conoscenza e critica della conoscenza

Aperto da davintro, 15 Agosto 2016, 18:26:43 PM

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sgiombo

Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:32:21 PM
La cosa "Monte Bianco" non è una cosa, ma è una parola, perché "Monte bianco" è una parola che non indica una cosa, ma un'esperienza in cui non c'è cosa, ma l'assenza della cosa. l'assenza dell'oggetto che viene a starci davanti (ossia a stare davanti al soggetto che l'espressione vocale crea per "rimbalzo", come dice Sini) proprio in virtù della parola.

CitazioneDunque, se ben capisco, per Sini se uno che ci vede bene va a Chamonix e guarda (in una giornata senza nuvole) a sud-est senza dire o pensare "questo é il monte Bianco", allora non vede il monte Bianco, allora il monte Bianco (quella cosa che é -anzi, per assurdo, se ci fosse, sarebbe- la montagna più alta d' Italia) non c' é.

Non sono d' accordo.


Sini non si limita allora a dire che  "finché qualcosa non ha una sua parola, una sua nominazione, resta non dicibile, non predicabile e non ragionabile" che sarebbe effettivamente una banalità, come nota Sgiombo, ma dice che solo se l'esperienza è resa dicibile da una parola può presentarsi davanti a noi come una cosa, solo se è dicibile il Monte Bianco è la cosa Monte Bianco.

CitazioneQuindi, se ben capisco, per un muto (che non sia anche cieco) il monte Bianco (la cosa costituita dal monte Bianco) non c' é, non lo vede.

Di nuovo devo manifestare il mio dissenso.


Qui vale il verso di Holderling, citato da Heidegger: "nessuna cosa è ove la parola manca"

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 28 Settembre 2016, 23:37:48 PM
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 23:15:28 PMLa differenza sta nel fatto che se il "Sari che va a dormire" diventa il "Sari che si risveglia" il "Sari che va a dormire" cessa di essere, non è più), mentre per Severino solo cessa di apparire, ma continua eternamente ad esserci e questo significa che potrà anche tornare ad apparire proprio come tale.

Ma ci credi veramente?...Siii sincero... :) :) :)

CitazioneMi scuso anticipatamente, ma qui emerge irresistibilmente il discolo irriverente e provocatore che é rimasto in me in qualche misura (e infatti per Severino é eterno e immutabile, non scompare mai...) dalla lontana infanzia.

Non mi stupirei se una volta morto Severino (il più tardi possibile, sia chiaro, anche se per lui l' età del decesso non dovrebbe fare differenza) un notaio di Brescia rendesse nota una sua dichiarazione testamentaria in cui afferma che aveva sempre preso tutti per i fondelli (e se per caso lasciasse qualcosa in eredità a chi lo avesse capito, vi prego di testimoniare del mio buon diritto a goderne...).

Chiedo scusa per la provocazione (ma in fondo é un pensiero che non trovo del tutto implausibile).


Sariputra

Chiedo scusa per la mia, ingiustificabile, ignoranza... Precedentemente ho scritto che il Severino era morto. Invece sembra che sia ancora vivo.
Però...adesso che ci penso...è pure già morto e attende solo di apparire a noi come un ente "Severino morto"...
Beh! Allora non mi sono del tutto sbagliato...meno male! ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

maral

#183
Citazione di: Phil il 28 Settembre 2016, 23:26:12 PM
Tuttavia, se l'oggetto si mostra nella parola, o meglio, la parola nomina l'assenza dell'oggetto, questa parola può essere "per tutti" perché è convenzione astratta, altrimenti sarebbe parola dotata di senso solo per il soggetto che la pronuncia.
Certo che la parola è astratta se è pubblica, ma non per questo è convenzionale. Sini lo spiega molto chiaramente con la sua descrizione della fenomenologia della percezione uditiva e lo dice anche esplicitamente nel testo che la parola non è un segno convenzionale, anche se così ci siamo abituati a pensarla alla luce di una vecchia metafisica.
E' astratta in quanto trascende sia chi la pronuncia che chi la ascolta e pone sia l'oggetto che il soggetto, ma non è un segno convenzionale tra parlanti che si sono messi d'accordo come fanno i giocatori di briscola (la metafora è di Sini). Ovviamente ognuno può pensarla come crede, ma qualunque oggetto si presenta nel suo stesso presentarsi con parole che lo nominano incarnandone il significato, se non ha ciò che lo dice non ha significato e se non ha significato quell'oggetto non si presenta nella sua oggettualità (né tanto meno può venire detto pre esistente al suo significare, dato che il suo essere pre esistente sta tutto nel suo significare), qualsiasi cosa esso sia. L'essere astratto non implica l'essere convenzionale.

CitazioneNon ho ben colto la differenza a cui alludi fra
Citazione di: Phil il 28 Settembre 2016, 21:06:48 PMfinché qualcosa non ha una sua parola [...] resta non dicibile, non predicabile e non "ragionabile"
e
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:32:21 PMsolo se l'esperienza è resa dicibile da una parola può presentarsi davanti a noi come una cosa
Non sono forse due affermazioni complementari? Entrambe affermano che ciò che non è dicibile con una parola non ha un'identità linguistica e quindi non è una cosa (predicabile), e non essendo una cosa (per qualcuno o per tutti) non ci si può ragionare...
C'è qualche identità non linguistica secondo te? Io penso di no, se anche tu la pensi così, allora le due affermazioni si equivalgono.

CitazioneO anche, rispettando la differenza fra ontologia e semiologia, potremo dire con Wittgenstein "I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo".
Io toglierei quel "mio" e direi che i limiti del linguaggio sono i limiti del mondo. Il linguaggio non è mio, proprio come il mondo, né c'è un mondo mio come non c'è un linguaggio mio.
Citazione
Questa logica sequenziale e contestuale mi pare davvero simile al cosiddetto "divenire", anche se riguarda enti postulati come eterni (giacché l'eternità può essere solo una congettura) che appaiono e scompaiono... secondo me, proprio come nel caso di Zenone citato settimane fa, anche qui si rischia di perdere di vista la realtà per incartarsi in falsi problemi meta-fisici  :)
l'eternità dell'ente non è una congettura, per quanto possa apparire strampalata (e infatti poi Sari mi chiede "ma ci credi veramente?", pensando che effettivamente solo un matto completo può arrivare a credere sul serio una simile strampaleria, e Sari non ha tutti i torti) non lo è. La filosofia di Severino per quanto complessa e ardua risulti, è di base semplicissima, afferma semplicemente il principio di identità in modo assoluto e incontrovertibile e il principio di identità è una banalissima tautologia (l'ho provata a spiegare a Sgiombo ma non ci sono riuscito, lui continua a pensare che l'identità tautologica è rispettata nel divenire e che se dico che ora questo A è A, domani può tranquillamente, questo stesso e medesimo A di oggi, essere B, senza vederci nessuna contraddizione). Comunque mi sembra chiaro che l'apparire non è il divenire se il divenire significa venire a essere altro rimanendo tuttavia lo stesso. Dire che è la stessa cosa sarebbe come dire che il coniglio che sbuca apparendo dal cappello del prestigiatore è un coniglio che si crea (diviene) dal nulla, e quando nel cappello vi scompare di nuovo dentro che quel coniglio è finito nel nulla. Mi pare che la differenza sia facile da capire.

maral

Citazione di: Sariputra il 28 Settembre 2016, 23:37:48 PM
E poi...perchè il "Sari che va a dormire cessa di essere"? Mi sento fluire in perfetta continuità...non percepisco alcun "spazio" di interruzione nel mio fluire. Sento il cuore pulsare, il sangue fluire, il respiro procedere...non si notano interruzioni tra un ente Sari e un altro. Dove finisce un ente e ne inizia un altro? Solo nel pensiero? Troppo poco per evitare la bastonata del solito , famoso monaco zen... ;D ;D.
Siamo proprio nella metafisica...
Appunto "sento", adesso lo senti, nell'istante presente, perché tutto è solo nel presente che accade: quel Sari che andò a dormire è nel fotogramma attuale del Sari che si sveglia e Sari che si sveglia sente (ossia interpreta) e se la racconta come una storia in cui il protagonista è sempre lo stesso Sari che fa nel tempo cose diverse secondo una logica, magari di causa effetto e tutto secondo norma e regola, c'è un prima un adesso e un poi nel racconto della storia che solo adesso ci facciamo (la potenza delle parole sta appunto nel fare apparire delle storie da raccontare e soprattutto raccontarci a noi stessi).

maral

Citazione di: sgiombo il 29 Settembre 2016, 08:29:42 AM
Dunque, se ben capisco, per Sini se uno che ci vede bene va a Chamonix e guarda (in una giornata senza nuvole) a sud-est senza dire o pensare "questo é il monte Bianco", allora non vede il monte Bianco, allora il monte Bianco (quella cosa che é -anzi, per assurdo, se ci fosse, sarebbe- la montagna più alta d' Italia) non c' é.

Non sono d' accordo.
Certamente vedrà un monte, perché ha comunque in sé la parola monte e il suo significato, cosa ben più comune dell'avere in sé il significato di Monte Bianco. Ma di sicuro uno stambecco che si arrampica su quel "monte" non vede alcun monte, giacché monte è un nostro concetto, di noi che separiamo soggetto e oggetto e tra gli oggetti monti e pianure e tra i monti le dune di sabbia che spariscono in un giorno quando soffia il vento e quelle di roccia che sono lì da sempre o quasi e comunque ben da prima di noi (che anche questo sta nel significato della parola "monte"). Tutto questo fa parte del nostro mondo in cui abbiamo le parole per dirlo (o meglio più probabilmente le parole hanno noi), non del mondo dello stambecco in cui le parole non ci sono.

CitazioneQuindi, se ben capisco, per un muto (che non sia anche cieco) il monte Bianco (la cosa costituita dal monte Bianco) non c' é, non lo vede.

Di nuovo devo manifestare il mio dissenso.

Condivido qui il tuo dissenso. Sini fa una descrizione molto accurata della fenomenologia del suono che risuona come parola e quindi del senso dell'udito rilevandone la grande differenza dagli altri sensi, per cui, lui dice, solo con l'udito e la fonazione si può istituire una dimensione pubblica, dunque oggettiva, da cui nasce anche il senso pubblicamente riconoscibile (astratto) di se stessi. Sorge spontanea la domanda: ma allora un sordomuto dalla nascita come fa? E soprattutto in quanto sordo, visto che dei suoni, anche se non li emette per fonazione potrà pur sempre produrli?
Credo che qui Sini si spinga un po' troppo oltre nel focalizzarsi sul senso dell'udito (anche se è fondamentale nell'uomo, ad esempio i bambini nati sordi incontrano maggiori difficoltà nel loro sviluppo cognitivo, se ben ricordo, rispetto a quelli nati ciechi), bisognerebbe rifletterci. Occorre anche riconoscere che soprattutto la civiltà Occidentale si è certamente sviluppata sul culto del grafema vocale (è proprio la parola che crea nella Bibbia, la parola di Dio che risuona).

Phil

Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:18:27 PMnon è un segno convenzionale tra parlanti che si sono messi d'accordo come fanno i giocatori di briscola (la metafora è di Sini). 
Eppure se ci intendiamo è perchè parliamo la stessa lingua, ovvero giochiamo allo stesso gioco: se tu giochi a briscola con le tue carte e io gioco a poker con le mie, non possiamo giocare assieme, ovvero intenderci... 

Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:18:27 PMC'è qualche identità non linguistica secondo te? Io penso di no, se anche tu la pensi così, allora le due affermazioni si equivalgono. 
Concordo, per questo non capivo quando dicevi che Sini andava ben oltre la mia banale parafrasi...

Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:18:27 PM
CitazioneO anche, rispettando la differenza fra ontologia e semiologia, potremo dire con Wittgenstein "I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo".
Io toglierei di torno quel "mio" e direi che i limiti del linguaggio sono i limiti del mondo, il linguaggio non è mio, proprio come il mondo, né c'è un mondo mio come non c'è un linguaggio mio. 
Quel "mio" è proprio ciò che tiene lontani dal dogmatismo metafisico e che, se non ho frainteso, viene sottolineato da Maturana e Varela: l'autopoiesi è individuale per l'osservatore, egli genera il suo osservato, il suo mondo...

Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:18:27 PMLa filosofia di Severino per quanto complessa e ardua risulti, è di base semplicissima, afferma semplicemente il principio di identità in modo assoluto e incontrovertibile e il principio di identità è una banalissima tautologia
Sull'identità ho trovato un breve video di Severino (https://www.youtube.com/watch?v=0r_febsn0-Y) in cui spiega la sua teoria in modo davvero zenoniano e sofistico (andare al minuto 7:44): A non esiste, in fondo esistono solo A1, A2, A3... e ognuno di questi An può legittimamente essere identificato come B, C, D... è solo una questione di arbitraria definizione di un'identità con un simbolo piuttosto che un altro... 
L'individuazione dell'identità è arbitraria e non è affatto contraddittoria con il divenire: si tratta solo di considerare un filmato come un insieme di fotogrammi, ma scambiare il fotogramma come qualcosa di autonomo dal filmato da cui è stato estrapolato, è un gesto che ha indubbio valore estetico (come i virtuosismi linguistici di Heidegger) e come tale va considerato...

maral

#187
Citazione di: Phil il 29 Settembre 2016, 23:00:09 PM
Eppure se ci intendiamo è perchè parliamo la stessa lingua, ovvero giochiamo allo stesso gioco: se tu giochi a briscola con le tue carte e io gioco a poker con le mie, non possiamo giocare assieme, ovvero intenderci...
Certo, qui infatti il gioco lo conveniamo con le parole, ma non conveniamo le parole con il gioco, Ossia non è che prima ci si mette a giocare e poi ci mettiamo d'accordo se quel gioco che abbiamo cominciato ciascuno per conto suo è briscola o poker.

CitazioneConcordo, per questo non capivo quando dicevi che Sini andava ben oltre la mia banale parafrasi...
Bene, è sempre un piacere arrivare a concordare su qualcosa. La trovavo banale ipotizzando delle identità originarie, non linguisticamente istituite, ma poi qualsiasi banalità a ben vedere non è per nulla una banalità (vedasi cosa ti combina quella banalissima tautologia di Severino)
CitazioneQuel "mio" è proprio ciò che tiene lontani dal dogmatismo metafisico e che, se non ho frainteso, viene sottolineato da Maturana e Varela: l'autopoiesi è individuale per l'osservatore, egli genera il suo osservato, il suo mondo...
Il dogmatismo metafisico lo avverto molto di più (come dogmatismo) se tolgo uno solo dei due "mio". Se ad esempio si dicesse "i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mondo" o "i limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo", nel primo caso ci sento una pretesa oggettiva assoluta e nel secondo una pari pretesa soggettiva. Togliere quel mio in entrambi mi pare consenta di vedere che non è mio né l'uno né l'altro (e non è mio l'uno in quanto non lo è l'altro), restando ben inteso il fatto che in questo non mio qualcosa di mio ci devo pur sempre venire a trovare (sia nel linguaggio che nel mondo), altrimenti addio autopoiesi.
CitazioneL'individuazione dell'identità è arbitraria e non è affatto contraddittoria con il divenire: si tratta solo di considerare un filmato come un insieme di fotogrammi, ma scambiare il fotogramma come qualcosa di autonomo dal filmato da cui è stato estrapolato, è un gesto che ha indubbio valore estetico (come i virtuosismi linguistici di Heidegger) e come tale va considerato...
Per come la penso non vi sono dubbi che il divenire sia un'autocontraddizione, qui trovo che Severino abbia perfettamente ragione. Il punto è piuttosto che (almeno dal mio punto di vista e nei miei limiti) dalla filosofia di Severino che si basa sull'assoluto dell'ente (Sini, dal suo punto di vista pragmatico, la chiama la superstizione dell'ente), proprio l'ente mi diventa incomprensibile e non tanto perché non arriveremo mai  a definirlo completamente, ma perché non sappiamo nemmeno da dove incominciare, dove sta l'ente? pur parlando dell'ente è come se, seguendo Severino, si fosse sempre oltre l'ente, sempre nella sua astrazione e mai nel suo concreto. Quando si dice che l'ente "Sari che va a dormire alla sera" non è "Sari che si sveglia alla mattina" (e su questo sono d'accordo) si può notare che anche quel "Sari che va a dormire alla sera" è in realtà un'astrazione, perché in quel "Sari che va a dormire alla sera" c'è una miriade infinita di Sari diversi per quanto uniti dal fatto che tutti stanno andando a dormire, corrispondenti a ogni infinitesima cosa che accade. Dov'è allora l'istantanea? L'istante è sempre troppo lungo per essere davvero tale, perché possa venire a fuoco, è sempre in un intervallo di tempo fatto di frammenti ancora e ancora più piccoli.
Ecco che qui penso che la soluzione l'abbia trovata Sini, che dice in sostanza a Severino: sono d'accordo con te se con il tuo discorso filosofico ti riferisci al significato. Ossia, penso io di aver capito: l'ente esprime un'unità immediata e fenomenologica di significato e non un'unità logica ontologica e solo dell'unità di significato si può dire che è sempre quella, non di un'unità ontologica di cui non si può dire nulla (e dicendo questo si è già detto troppo). Ma allora la filosofia di Severino, vista come trattazione del significato anziché dell'essente, si presenta come una ermeneutica e questo non credo che Severino possa di sicuro mai accettarlo.

Sariputra

Citando una frase di Bergson:
Tutte le fotografie di una città, prese da tutti i punti di vista possibili, per quanto si completino indefinitamente le une con le altre, non varranno mai quell'esemplare in rilievo che è la città in cui si va a passeggio
affermo che :
Tutti gli infiniti "Sari che vanno a letto", presi da tutte le angolazioni e punti di vista possibili ( sopra  sotto il letto), non varranno mai come quell'esemplare vivente di Sari che va effettivamente a letto.
Qui si palesa il primato dell'intelligenza intuitiva su quello della conoscenza analitica. L'intuizione coglie la presenza viva di Sari ( per adesione e simpatia) e il suo essere in divenire, mentre l'analisi deve ricorrere alla frammentazione di "tutti i punti di vista possibili".
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:58:23 PM
Citazione di: sgiombo il 29 Settembre 2016, 08:29:42 AM
Dunque, se ben capisco, per Sini se uno che ci vede bene va a Chamonix e guarda (in una giornata senza nuvole) a sud-est senza dire o pensare "questo é il monte Bianco", allora non vede il monte Bianco, allora il monte Bianco (quella cosa che é -anzi, per assurdo, se ci fosse, sarebbe- la montagna più alta d' Italia) non c' é.

Non sono d' accordo.
Certamente vedrà un monte, perché ha comunque in sé la parola monte e il suo significato, cosa ben più comune dell'avere in sé il significato di Monte Bianco. Ma di sicuro uno stambecco che si arrampica su quel "monte" non vede alcun monte, giacché monte è un nostro concetto, di noi che separiamo soggetto e oggetto e tra gli oggetti monti e pianure e tra i monti le dune di sabbia che spariscono in un giorno quando soffia il vento e quelle di roccia che sono lì da sempre o quasi e comunque ben da prima di noi (che anche questo sta nel significato della parola "monte"). Tutto questo fa parte del nostro mondo in cui abbiamo le parole per dirlo (o meglio più probabilmente le parole hanno noi), non del mondo dello stambecco in cui le parole non ci sono.

CitazioneMa se non ci pensa non ha in sé (il pensiero de-) -la parola monte con il suo significato.
E comunque allora uno che non ha mai visto montagne né sentito parlare di montagne (nel suo proprio personale vocabolario o "bagaglio linguistico" non esiste -ancora- la parola "monte") se viene portato bendato a Chamonix, lo si invita a rivolgersi verso sud-est e gli si toglie la benda non vede il monte Bianco.

Inoltre se gli stambecchi non vedessero nessun monte e neanche nessun albero (non possedendo nemmeno il concetto di "albero") sbatterebbero continuamente contro pini e e abeti, cosa che non mi risulta accadere.

Devo dunque ribadire il mio totale, assluto disaccordo.

CitazioneQuindi, se ben capisco, per un muto (che non sia anche cieco) il monte Bianco (la cosa costituita dal monte Bianco) non c' é, non lo vede.

Di nuovo devo manifestare il mio dissenso.

Condivido qui il tuo dissenso. Sini fa una descrizione molto accurata della fenomenologia del suono che risuona come parola e quindi del senso dell'udito rilevandone la grande differenza dagli altri sensi, per cui, lui dice, solo con l'udito e la fonazione si può istituire una dimensione pubblica, dunque oggettiva, da cui nasce anche il senso pubblicamente riconoscibile (astratto) di se stessi. Sorge spontanea la domanda: ma allora un sordomuto dalla nascita come fa? E soprattutto in quanto sordo, visto che dei suoni, anche se non li emette per fonazione potrà pur sempre produrli?
Credo che qui Sini si spinga un po' troppo oltre nel focalizzarsi sul senso dell'udito (anche se è fondamentale nell'uomo, ad esempio i bambini nati sordi incontrano maggiori difficoltà nel loro sviluppo cognitivo, se ben ricordo, rispetto a quelli nati ciechi), bisognerebbe rifletterci. Occorre anche riconoscere che soprattutto la civiltà Occidentale si è certamente sviluppata sul culto del grafema vocale (è proprio la parola che crea nella Bibbia, la parola di Dio che risuona).

Ma i libri stampati che si vedono e si leggono attraverso la vista, contrariamente ai discorsi pronunciati, per Sini non sarebbero in grado di "istituire una dimensione pubblica", sarebbero come meditazioni interiori "privatamente praticate da ciascuno"?

CitazioneA-ri-dissento, come direbbero a Roma.

(Circa la Bibbia la parola di Dio può essere intesa benissimo come scritta o come semplicemente pensata, oltre che come pronunciata; per esempio i dieci comandamenti su Sinai sarebbero stati scritti su tavole di pietra e non detti da Dio).

Altri motivi di radicale dissenso da parte mia. 

Affermi: che per Sini "
la parola non è un segno convenzionale, anche se così ci siamo abituati a pensarla alla luce di una vecchia metafisica. 
E' astratta in quanto trascende sia chi la pronuncia che chi la ascolta e pone sia l'oggetto che il soggetto, ma non è un segno convenzionale tra parlanti che si sono messi d'accordo come fanno i giocatori di briscola (la metafora è di Sini). Ovviamente ognuno può pensarla come crede, ma qualunque oggetto si presenta nel suo stesso presentarsi con parole che lo nominano incarnandone il significato, se non ha ciò che lo dice non ha significato e se non ha significato quell'oggetto non si presenta nella sua oggettualità (né tanto meno può venire detto pre esistente al suo significare, dato che il suo essere pre esistente sta tutto nel suo significare), qualsiasi cosa esso sia".

Ecco, io credo di pensarla proprio al contrario: gli oggetti esistono anche senza che qualcuno dia loro un nome e li pensi (sarebbe molto comodo se fosse come dice Sini: darei subito il nome -e attribuirei il significato- di "nulla" a Renzi, Obama e tantissimi altri e il mondo sarebbe subito molto, molto migliore).

Inoltre replichi a Phil:

"
C'è qualche identità non linguistica secondo te? Io penso di no, se anche tu la pensi così, allora le due affermazioni si equivalgono".

Io la penso esattamente come Phil: le cose (solito esempio del monte Bianco) sono identiche a se stesse anche se nessuno le pensa (chissà quanti monti ci sono su pianeti di altre galassie che nessuno ha mai visto e concettualizzato, ma non per questo perdono al loro identità per diventare laghi, fiumi, mari, alberi, arcobaleni, nuvole o chissà cos' altro ...ah, se te lo sentisse dire Severino!!!).


Circa quest' ultimo affermi:

"
La filosofia di Severino per quanto complessa e ardua risulti, è di base semplicissima, afferma semplicemente il principio di identità in modo assoluto e incontrovertibile e il principio di identità è una banalissima tautologia (l'ho provata a spiegare a Sgiombo ma non ci sono riuscito, lui continua a pensare che l'identità tautologica è rispettata nel divenire e che se dico che ora questo A è A, domani può tranquillamente, questo stesso e medesimo A di oggi, essere B, senza vederci nessuna contraddizione).

E io sono costretto a ripeterti la domanda:


Ma da dove salta fuori, nel principio di identità questo "mai" (Se A è A non potrà maiessere qualcosa di diverso da A)?

Se A è A in un determinato tempo o/e luogo non potrà assolutamente in alcun modo essere qualcosa di diverso da A in tale determinato tempo o/e luogo, mentre in un altro tempo (successivo o precedente) potrà benissimo essersi trasformato in (essere stato) B (per esempio: A= l' embrione di ciascuno di noi; B = ciascuno di noi oggi).

Se dico che ora questo A è A, domani può tranquillamente, quello che oggi é il medesimo A di oggi, essere diventato B senza alcuna contraddizione.




sgiombo

Citazione di: Sariputra il 30 Settembre 2016, 01:31:22 AM
Citando una frase di Bergson:
Tutte le fotografie di una città, prese da tutti i punti di vista possibili, per quanto si completino indefinitamente le une con le altre, non varranno mai quell'esemplare in rilievo che è la città in cui si va a passeggio
affermo che :
Tutti gli infiniti "Sari che vanno a letto", presi da tutte le angolazioni e punti di vista possibili ( sopra  sotto il letto), non varranno mai come quell'esemplare vivente di Sari che va effettivamente a letto.
Qui si palesa il primato dell'intelligenza intuitiva su quello della conoscenza analitica. L'intuizione coglie la presenza viva di Sari ( per adesione e simpatia) e il suo essere in divenire, mentre l'analisi deve ricorrere alla frammentazione di "tutti i punti di vista possibili".
CitazioneOh, finalmente un motivo di dissenso da parte mia anche dal buon Sari (da bastian contrario per vocazione cominciavo a preoccuparmi).

Per me non si tratta nel caso di Severino (e di Sini) di intelligenza analitica (in generale) ma casomai di inelligenza analitica (razionalità) mal praticata, erroneamente.

L' intelligenza analitica - razionale correttamente praticata riconosce:

a) la realtà e non contraddittorietà del divenire; e

b) l' indipendenza delle cose dagli eventuali pensieri circa le cose.

Anzi, a mio modo di vedere identificare indebitamente (scorrettamente, erroneamente) cose e concetti delle cose e principio di identità - non contraddizione con "fissismo parmenideo o severiniano" non é espressione e conseguenza di un atteggiamento propriamente razionale - analitico ma piuttosto "intuitivo" (se uno afferma di avere queste "intuizionI" sue proprie, personali, soggettive, come si fa a contraddirlo? Queste restano sue intuizioni soggettive. Ma se pretende di dimostrarlo razionalmente é proprio con i nostri -anche tuoi!- ragionamenti che "analiticamente", razionalmente lo confutiamo).

paul11

Citazione di: Sariputra il 30 Settembre 2016, 01:31:22 AM
Citando una frase di Bergson:
Tutte le fotografie di una città, prese da tutti i punti di vista possibili, per quanto si completino indefinitamente le une con le altre, non varranno mai quell'esemplare in rilievo che è la città in cui si va a passeggio
affermo che :
Tutti gli infiniti "Sari che vanno a letto", presi da tutte le angolazioni e punti di vista possibili ( sopra  sotto il letto), non varranno mai come quell'esemplare vivente di Sari che va effettivamente a letto.
Qui si palesa il primato dell'intelligenza intuitiva su quello della conoscenza analitica. L'intuizione coglie la presenza viva di Sari ( per adesione e simpatia) e il suo essere in divenire, mentre l'analisi deve ricorrere alla frammentazione di "tutti i punti di vista possibili".

...e vai!!!  Meno male Sariputra che non capivi la filosofia, hai fatto passi da gigante ultimamente.
Recentemente ho letto proprio di Bergson il suo concetto di tempo rispetto a quello di Einstein e ne nacque una corrispondenza fra loro.

Il mio parere è che hai centrato l'obiettivo.Non esiste una razionalizzazione prima di un'intuizione.
L'intuizione di Severino è aver costruito una logica dialettica in cui la chiave di lettura è come il principio di non contraddizione si relaziona nel principio cardine che è quello dell'identità. Il come si relazionano costruisce a sua volta una forma di ontologia relazionata alla gnoseologia, in quanto gli essenti appaiono o meno in modo astratto o concreto e quindi rimanendo dentro la contraddizione del negativo o risolvendosi nel positivo(è molto sintetico, non me ne voglia il buon Maral).

Ma da dove scaturisce l'intuizione? Possiamo sostenere oltre un ordine gnoseologico, come strumento conoscitivo, anche una suo statuto ontologico? E' un poco come ritornare ai primi post in cui  Davintro sosteneva che alcune "regole" (diciamo così) come il tempo fossero ontologicamente nella ragione.  Quindi non sono da "scoprire", essendo già in noi.
sono ontologicamente esistenti nella nostra ragione

sgiombo

Citazione di: Phil il 29 Settembre 2016, 23:00:09 PMSull'identità ho trovato un breve video di Severino (https://www.youtube.com/watch?v=0r_febsn0-Y) in cui spiega la sua teoria in modo davvero zenoniano e sofistico (andare al minuto 7:44): A non esiste, in fondo esistono solo A1, A2, A3... e ognuno di questi An può legittimamente essere identificato come B, C, D... è solo una questione di arbitraria definizione di un'identità con un simbolo piuttosto che un altro...
L'individuazione dell'identità è arbitraria e non è affatto contraddittoria con il divenire: si tratta solo di considerare un filmato come un insieme di fotogrammi, ma scambiare il fotogramma come qualcosa di autonomo dal filmato da cui è stato estrapolato, è un gesto che ha indubbio valore estetico (come i virtuosismi linguistici di Heidegger) e come tale va considerato...
CitazioneIn questo intervento, in cui Severino trapassa di continuo indebitamente, scorrettamente dall' "essere" al "diventare", dall' "essere a un certo tempo" all' "essere a un certo altro tempo" (il tavolo non può essere non-tavolo, finché lo  é,  e perciò -secondo lui- non potrebbe diventare, in un altro succesivo tempo, non-tavolo: per esempio cenere), dall' essere istantaneo all' essere per sempre (eterno), ciò che mi ha più colpito é la battuta con cui si rivolge (circa a metà) a chi fra i presenti già conosce le sue teorie, dicendo che sentire "una barzelletta" (testuale) la seconda volta non fa ridere (o non ha senso, o non é divertente; non ricordo con precisione; sarà modestia e autoironia... sarà...).            
                            
Scrivo questo così, tanto per manifestare le mie impressioni...

Phil

Citazione di: maral il 29 Settembre 2016, 22:18:27 PM
l'eternità dell'ente non è una congettura, per quanto possa apparire strampalata
Per me l'eternità (così come l'infinito) non può che essere una congettura, perché, per definizione, è ciò che non è verificabile, ma solo ipotizzabile...

Citazione di: maral il 30 Settembre 2016, 00:05:44 AM
non è che prima ci si mette a giocare e poi ci mettiamo d'accordo se quel gioco che abbiamo cominciato ciascuno per conto suo è briscola o poker.
Al riguardo richiamerei ancora la differenza fra linguaggio e lingua, ovvero fra giocare a carte in modo istintivo e non-strutturato (linguaggio come predisposizione innata neurologico-comportamentale, che contempla anche la possibilità del "solitario"), e giocare a carte in modo regolamentato (lingua convenzionale), ma con ciò non voglio riavvolgere il discorso a tre o quattro pagine fa...

In questo interrogarsi:
Citazione di: maral il 30 Settembre 2016, 00:05:44 AMproprio l'ente mi diventa incomprensibile e non tanto perché non arriveremo mai  a definirlo completamente, ma perché non sappiamo nemmeno da dove incominciare, dove sta l'ente?
ritrovo echi (subliminali?) di
Citazione di: Phil il 28 Settembre 2016, 08:04:41 AM
Quando e dove avviene il mio manifestarmi come "ente A"?
che sia arrivata a destinazione la bastonata del monaco (non mia)?

Citazione di: maral il 30 Settembre 2016, 00:05:44 AM
allora la filosofia di Severino, vista come trattazione del significato anziché dell'essente, si presenta come una ermeneutica e questo non credo che Severino possa di sicuro mai accettarlo.
Schleiermacher direbbe che possiamo capire Severino meglio di lui stesso... comunque, per come la vedo, quando l'ermeneutica si crede (crede se stessa) una ontologia, quando viene confuso il piano del linguaggio con quello dell'essere, si sconfina nell'estetismo, ovvero nel proporre una prospettiva estetizzata, come dimostra Heidegger (è tutta qui la differenza fra la citazione del "suo" Holderlin e quella di Wittgenstein). Per "prospettiva estetizzata" intendo quella in cui si sta nel circolo ermeneutico partendo dal senso (intuito, congetturato, prefigurato) per arrivare all'essere, piuttosto che (come vorrebbe fare l'ontologia autentica, nonostante lo scacco delle scienze) partire dall'essere per arrivare al senso (per inciso, questo dualismo senso/essere, con tutti i rovesciamenti annessi, può essere problematizzato fino al suo superamento).

L'attualizzazione severiniana di Parmenide è estetizzata (v. il problema zenoniano degli infiniti Sariputra che vanno a dormire), perché procede con un andamento "poetante" (pur sotto le mentite spoglie di un integerrimo locigismo), in cui un precedente senso mitologico (il mito dell'essere, dell'eternità, etc.) detta la concezione dell'essere (esattamente come accade nei culti religiosi e in ogni metafisica), non l'inverso (come tende ad accadere nelle scienze, dove il senso è costruito a partire dall'essere degli enti).
Nell'estetica infatti la produzione di senso può prescindere dalla logica e dall'ancoraggio al reale (il linguaggio estetico non conosce vero/falso e parla di un essere che non deve essere presupposto come ontologico) e quando vengono meno questi due presupposti, la scrittura, o meglio, il logos si fa estetizzato, anche se si presenta come discorso veritativo sull'essere. L'"ontologia" severiniana forse getta la maschera, svelandosi estetizzata, quando sfocia, con buona pace della logica, in un'escatologia della Gioia, della Gloria, dell'Immenso etc. (ma aspetto eventuali correzioni di chi maneggia questo concetti meglio di me...).

P.s. A scanso di equivoci, preciso che non intendo estetico l'oggetto del discorso severiniano, nè tantomeno voglio dare un'interpretazione estetica della sua ontologia; alludo alla sua prospettiva col termine di "estetizzata" allo stesso modo di come era estetizzata la "visione" proposta dal cubismo: in Severino non c'è il divenire, in Picasso non c'è la prospettiva; in Severino gli enti sono eterni, in Picasso gli enti sono scomposti, etc. la differenza sta nella intenzionalità dell'estetizzare il mondo (anche se sgiombo ha tratteggiato un "colpo di teatro" testamentario decisamente intrigante...) e nello strumento usato (pennello vs penna...).

maral

Citazione di: Sariputra il 30 Settembre 2016, 01:31:22 AM
Citando una frase di Bergson:
Tutte le fotografie di una città, prese da tutti i punti di vista possibili, per quanto si completino indefinitamente le une con le altre, non varranno mai quell'esemplare in rilievo che è la città in cui si va a passeggio
affermo che :
Tutti gli infiniti "Sari che vanno a letto", presi da tutte le angolazioni e punti di vista possibili ( sopra  sotto il letto), non varranno mai come quell'esemplare vivente di Sari che va effettivamente a letto.
Qui si palesa il primato dell'intelligenza intuitiva su quello della conoscenza analitica. L'intuizione coglie la presenza viva di Sari ( per adesione e simpatia) e il suo essere in divenire, mentre l'analisi deve ricorrere alla frammentazione di "tutti i punti di vista possibili".
Scusa se puntualizzo, ma altrimenti non ci si intende (ah queste parole!). Non è che la miriade di Sari che vanno a letto siano diversi perché c'è una miriade di punti di vista diversi con cui si può osservare Sari che va a letto (questa è una problematica ulteriore sulla quale Severino penso dissentirebbe), ma perché c'è una miriade di atti che Sari (quell'astrazione che chiamiamo Sari e in cui Sari identifica se stesso e corrisponde al significare del suo unico nome) compie per andare a letto e, poiché ognuno di essi istituisce una differenza per quanto possa essere impercettibile, a ognuno di essi corrisponde un diverso ente, un diverso Sari. Ma ciascuno di questi atti è a sua volta suddivisibile all'infinito in atti ancora più infinitesimi, quindi Siamo sempre e comunque davanti a delle astrazioni per quanto a fondo possiamo andare nella nostra analisi. Dunque alla fine siamo costretti ad ammettere che noi conosciamo solo le cose in astratto, conosciamo il loro significato riflesso dal nome, per quanti sforzi facciamo sono solo i nomi che vediamo.
L'intuizione che ci scalda molto di più gli animi appare certo più veritiera, ma allora dobbiamo mettere da parte ogni pretesa di fondatezza condivisibile, perché quella vita è solo la mia vita (l'io è l'unico, come diceva Stirner), ma anche così si arriva sempre al punto di interrogarsi su cosa sia io, su cosa sia la mia vita, "io" è davvero reale o è un nome astratto? E anche qui non si può avere alcuna risposta, Forse gli unici momenti in cui davvero viviamo sono quelli in cui non pensiamo (e quindi non parliamo, giacché l'uomo è solo parlando che pensa), Non ci resta che il silenzio, ma nessuno riesce a fare un silenzio sufficiente, nemmeno un monaco zen (e se anche ci riuscisse come potrebbe dircelo o dirselo?).   

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