una pipa dire a chichessia (o apparire dicendo a chichessia): <<mi raccomando, chiamami "pipa", perché se invece mi chiamassi -che ne so- "apip" mi offenderei tantissimo e renderei disgustoso il tabacco che fumerai usandomi>>.

Le cose si presentano ai nostri sensi nel loro accadere e non nel (l' accadere e inoltre) significare alcunché, a meno che non si tratti di un peculiarissimo genere di cose che sono i simboli, arbitrariamente e convenzionalmente dotati di significato da parte degli uomini.

Casomai l' uomo da un significato "a montagne mai viste" nel pensare, nel sapere (da parte per l' appunto dell' uomo) che quelle montagne esistono, ma questo significato non l' ha l' esistenza reale di quelle montagne, che semplicemente accadrebbe (e basta) anche se nessuno lo pensasse.
Ma se non esistono ippogrifi come cose reali indipendentemente dal pensarli, allora non è vera la tua affermazione "Secondo me la cosa e la parola restano proprio come due facce della stessa medaglia, diverse, ma inseparabili in un determinato contesto che non siamo comunque noi a scegliere e che può sempre cambiare": la parola "ippogrifo" non ha un' "altra faccia della medaglia" costituita da alcun ippogrifo reale (una cosa ippogrifo: faccia "B"), oltre al pensiero dell' ippogrifo (faccia "A").

Ma continuare a ripetere sempre le stesse cose non mi sembra utile né tantomeno dilettevole, quindi stavolta mi asterrò davvero dal replicare dato che da almeno quattro o cinque volte sia tu che io non facciamo che ripetere sempre inutilmente le stesse affermazioni (ovvio che in questo caso chi tace non acconsente).

maral

Citazione di: sgiombo il 10 Ottobre 2016, 20:59:07 PM
Ovvio: non vi é alcuna traccia dell' inizio del linguaggio, comunque sia avvenuto!
Ma di fatto il linguaggio é un insieme di arbitrari e convenzionalmente accettati simboli verbali e delle regole grammaticali e sintattiche del loro impiego.
E allora dove sta la verità di questo fatto che sostieni incontrovertibile?

Se il tuo discorso vuol dire: esistono cose reali la cui esistenza può apparirci o meno significando qualcosa oppure nulla sono perfettamente d'accordo, se vuol dire esistono cose che ci appaiono significando, senza avere realtà alcuna, no (e questo vale pure per gli ippogrifi se "ippogrifo" significa qualcosa, anche se non me lo ritroverò mai in carne ed ossa davanti al naso, poiché ritrovare in carne e ossa sono solo un modo che hanno le cose di significare) .

Prendiamo ad esempio la frase, che mi pare rispecchi quello che affermi:
"la natura è come è, indipendentemente da come la diciamo che sia". Ma questa è comunque una frase, è qualcosa che viene da noi detto della natura, dunque, se è vera la natura è  indipendente da questo stesso dire. Capisci la contraddizione? Si sta dicendo che quello che si dice, essendo arbitrario, non ha alcuna relazione con quello che è, ma allora questo vale anche per questa affermazione perbacco, dato che la si sta dicendo! Che relazione può mai avere questa stessa frase con la natura per come è?
Questo però non significa assolutamente che l'esistenza della natura dipende da quello che diciamo come se fosse l'ovvia e unica alternativa a quanto prima detto.
Ciò che è non dipende da ciò che ne diciamo, ma il suo modo di poterci apparire in qualche modo sì (apparirci come quel monte, quel cavallo e pure come tutte le immagini di fantasia o in carne e ossa in cui può apparirci nei contesti e secondo i modi in cui si manifesta il loro significato). E ciò che diciamo non lo inventiamo mai noi (come Walter Chiari inventava la parola "Sarchiapone" nel famoso sketch che credo ricorderai), proprio in quanto ci appare e non siamo noi a far apparire ciò che appare nel modo in cui appare, non lo costruiamo mai a tavolino, non lo disegniamo come vogliamo ad libitum, ma è quello stesso apparirci che ci  presenta ciò che realmente è (e non sappiamo cosa sia se non ci appare in qualche modo) nei modi in cui in quel contesto si manifesta.


sgiombo

#227
Citazione di: maral il 13 Ottobre 2016, 11:51:43 AM
Citazione di: sgiombo il 10 Ottobre 2016, 20:59:07 PM
Ovvio: non vi é alcuna traccia dell' inizio del linguaggio, comunque sia avvenuto!
Ma di fatto il linguaggio é un insieme di arbitrari e convenzionalmente accettati simboli verbali e delle regole grammaticali e sintattiche del loro impiego.
E allora dove sta la verità di questo fatto che sostieni incontrovertibile?

CitazioneE allora dove sta la dimostrazione che l' uno o l' altro di questi fatti (non esservi traccia dell' inizio del linguaggio e convenzionalità dei simboli verbali dei concetti) non sarebbe incontrovertibile?


Se il tuo discorso vuol dire: esistono cose reali la cui esistenza può apparirci o meno significando qualcosa oppure nulla sono perfettamente d'accordo, se vuol dire esistono cose che ci appaiono significando, senza avere realtà alcuna, no (e questo vale pure per gli ippogrifi se "ippogrifo" significa qualcosa, anche se non me lo ritroverò mai in carne ed ossa davanti al naso, poiché ritrovare in carne e ossa sono solo un modo che hanno le cose di significare) .


CitazioneCos' altro ho mai sostenuto se non che esistono cose reali che non significano nulle a altre (i simboli) che significano (per assunzione arbitraria) qualcosa?
Se intendi questo con "cose reali la cui esistenza può apparirci o meno significando qualcosa oppure nulla" siamo d' accordo (ma non mi pareva...).

Non ho mai affermato la contraddizione: "ci sono cose reali che significano qualcosa (simboli) senza essere reali" ma casomai che ci sono cose reali che sono simboli verbali, come "ippogrifo", che significano un concetto (hanno ovviamente una connotazione) senza avere una denotazione reale (simboli verbali il cui significato è reale unicamente in quanto oggetto di pensiero; e dunque non ti ritroverai mai i significati di questi simboli verbali -del tipo di "ippogrifo"- in carne e ossa davanti al naso).


Prendiamo ad esempio la frase, che mi pare rispecchi quello che affermi:
"la natura è come è, indipendentemente da come la diciamo che sia". Ma questa è comunque una frase, è qualcosa che viene da noi detto della natura, dunque, se è vera la natura è  indipendente da questo stesso dire. Capisci la contraddizione? Si sta dicendo che quello che si dice, essendo arbitrario, non ha alcuna relazione con quello che è, ma allora questo vale anche per questa affermazione perbacco, dato che la si sta dicendo! Che relazione può mai avere questa stessa frase con la natura per come è?

CitazioneMa quale contraddizione?
"La natura è come è, indipendentemente da come la diciamo che sia" non significa che parliamo della natura e inoltre contemporaneamente non parliamo della natura, bensì che la natura è ciò che è, sia se e quando include il fatto che parliamo della natura (di cui siamo parte), sia se e quando non include il fatto che parliamo della natura.


Questo però non significa assolutamente che l'esistenza della natura dipende da quello che diciamo come se fosse l'ovvia e unica alternativa a quanto prima detto.
Ciò che è non dipende da ciò che ne diciamo, ma il suo modo di poterci apparire in qualche modo sì (apparirci come quel monte, quel cavallo e pure come tutte le immagini di fantasia o in carne e ossa in cui può apparirci nei contesti e secondo i modi in cui si manifesta il loro significato). E ciò che diciamo non lo inventiamo mai noi (come Walter Chiari inventava la parola "Sarchiapone" nel famoso sketch che credo ricorderai), proprio in quanto ci appare e non siamo noi a far apparire ciò che appare nel modo in cui appare, non lo costruiamo mai a tavolino, non lo disegniamo come vogliamo ad libitum, ma è quello stesso apparirci che ci  presenta ciò che realmente è (e non sappiamo cosa sia se non ci appare in qualche modo) nei modi in cui in quel contesto si manifesta.

CitazioneSe "ciò che è non dipende da ciò che ne diciamo, ma il suo modo di poterci apparire in qualche modo sì" significa che ciò che è non dipende da ciò che ne diciamo, ma il nostro pensarlo (=il suo modo di poterci apparire in qualche modo) sì, sono ovviamente d' accordo: è una tautologia!

Io non ho mai visto alcunché di naturale (di non fatto appositamente, intenzionalmente in siffatto modo da uomini) che apparisse alla mia vista insieme a una scritta (o alla pronuncia di un vocalizzo) costituita (-o) dalla parola (in che lingua?!?!?!) con cui si è invece deciso arbitrariamente (essendo più o meno esplicitamente consapevoli dei questa decisione arbitraria a seconda dei casi) di chiamarla (proprio come nello sketch si è finto fosse stato deciso di chiamare così l' inesistente sarchiapone: l' unica differenza, fra il sarchiapone e il mio gatto Attila è che il primo non esiste, il secondo per mia fortuna sì: non riguarda in alcun modo la loro rispettiva denominazione, la quale, nella realtà nel secondo caso, nella finzione artistica nel primo, è stata comunque arbitraria).

Che non siamo noi a far apparire ciò che appare nel modo in cui appare, non lo costruiamo mai a tavolino, non lo disegniamo come vogliamo ad libitum, ecc. sono ovviamente d' accordo (altra tautologia).
Ma l' apparirci di ciò che ci appare =/= il denominare ciò che ci appare.

maral

#228
Scusa Sgiombo, ma dicendo che la natura è come è, indipendentemente da come la diciamo, stiamo dicendo proprio qualcosa della natura e non è nemmeno una tautologia, (la tautologia sarebbe che la natura è la natura, senza ulteriori specificazioni su ciò che è o non è, che se ci si mettono vanno ad aggiungersi debitamente o indebitamente). Ma il punto è che proprio assumendo per vera tale affermazione essa si dimostra completamente insignificante (ossia se è vera è falsa). Se la natura è indipendentemente da come la diciamo, ora che diciamo questo della natura, stiamo dicendo qualcosa da cui la natura è del tutto indipendente, proprio per come la si è detta.
CitazioneIo non ho mai visto alcunché di naturale (di non fatto appositamente, intenzionalmente in siffatto modo da uomini) che apparisse alla mia vista insieme a una scritta (o alla pronuncia di un vocalizzo) costituita (-o) dalla parola (in che lingua?!?!?!) con cui si è invece deciso arbitrariamente (essendo più o meno esplicitamente consapevoli dei questa decisione arbitraria a seconda dei casi) di chiamarla (proprio come nello sketch si è finto fosse stato deciso di chiamare così l' inesistente sarchiapone: l' unica differenza, fra il sarchiapone e il mio gatto Attila è che il primo non esiste, il secondo per mia fortuna sì: non riguarda in alcun modo la loro rispettiva denominazione, la quale, nella realtà nel secondo caso, nella finzione artistica nel primo, è stata comunque arbitraria).
Niente appare con una scritta con il suo nome sotto, ma questo non significa che i nomi li mettiamo noi come ci pare e infatti neppure questo accade. Hai forse mai messo a tuo arbitrio dei nomi a delle cose o non li hai forse appresi? Pensi che gli uomini di decine di migliaia di anni or sono si siano messi a pronunciare fonemi a caso e poi si siano messi d'accordo su cosa dovessero significare? E con che linguaggio lo avrebbero fatto? Con gli stessi fonemi su cui dovevano ancora concordare?
I nomi vengono dal contesto culturale e sociale che conosce i significati che ha imparato a conoscere nel vedere e usare le cose. I nomi variano, certo, a seconda di cosa si vede, come lo si percepisce e lo si usa, a seconda di quale parte della cosa appare o meno come rilevante e per questo quando qualcuno dice un nome che non conosco ("sarchiapone" ad esempio), è ovvio che cerco e immagino la cosa che quel nome penso indichi, non denotandola, ma evocandola sulla base di riferimenti ad altri suoni di cui già so e sappiamo il significato.

P.S. tra l'altro pare che il sarchiapone esista, in dialetto napoletano e abruzzese, ma non è un animale.

sgiombo

Citazione di: maral il 13 Ottobre 2016, 17:24:07 PM
Scusa Sgiombo, ma dicendo che la natura è come è, indipendentemente da come la diciamo, stiamo dicendo proprio qualcosa della natura e non è nemmeno una tautologia, (la tautologia sarebbe che la natura è la natura, senza ulteriori specificazioni su ciò che è o non è, che se ci si mettono vanno ad aggiungersi debitamente o indebitamente). Ma il punto è che proprio assumendo per vera tale affermazione essa si dimostra completamente insignificante (ossia se è vera è falsa). Se la natura è indipendentemente da come la diciamo, ora che diciamo questo della natura, stiamo dicendo qualcosa da cui la natura è del tutto indipendente, proprio per come la si è detta.

CitazioneDi qualunque "cosa" (soggetto di predicato; anche della natura) dire (predicare) che é come é (ovvero ciò che é) é una tautologia.
E infatti io non mi sono limitato a questa tautologia, ho invece affermato che é come é indipendentemente dal se e come la si pensa essere: appunto, la natura é ciò che é ovvero come é indipendentemente dal fatto che questa affermazione venga avanzata o meno (lo sarebbe anche se non lo dicessi: senza che ne faccia parte questo pensiero o facendone parte questo pensiero, in entrambi i casi tautologicamente sarebbe come é).

CitazioneIo non ho mai visto alcunché di naturale (di non fatto appositamente, intenzionalmente in siffatto modo da uomini) che apparisse alla mia vista insieme a una scritta (o alla pronuncia di un vocalizzo) costituita (-o) dalla parola (in che lingua?!?!?!) con cui si è invece deciso arbitrariamente (essendo più o meno esplicitamente consapevoli dei questa decisione arbitraria a seconda dei casi) di chiamarla (proprio come nello sketch si è finto fosse stato deciso di chiamare così l' inesistente sarchiapone: l' unica differenza, fra il sarchiapone e il mio gatto Attila è che il primo non esiste, il secondo per mia fortuna sì: non riguarda in alcun modo la loro rispettiva denominazione, la quale, nella realtà nel secondo caso, nella finzione artistica nel primo, è stata comunque arbitraria).
Niente appare con una scritta con il suo nome sotto, ma questo non significa che i nomi li mettiamo noi come ci pare e infatti neppure questo accade. Hai forse mai messo a tuo arbitrio dei nomi a delle cose o non li hai forse appresi?
CitazioneOvviamente li ho appresi (a parte "Asiafrica"): mica sono un grande poeta o un autore di scoperte scientifiche!
Dante e Galileo e tanti altri hanno coniato ex novo del tutto arbitrariamente più di una parola.
O credi che Galileo "Pianeti Medicei" l' abbia letto al telescopio scritto su uno dei satelliti di Giove a mo' di etichetta su una merce del supermercato?!?!?!
E Amerigo Vespucci (o chi per esso) "America" l' abbia letto sulla collina di Hollywood come la scritta (peraltro altrettanto arbitrariamente arbitrariamente appostavi da qualcun altro) "Hollywood"?!?!?!


Pensi che gli uomini di decine di migliaia di anni or sono si siano messi a pronunciare fonemi a caso e poi si siano messi d'accordo su cosa dovessero significare? E con che linguaggio lo avrebbero fatto? Con gli stessi fonemi su cui dovevano ancora concordare?

CitazioneCerto, ovviamente, con i fonemi che stavano arbitrariamente inventando!
L' accordo l' hanno probabilmente trovato spontaneamente, senza istituire una apposita "commissione per lo stabilimento dei fonemi" (cosa che invece accadde quando fu inventata la lingua indonesiana, attualmente parlata da centinaia di milioni di persone).


I nomi vengono dal contesto culturale e sociale che conosce i significati che ha imparato a conoscere nel vedere e usare le cose.

CitazioneChe ha imparato a simboleggiare le varie cose (i concetti denotanti cose; oltre a quelli puramente immaginari, privi di denotazione reale) con parole arbitrariamente stabilite.

I nomi variano, certo, a seconda di cosa si vede, come lo si percepisce e lo si usa, a seconda di quale parte della cosa appare o meno come rilevante e per questo quando qualcuno dice un nome che non conosco ("sarchiapone" ad esempio), è ovvio che cerco e immagino la cosa che quel nome penso indichi, non denotandola, ma evocandola sulla base di riferimenti ad altri suoni di cui già so e sappiamo il significato.

P.S. tra l'altro pare che il sarchiapone esista, in dialetto napoletano e abruzzese, ma non è un animale.

CitazionePerfettamente coerente con l' arbitrarietà dei nomi delle cose e non con il preteso, mitico "apparire delle cose con i loro nomi già incoporati".


sgiombo

#230
Citazione di: sgiombo il 13 Ottobre 2016, 18:22:56 PM
Citazione di: maral il 13 Ottobre 2016, 17:24:07 PM

Pensi che gli uomini di decine di migliaia di anni or sono si siano messi a pronunciare fonemi a caso e poi si siano messi d'accordo su cosa dovessero significare? E con che linguaggio lo avrebbero fatto? Con gli stessi fonemi su cui dovevano ancora concordare?

CitazioneCerto, ovviamente, con i fonemi che stavano arbitrariamente inventando!
L' accordo l' hanno probabilmente trovato spontaneamente, senza istituire una apposita "commissione per lo stabilimento dei fonemi" (cosa che invece accadde quando fu inventata la lingua indonesiana, attualmente parlata da centinaia di milioni di persone).
CitazioneQuesta storia dell' invenzione artificiale della lingua indonesiana l' avevo sentita dire qualche tempo e la ricordavo male; ho fatto un rapido giro in Google e ho constatato che é una bufala.
Tuttavia ciò non cambia la sostanza delle questione.

In compenso ti posso fare l' esempio dei nomi italiani delle località sudtirolesi (fra l' altro la stessa denominazione di "Alto Adige"; o Vipiteno per Stertnzig o giù di lì, non so di preciso), che furono inventati di sana pianta durante il fascismo (noto, fra le altre sue colpe, per l' esasperato imperialismo e nazionalismo d' accatto) e "decretati per legge", ed oggi sono di fatto comunemente usati (perfino da gran parte delle popolazioni locali, accanto ai corrispondenti tponimi tedeschi).

maral

#231
Citazione di: sgiombo il 13 Ottobre 2016, 18:22:56 PM
Di qualunque "cosa" (soggetto di predicato; anche della natura) dire (predicare) che é come é (ovvero ciò che é) é una tautologia.
E infatti io non mi sono limitato a questa tautologia, ho invece affermato che é come é indipendentemente dal se e come la si pensa essere: appunto, la natura é ciò che é ovvero come é indipendentemente dal fatto che questa affermazione venga avanzata o meno (lo sarebbe anche se non lo dicessi: senza che ne faccia parte questo pensiero o facendone parte questo pensiero, in entrambi i casi tautologicamente sarebbe come é).
La tautologia al massimo può essere: "la natura è come è", ma se ci aggiungi che è "indipendente da come la si dice o la si pensa" non è più una tautologia, perché nella tautologia non c'è nulla che implichi che essendo com'è il "com'è" non comprenda come la si dice e la si pensa. Introduci quindi una specificazione (di cui sei lecitamente convinto) che però non è implicita nella semplice tautologia A=A. Stai dicendo qualcosa in più, ossia come è A (ossia specifichi la natura di A), stai dicendo che A è questo e non quello. Ma soprattutto è una evidente contraddizione dato che lo dici, mentre sostieni che la natura è indipendente da come la si dice, quindi compreso anche come la stai dicendo tu, a meno che non intendi il tuo dire sulla natura escluso dalla regola che tu stesso hai enunciato.

CitazioneOvviamente li ho appresi (a parte "Asiafrica"): mica sono un grande poeta o un autore di scoperte scientifiche!
Dante e Galileo e tanti altri hanno coniato ex novo del tutto arbitrariamente più di una parola.
O credi che Galileo "Pianeti Medicei" l' abbia letto al telescopio scritto su uno dei satelliti di Giove a mo' di etichetta su una merce del supermercato?!?!?!
E Amerigo Vespucci (o chi per esso) "America" l' abbia letto sulla collina di Hollywood come la scritta (peraltro altrettanto arbitrariamente arbitrariamente appostavi da qualcun altro) "Hollywood"?!?!?!
Ma nessuno ha mai inventato le parole scegliendole liberamente a caso, ma sempre secondo un significato nato da altri nomi con i loro significati. Asiafrica è la combinazione di Asia e Africa, nomi che hanno già un preciso significato sulla base del quale intendo cosa indichi con quel nome, lo stesso "Pianeti Medicei", mica Galileo si è messo a emettere suoni a caso e poi ne ha scelta una combinazione a piacere tra le tante che gli uscivano dalla bocca per chiamare così quelle cose che vedeva con il cannocchiale, e Amerigo Vespucci (se davvero fu lui) ha chiamato l'America così in relazione al suo nome, quindi anche qui il motivo c'era. Poteva chiamarla diversamente? Forse, ma quel nome riflette la sua reale relazione con la cosa che ha nominato, proprio così e non in altro modo e nasce già con un preciso e chiaro significato.


CitazioneCerto, ovviamente, con i fonemi che stavano arbitrariamente inventando!
L' accordo l' hanno probabilmente trovato spontaneamente, senza istituire una apposita "commissione per lo stabilimento dei fonemi" (cosa che invece accadde quando fu inventata la lingua indonesiana, attualmente parlata da centinaia di milioni di persone).
E come hanno fatto a trovare l'accordo spontaneamente se ognuno si creava i suoi fonemi a caso senza che ve ne fossero altri per intendersi? Con quali fonemi si capivano per potersi mettere d'accordo?


CitazioneChe ha imparato a simboleggiare le varie cose (i concetti denotanti cose; oltre a quelli puramente immaginari, privi di denotazione reale) con parole arbitrariamente stabilite.
Nessun nome è privo di significato e nessun significato è immaginario (se per immaginario intendi del tutto arbitrario e quindi insignificante), a intenderlo per quello che davvero significa.

CitazionePerfettamente coerente con l' arbitrarietà dei nomi delle cose e non con il preteso, mitico "apparire delle cose con i loro nomi già incoporati".
Eppure anche in quello sketch, il motivo per dire "sarchiapone" c'era: https://it.wikipedia.org/wiki/Sarchiapone v. origine del termine. E quel motivo dà la realtà della cosa che ha come nome sarchiapone nel contesto in cui si è usato quel nome, ossia cosa davvero è.
CitazioneIn compenso ti posso fare l' esempio dei nomi italiani delle località sudtirolesi (fra l' altro la stessa denominazione di "Alto Adige"; o Vipiteno per Stertnzig o giù di lì, non so di preciso), che furono inventati di sana pianta durante il fascismo (noto, fra le altre sue colpe, per l' esasperato imperialismo e nazionalismo d' accatto) e "decretati per legge", ed oggi sono di fatto comunemente usati (perfino da gran parte delle popolazioni locali, accanto ai corrispondenti tponimi tedeschi).
Ma ti sembra che "Alto Adige" o "Vipiteno" usati per sostituire i nomi tedeschi siano stati scelti così, arbitrariamente emettendo suoni a caso con la bocca? O non rappresentavano piuttosto qualcosa (e qualcosa di ben reale e significativo) di quello che indicavano?

sgiombo

#232
Citazione di: maral il 15 Ottobre 2016, 00:01:59 AM
Citazione di: sgiombo il 13 Ottobre 2016, 18:22:56 PM
Di qualunque "cosa" (soggetto di predicato; anche della natura) dire (predicare) che é come é (ovvero ciò che é) é una tautologia.
E infatti io non mi sono limitato a questa tautologia, ho invece affermato che é come é indipendentemente dal se e come la si pensa essere: appunto, la natura é ciò che é ovvero come é indipendentemente dal fatto che questa affermazione venga avanzata o meno (lo sarebbe anche se non lo dicessi: senza che ne faccia parte questo pensiero o facendone parte questo pensiero, in entrambi i casi tautologicamente sarebbe come é).
La tautologia al massimo può essere: "la natura è come è", ma se ci aggiungi che è "indipendente da come la si dice o la si pensa" non è più una tautologia, perché nella tautologia non c'è nulla che implichi che essendo com'è il "com'è" non comprenda come la si dice e la si pensa. Introduci quindi una specificazione (di cui sei lecitamente convinto) che però non è implicita nella semplice tautologia A=A. Stai dicendo qualcosa in più, ossia come è A (ossia specifichi la natura di A), stai dicendo che A è questo e non quello. Ma soprattutto è una evidente contraddizione dato che lo dici, mentre sostieni che la natura è indipendente da come la si dice, quindi compreso anche come la stai dicendo tu, a meno che non intendi il tuo dire sulla natura escluso dalla regola che tu stesso hai enunciato.

Citazione
E infatti io che cosa ho scritto?
Ho scritto proprio che "Di qualunque "cosa" (soggetto di predicato; anche della natura) dire (predicare) che é come é (ovvero ciò che é) é una tautologia, mentre io non mi limito a una tautologia, la mia tesi che vi aggiunge "indipendente da come la si dice o la si pensa" è più di una tautologia.

Non dico che la natura è "indipendente da come la si dice (quindi compreso anche come la sto dicendo io)", bensì che è come è indipendentemente dal fatto che il suo essere come è comprenda (ipoteticamente, fra l' altro) me che lo dico (che parlo della natura) oppure (come ipotesi alternativa) che non lo (mi) comprenda.
C' è una bella differenza fra la contraddizione che mi attribuisci e ciò che effettivamente sostengo!

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CitazioneOvviamente li ho appresi (a parte "Asiafrica"): mica sono un grande poeta o un autore di scoperte scientifiche!
Dante e Galileo e tanti altri hanno coniato ex novo del tutto arbitrariamente più di una parola.
O credi che Galileo "Pianeti Medicei" l' abbia letto al telescopio scritto su uno dei satelliti di Giove a mo' di etichetta su una merce del supermercato?!?!?!
E Amerigo Vespucci (o chi per esso) "America" l' abbia letto sulla collina di Hollywood come la scritta (peraltro altrettanto arbitrariamente arbitrariamente appostavi da qualcun altro) "Hollywood"?!?!?!
Ma nessuno ha mai inventato le parole scegliendole liberamente a caso, ma sempre secondo un significato nato da altri nomi con i loro significati. Asiafrica è la combinazione di Asia e Africa, nomi che hanno già un preciso significato sulla base del quale intendo cosa indichi con quel nome, lo stesso "Pianeti Medicei", mica Galileo si è messo a emettere suoni a caso e poi ne ha scelta una combinazione a piacere tra le tante che gli uscivano dalla bocca per chiamare così quelle cose che vedeva con il cannocchiale, e Amerigo Vespucci (se davvero fu lui) ha chiamato l'America così in relazione al suo nome, quindi anche qui il motivo c'era. Poteva chiamarla diversamente? Forse, ma quel nome riflette la sua reale relazione con la cosa che ha nominato, proprio così e non in altro modo e nasce già con un preciso e chiaro significato.

CitazioneTi ho già detto che le parole non si scelgono a caso (generalmente; a meno che non si decida deliberatamente di farlo), bensì arbitrariamente per determinate motivazioni (le più disparate).
Anche qui c' è una bella differenza!

Asia e Africa hanno già i loro significati perché qualcuno prima di me arbitrariamente e non casualmente glieli ha attribuiti.

Infatti Galileo ha scelto il nome per i satelliti di Giove arbitrariamente ma non a casaccio (direi alquanto "ruffianamente").
Idem per Amerigo Vespucci (se è stato lui, alquanto "narcisisticamente": poteva benissimo chiamarla in qualsiasi altro modo ma arbitrariamente ha pensato bene di autocelebrarsi).

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CitazioneCerto, ovviamente, con i fonemi che stavano arbitrariamente inventando!
L' accordo l' hanno probabilmente trovato spontaneamente, senza istituire una apposita "commissione per lo stabilimento dei fonemi" (cosa che invece accadde quando fu inventata la lingua indonesiana, attualmente parlata da centinaia di milioni di persone).
E come hanno fatto a trovare l'accordo spontaneamente se ognuno si creava i suoi fonemi a caso senza che ve ne fossero altri per intendersi? Con quali fonemi si capivano per potersi mettere d'accordo?

CitazioneNon vedo il problema: uno prova con un suono più o meno articolato, un ' altro con un altro suono, intendendosi a gesti, indicando la cosa da denominare, finché si convincono di usare tutti uno (o in teoria più: sinonimi) dei vari fonemi alternativi (anzi, probabilmente il primo proposto il più delle volte sarà stato quello accettato; come il nome "canguro" fu dato a questo animale per un malinteso, essendo il primo casualmente -ed erroneamente- udito dagli occidentali in presenza della bestia, "indicata a dito"; se per caso "non capisco" nella lingua degli aborigeni si fosse detto "ostrogolamo", chiameremmo -noi occidentali- quegli animali "ostrogolami").


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CitazioneChe ha imparato a simboleggiare le varie cose (i concetti denotanti cose; oltre a quelli puramente immaginari, privi di denotazione reale) con parole arbitrariamente stabilite.
Nessun nome è privo di significato e nessun significato è immaginario (se per immaginario intendi del tutto arbitrario e quindi insignificante), a intenderlo per quello che davvero significa.
CitazioneTautologia!
Fa parte del significato di "nome", trattandosi di una parola, un simbolo verbale, che significhi qualcosa (se un fonema, un vocalizzo più o meno articolato, come "trallallerollerollà", non ha un significato, allora per definizione non è una parola, un simbolo verbale).

Se fosse vero che nessun significato (di alcun nome) fosse immaginario vedremmo comunemente svolazzare nel cielo stormi di ippogrifi.

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CitazionePerfettamente coerente con l' arbitrarietà dei nomi delle cose e non con il preteso, mitico "apparire delle cose con i loro nomi già incoporati".
Eppure anche in quello sketch, il motivo per dire "sarchiapone" c'era: https://it.wikipedia.org/wiki/Sarchiapone v. origine del termine. E quel motivo dà la realtà della cosa che ha come nome sarchiapone nel contesto in cui si è usato quel nome, ossia cosa davvero è.

CitazioneInfatti arbitrario =/= immotivato.

Ma se, altrettanto arbitrariamente, Walter Chiari avesse parlato che ne so?- di "ostrogolamo" avrebbe funzionato lo stesso, sarebbe stato ugualmente divertente (oltre che istruttivo sulla natura umana)!

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CitazioneIn compenso ti posso fare l' esempio dei nomi italiani delle località sudtirolesi (fra l' altro la stessa denominazione di "Alto Adige"; o Vipiteno per Stertnzig o giù di lì, non so di preciso), che furono inventati di sana pianta durante il fascismo (noto, fra le altre sue colpe, per l' esasperato imperialismo e nazionalismo d' accatto) e "decretati per legge", ed oggi sono di fatto comunemente usati (perfino da gran parte delle popolazioni locali, accanto ai corrispondenti tponimi tedeschi).
Ma ti sembra che "Alto Adige" o "Vipiteno" usati per sostituire i nomi tedeschi siano stati scelti così, arbitrariamente emettendo suoni a caso con la bocca? O non rappresentavano piuttosto qualcosa (e qualcosa di ben reale e significativo) di quello che indicavano?
CitazioneSono stati scelti arbitrariamente e non a casaccio, cioè non emettendo suoni a caso con la bocca bensì con un preciso intento (grettamente nazionalistico e imperialistico), ma non per questo meno arbitrariamente, ad libitum di chi allora deteneva il potere, alla faccia delle aspirazioni della stragrande maggioranza delle popolazioni che abitavano quelle terre.

Continui a confondere "arbitrario" con "casuale"!

maral

#233
Il significato di arbitrario è legato a un punto di discussione filosofica basilare e molto più generale: l'esistenza del libero arbitrio. Nello specifico la domanda è se vi sia o meno libero arbitrio nella scelta dei nomi e nel linguaggio. Ancora più radicalmente il problema coinvolge l'effettiva esistenza di un soggetto (un io) che in quanto tale possa esercitare delle scelte (con riferimento alla critica di Spinoza a Cartesio).
Tu dici che "arbitrario" non significa "immotivato" né "casuale" e sono d'accordo, ma quali sono i motivi che portano il soggetto a una certa scelta anziché a un'altra? Li sceglie lui, fermo restando che avrebbe potuto scegliere in modo diverso? A me sembra piuttosto evidente che non li scegli lui tra una serie equivalente (casuale) di possibilità, ma li determina nella loro prevalenza il contesto in cui esiste e questo contesto esprime già un accordo tra i soggetti che vivono in esso, poiché usano gli stessi strumenti, esercitano le stesse prassi, hanno in comune gli stessi riferimenti simbolici e quindi le stesse conoscenze e prospettive di significato. Nel caso specifico dei nomi e del linguaggio quando dico che la cosa si mostra con il suo nome non dico nulla di metafisicamente arcano, ma semplicemente che la cosa viene subito colta nel suo significare collettivo, intersoggettivo e questo significare è espresso pubblicamente da un nome che emerge e trae il suo senso comunicabile dall'insieme dei parlanti senza che vi sia nulla di arbitrario o concordato per tentativi. Nessuno dei parlanti esercita delle scelte, nessuno dei parlanti agisce arbitrariamente e nessuno dei parlanti in quel contesto è poi chiamato a stipulare accordi con altri parlanti per potersi intendere, perché si intende già e quel nome solo rende pubblica quell'intesa.
E' proprio in questo modo che noi ci parliamo ed è sempre stato così, poiché l'essere umano nasce con il linguaggio, non nasce prima del linguaggio per istituirlo in seguito concordando sui termini da usare. Nessun uomo, nessun ominide, nessuna scimmia che potesse parlare ha mai originariamente stabilito alcun accordo, né ha mai scelto o inventato alcun segno (vocale o di altro tipo) a suo arbitrio, perché è stato il contesto in cui viveva a imporglielo mentre in quel contesto, e non nel vuoto assoluto, qualcosa accadendo emergeva già con il suo significato particolare, ossia con quella particolare espressione prospettica in cui si mostrava accadendo. Il nome non è originariamente che il segno sonoro pubblico (che coinvolge tutti gli udenti parlanti) di qualcosa che accade in un certo modo (proprio come una forma e un colore con tutto il loro significato emotivo sono segni visivi e soggettivi di quel medesimo accadere) e questo suono ci dice a tutti che qui e ora quel qualcosa significa (è un simbolo per)  questo e non quest'altro.
E proprio poiché quel suono simbolo di un particolare accadere lo sentiamo intimamente nostro nella sua originaria risonanza pubblica e collettiva che possiamo poi credere a posteriori che quella cosa avremmo potuto indifferentemente chiamarla in modo diverso, ma non è così e non è così perché così è stata chiamata e potrà essere chiamata (al futuro, non al condizionale passato) in modo diverso quando il contesto in cui accade la farà apparire in modo diverso e questo "modo diverso" sarà allora necessariamente e non arbitrariamente espresso da un nuovo nome che ne darà un significato collettivo, pubblico e per nulla arbitrario.

Per quanto riguarda la tautologia, filosoficamente ognuno è libero di uscirne, ma se ne esce deve dimostrare di non contraddirsi. La frase che avevo indicato come contraddittoria è "la natura è come è, indipendentemente da come la si dice", dato che in tutta evidenza, mentre proclamiamo la natura essere indipendente da come la si dice, la si dice tale pretendendo che quanto si dice dica come è certamente la natura!
Ma ora precisi:
CitazioneNon dico che la natura è "indipendente da come la si dice (quindi compreso anche come la sto dicendo io)", bensì che è come è indipendentemente dal fatto che il suo essere come è comprenda (ipoteticamente, fra l' altro) me che lo dico (che parlo della natura) oppure (come ipotesi alternativa) che non lo (mi) comprenda
Allora se semplicemente intendi dire che la natura è come è, che comprenda o meno il "come la si dice", che fine fa il "come la si dice" su cui stiamo discutendo e quindi dicendo? e che fine fa tutta quello che pensiamo di poter dire e quindi di sapere e spiegare sulla natura? Wittgenstein arrivò a concludere che ciò di cui non si può dire (in questo caso la natura) bisogna tacere, ma anche così aveva detto troppo, quindi non resterebbe che un assoluto silenzio, forse il silenzio assoluto dell'Essere. E' questa la realtà? Se lo è, a questa domanda può solo seguire, per coerenza, il silenzio.

sgiombo

Citazione di: maral il 16 Ottobre 2016, 10:43:05 AM
Il significato di arbitrario è legato a un punto di discussione filosofica basilare e molto più generale: l'esistenza del libero arbitrio. Nello specifico la domanda è se vi sia o meno libero arbitrio nella scelta dei nomi e nel linguaggio. Ancora più radicalmente il problema coinvolge l'effettiva esistenza di un soggetto (un io) che in quanto tale possa esercitare delle scelte (con riferimento alla critica di Spinoza a Cartesio).
Tu dici che "arbitrario" non significa "immotivato" né "casuale" e sono d'accordo, ma quali sono i motivi che portano il soggetto a una certa scelta anziché a un'altra? Li sceglie lui, fermo restando che avrebbe potuto scegliere in modo diverso? A me sembra piuttosto evidente che non li scegli lui tra una serie equivalente (casuale) di possibilità, ma li determina nella loro prevalenza il contesto in cui esiste e questo contesto esprime già un accordo tra i soggetti che vivono in esso, poiché usano gli stessi strumenti, esercitano le stesse prassi, hanno in comune gli stessi riferimenti simbolici e quindi le stesse conoscenze e prospettive di significato. Nel caso specifico dei nomi e del linguaggio quando dico che la cosa si mostra con il suo nome non dico nulla di metafisicamente arcano, ma semplicemente che la cosa viene subito colta nel suo significare collettivo, intersoggettivo e questo significare è espresso pubblicamente da un nome che emerge e trae il suo senso comunicabile dall'insieme dei parlanti senza che vi sia nulla di arbitrario o concordato per tentativi. Nessuno dei parlanti esercita delle scelte, nessuno dei parlanti agisce arbitrariamente e nessuno dei parlanti in quel contesto è poi chiamato a stipulare accordi con altri parlanti per potersi intendere, perché si intende già e quel nome solo rende pubblica quell'intesa.
E' proprio in questo modo che noi ci parliamo ed è sempre stato così, poiché l'essere umano nasce con il linguaggio, non nasce prima del linguaggio per istituirlo in seguito concordando sui termini da usare. Nessun uomo, nessun ominide, nessuna scimmia che potesse parlare ha mai originariamente stabilito alcun accordo, né ha mai scelto o inventato alcun segno (vocale o di altro tipo) a suo arbitrio, perché è stato il contesto in cui viveva a imporglielo mentre in quel contesto, e non nel vuoto assoluto, qualcosa accadendo emergeva già con il suo significato particolare, ossia con quella particolare espressione prospettica in cui si mostrava accadendo. Il nome non è originariamente che il segno sonoro pubblico (che coinvolge tutti gli udenti parlanti) di qualcosa che accade in un certo modo (proprio come una forma e un colore con tutto il loro significato emotivo sono segni visivi e soggettivi di quel medesimo accadere) e questo suono ci dice a tutti che qui e ora quel qualcosa significa (è un simbolo per)  questo e non quest'altro.
E proprio poiché quel suono simbolo di un particolare accadere lo sentiamo intimamente nostro nella sua originaria risonanza pubblica e collettiva che possiamo poi credere a posteriori che quella cosa avremmo potuto indifferentemente chiamarla in modo diverso, ma non è così e non è così perché così è stata chiamata e potrà essere chiamata (al futuro, non al condizionale passato) in modo diverso quando il contesto in cui accade la farà apparire in modo diverso e questo "modo diverso" sarà allora necessariamente e non arbitrariamente espresso da un nuovo nome che ne darà un significato collettivo, pubblico e per nulla arbitrario.

Per quanto riguarda la tautologia, filosoficamente ognuno è libero di uscirne, ma se ne esce deve dimostrare di non contraddirsi. La frase che avevo indicato come contraddittoria è "la natura è come è, indipendentemente da come la si dice", dato che in tutta evidenza, mentre proclamiamo la natura essere indipendente da come la si dice, la si dice tale pretendendo che quanto si dice dica come è certamente la natura!

CitazioneNon sono d' accordo.
Per me indipendentemente dal fatto che esista il libero arbitrio o che si tratti di un' illusione, la questione circa i significati dei simboli verbali e dell' attribuzione dei simboli verbali ai (significanti i) concetti è quella se l' attribuzione degli uni agli altri è imposta in qualche misterioso modo dalle cose che (eventualmente, non sempre necessariamente: solito concetto di "ippogrifo") costituiscono le denotazioni reali dei concetti, come sostieni tu, oppure se è scelta indipendentemente da coercizioni estrinseche (per un determinismo intrinseco ai soggetti umani parlanti, cioè deterministicamente, oppure liberoarbitrariamente cioè indeterministicamente: non fa differenza nella fattispecie), ovvero arbitrariamente, ad libitum, come sostengo io.
 
I motivi che inducono i parlanti a scegliere determinati simboli verbali per determinati concetti, dotati di denotazioni reali (es.: cavalli) o meno (es.: ippogrifi), possono essere i più disparati; in teoria potrebbe anche accadere che si decida di tirare a sorte.
 
Sono costretto a ripetere che per definizione le "cose" in generale non significano nulla (né collettivamente, intersoggettivamente, né privatamente, individualisticamente): sono (accadono), se e quando sono (accadono), "e basta"!
Sono solo certe determinate assai peculiari cose, cioè i simboli (e non tutte le altre cose che simboli non sono), a possedere un significato (o anche più di uno, variabile arbitrariamente e determinatamente a seconda degli usi e dei contesti).
Se "Nessuno dei parlanti esercita delle scelte, nessuno dei parlanti agisce arbitrariamente e nessuno dei parlanti in quel contesto è poi chiamato a stipulare accordi con altri parlanti per potersi intendere, perché si intende già e quel nome solo rende pubblica quell'intesa", da dove salta fuori quel nome? Dal cappello del prestigiatore? Da Dio? Dal nulla?
In realtà salta fuori dal fatto che qualcuno lo propone, prova ad adoperarlo e gli altri o immediatamente lo accettano (arbitrariamente), oppure se ne vengono proposti più d' uno, per un po' li si prova un po' tutti, per poi finire per adottarne uno solo (o pochissimi di alternativi, come talora succede: sinonimi).
 
La nascita del linguaggio è un processo del quale siamo ben lungi dal possedere una teoria scientifica verificata e universalmente accattata.
Personalmente propendo per la tesi che di innate (conseguentemente all' evoluzione biologica) ci siano solo le capacità intellettive, raziocinative e simboliche umane, e che il linguaggio sia un' invenzione, una delle prime, importantissima, decisiva manifestazione dell' "innesto" sulla "storia naturale" della "storia umana", dell' integrazione, nella nostra specie, dell' evoluzione culturale sulla base della pregressa e perdurante evoluzione biologica.
E che si sia trattato di un' invenzione collettiva, sociale e non individuale (non di un Robinson Crusoe che non aveva nessuno con cui comunicare) mi sembra ovvio.
 
Questa della presunta "imposizione dei segni (vocali o di altro tipo) ai parlanti da parte del contesto in cui vivevano" è qualcosa di assolutamente misterioso e incomprensibile: cos' è concretamente accaduto, che si è sentita una voce (dal tono tra il basso e il baritonale e dal timbro possente e un tantino retorico simile a quella di Dio nei film hollywoodiani sulla Bibbia) che stentoreamente proclamava: "questo si chiama 'albero', quest' altro si chiama 'sasso', ecc."? Oppure è accaduta la comparsa di una specie di enorme "fumetto" a caratteri cubitali nel cielo con la scritta "albero" e una freccia verso un albero, ecc.?
O cos' altro è accaduto (di umanamente comprensibile)?
Non vedo in che cosa potrebbe consistere il "contesto che imporrebbe i nomi alle cose" ed eventualmente ne imporrebbe le variazioni nel tempo, se non (alternativamente):
a)    I parlanti che provano a cercare un nome per un concetto (inizialmente per concetti di oggetti concreti) e prima o poi si accordano arbitrariamente (variante naturale).
b)    Dio che lo comunica verbalmente o per iscritto (necessariamente e non ad arbitrio umano).
c)    Voci impersonali che risuonano o scritte che spontaneamente si formano nel celo o su apposti cartelli che compaiono con uguale spontaneità (necessariamente e non ad arbitrio umano).
d)    D) Altri fantasiosi eventi sopra- o preter- naturali (che impongono i nomi alle cose necessariamente e non ad arbitrio umano).
I nomi possono essere imposti alle cose necessariamente e non ad arbitrio umano solo attraverso eventi sopra- o preter- naturali; non riesco a immaginare in che modo naturalmente.
E personalmente opto per il naturalismo degli eventi, ergo: per l' assegnazione umana arbitraria dei rispettivi vocaboli ai concetti.
 
La frase "la natura è come è, indipendentemente da come la si dice" non è affatto contraddittoria.
Proclamando la natura essere come é indipendentemente da come la si dice, la si dice tale (essere come è indipendentemente da come la si dice) pretendendo del tutto correttamente, coerentemente, logicamente che quanto si dice dica qualcosa della natura e del parlare della natura (e non pretendendo affatto di parlare della natura non parlando della natura o di non parlare della natura parlando della natura). Certo! Dove sarebbe mai la contraddizione?
Sarebbero contraddittorie casomai le frasi "la natura è come non è, indipendentemente da come la si dice"; oppure "la natura non è come è, indipendentemente da come la si dice"; oppure il parlare della natura è ciò che è non parlando della natura (se questo significassero, ma non è per niente chiaro, le parole "indipendentemente dal parlare della natura").


Ma ora precisi:
CitazioneNon dico che la natura è "indipendente da come la si dice (quindi compreso anche come la sto dicendo io)", bensì che è come è indipendentemente dal fatto che il suo essere come è comprenda (ipoteticamente, fra l' altro) me che lo dico (che parlo della natura) oppure (come ipotesi alternativa) che non lo (mi) comprenda
Allora se semplicemente intendi dire che la natura è come è, che comprenda o meno il "come la si dice", che fine fa il "come la si dice" su cui stiamo discutendo e quindi dicendo? e che fine fa tutta quello che pensiamo di poter dire e quindi di sapere e spiegare sulla natura? Wittgenstein arrivò a concludere che ciò di cui non si può dire (in questo caso la natura) bisogna tacere, ma anche così aveva detto troppo, quindi non resterebbe che un assoluto silenzio, forse il silenzio assoluto dell'Essere. E' questa la realtà? Se lo è, a questa domanda può solo seguire, per coerenza, il silenzio.
CitazioneInfatti intendo dire che la natura è come è, che comprenda o meno il "come la si dice"; il "come la si dice" fa la fine -per così dire, per usare le tue parole- che il suo accadere o meno è irrilevante circa il fatto che la natura è come è.
Essa è come è sia che comprenda il dirla in un qualche modo, sia che non lo comprenda: non è l' eventuale dire che la natura è vuota (costituita dal nulla; per assurdo, poiché il dirlo è già qualcosa), oppure che è fissa "a la Parmenide" o "a la Severino", oppure che diviene deterministicamente, oppure che muta caoticamente, indeterministicamente, ecc., che fa sì che la natura sia vuota (costituita dal nulla), oppure che sia fissa "a la Parmenide" o "a la Severino", oppure che divenga deterministicamente, oppure che muti caoticamente, indeterministicamente, ecc. o meno (sarebbe troppo comodo: penserei subito che sia piena di donne bellissime disposte ad accontentarmi in tutto e per tutto e automaticamente sarei un grandissimo tombeur de femmes!).
 
E quanto pare la realtà non è (costituita da-) il nulla.
E si può benissimo parlarne, correttamente, veracemente o meno)..

maral

#235
CitazioneSono costretto a ripetere che per definizione le "cose" in generale non significano nulla (né collettivamente, intersoggettivamente, né privatamente, individualisticamente): sono (accadono), se e quando sono (accadono), "e basta"!
Sono le cose in generale e prive di significato (ossia le cose in sé) che non esistono proprio (nel senso letterale che non appaiono in alcun modo). Questo non significa che non siano, accadono con grande probabilità tantissime cose in questo preciso istante che non ci appaiono, ma quelle innumerevoli cose prive di significato e di nome, sono lo sfondo su cui qualcosa invece appare e apparendo esiste per noi tutti e non in sé, non "oggettivamente". Lo schermo che immagino tu abbia davanti agli occhi, mentre leggi queste mie righe (e su cui ho ora attirato la tua attenzione per fartelo apparire dallo sfondo in cui non appariva) non è originariamente una cosa in sé senza significato e senza nome, ma, nel momento in cui appare appare già con il suo significato che dice cos'è. E questo significato ha come simbolo pubblico (per tutti noi), quel nome che ben prima di denotarlo e definirlo, lo connota e lo evoca.
Citazioneda dove salta fuori quel nome? Dal cappello del prestigiatore? Da Dio? Dal nulla?
Salta fuori originariamente dal contesto dei parlanti che vivono insieme e praticano quotidianamente le stesse cose.
Come ipotesi potrei dire che forse accade qualcosa di simile al canto degli uccelli o ai vari versi che emettono i cani e i lupi a seconda delle situazioni. Un cane non inventa che un suono latrante ha un certo significato, guaire un altro ecc., esattamente come nessun bambino si inventa il suono del pianto o del riso per poi mettersi d'accordo con gli altri sul suo significato. La comunità di appartenenza riprende quei suoni e risponde con altri suoni complementari (succede anche ai genitori con i bambini piccoli, finché non decidono di interpretare il loro ruolo sociale di correttori). Nell'essere umano ci sono possibilità di fonazione assai superiori a quelle di qualsiasi altro essere vivente, ma non solo, c'è soprattutto una capacità simbolica condivisa, che vive di una simbologia comune di significati. Così la combinazione dei suoni che un uomo emette (che non sceglie lui, così come non si sceglie né si concorda su che suono emettere quando si ride o si piange, né lo si impara perché si sia udito nel cielo una risata stridula o baritonale con sotto scritto "questo è il suono da riprodurre quando sei allegro") può presentarsi a tutti come un simbolo per quella situazione, per quell'accadimento e acquisire una capacità evocatrice autonomamente persistente. La parola, il nome è un'evocazione per qualcosa che non c'è, significa "chiamare insieme la presenza di ciò che manca". Il nome non è mai la cosa che denota proprio per questo, anche se questa cosa è lì presente, il nome la chiama e la chiama perché quello che chiama non c'è mai davvero. In origine, come avevo già detto, forse il linguaggio è stato solo una specie di balbettamento da ripetere ritualmente insieme accogliendone il significato, senza scegliere cosa dovesse significare, già significava evocando per risonanza tra parlanti che vivevano intimamente insieme senza  dover concordare nulla per capirsi. Forse il linguaggio è nato come un canto evocativo e ritualmente ripetuto, un canto le cui espressioni foniche prese di per sé non significavano nulla (solo una modulazione vocale, che gli altri potevano sentire), finché non ci si è messo a cantarlo insieme facendosi anche il contrappunto e insieme variandolo qua e là, ma non troppo.
CitazioneLa frase "la natura è come è, indipendentemente da come la si dice" non è affatto contraddittoria

Ripeto, dato che "la natura è come è, indipendentemente da come la si dice" è una frase che dici riguardo alla natura, se è vera, la natura per come è, è indipendente pure da questa frase che dici di essa, la natura è cioè indipendente dall'essere indipendente da come la si dice (dato che lo dici). Basterebbe allora dire "la natura è come è" (per quanto anche questo è sempre qualcosa che solo si dice, ma almeno fino a qui non sembra contraddittorio), ma dirlo non vuol dire nulla (Anche se Severino ci vedrebbe la prova dell'eternità della natura per come è), dato che qualsiasi cosa, pure gli ippogrifi, sono come sono (e in qualche modo sono, anche se qui e ora non ce li troviamo davanti in carne e ossa. Perché come non appaiono cose senza significato, così non possono apparire significati senza qualcosa a cui poterli riferire fossero anche solo immagini di un sogno o giochi della fantasia nostri o altrui). Ma se il come si dice la natura è del tutto irrilevante dato che conta solo come è, tanto vale non dire nulla (anzi meglio non dire nulla evitando di dire come la natura non è credendo, per averlo detto, che lo sia), ma allora perché continuiamo a dirla, a spiegarla e a interpretarla? Non è che qualcuno (o più probabilmente tutti) pensa di dirla, nel modo suo, proprio per come è, ossia per come gliela hanno detta essere come è? Sempre si ritiene (tu, io, chiunque altro, fosse anche il più relativista e scettico) che come la si dice (come il contesto ha insegnato a dire) dica come davvero stanno le cose. E in base a cosa si può pensarlo?

sgiombo

#236
Citazione di: maral il 17 Ottobre 2016, 23:50:26 PM
CitazioneSono costretto a ripetere che per definizione le "cose" in generale non significano nulla (né collettivamente, intersoggettivamente, né privatamente, individualisticamente): sono (accadono), se e quando sono (accadono), "e basta"!
Sono le cose in generale e prive di significato (ossia le cose in sé) che non esistono proprio (nel senso letterale che non appaiono in alcun modo). Questo non significa che non siano, accadono con grande probabilità tantissime cose in questo preciso istante che non ci appaiono, ma quelle innumerevoli cose prive di significato e di nome, sono lo sfondo su cui qualcosa invece appare e apparendo esiste per noi tutti e non in sé, non "oggettivamente". Lo schermo che immagino tu abbia davanti agli occhi, mentre leggi queste mie righe (e su cui ho ora attirato la tua attenzione per fartelo apparire dallo sfondo in cui non appariva) non è originariamente una cosa in sé senza significato e senza nome, ma, nel momento in cui appare appare già con il suo significato che dice cos'è. E questo significato ha come simbolo pubblico (per tutti noi), quel nome che ben prima di denotarlo e definirlo, lo connota e lo evoca.
Citazione
Esistere in quanto apparenze, cioè come fenomeni, percezioni coscienti, ed esistere in sé sono due possibili reciprocamente alternative condizioni delle "cose" assolutamente da non confondere.
Ma anche limitatamente ai fenomeni (le cose che appaiono) è possibilissimo che accada e di fatto accade (se dobbiamo credere alla memoria; senza di che non è possibile ragionare su realtà e conoscenza: si può solo restare a constatare il presente) che vi siano "cose" reali (enti ed eventi fenomenici, reali in quanto insiemi di sensazioni coscienti) non accompagnati inoltre da- (-le sensazioni fenomeniche costituenti) il pensiero, la predicazione del loro accadere, id est (per definizione) la loro conoscenza, ovvero senza che siano conosciute (ad esempio vari pedoni che stamane mentre guidavo per raggiungere il poliambulatorio ove presto servizio, tutto intento a pensare al difficile lavoro che mi attendeva, come tutti i giorni camminavano sui marciapiedi vicino alla carreggiata da me percorsa).
E allo stesso modo è possibilissimo che accadano e di fatto accadono (le sensazioni fenomeniche de-) i pensieri di "cose" pensate (concetti; magari predicati falsamente essere o accadere realmente) non accompagnate inoltre da riferimenti o denotazioni reali dei concetti stessi, id est (per definizione) pensieri di "cose" non reali, "cose" pensate e non reali.

Non vedo come "cose" che non appaiono" possono in alcun modo essere "lo sfondo" di alcunché: contraddizione!

Nel momento in cui lo schermo del computer appare a qualcuno appare come mero insieme assolutamente insignificante di sensazioni fenomeniche coscienti (solo se si legge quanto vi è scritto appare significare qualcosa, ma solo indirettamente, come portatore di simboli dotati di significato; non comunque come di per sé significante alcunché:
Infatti apparirebbe benissimo anche a un selvaggio (purché non fosse cieco) che assolutamente non sapesse cosa sia e magari pensasse trattarsi di qualcosa di magico.
Ma anche a me (al contrario delle parole che vi sono scritte, le quali però sono simboli) appare senza significare alcunché; il significato che diche che cosa è non è affatto lo schermo stesso, bensì la parola (il simbolo verbale) "schermo" arbitrariamente impostagli; che se invece fosse stato denominato -che ne so?- "arturo" non cambierebbe proprio assolutamente nulla nello schermo stesso e nella nostra conoscenza di esso (come infatti nulla cambia negli schermi degli anglofoni, chiamati invece "screen(s)" e nella loro conoscenza di essi).

Il termine "schermo" oltre a connotare qualsiasi schermo reale o anche immaginario, nel caso dello schermo reale del mio computer che ora è qui davanti a me, lo denota pure in quanto referente real (e non solo pensato).



Citazioneda dove salta fuori quel nome? Dal cappello del prestigiatore? Da Dio? Dal nulla?
Salta fuori originariamente dal contesto dei parlanti che vivono insieme e praticano quotidianamente le stesse cose.
Come ipotesi potrei dire che forse accade qualcosa di simile al canto degli uccelli o ai vari versi che emettono i cani e i lupi a seconda delle situazioni. Un cane non inventa che un suono latrante ha un certo significato, guaire un altro ecc., esattamente come nessun bambino si inventa il suono del pianto o del riso per poi mettersi d'accordo con gli altri sul suo significato. La comunità di appartenenza riprende quei suoni e risponde con altri suoni complementari (succede anche ai genitori con i bambini piccoli, finché non decidono di interpretare il loro ruolo sociale di correttori). Nell'essere umano ci sono possibilità di fonazione assai superiori a quelle di qualsiasi altro essere vivente, ma non solo, c'è soprattutto una capacità simbolica condivisa, che vive di una simbologia comune di significati. Così la combinazione dei suoni che un uomo emette (che non sceglie lui, così come non si sceglie né si concorda su che suono emettere quando si ride o si piange, né lo si impara perché si sia udito nel cielo una risata stridula o baritonale con sotto scritto "questo è il suono da riprodurre quando sei allegro") può presentarsi a tutti come un simbolo per quella situazione, per quell'accadimento e acquisire una capacità evocatrice autonomamente persistente. La parola, il nome è un'evocazione per qualcosa che non c'è, significa "chiamare insieme la presenza di ciò che manca". Il nome non è mai la cosa che denota proprio per questo, anche se questa cosa è lì presente, il nome la chiama e la chiama perché quello che chiama non c'è mai davvero. In origine, come avevo già detto, forse il linguaggio è stato solo una specie di balbettamento da ripetere ritualmente insieme accogliendone il significato, senza scegliere cosa dovesse significare, già significava evocando per risonanza tra parlanti che vivevano intimamente insieme senza  dover concordare nulla per capirsi. Forse il linguaggio è nato come un canto evocativo e ritualmente ripetuto, un canto le cui espressioni foniche prese di per sé non significavano nulla (solo una modulazione vocale, che gli altri potevano sentire), finché non ci si è messo a cantarlo insieme facendosi anche il contrappunto e insieme variandolo qua e là, ma non troppo.
CitazioneDire che "Salta fuori originariamente dal contesto dei parlanti che vivono insieme e praticano quotidianamente le stesse cose" non può significare altro che il fatto che costoro arbitrariamente (per una loro libera scelta, non imposta loro da nessuno) convengono di assegnare quel nome a quella cosa.

Il pianto di un bambino è un evento non simbolico (anche se un adulto comprende benissimo che è causato da dolore): c' è una bella differenza fra il pianto di un bambino di pochi mesi che ha il mal di pancia (o il latrato di un cane) da una parte e le parole di uno di tre anni che dice "ho mal di pancia" (non nel mal di pancia, ma del dirlo da una parte e nel piangere dall' altra).
I singhiozzi di un bimbo non sono arbitrari e convenzionali (non potrebbero essere sostituiti da risate), le parole "dolore e "pancia" no: potrebbero benissimo essere sostituite da altre parole (per esempio "male fisico" o "algia" e "addome": il pianto o il latrato non sono convenzionalmente inventati ad libitum, certo (non può piangere o latrare in diverse lingue), ma le parole "mal di pancia" invece lo sono (il concetto può essere significato da diverse parole in diverse lingue).

la combinazione dei suoni che un uomo emette parlando la sceglie lui ad libitum, eccome: infatti se si rivolge a uno che parla italiano sceglie liberamente la parola "cane", se a un anglofobo la parola "dog", a un francofono senza essere costretto da nessuno (se non alla sua propria volontà di comunicare, ergo liberamente, liberamente volendo comunicare) la parola "chien", ecc.

Il ridere è istintivo, perfettamente d' accordo.
Ma invece il dire "sono allegro" è conseguenza di una arbitraria convenzione linguistica oppure si è udito dalla voce baritonale del Dio dei film di Hollywood sulla Bibbia, oppure è un istinto innato come il ridere (in quest' ultimo caso i parlanti le diverse lingue dovrebbero avere corredi genetici diversi, le lingue verrebbero ereditate "mendelianamente" e i poliglotti avrebbero materiale genetico in eccesso, un po' come gli affetti da mongolismo; non uso eufemismi non avendo mai attribuito a questo termine e a chi è affetto da questa patologia alcunchè di offensivo o vergognoso, allo stesso modo in  cui uso tranquillamente il termine "negro").

Sono costretto a segnalare un' altra contraddizione. "anche se questa cosa è lì presente, il nome la chiama e la chiama perché quello che chiama non c'è mai davvero".

Non vedo alcuna inconciliabilità degli accenni ipotetici che proponi sull' origine del linguaggio con una scelta arbitraria e convenzionale.




CitazioneLa frase "la natura è come è, indipendentemente da come la si dice" non è affatto contraddittoria

Ripeto, dato che "la natura è come è, indipendentemente da come la si dice" è una frase che dici riguardo alla natura, se è vera, la natura per come è, è indipendente pure da questa frase che dici di essa, la natura è cioè indipendente dall'essere indipendente da come la si dice (dato che lo dici). Basterebbe allora dire "la natura è come è" (per quanto anche questo è sempre qualcosa che solo si dice, ma almeno fino a qui non sembra contraddittorio), ma dirlo non vuol dire nulla (Anche se Severino ci vedrebbe la prova dell'eternità della natura per come è), dato che qualsiasi cosa, pure gli ippogrifi, sono come sono (e in qualche modo sono, anche se qui e ora non ce li troviamo davanti in carne e ossa. Perché come non appaiono cose senza significato, così non possono apparire significati senza qualcosa a cui poterli riferire fossero anche solo immagini di un sogno o giochi della fantasia nostri o altrui). Ma se il come si dice la natura è del tutto irrilevante dato che conta solo come è, tanto vale non dire nulla (anzi meglio non dire nulla evitando di dire come la natura non è credendo, per averlo detto, che lo sia), ma allora perché continuiamo a dirla, a spiegarla e a interpretarla? Non è che qualcuno (o più probabilmente tutti) pensa di dirla, nel modo suo, proprio per come è, ossia per come gliela hanno detta essere come è? Sempre si ritiene (tu, io, chiunque altro, fosse anche il più relativista e scettico) che come la si dice (come il contesto ha insegnato a dire) dica come davvero stanno le cose. E in base a cosa si può pensarlo?
CitazioneInfatti la natura é come è indipendentemente dalla frase "la natura è come è, ecc.": la natura è come è sia che se ne parli in qualsiasi modo, sia che non se ne parli; non è come è dipendentemente dal modo di parlarne; ad esempio per dirne che è deterministica o meno, comprendente ippogrifi o meno: non è che dicendo che comprende gli ippogrifi accada che esistano in essa ippogrifi (questo potrebbe farlo solo Dio, se esistesse!).
La tautologia "la natura è come è" non basta affatto per sostenere contro di te che non è il parlarne che la fa essere come è: in quest' ultima mia affermazione, che infatti non è una mera tautologia c' è "qualcosa di più" che ritengo molto importante a livello ontologico e gnoseologico, e che constato tu continui a ignorare, confondendo due ben diverse nozioni, quelle di "realtà" e di "pensiero circa la realtà (o meno)".
Infatti concordo che gli ippogrifi in qualche modo sono; ma il problema è proprio nel modo (meramente immaginario) in cui "sono" gli ippogrifi), ben diverso da quello (reale) in cui "sono" i cavalli.

Sono costretto a ripetere che la stragrande maggioranza delle cose che appaiono, non essendo simboli, sono senza significato, non significano alcunché: "sono (apparenze fenomeniche) e basta"!
E ovviamente i significati sono significati "di qualcosa" (questa sì che è un' altra tautologia!), ma la questione è: questi significati sono mere connotazioni mentali, di pensiero oppure sono anche denotazioni di cose (enti ed eventi) reali?

Tanto vale non dire nulla se non si ha interesse a conoscere la realtà (in generale; e in particolare la realtà naturale): ma questo non è il mio caso!
Il nome è irrilevante per la natura, che tanto non ne dipende nel suo modo di essere, ma è rilevantissimo per la conoscenza della natura, essendo necessario per pensarne, descriverne predicarne il modo di essere (predicazione che, se adeguata, veritiera, per definizione ne costituisce appunto la conoscenza).
Ed è appunto compito della filosofia indagare se e come (a quali condizioni, entro quali limiti, in che senso, ecc.) ciò possa accadere.


maral

#237
Citazione di: sgiombo il 18 Ottobre 2016, 14:02:01 PM
Esistere in quanto apparenze, cioè come fenomeni, percezioni coscienti, ed esistere in sé sono due possibili reciprocamente alternative condizioni delle "cose" assolutamente da non confondere.
Certamente, ma dato che di ogni cosa si può conoscere solo nell'interpretazione di ciò che appare e per come il contesto ce lo fa apparire nel suo essere segno, la cosa in sé resta del tutto inconoscibile ed è anche assurdo pretendere di conoscerla e di dirla. In realtà la distinzione non la facciamo mai tra l'apparenza e la cosa in sé, ma tra le apparenze che hanno valore soggettivo individuale e privato e le apparenze che hanno valore condiviso, pubblico e comune, cercando sempre di ricondurre le prime alle seconde. E dare un nome alle cose significa appunto questo: presentare con una valenza pubblica (a tutti udibile) ciò che si sente individualmente.
Forse vi saranno pure, come dici, "cose reali  non accompagnate inoltre da- (-le sensazioni fenomeniche costituenti) il pensiero, la predicazione del loro accadere, id est (per definizione) la loro conoscenza, ovvero senza che siano conosciute", ma resta il fatto che pure queste "cose reali" le stiamo predicando esistenti solo in quanto le pensiamo e ce le diciamo. I pedoni che stanno raggiungendo il poliambulatorio li puoi concepire in quanto li pensi e li puoi pensare solo in quanto li hai precedentemente e ripetutamente visti, in qualche modo ti si sono presentati e ti sono apparsi nel significato che di loro conservi. Non c'è nulla che esca dal significato e dall'interpretazione di esso. quei pedoni non sono cose in sé, ma significati per te, la cui realtà non è per nulla "oggettiva", ma  è data da una condivisione pubblica, condivisione pubblica che invece verrebbe certo a mancare se tu pensassi che un ippogrifo stesse volando verso il poliambulatorio. Quello che fa la differenza non è la realtà in sé (assoluta) della cosa, ma il trovarla insieme e pubblicamente condivisibile quando se ne parla e la si nomina. E questa condivisibilità è prodotta dal contesto in cui insieme esistiamo e operiamo, non da noi, è sempre e solo a partire da questo contesto che noi giudichiamo ciò che ha senso reale e ciò che non lo ha.
Tutto quello che immaginiamo e pensiamo è rappresentazione di qualcosa che realmente accade, altrimenti, se fosse immagine del nulla, anche l'immagine sarebbe nulla, non si può immaginare il nulla, Ma appunto sono queste rappresentazioni che godono di maggiore o minore credibilità nel momento e nel luogo in cui si presentano, sono esse a determinare in noi un senso e la stessa rappresentazione di ciò che immaginiamo di essere, riassunta dal nostro nome. Le cose pensate che non sono non reali sono solo interpretazioni di eventi reali che noi possiamo pensare nel contesto in cui esistiamo, solo come non reali

CitazioneNon vedo come "cose" che non appaiono" possono in alcun modo essere "lo sfondo" di alcunché: contraddizione!
Non appaiono come cose-figure, ma appaiono come sfondo. La cosa non appare rispetto al nulla, poiché non vi è il nulla, vi è il nascosto e il nascosto delle cose è appunto lo sfondo ed è rispetto a questo sfondo che gli eventi che appaiono prendono forma, così come una figura tracciata con una matita nera prende forma sullo sfondo di una superficie bianca costituita da una miriade di punti diversamente bianchi (mescolati ad altri punti neri) che non appaiono.
Lo schermo di un computer può apparire a un selvaggio solo se in quella cosa (che noi vediamo apparire nel significato di schermo di un computer) ha per lui un significato, che non sarà certamente il nostro, ma deve esserci, altrimenti non lo vede, proprio come noi non vediamo un ramoscello spezzato nella foresta, mentre il selvaggio lo vede e lo interpreta per quello che significa. Non appare non perché si soffre di disturbi visivi, non perché si è ciechi alle cose in sé, ma perché si è ciechi al loro significato e dunque, come insignificanti, esse costituiscono lo sfondo su cui altro da esse appare.  
Ed è proprio questo apparire che nell'essere umano è nel richiamo di un nome. Un nome che non è mai arbitrario, poiché è legato al significato stesso per come esso si manifesta e deve essere richiamato con il suo nome, non qualsiasi. La parola non è la cosa, ma è ciò che la fa pubblicamente apparire chiamandola per come appare.
Potremmo chiamare quello schermo come vogliamo, ma invece è proprio "schermo" che lo chiamiamo e non "arturo" e se volessimo chiamarlo in altro modo, solo riferendoci a "schermo" potremmo dirci cos'è: il problema irrisolto del linguaggio che nasce dalla sua assenza (il problema in generale della semiologia, un problema che si è scoperto ormai da un secolo) è che ci vuole un linguaggio per costruire qualsiasi linguaggio, dunque non c'è alcuna origine del linguaggio prima della quale non c'era nessun linguaggio.
I nomi che indicano (più o meno) le stesse cose sono diversi nelle diverse lingue non perché sono arbitrari, ma, esattamente al contrario, perché le cose che considerano non prescindono dai contesti storici, sociali e culturali che in un determinato luogo e tempo hanno portato a chiamarle (e quindi intenderle) così.


CitazioneDire che "Salta fuori originariamente dal contesto dei parlanti che vivono insieme e praticano quotidianamente le stesse cose" non può significare altro che il fatto che costoro arbitrariamente (per una loro libera scelta, non imposta loro da nessuno) convengono di assegnare quel nome a quella cosa.
Assolutamente no. Dire che salta fuori dal contesto dei parlanti non implica per nulla alcuna scelta in merito, alcuna volontà che decida di farlo saltar fuori, questo nome anziché un altro.
Il pianto di un bambino non è simbolico per il bambino, per il quale non esiste nemmeno il bambino che ha fame, esiste solo fame-bambino-pianto tutto insieme, ma è simbolico per noi. E' segno del suo aver fame e a questo segno in genere rispondiamo, senza bisogno di vocabolari o interpreti (forse oggi un po' meno, dato che riusciamo sempre meno a cavarcela senza de-finizioni). Il pianto di un bambino non è ancora così diverso dall'uggiolare di un cane che ha il mal di pancia, ma è un segno, l'elemento primordiale di un linguaggio.
Il dire (il dire di qualsiasi linguaggio) nasce da una necessità che lega il segno a quello che accade, è espressione che evoca propriamente quello che si sente (pur non essendo quello che si sente, ma appunto il segno) e nasce da quello che effettivamente si sente, non dalla nostra arbitrarietà. Un bambino di tre anni che piagnucolando ha imparato a dire anche "ho mal di pancia" non ha inventato alcun linguaggio, perché infatti nessun linguaggio è mai stato inventato da nessuno, adulto o bambino che fosse, ma ogni linguaggio si forma a partire dal contesto sociale in cui si vive, senza che nessuno lo voglia.  
Continui a dire che i nomi delle cose sono convenzionali (pur non essendovi traccia di alcuna convenzione, pur essendo la storia delle convenzioni una pura mitologia) perché le stesse cose si potrebbero benissimo chiamare in modo diverso, ma resta il fatto che non le chiamiamo in modo diverso e se un giorno le chiameremo in modo diverso sarà solo perché i contesti che ne esprimono i significati cambiano, dunque cambiano anche le cose, dato che solo nei loro significati esse esistono.
Certo, pancia si può dire anche addome, ma i contesti in cui si dice "addome" invece di "pancia" o "algia" invece di "dolore fisico" sono ben diversi e sono i rapporti sociali a determinarli. Noi possiamo chiamare la stessa cosa in modi diversi in relazione alla capacità che abbiamo di comprenderla in modi diversi, non in relazione alla nostra arbitraria volontà di chiamarla in un modo o nell'altro. E' la stessa cosa che accade quando impariamo un'altra lingua: infatti non impariamo solo dei segni fonici arbitrari, ma la cultura e il modo di pensare di un popolo. Non è una questione di genetica, ma di cultura, che è pe certi versi più fondamentale della stessa genetica (essendo la stessa visione genetica un risultato culturale). In questo senso i poliglotti possono davvero accedere a modi di essere, non certo solo a segni arbitrari.
Sono costretto a segnalare un' altra contraddizione. "anche se questa cosa è lì presente, il nome la chiama e la chiama perché quello che chiama non c'è mai davvero"
Non c'è contraddizione, perché il nome non è la cosa che chiama. Il "cavallo" evoca un cavallo che anche se ci fosse un cavallo in carne e ossa qui davanti, non è quel cavallo in carne e ossa. E' sempre un assenza che il nome comunque evoca chiamandola.

CitazioneNon vedo alcuna inconciliabilità degli accenni ipotetici che proponi sull' origine del linguaggio con una scelta arbitraria e convenzionale.
L'inconciliabilità sta nel pensare che quel mettersi insieme ad esempio a modulare ritmicamente la voce partecipando di un'immediata comprensione comune sia una scelta arbitraria e convenzionale e non che tale possa apparire solo a posteriori




CitazioneInfatti la natura é come è indipendentemente dalla frase "la natura è come è, ecc.": la natura è come è sia che se ne parli in qualsiasi modo, sia che non se ne parli; non è come è dipendentemente dal modo di parlarne; ad esempio per dirne che è deterministica o meno, comprendente ippogrifi o meno: non è che dicendo che comprende gli ippogrifi accada che esistano in essa ippogrifi (questo potrebbe farlo solo Dio, se esistesse!).
Dunque vale anche il contrario: non è che dicendo che non comprende gli ippogrifi accade che  non esistano in essi ippogrifi? (non è che sia attaccato agli ippogrifi, è solo per rilevare l'assurdità di un certo realismo ingenuo per cui le cose e le cose dette sono sempre ben separabili per una mente ben raziocinante. Ingenuità che si rivela appunto in quella aggiunta: "la natura è indipendente da come la si dice", ma perdinci è così che la stai dicendo! E se la dici così, proprio perché lo dici e dando ragione a quello che hai detto, non vale nulla.
Citazionein quest' ultima mia affermazione, che infatti non è una mera tautologia c' è "qualcosa di più" che ritengo molto importante a livello ontologico e gnoseologico, e che constato tu continui a ignorare, confondendo due ben diverse nozioni, quelle di "realtà" e di "pensiero circa la realtà (o meno)".
Ma infatti: come se ci fosse una realtà dalla quale tutto è dicibile con verità! E dove sta questa realtà? Non sta forse solo nei discorsi che ne facciamo? non sta forse solo nel nostro attuale, contingentissimo dire di essa che pretende di dire che le cose stanno così e cosà perché sono così e cosà?
Noi non ci inventiamo mai nulla, le nostre idee, le nostre immagini, i sogni , le fantasie più assurde sono risultati, effetti necessari e reali di quello che c'è e quello che c'è è così che ci incontra. Il sogno più assurdo non sono gli ippogrifi, ma un io che possa volere e sappia decidere dall'alto della sua visione panoramica cosa è assolutamente (oggettivamente) vero o no. Eppure anche questa mostruosità fantastica, questa chimera ben più assurda di qualunque chimera-animale-divinità, esprime una realtà, esprime un reale significato, sia pure con conseguenze sempre terribilmente nefaste.

CitazioneIl nome è irrilevante per la natura, che tanto non ne dipende nel suo modo di essere, ma è rilevantissimo per la conoscenza della natura, essendo necessario per pensarne, descriverne predicarne il modo di essere (predicazione che, se adeguata, veritiera, per definizione ne costituisce appunto la conoscenza).
Ed è appunto compito della filosofia indagare se e come (a quali condizioni, entro quali limiti, in che senso, ecc.) ciò possa accadere
Sì mai noi, comunque siamo nella natura, la scienza e la tecnico sono nella natura del mondo. Quindi se il nome per esse è rilevante, è rilevante pure per la natura di cui fanno parte. Non è che la scienza ci possa lanciare ad altezze siderali da cui godere tutto lo spettacolo della natura, come se non vi appartenessimo. La filosofia è questo che può e deve dirci, non se gli ippogrifi sono veri o no, ma perché un significato acquista senso reale e un altro lo perde e soprattutto ricordarci che il vertice del nostro sapere può solo essere sapere di non sapere, come già si era espresso Socrate più di 2 mila anni fa, contro tutte le pretesi di quelli (e in primo luogo noi stessi) che credono di sapere di sapere, mentre solo non sanno di non sapere.

sgiombo

#238
Citazione di: maral il 18 Ottobre 2016, 16:58:01 PM
Citazione di: sgiombo il 18 Ottobre 2016, 14:02:01 PM
Esistere in quanto apparenze, cioè come fenomeni, percezioni coscienti, ed esistere in sé sono due possibili reciprocamente alternative condizioni delle "cose" assolutamente da non confondere.
Certamente, ma dato che di ogni cosa si può conoscere solo nell'interpretazione di ciò che appare e per come il contesto ce lo fa apparire nel suo essere segno, la cosa in sé resta del tutto inconoscibile ed è anche assurdo pretendere di conoscerla e di dirla. In realtà la distinzione non la facciamo mai tra l'apparenza e la cosa in sé, ma tra le apparenze che hanno valore soggettivo individuale e privato e le apparenze che hanno valore condiviso, pubblico e comune, cercando sempre di ricondurre le prime alle seconde. E dare un nome alle cose significa appunto questo: presentare con una valenza pubblica (a tutti udibile) ciò che si sente individualmente.
Forse vi saranno pure, come dici, "cose reali  non accompagnate inoltre da- (-le sensazioni fenomeniche costituenti) il pensiero, la predicazione del loro accadere, id est (per definizione) la loro conoscenza, ovvero senza che siano conosciute", ma resta il fatto che pure queste "cose reali" le stiamo predicando esistenti solo in quanto le pensiamo e ce le diciamo. I pedoni che stanno raggiungendo il poliambulatorio li puoi concepire in quanto li pensi e li puoi pensare solo in quanto li hai precedentemente e ripetutamente visti, in qualche modo ti si sono presentati e ti sono apparsi nel significato che di loro conservi. Non c'è nulla che esca dal significato e dall'interpretazione di esso. quei pedoni non sono cose in sé, ma significati per te, la cui realtà non è per nulla "oggettiva", ma  è data da una condivisione pubblica, condivisione pubblica che invece verrebbe certo a mancare se tu pensassi che un ippogrifo stesse volando verso il poliambulatorio. Quello che fa la differenza non è la realtà in sé (assoluta) della cosa, ma il trovarla insieme e pubblicamente condivisibile quando se ne parla e la si nomina. E questa condivisibilità è prodotta dal contesto in cui insieme esistiamo e operiamo, non da noi, è sempre e solo a partire da questo contesto che noi giudichiamo ciò che ha senso reale e ciò che non lo ha.
Tutto quello che immaginiamo e pensiamo è rappresentazione di qualcosa che realmente accade, altrimenti, se fosse immagine del nulla, anche l'immagine sarebbe nulla, non si può immaginare il nulla, Ma appunto sono queste rappresentazioni che godono di maggiore o minore credibilità nel momento e nel luogo in cui si presentano, sono esse a determinare in noi un senso e la stessa rappresentazione di ciò che immaginiamo di essere, riassunta dal nostro nome. Le cose pensate che non sono non reali sono solo interpretazioni di eventi reali che noi possiamo pensare nel contesto in cui esistiamo, solo come non reali
CitazioneContinui a confondere la realtà con la conoscenza della realtà.

Continui ad attribuire indebitamente alle cose (tutte, e non solo a quelle particolari cose che son i simboli) un preteso "essere segno" ( e 'dde che?)..

Ma i nomi che si danno alle cose onde presentare con una valenza pubblica (a tutti udibile) ciò che si sente individualmente sono arbitrari (anche se spesso non casuali) e pubblicamente, convenzionalmente accettati.

Non capisco la pretesa obiezione (a quale mai mia affermazione?!?!?!) "resta il fatto che pure queste "cose reali" le stiamo predicando esistenti solo in quanto le pensiamo e ce le diciamo.", che mi sembra evidente espressione della solita confusione fra realtà e pensiero della realtà.
Quei pedoni non sono cose in sé (bensì apparenze fenomeniche: "esse est percipi"!); e inoltre sono significati nel senso di denotazioni reali del concetto da me pensato "quei pedoni" (non così gli ippogrifi!). E non mi sono affatto apparsi nel significato che ne conservo, mi sono apparsi (e basta) come (insiemi di) percezioni fenomeniche: il significato (denotazione reale in questo caso, non in quello degli ippogrifi), l' ho attribuito poi io alle parole "quei pedoni" seguendo una convenzione arbitraria dei parlanti italiano quando le ho ho pensate e poi dette o scritte.

Quello che fa la differenza è la realtà o meno di ciò che si pensa; l' intersoggettività può essere assunta (indimostrabilmente) come una caratteristica del mondo materiale naturale (fenomenico, non in sé: qui sfondi una porta spalancatissima), necessaria perché sia scientificamente conoscibile; ma non esiste solo la conoscenza scientifica.

Se "Tutto quello che immaginiamo e pensiamo è rappresentazione di qualcosa che realmente accade", allora evidentemente (per te) esistono realmente gli ippogrifi e accade realmente lo svolazzare nel cielo di stromi di ippogrifi.
Non sono d' accordo. Per me Tutto quello che immaginiamo e pensiamo è rappresentazione che realmente accade di qualcosa che a volte (come nel caso dell' immaginare e pensare gli ippogrifi) non accade.
Continui a confondere il concetto, il pensiero (o l' immagine) che c' è, accade realmente (anche quello o quella degli ippogrifi) con la cosa pensata che (come é nel caso degli ippogrifi) può anche non esserci, non accadere realmente.




CitazioneNon vedo come "cose" che non appaiono" possono in alcun modo essere "lo sfondo" di alcunché: contraddizione!
Non appaiono come cose-figure, ma appaiono come sfondo. La cosa non appare rispetto al nulla, poiché non vi è il nulla, vi è il nascosto e il nascosto delle cose è appunto lo sfondo ed è rispetto a questo sfondo che gli eventi che appaiono prendono forma, così come una figura tracciata con una matita nera prende forma sullo sfondo di una superficie bianca costituita da una miriade di punti diversamente bianchi (mescolati ad altri punti neri) che non appaiono.
Lo schermo di un computer può apparire a un selvaggio solo se in quella cosa (che noi vediamo apparire nel significato di schermo di un computer) ha per lui un significato, che non sarà certamente il nostro, ma deve esserci, altrimenti non lo vede, proprio come noi non vediamo un ramoscello spezzato nella foresta, mentre il selvaggio lo vede e lo interpreta per quello che significa. Non appare non perché si soffre di disturbi visivi, non perché si è ciechi alle cose in sé, ma perché si è ciechi al loro significato e dunque, come insignificanti, esse costituiscono lo sfondo su cui altro da esse appare.  
Ed è proprio questo apparire che nell'essere umano è nel richiamo di un nome. Un nome che non è mai arbitrario, poiché è legato al significato stesso per come esso si manifesta e deve essere richiamato con il suo nome, non qualsiasi. La parola non è la cosa, ma è ciò che la fa pubblicamente apparire chiamandola per come appare.
Potremmo chiamare quello schermo come vogliamo, ma invece è proprio "schermo" che lo chiamiamo e non "arturo" e se volessimo chiamarlo in altro modo, solo riferendoci a "schermo" potremmo dirci cos'è: il problema irrisolto del linguaggio che nasce dalla sua assenza (il problema in generale della semiologia, un problema che si è scoperto ormai da un secolo) è che ci vuole un linguaggio per costruire qualsiasi linguaggio, dunque non c'è alcuna origine del linguaggio prima della quale non c'era nessun linguaggio.
I nomi che indicano (più o meno) le stesse cose sono diversi nelle diverse lingue non perché sono arbitrari, ma, esattamente al contrario, perché le cose che considerano non prescindono dai contesti storici, sociali e culturali che in un determinato luogo e tempo hanno portato a chiamarle (e quindi intenderle) così.
CitazioneDunque le cose che fanno da sfondo appaiono.
Ma come fanno le cose che appaiono come sfondo ad apparire (sia pure come sfondo) se contraddittoriamente sono "il nascosto delle cose"?
Gli infiniti punti bianchi della pagina appaiono anch' essi, altrimenti non apparirebbe (relativamente ad essi) nemmeno la figura disegnata: "ominis determinatio est negatio".

Il selvaggio ( e non solo) può benissimo vedere lo schermo del computer senza pensarci (ad esempio perché concentrato a pensare a tutt' altro), e anche in questo caso lo schermo gli apparirebbe ugualmente (se fosse davanti ai suoi occhi aperti e lui non fosse cieco).
E comunque se lo pensasse verbalmente chiamandolo -che ne so?- "canguro" non sarebbero le circostanze del suo apparire ma l' aborigeno arbitrariamente a dare alla parola "canguro" -e non alla cosa computer- il significato (denotazione).

Non son per nulla d' accordo che ci vuole un linguaggio per costruire qualsiasi linguaggio, dunque non c'è alcuna origine del linguaggio prima della quale non c'era nessun linguaggio.
Se così fosse il linguaggio non potrebbe esistere, non esisterebbe; oppure sarebbe sempre esistito in eterno "ab omnia secula seculorum" (e allora l' umanità sarebbe eterna; oppure ce l' avrebbe insegnato Dio).

Le diversità delle parole delle diverse lingue possono anche (non necessariamente) non essere casuali ma conseguire le più svariate circostanze, eventualmente anche intenzionali, ma sicuramente sono arbitrarie (altrimenti bisognerebbe sempre invocare la famosa "voce baritonale, ecc." o il famoso "cartellino a mo' di prezzo delle merci al supermercato"...





CitazioneDire che "Salta fuori originariamente dal contesto dei parlanti che vivono insieme e praticano quotidianamente le stesse cose" non può significare altro che il fatto che costoro arbitrariamente (per una loro libera scelta, non imposta loro da nessuno) convengono di assegnare quel nome a quella cosa.
Assolutamente no. Dire che salta fuori dal contesto dei parlanti non implica per nulla alcuna scelta in merito, alcuna volontà che decida di farlo saltar fuori, questo nome anziché un altro.
Il pianto di un bambino non è simbolico per il bambino, per il quale non esiste nemmeno il bambino che ha fame, esiste solo fame-bambino-pianto tutto insieme, ma è simbolico per noi. E' segno del suo aver fame e a questo segno in genere rispondiamo, senza bisogno di vocabolari o interpreti (forse oggi un po' meno, dato che riusciamo sempre meno a cavarcela senza de-finizioni). Il pianto di un bambino non è ancora così diverso dall'uggiolare di un cane che ha il mal di pancia, ma è un segno, l'elemento primordiale di un linguaggio.
Il dire (il dire di qualsiasi linguaggio) nasce da una necessità che lega il segno a quello che accade, è espressione che evoca propriamente quello che si sente (pur non essendo quello che si sente, ma appunto il segno) e nasce da quello che effettivamente si sente, non dalla nostra arbitrarietà. Un bambino di tre anni che piagnucolando ha imparato a dire anche "ho mal di pancia" non ha inventato alcun linguaggio, perché infatti nessun linguaggio è mai stato inventato da nessuno, adulto o bambino che fosse, ma ogni linguaggio si forma a partire dal contesto sociale in cui si vive, senza che nessuno lo voglia.  
Continui a dire che i nomi delle cose sono convenzionali (pur non essendovi traccia di alcuna convenzione, pur essendo la storia delle convenzioni una pura mitologia) perché le stesse cose si potrebbero benissimo chiamare in modo diverso, ma resta il fatto che non le chiamiamo in modo diverso e se un giorno le chiameremo in modo diverso sarà solo perché i contesti che ne esprimono i significati cambiano, dunque cambiano anche le cose, dato che solo nei loro significati esse esistono.
Certo, pancia si può dire anche addome, ma i contesti in cui si dice "addome" invece di "pancia" o "algia" invece di "dolore fisico" sono ben diversi e sono i rapporti sociali a determinarli. Noi possiamo chiamare la stessa cosa in modi diversi in relazione alla capacità che abbiamo di comprenderla in modi diversi, non in relazione alla nostra arbitraria volontà di chiamarla in un modo o nell'altro. E' la stessa cosa che accade quando impariamo un'altra lingua: infatti non impariamo solo dei segni fonici arbitrari, ma la cultura e il modo di pensare di un popolo. Non è una questione di genetica, ma di cultura, che è pe certi versi più fondamentale della stessa genetica (essendo la stessa visione genetica un risultato culturale). In questo senso i poliglotti possono davvero accedere a modi di essere, non certo solo a segni arbitrari.
Sono costretto a segnalare un' altra contraddizione. "anche se questa cosa è lì presente, il nome la chiama e la chiama perché quello che chiama non c'è mai davvero"
Non c'è contraddizione, perché il nome non è la cosa che chiama. Il "cavallo" evoca un cavallo che anche se ci fosse un cavallo in carne e ossa qui davanti, non è quel cavallo in carne e ossa. E' sempre un assenza che il nome comunque evoca chiamandola.
Citazione
Beh, se i nomi delle cose non fossero frutto di convenzione arbitraria che altro potrebbe significare che "Saltano fuori originariamente dal contesto dei parlanti che vivono insieme e praticano quotidianamente le stesse cose"? Che saltano fuori da qualche cappello di qualche prestigiatore? Che sono detti dalla solita voce baritonale? Che sono scritti sulle solite etichette da supermercato?

Il pianto del bambino può essere detto "simbolico per noi" solo metaforicamente; metafora da tradurre nell' affermazione letterale "Noi capiamo che è causato da dolore (da fame? Dolore di pancia? Di testa? Perché si sente trascurato dalla mamma? Ecc.?).

Il bimbo di tre anni ovviamente non inventa la frase "ho il mal di pancia", ma l' ha imparata come insieme di segni verbali arbitrari e convenzionali, arbitrariamente e convenzionalmente messi in reciproche relazioni sintattiche.
Solo qualche genitore snaturato potrebbe non voler insegnare a parlare a suo figlio: tutti quelli mentalmente sani lo vogliono.

C' è traccia documentale inoppugnabile (altro che "mitologia"!) di tantissime attribuzioni arbitrarie e convenzionali di nomi a cose; per esempio dei nomi italiani (che non sono mere traduzioni, tutt' altro: Sud Tyrol -o come che si dica e scriva in tedesco- si traduce "Tirolo Meridionale"!) al Tirolo Meridionale e a quasi tutte (nelle intenzioni di chi l' ha arbitrariamente convenuto di tutte) le sue località.
Il "contesto naturale" del Sud Tirolo non è cambiato per il fatto di essere stato denominato "Alto Adige" (è un pochino cambiato contemporaneamente per ben altri motivi: anche se Severino non è d' accordo "panta rei").

Che si di solito e non affatto necessariamente si dica "pancia" e "addome" in contesti diversi non muta l' arbitrarietà (che non necessariamente = casualità) di tali parole.

(Senza falsa modestia) Non è certo a me che puoi insegnare l' importanza sociale della cultura e la sua prevalenza per molti fondamentali aspetti sulla genetica.
Ma tutti i condizionamenti culturali che possono determinare l' affermarsi delle diverse parole nelle diverse lingue non ne inficiano affatto l' arbitrarietà e convenzionalità.

Bene: allora ammetti (ma contraddittoriamente a ripetute altre tue affermazioni)  che il nome "cavallo" non è la cosa che denota.
Ma non è vero che "é sempre un assenza che il nome comunque evoca chiamandola": il nome "cavallo" può benissimo denotare e spessissimo di fatto denota un cavallo presente (o credi che in presenza di un cavallo non si possa dire "questo è un cavallo" (ma solo in sua assenza)?).

CONTINUA


sgiombo

Citazione di: maral il 18 Ottobre 2016, 16:58:01 PMCONTINUAZIONE

CitazioneNon vedo alcuna inconciliabilità degli accenni ipotetici che proponi sull' origine del linguaggio con una scelta arbitraria e convenzionale.
L'inconciliabilità sta nel pensare che quel mettersi insieme ad esempio a modulare ritmicamente la voce partecipando di un'immediata comprensione comune sia una scelta arbitraria e convenzionale e non che tale possa apparire solo a posteriori
CitazioneIntanto la comprensione frequentemente non è affatto immediata, di solito ci vogliono un po' di tempo e qualche sforzo per raggiungerla.
Inoltre se non è una scelta convenzionale ma tale può solo apparire (falsamente) a posteriori, sono sempre in attesa di sapere che cosa significhino (di diverso dalla voce baritonale, dall' etichetta merceologica o dal solito cappello del perstigiatore) queste parole.




CitazioneInfatti la natura é come è indipendentemente dalla frase "la natura è come è, ecc.": la natura è come è sia che se ne parli in qualsiasi modo, sia che non se ne parli; non è come è dipendentemente dal modo di parlarne; ad esempio per dirne che è deterministica o meno, comprendente ippogrifi o meno: non è che dicendo che comprende gli ippogrifi accada che esistano in essa ippogrifi (questo potrebbe farlo solo Dio, se esistesse!).
Dunque vale anche il contrario: non è che dicendo che non comprende gli ippogrifi accade che  non esistano in essi ippogrifi? (non è che sia attaccato agli ippogrifi, è solo per rilevare l'assurdità di un certo realismo ingenuo per cui le cose e le cose dette sono sempre ben separabili per una mente ben raziocinante. Ingenuità che si rivela appunto in quella aggiunta: "la natura è indipendente da come la si dice", ma perdinci è così che la stai dicendo! E se la dici così, proprio perché lo dici e dando ragione a quello che hai detto, non vale nulla.
CitazioneCerto!
Ovviamente se non esistono in natura ippogrifi non è certo perché qualcuno ha detto che la natura non comprende gli ippogrifi (non esisterebbero anche se -per assurdo- tutti dicessero che esistono.

Non vedo alcuna ingenuità nel distinguere due "cose" così diverse come enti ed eventi reali da una parte ed enti ed eventi immaginari dall' altra: trovo casomai ingenuo (ed errato, falso) il confonderli, come se avessero la stessa valenza ontologica!

Ma che male c' è e perché mai quel che dico non varrebbe nulla se dico che la natura è come è indipendentemente da coma la si dice (e in particolare da come personalmente ora la dico essere)?



Citazionein quest' ultima mia affermazione, che infatti non è una mera tautologia c' è "qualcosa di più" che ritengo molto importante a livello ontologico e gnoseologico, e che constato tu continui a ignorare, confondendo due ben diverse nozioni, quelle di "realtà" e di "pensiero circa la realtà (o meno)".
Ma infatti: come se ci fosse una realtà dalla quale tutto è dicibile con verità! E dove sta questa realtà? Non sta forse solo nei discorsi che ne facciamo? non sta forse solo nel nostro attuale, contingentissimo dire di essa che pretende di dire che le cose stanno così e cosà perché sono così e cosà?
Noi non ci inventiamo mai nulla, le nostre idee, le nostre immagini, i sogni , le fantasie più assurde sono risultati, effetti necessari e reali di quello che c'è e quello che c'è è così che ci incontra. Il sogno più assurdo non sono gli ippogrifi, ma un io che possa volere e sappia decidere dall'alto della sua visione panoramica cosa è assolutamente (oggettivamente) vero o no. Eppure anche questa mostruosità fantastica, questa chimera ben più assurda di qualunque chimera-animale-divinità, esprime una realtà, esprime un reale significato, sia pure con conseguenze sempre terribilmente nefaste.
CitazioneNon ho mai affermato che esiste "una realtà dalla quale tutto è dicibile con verità": casomai il contrario!!!

Nei discorsi che ne facciamo sta il nostro pensiero (se vero, la nostra conoscenza) della realtà, che tu continui a confondere con la realtà.

Da empirista sottoscrivo in pieno l' affermazione "Noi non ci inventiamo mai nulla, le nostre idee, le nostre immagini, i sogni , le fantasie più assurde sono risultati, effetti (...) reali di quello che c'è".

Ma quando e dove mai avrei parlato di "un io che possa volere e sappia decidere dall'alto della sua visione panoramica cosa è assolutamente (oggettivamente) vero o no"?????
(Frase ovviamente sensata, ma falsissima).

Dare arbitrariamente nomi alle cose è ben altra, diversissima cosa che pretendere di decidere cosa è assolutamente (oggettivamente) vero o no!



CitazioneIl nome è irrilevante per la natura, che tanto non ne dipende nel suo modo di essere, ma è rilevantissimo per la conoscenza della natura, essendo necessario per pensarne, descriverne predicarne il modo di essere (predicazione che, se adeguata, veritiera, per definizione ne costituisce appunto la conoscenza).
Ed è appunto compito della filosofia indagare se e come (a quali condizioni, entro quali limiti, in che senso, ecc.) ciò possa accadere
Sì mai noi, comunque siamo nella natura, la scienza e la tecnico sono nella natura del mondo. Quindi se il nome per esse è rilevante, è rilevante pure per la natura di cui fanno parte. Non è che la scienza ci possa lanciare ad altezze siderali da cui godere tutto lo spettacolo della natura, come se non vi appartenessimo. La filosofia è questo che può e deve dirci, non se gli ippogrifi sono veri o no, ma perché un significato acquista senso reale e un altro lo perde e soprattutto ricordarci che il vertice del nostro sapere può solo essere sapere di non sapere, come già si era espresso Socrate più di 2 mila anni fa, contro tutte le pretesi di quelli (e in primo luogo noi stessi) che credono di sapere di sapere, mentre solo non sanno di non sapere.
CitazioneMa quando mai avrei negato che "noi, comunque siamo nella natura, la scienza e la tecnica sono nella natura del mondo" o affermato che "la scienza ci può lanciare ad altezze siderali da cui godere tutto lo spettacolo della natura, come se non vi appartenessimo"?!?!?!

Ma la natura è del tutto indifferente a noi e alla nostra conoscenza di essa, e ai nomi che usiamo per parlarne e conoscerla.

Con tutto il rispetto per Socrate, ed essendo ben lungi dal soffrire di delirio di onnipotenza (fra l' altro ritenendo lo scetticismo non superabile razionalmente ma solo assumendo fideisticamente la verità alcune tesi indimostrabili né direttamente constatabili empiricamente, come ho ripetutamente affermato a chiare lettere nel forum), credo che (a tale condizione indimostrabile) qualcosa possa pur essere conosciuto.
 


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