conoscenza e critica della conoscenza

Aperto da davintro, 15 Agosto 2016, 18:26:43 PM

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paul11

Phil, 
Come mai la matematica se applicata al mondo empirico ci credi che è vera e se invece applicata ai concetti non ci credi? Quì sta la contraddizione. E' inutile girarci  in giro c'è uno scetticismo di fondo sulla ragione e fiducia al sensibile, ma daccapo è contraddetta dalla pratica che determina anche senza una teoretica vera e di cui si ha fiducia. Non riesco a farvi capire questo passaggio.

Cosa  vuol dire che la matematica conta?Prima di contare ci vogliono proprietà e relazioni che distinguono ogni numero la relazione fra ogni numero la suddivisione fra naturali, reali, razionali ecc, la proprietà commutativa, distributiva, ecc.. La matematica è un vero e proprio dominio a sè.Anche la proposizione è "calcolo", nella misura in cui dice che le relazioni sono vere o false, come nelle tavole della verità di Wittgenstein. Come lavorerebbe diversamente la logica boleana sugli operatori logici?Un algoritmo cosa sarebbe, una formulazione euristica cosa altrettanto sarebbe?

Lo scoglio a mio parere è pregiudiziale sul perchè riteniamo vero il ragionamento fattuale, legato a cose fisiche e all'esperienza fisica e se viene spostato al dominio dei solo concetti, ovvero mantenendo la razionalità formale invece quella stessa ragione e quello stesso ragionamento diventa irrazionale in quanto inaffidabile. 
Perchè

Phil

Citazione di: paul11 il 17 Settembre 2016, 17:16:10 PMPhil, Come mai la matematica se applicata al mondo empirico ci credi che è vera e se invece applicata ai concetti non ci credi? Quì sta la contraddizione.
Non mi sembra una contraddizione, ma solo un discernimento fra due campi d'applicazione molto differenti... e, ad essere precisi, la matematica non si applica ai concetti, ma ai numeri (che non sono concetti qualsiasi...). La logica invece si applica ai concetti, ma già non è più matematica, proprio perchè non ci sono solo numeri (quantità). Non mi sembra una differenza da poco.

Pensa ai valori di verità delle proposizioni: non sono valori matematici quantitativi, ma, appunto, logici (al di là che possano essere indicati per praticità anche con numeri); chi li pone? Un calcolo computerizzabile? No, un uomo. Se la frase "Socrate è un greco" sia vera o falsa, deve deciderlo un altro uomo e, quindi, c'è spazio legittimo per l'errore. Non è più matematica. 2+2=4 non è una decisione, "Socrate è un uomo"="Vero" invece lo è...

La logica è utile e "spendibile" se parla, anzi ragiona, di variabili, non di costanti; altrimenti non ha applicazione concreta ma è solo formalismo autoreferente. Quando ragiono davvero su un problema, non ragiono di "x" e "y", ma di elementi concreti di cui devo decidere/cercare le proprietà e la verità. Dire: F(x,y) non è esattamente problematico come la sua "traduzione" particolare "Tizio e Caio sono amanti": sulla prima scrittura non c'è molto da ragionare, sulla seconda direi che ci sono verifiche e indagini da fare (è un esempio banale, ma spero sia chiaro a cosa alludo...).
A farla breve, la verità è comunque una decisione, un'attribuzione, esterna per la logica ("verità" da non confondere con "correttezza formale"!), mentre in matematica la verità è l'esattezza dei calcoli (quindi prescindendo dal "senso mondano" dell'operazione, che invece è ciò che conta nel ragionamento fuori dal foglio...).


Citazione di: paul11 il 17 Settembre 2016, 17:16:10 PMLo scoglio a mio parere è pregiudiziale sul perchè riteniamo vero il ragionamento fattuale, legato a cose fisiche e all'esperienza fisica e se viene spostato al dominio dei solo concetti, ovvero mantenendo la razionalità formale invece quella stessa ragione e quello stesso ragionamento diventa irrazionale in quanto inaffidabile. Perchè
La logica, nelle tavole di verità, dimostra proprio di poter essere usata anche in modo disinteressato rispetto al reale: "se x è vero, allora...", "se x è falso, allora..." ma, nella realtà, per essere utile, un ragionamento deve proprio decidere se x, o meglio, ciò-di-cui-si-parla, sia vero o falso... la correttezza formale, senza l'attribuzione (decisione) degli adeguati valori di verità, non produce un ragionamento fertile, ma solo ipotesi corrette che non ci aiutano a capire nulla.
La "dimostrazione di Dio" di Godel (senza entrare nel merito) citata giorni fa, può essere applicata formalmente anche al Dragone Imperiale Volante (che ho appena inventato  ;D ), dimostrandone l'esistenza. Ma ciò che interessa davvero ad un ragionamento interrogante, forse è sapere se esistano davvero il Dragone o Dio, non se sia possibile formulare un "esercizio logico" (cosi lo definì lo stesso Godel) che nella sua autoreferenza ne dimostra la possibilità dell'esistenza.

paul11

#107
Phil,
la matematica è numero che si applica a cose, diversamente non esisterebbero algoritmi che agiscono fuori dal suo diretto ambito.Ma è proprio questo accompagnarsi e applicarsi che è legato alla sola esperienza.
Insomma io penso che la prassi oggi è più forte della teoria, e forse è sempre stato così, l'uomo si fida di più dell'esperienza quotidiana anche se fosse data da comportamenti irrazionali che sono i nostri primitivi mentali, poi viene il resto che impariamo e che in qualche modo "ci inquadrano" mentalmente, ci disciplinano in un ordine.

La filosofia ha accompagnato questa cultura, forse e soprattutto inconsapevolmente,, perchè utopicamente si è illusa che la parola fossero come i numeri, che nelle parole ci potesse essere quella esattezza matematica.
Ma poi non solo ha distrutto la sua utopia, ma ha capito che postulati, enunciati che si sono creduti per secoli veri invece erano falsificabili.Noi viviamo il tempo della regola della decostruzione e del falsificabile, ma allora quale credibilità avrebbero le teorie scientifiche senza la prassi?Daccapo ,allora ci fidiamo delle pratiche essendo le teorie falsificabili.

Prendiamo allora atto che nulla è esatto tranne la metafisica di un sistema matematico, e  perchè mai è più veritiero l'empirico del metafisico? Il cortocircuito logico è che se quella ragione nasce da quell'inferenza innata, per  cui impariamo a distinguere le cose astraendole dal mondo e ordinandole mentalmente, perchè si continua  invece  credere più nella percezione dei sensi che schiavizza la ragione alla cosa invece che al concetto che crea la ragione che permette di conoscere anche, ma non solo quella cosa empirica nel mondo fattuale?
E' ovvio, che l'autocoscienza, come la chiamo io, ma chiunque può nominare quello che vuole, ha a sua volta un cortocircuito logico, perchè la ragione razionalizzata nel processo formale, la matematica stessa partorita dalla ragione, non basta   a sè, si chiede l'origine  tende ad oltre quell'empirico.

sgiombo

Citazione di: paul11 il 18 Settembre 2016, 00:23:41 AM
Phil,
la matematica è numero che si applica a cose, diversamente non esisterebbero algoritmi che agiscono fuori dal suo diretto ambito.Ma è proprio questo accompagnarsi e applicarsi che è legato alla sola esperienza.
Insomma io penso che la prassi oggi è più forte della teoria, e forse è sempre stato così, l'uomo si fida di più dell'esperienza quotidiana anche se fosse data da comportamenti irrazionali che sono i nostri primitivi mentali, poi viene il resto che impariamo e che in qualche modo "ci inquadrano" mentalmente, ci disciplinano in un ordine.

La filosofia ha accompagnato questa cultura, forse e soprattutto inconsapevolmente,, perchè utopicamente si è illusa che la parola fossero come i numeri, che nelle parole ci potesse essere quella esattezza matematica.
Ma poi non solo ha distrutto la sua utopia, ma ha capito che postulati, enunciati che si sono creduti per secoli veri invece erano falsificabili.Noi viviamo il tempo della regola della decostruzione e del falsificabile, ma allora quale credibilità avrebbero le teorie scientifiche senza la prassi?Daccapo ,allora ci fidiamo delle pratiche essendo le teorie falsificabili.

Prendiamo allora atto che nulla è esatto tranne la metafisica di un sistema matematico, e  perchè mai è più veritiero l'empirico del metafisico? Il cortocircuito logico è che se quella ragione nasce da quell'inferenza innata, per  cui impariamo a distinguere le cose astraendole dal mondo e ordinandole mentalmente, perchè si continua  invece  credere più nella percezione dei sensi che schiavizza la ragione alla cosa invece che al concetto che crea la ragione che permette di conoscere anche, ma non solo quella cosa empirica nel mondo fattuale?
E' ovvio, che l'autocoscienza, come la chiamo io, ma chiunque può nominare quello che vuole, ha a sua volta un cortocircuito logico, perchè la ragione razionalizzata nel processo formale, la matematica stessa partorita dalla ragione, non basta   a sè, si chiede l'origine  tende ad oltre quell'empirico.

CitazioneSecondo me le "verità1" logiche e matematiche (qui Phil, che mi pare tenda ad enfatizzare la differenza fra matematica e logica in un modo che non mi é facile seguire, potrebbe opporre qualche interessante obiezione) sono certe (indubitabili) perché sono giudizi analitici a priori, mentre le "verità2" empiriche sono incerte perché sono giudizi sintetici a posteriori.

Sono cose ben diverse:

le verità2 empiriche sono reali conoscenze della realtà (conoscenze circa ciò che é o accade realmente o meno di nuova acquisizione, non eventualmente di già presenti); mentre le verità1 logiche e matematiche non sono che esercizi di inferenza logica (deduzioni di teoremi o calcoli matematici) che, se correttamente eseguiti, non ci dicono 
circa ciò che é o accade realmente o meno qualcosa che non sia di già postulato (creduto, ipotizzato, eventualmente anche veracemente saputo -?-)non costituiscono propriamente (nuove, non eventualmente di già presenti) conoscenza della realtàlimitandosi a esplicitare eventuali conoscenze di già implicite nelle premesse (piuttosto che acquisizioni di "conoscenze vere" sono "esercizi corretti di applicazione di regole arbitrariamente stabilite"). 

Non ritengo razionalmente superabile lo scetticismo:

La certezza dei giudizi analitici a priori della logica e della matematica (se correttamente espressi, rispettando regole logiche arbitrariamente stabilite) si paga al prezzo della loro "sterilità conoscitiva" (per lo meno relativa, dato che comunque sapere esplicitamente é qualcosa di più, o per lo meno di un po' diverso, dall' avere nozione implicita), mentre la "fertilità conoscitiva" dei giudizi sintetici a posteriori dell' esperienza si paga al prezzo della loro incertezza insuperabile (se non circa sensazioni immediatamente esperite, che é comunque effimera, "di durata infinitamente piccola", poiché immediatamente, col trascorrere ininterrotto del tempo, ciò che era per un effimero istante "sensazione immediata" diventa -sensazione di- contenuto  di memoria, il quale é sempre degno di dubbio: é vero solo "se la memoria non m' inganna").

paul11

#109
Sgiombo,
capisco quello che scrivi e ho fatto un rapido "giro" sulle nozioni che avevo di Popper: mondo1, mondo2, mondo3
1. il mondo degli oggetti fisici o degli stati fisici;
2. il mondo degli stati di coscienza o degli stati mentali, o forse delle disposizioni del comportamento ad agire;
3. il mondo dei "contenuti oggettivi di pensiero", specialmente dei pensieri scientifici e poetici e delle opere d'arte.
E lo scritto di Nicla Vassallo " Teoria della conoscenza".
Sono tutti orientati su quello che avevo definito "fiducia o non fiducia", ma non sui presupposti che la nostra mente/autocoscienza ha aprioristicamente.
Lo scetticismo ad esempio è combattuto dal naturalismo con l'"affidabilismo".Significa che è possible costruire teorie  e quindi conoscenza dove il riscontro oggettivo della realtà risulti relato alla teoria stessa: in fondo è il metodo sperimentale scientifico.
E' vero che la forma in sè ,quella che chiami verità1, non ci direbbe significazione del mondo se non fosse relato a sotanze, fenomeni, cose.
Infatti mi accorgo che la grande problematica è l'incontro/scontro fra gnoseologia(o epistemologia come la si definisce modernamnete) e ontologia.
Ma soprattutto mi pare che manchi proprio quello che inizialmente Davintro avesse posto, quali sono i presupposti umani della conoscenza, che cosa abbiamo "in testa" che ci permette di costruire concetti?
Quando possiamo dire di avere effettivamente costruito, dedotto, una conoscenza?

Phil

Citazione di: paul11 il 18 Settembre 2016, 00:23:41 AMPrendiamo allora atto che nulla è esatto tranne la metafisica di un sistema matematico, e perchè mai è più veritiero l'empirico del metafisico? 
Credo che qui tu abbia sottolineato il nodo centrale: la matematica è esatta (formalmente corretta), l'empirico, nella migliore delle ipotesi, è veritiero ("portatore" di una verità). Istintivamente e storicamente l'uomo è forse più affamato di verità che di esattezza...

Citazione di: paul11 il 18 Settembre 2016, 00:23:41 AMperchè si continua invece credere più nella percezione dei sensi che schiavizza la ragione alla cosa invece che al concetto che crea la ragione che permette di conoscere anche, ma non solo quella cosa empirica nel mondo fattuale?
Secondo me, ci si fida più dell'esperienza perché tutto inizia inevitabilmente dalla percezione; senza di essa non verrebbero innescati i meccanismi (innati o acquisiti che siano) della ragione astratta concettuale. La ragione concettuale è linguistica ed il linguaggio notoriamente ha i suoi "punti morti", le sue ambiguità e può essere usato male (ad esempio assegnando valori di verità errati in un calcolo proposizionale).  L'esperienza invece è meno ingannevole (anche se non certo impeccabile!) perché non è fatta di parole ma di percezioni, meno ambigue e sofistiche di molti discorsi razionali. Forse, suppongo, c'è una diffidenza verso i labirinti del logos che è giustificata dalla semplicità immediata (non-mediata) e meno problematizzata con cui si percepiscono i vissuti e gli oggetti. E il riconoscimento di alcuni falsi problemi concettuali spinge ulteriormente a rivolgersi alla necessità di fare i conti (non matematici!) con il reale, senza sovrastrutturarlo di impalcature concettuali; per questo i filosofi hanno la cattiva fama stereotipata di essere pensatori astratti, poco pratici, che "si sollazzano" con la ragione anziché usarla pragmaticamente (stereotipo che personalmente non condivido affatto, ma qui si parla in generale...).

Citazione di: sgiombo il 18 Settembre 2016, 10:13:59 AMSecondo me le "verità1" logiche e matematiche (qui Phil, che mi pare tenda ad enfatizzare la differenza fra matematica e logica in un modo che non mi é facile seguire, potrebbe opporre qualche interessante obiezione)
Non obiezione, ma chiarimento su quella differenza: le verità della matematica (che, come accennavo, si limita ad usare numeri, quindi non "ragiona" ma "conta") credo possano essere intese solo come verità formali, come correttezza nell'uso delle operazioni. 2+2=4 è "corretto", più che "vero". In quella somma non c'è "verità" ma esattezza di calcolo, correttezza, validità, anche se nel linguaggio comune la maestra ci chiedeva "è vero?". Quel 2+2=4 diventa vero o falso se viene applicato ad un caso concreto (dando una "sostanza" a quei numeri): se Pierino ha due mele e ne compra altre due (senza mangiarle!) è vero che ne ha quattro. Per me, la verità matematica è fuori dal "foglio di calcolo", nel foglio ci può essere l'esattezza, la correttezza, la validità.

Le verità formali della logica invece si basano non solo sulla "correttezza" o "validità" (anche se alcuni le differenziano) del ragionamento, ma anche sull'immissione in circolo di una verità che ammicca alla realtà. Essendo rivolta al mondo e agli uomini più della matematica, la logica dovrebbe guidare ragionamenti non fatti di numeri, ma di enti, concetti, proprietà, etc. e quindi si pone il problema di attribuire i giusti valori di verità alla preposizioni. 
Un ragionamento può essere "corretto/valido" ma non "vero". Se affermo che: se "x implica y" e "y implica z" allora "x implica z", si tratta di un ragionamento valido, ma non necessariamente veritiero: "se piove, prendo l'ombrello" e "se prendo l'ombrello, ho l'ombrello" allora "se piove, ho l'ombrello"... ragionamento formalmente valido (vedi sopra) ma che non costituisce un ragionamento "vero" (e, inversamente, il fatto che da premesse false possa derivare correttamente una conclusione vera, non può che far riflettere...). 
Questo per dire che la verità delle proposizioni logiche è ben più problematica di quella matematica (o meglio, della semplice esattezza formale della matematica), perché comporta, per essere applicata, l'attribuzione di valori di verità da parte di un soggetto giudicante (una verità "di ragione" non è una verità "di fatto", per dirla con Leibniz, e sono quelle "di fatto" che ci servono per ragionare di problemi concreti...).


Citazione di: paul11 il 18 Settembre 2016, 11:32:07 AMè possible costruire teorie e quindi conoscenza dove il riscontro oggettivo della realtà risulti relato alla teoria stessa: in fondo è il metodo sperimentale scientifico. 
Infatti se depuriamo l'approccio scientifico dalla pretesa di assolutezza dei risultati (residuo concettuale della nostra storia culturale incentrata sulla metafisica), l'epistemologia può funzionare serenamente avvicendando paradigmi sempre più funzionali e contingenti ai problemi che si pone (e in fondo, mi sembra che sia questa la sua attitudine più recente...).


Citazione di: paul11 il 18 Settembre 2016, 11:32:07 AMsoprattutto mi pare che manchi proprio quello che inizialmente Davintro avesse posto, quali sono i presupposti umani della conoscenza, che cosa abbiamo "in testa" che ci permette di costruire concetti? Quando possiamo dire di avere effettivamente costruito, dedotto, una conoscenza?
Rispondendo sinteticamente (e personalmente), alla prima domanda: la ragione (meccanismo mentale), intesa come capacità di astrarre e di ricombinare le esperienze sensoriali; alla seconda: quando una teoria "funziona" e possiamo usarla praticamente... lo so, sono risposte che creano molte più domande delle due dalle quali sono partite  ;D

P.s. Grazie per la segnalazione sull'"affidabilismo", è uno dei tanti approcci che non conosco, cercherò di documentarmi, partendo dalla lettura di questo articolo (che spero non mi deluda!): http://www.scuolafilosofica.com/1608/affidabilismo-e-il-valore-della-conoscenza

maral

Citazione di: paul11 il 17 Settembre 2016, 03:09:21 AM
Nella riposta a Phil, sollevo una riflessione. Perchè la matematica che è pura ragione non viene riconosciuta come concetto metafisico.Viene invece interpretato come strumento.Ma dove salta fuori?
Davintro a sua volta ritiene che i principi di universale e tempo siano metafisici, e capisco quello che vorrebe dire ,perchè è simile alla mia posizione sulla matematica, anzi forse il suo è più essenziale, presupposto a sua volta per arrivare a formulare un sistema matematico.
Per quanto riguarda la questione sulla matematica mi sembra riguardi lo stabilire se è il numero a rendere le cose di cui si ha esperienza numerabile, o se è l'esperienza della numerazione delle cose a determinare per astrazione il numero. Per me è chiaro che non si può avere alcuna numerazione di cose senza il numero, né alcun numero senza una numerabilità esperita. Sembra un modo per trarsi di impaccio, ma non è semplicemente così. significa che tra il mondo degli universali e quello delle cose esperite c'è sempre una stretta corrispondenza biunivoca, pur essendo tra loro diversi e indipendenti, una sincronia che risulta più o meno evidente a seconda dei campi di osservazione (e lo stesso penso valga anche per "la rossità" e questa mela che è rossa).
Mi è venuto in mente poi che il numero (almeno in certi casi) può anche essere esperito direttamente come tale in tutti quei soggetti che possono esprimere immediatamente quante sono gli oggetti che hanno davanti senza mettersi a contarli (possono anche essere soggetti che non sanno nemmeno contare, come le gazze o le cornacchie se ben ricordo) e questo sembrerebbe indicare che effettivamente il numero ha una consistenza non solo logico concettuale, ma pure ontologica ed esperibile proprio come tale.

paul11

#112
Phi,
sono d'accordo con te, ma sono tutte categorie della conoscenza convenzionale quello di dire è esatto in matematica, plausibile come verità o falsità nel dominio del linguaggio della parola e se andiamo in fisica è abolito il termine certezza poichè è entrato il concetto di probabilità.Questo è il mondo attuale dopo le analisi  sui domini logici della matematica, della parola rivisitati e assiomatizzati, non sono veri se non autoreferenti.. Ma dobbiamo allora essere relativisti, perchè questa sarebbe la conclusione?
Il problema è a monte.

Maral,
quindi riconosci che c'è qualcosa di ontologico nella matematica?

A phil, maral e tutto il forum.....

Siamo sicuri che la conoscenza signifca dividere ,costruire la conoscenza dividendo nettamente il soggetto dall'oggetto? La premessa scientifica del metodo, la premessa di Frege come antesignano della filosofia analitica, la premessa di Carnap come positivista, la premessa del primo Wittgenstein del Tractatus è togliere la psicologia.
Ma quella psicologia va estesa alla mente umana non solo alla disciplina propriamente psicologica o psicanalitica
dei Freud e Jung che nei primi decenni del Novecento esistevano. Secondo il mio parere è a cavallo del Novecento e nei primi decenni successivi che si è determinato il percorso storico fino alla nostra contemporaneità.Ovviamente i concetti culturali vengono da molto più lontano, ma in quel periodo c'è stata una contrapposizione e infine una scelta se non teorica, pratica, di fatto insomma.
Il conoscere è "fare mio"(com-prendere) un qualcosa che può essere fuori di me oppure se sono concetti riflessivi ,dentro di me stesso. Non so come la pensate voi, ma è risultata vincente la linea dello scetticismo sposato all'empirismo, una sorta di equilibrio pratico.
Ma Popper se la prende con Carnap, quando dice che la metafisica del concetto, ha portato ad esempio Democrito a teorizzare l'atomos che non esisteva empircamente al suo tempo se non come puro concetto astratto deduttivo. Popper che non è certo un metafisico riconosce che senza quella "intuizione" Maxwell e le sue teorie non sarebbero nemmeno potute esistere.
Husserl è uno scienziato di formazione  La sua fenomenologia ha due anime, quella di Brentano è sull'intenzionalità degli atti mentali, l'altra è sull'oggettivismo rappresentazionale di Bolzano.
Ecco il soggettivo, e l'oggettivo, l'intenzionale, l'intuitivo.

A mio modesto parere il processo della conoscenza   non è ancora stata per nulla definita.
Quello che emerge è che noi filosoficamente, scientificamente comunichiamo convenzionalmente, ovvero cerchiamo di comunicare  solo la parte della conoscenza che "emerge" come oggettività, o che pensiamo sia solo oggettiva. Poi prendiamo un libro d'arte o di poesia, ed entriamo in un linguaggio che non è per niente convenzionale, perchè  il rapporto è fra soggetti non gli importa dell'oggetto, lo strumento linguistico ,il colore, la parola, il disegno diventano "evocativi".Adatto che anche questa è una forma, che cosa significa quell'evocare se non andare oltre quella pretesa di dividere il soggetto e l'oggetto nella conoscenza? 
Sò già la risposta: ma quella non è la stessa conoscenza scientifica, ma daccapo se è la stessa mente che linguisticamente pensa di oggettivare la conoscenza e dall'altra invece conosce l'arte  o c'è un cortocircuito logico e siamo schizofrenici oppure c'è un unica forma di conoscenza 
Andare oltre la convenzione ,perchè nella convenzione è vincente lo scettico o l'empirista affidabilista .
Cosa ne pensate?

sgiombo

Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2016, 00:13:39 AM

Quello che emerge è che noi filosoficamente, scientificamente comunichiamo convenzionalmente, ovvero cerchiamo di comunicare  solo la parte della conoscenza che "emerge" come oggettività, o che pensiamo sia solo oggettiva. Poi prendiamo un libro d'arte o di poesia, ed entriamo in un linguaggio che non è per niente convenzionale, perchè  il rapporto è fra soggetti non gli importa dell'oggetto, lo strumento linguistico ,il colore, la parola, il disegno diventano "evocativi".Adatto che anche questa è una forma, che cosa significa quell'evocare se non andare oltre quella pretesa di dividere il soggetto e l'oggetto nella conoscenza?
Sò già la risposta: ma quella non è la stessa conoscenza scientifica, ma daccapo se è la stessa mente che linguisticamente pensa di oggettivare la conoscenza e dall'altra invece conosce l'arte  o c'è un cortocircuito logico e siamo schizofrenici oppure c'è un unica forma di conoscenza
Andare oltre la convenzione ,perchè nella convenzione è vincente lo scettico o l'empirista affidabilista .
Cosa ne pensate?
CitazioneMa perché mai?
Conoscenza razionale (che cerca di essere quanto più oggettiva e realistica possibile) e fruizione artistica sono due diverse attitudini umane che si pongono per così dire su piani diversi: non sono né integrabili in un unico atteggiamento (se non compiendo un' astrazione alquanto "spericolata"), né reciprocamente escludentisi o contraddittori bensì complementari.
Non trovo acuna problematticità nel loro coesistere come distinte e reciprocamente non contrarie.

paul11

Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2016, 08:19:09 AM
Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2016, 00:13:39 AMQuello che emerge è che noi filosoficamente, scientificamente comunichiamo convenzionalmente, ovvero cerchiamo di comunicare solo la parte della conoscenza che "emerge" come oggettività, o che pensiamo sia solo oggettiva. Poi prendiamo un libro d'arte o di poesia, ed entriamo in un linguaggio che non è per niente convenzionale, perchè il rapporto è fra soggetti non gli importa dell'oggetto, lo strumento linguistico ,il colore, la parola, il disegno diventano "evocativi".Adatto che anche questa è una forma, che cosa significa quell'evocare se non andare oltre quella pretesa di dividere il soggetto e l'oggetto nella conoscenza? Sò già la risposta: ma quella non è la stessa conoscenza scientifica, ma daccapo se è la stessa mente che linguisticamente pensa di oggettivare la conoscenza e dall'altra invece conosce l'arte o c'è un cortocircuito logico e siamo schizofrenici oppure c'è un unica forma di conoscenza Andare oltre la convenzione ,perchè nella convenzione è vincente lo scettico o l'empirista affidabilista . Cosa ne pensate?
CitazioneMa perché mai? Conoscenza razionale (che cerca di essere quanto più oggettiva e realistica possibile) e fruizione artistica sono due diverse attitudini umane che si pongono per così dire su piani diversi: non sono né integrabili in un unico atteggiamento (se non compiendo un' astrazione alquanto "spericolata"), né reciprocamente escludentisi o contraddittori bensì complementari. Non trovo acuna problematticità nel loro coesistere come distinte e reciprocamente non contrarie.

Sgiombo,
... e come no?
Prima di tutto è un'unica mente che fa scienza e arte   e non lavora per compartimenti stagni.
Chi ti dice che ad esempio ad Einstein l'intuizione non gli sia scaturita mentre suonava il violino di alcuni passi della teoria della relatività. Siamo sicuri che l'intuizione sia a sè, che induzione e deduzione ognuna sia a sè,  che fare scienza escluda l'arte e fare arte escluda scienza? E'vero che noi utilizziamo forme diverse, nella scienza utilizziamo  di più la logica ma non esclude l'intuizione ad esempio. la nostra  mente a mio modesto parere è più euristica che algoritmica. Se così non fosse l'umanità non avrebbe mai potuto acquisire scoperte e invenzioni, andare oltre l'osservato ritenuto oggettivo, è quell'atomos di Democrito, l'intuizione metafisica  descritto da Popper. ma è propria questa la differenza fra un calcolatore elettronico e la mente umana.
La conoscenza non è semplice acquisizione di dati, ma quei dati mi cambiano   in qualche modo ,diversamente cosa sarebbe l'esperienza, di nuovo un altro vuoto contenitore da riempire? Ecco perchè i significati e i sensi sono essenze, che per la logica e matematica sono formule, equazioni rappresentative di un fenomeno, son la legge di gravità, la rappresentazione attuale standard dell'atomo, ma vuoi che anche culturalmente noi come mente come coscienza non compiamo la stessa funzione nella filosofia, nelle arti ,nelle scienze umane?

sgiombo

Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2016, 10:34:23 AM
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2016, 08:19:09 AM
Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2016, 00:13:39 AMQuello che emerge è che noi filosoficamente, scientificamente comunichiamo convenzionalmente, ovvero cerchiamo di comunicare solo la parte della conoscenza che "emerge" come oggettività, o che pensiamo sia solo oggettiva. Poi prendiamo un libro d'arte o di poesia, ed entriamo in un linguaggio che non è per niente convenzionale, perchè il rapporto è fra soggetti non gli importa dell'oggetto, lo strumento linguistico ,il colore, la parola, il disegno diventano "evocativi".Adatto che anche questa è una forma, che cosa significa quell'evocare se non andare oltre quella pretesa di dividere il soggetto e l'oggetto nella conoscenza? Sò già la risposta: ma quella non è la stessa conoscenza scientifica, ma daccapo se è la stessa mente che linguisticamente pensa di oggettivare la conoscenza e dall'altra invece conosce l'arte o c'è un cortocircuito logico e siamo schizofrenici oppure c'è un unica forma di conoscenza Andare oltre la convenzione ,perchè nella convenzione è vincente lo scettico o l'empirista affidabilista . Cosa ne pensate?
CitazioneMa perché mai? Conoscenza razionale (che cerca di essere quanto più oggettiva e realistica possibile) e fruizione artistica sono due diverse attitudini umane che si pongono per così dire su piani diversi: non sono né integrabili in un unico atteggiamento (se non compiendo un' astrazione alquanto "spericolata"), né reciprocamente escludentisi o contraddittori bensì complementari. Non trovo acuna problematticità nel loro coesistere come distinte e reciprocamente non contrarie.

Sgiombo,
... e come no?
Prima di tutto è un'unica mente che fa scienza e arte   e non lavora per compartimenti stagni.
Chi ti dice che ad esempio ad Einstein l'intuizione non gli sia scaturita mentre suonava il violino di alcuni passi della teoria della relatività. Siamo sicuri che l'intuizione sia a sè, che induzione e deduzione ognuna sia a sè,  che fare scienza escluda l'arte e fare arte escluda scienza? E'vero che noi utilizziamo forme diverse, nella scienza utilizziamo  di più la logica ma non esclude l'intuizione

CitazioneNon capisco in che senso queste affermazioni obietterebbero a quanto da me affermato.

 Ecco perchè i significati e i sensi sono essenze, che per la logica e matematica sono formule, equazioni rappresentative di un fenomeno, son la legge di gravità, la rappresentazione attuale standard dell'atomo, ma vuoi che anche culturalmente noi come mente come coscienza non compiamo la stessa funzione nella filosofia, nelle arti ,nelle scienze umane?

CitazioneLe leggi fisiche e le formule matematiche mi é chiaro che cosa siano.
Le "essenza" no.

Pensare é sempre pensare.
Pensare di filosofia é pensare diverso da pensare di scienza e ancor più di arte.

maral

#116
Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2016, 00:13:39 AM
Maral,
quindi riconosci che c'è qualcosa di ontologico nella matematica?
Mi stupisce questa domanda, dato che fin dai miei primi interventi in questa discussione ho riconosciuto il carattere ontologico degli universali, insieme al carattere fondante dell'esperienza sulla loro ontologia. Quello che nego è che vi sia una primarietà di uno di questi aspetti sull'altro, vengono sempre insieme rendendosi reciprocamente possibili. E' curioso anche che questa mia lettura che riconosce un valore equivalente a entrambe le posizioni (e che quindi potrebbe mettere tutti d'accordo) venga intesa da ciascuno in contrapposizione alla propria concezione, collocandomi come Abelardo quando entrò nella diatriba scolastica sugli universali. Lo trovo molto significativo in termini di fenomenologia della percezione.  
Per quanto riguarda la questione sulla soggettività e relativismo della conoscenza, riporto il mio riassunto di un passo di H. Maturana («Biologia della cognizione», 1970, in «Autopoiesi e cognizione», Marsilio Editori, Venezia, 2012) che ritengo molto chiaro e significativo nel merito:

"Dato che la logica della descrizione è la stessa logica del sistema descrivente, possiamo asserire il bisogno epistemologico di un substrato perché avvengano le interazioni, ma non possiamo caratterizzare questo substrato in termini di proprietà indipendenti dall'osservatore. Ne segue che la realtà come un universo di entità indipendenti delle quali possiamo parlare è necessariamente una finzione del dominio puramente descrittivo, e che noi dovremmo infatti applicare la nozione di realtà proprio a questo dominio di descrizioni col quale noi, il sistema descrivente, interagiamo con le nostre descrizioni come se fossero entità indipendenti, dunque la domanda su cosa sia l'oggetto della conoscenza" perde di ogni significato: non vi è alcun oggetto di conoscenza, fondamentalmente conoscere è essere capace di operare adeguatamente in una situazione individuale o cooperativa (p.104).
Il riconoscere che noi, come sistemi pensanti, viviamo in un dominio di descrizioni  che ci consentono di aumentare indefinitamente la complessità del nostro dominio cognitivo tuttavia  non contraddice determinismo e predicibilità dei diversi domini di interazioni, al contrario, dà loro fondamento mostrando che sono una conseguenza necessaria dell'isomorfismo tra la logica della descrizione e la logica del sistema descrivente. Determinismo e predicibilità sono validi solo entro il campo di questo isomorfismo; cioè sono validi solo per le interazioni che definiscono un dominio (p.105)."

Infine mi pare evidente che la conoscenza scientifica risente comunque di una valenza estetica, l'essere umano (l'osservatore) non è suddivisibile in compartimenti stagni a sé stanti e tali da non influenzarsi reciprocamente, pur facendo riferimento a contesti operativi diversi. La bellezza di una teoria scientifica (la bellezza ad esempio che fu riconosciuta alla teoria della relatività di Einstein), non credo sia un termine secondario rispetto alla sua funzionalità e la ricerca va comunque in entrambe le direzioni. E' solo la schizofrenia di un modo di pensare attuale che vorrebbe creare divisioni insormontabili tra i vari modi di considerare le cose, in nome dell'assurda pretesa di dettare le regole per una totale oggettività funzionale da cui ogni elemento estetico è tratto fuori e rigettato nel mondo della pura arbitrarietà soggettiva.

paul11

Sgiiombo,
a mio modesto parere il come la scienza determina l'affidabilità della realtà  giustificandola come vera  ,riflette di conseguenza quel metodo il metodo stesso di come mentalmente siamo: un insieme di scatole mentali .
Per me la conoscenza è unica, mentalmente c'è solo un sistema, mutano solo i linguaggi 

Maral,
scusa.... sò come la pensi, ma il tuo post era inserito in successione  con Phil e Sgiombo che sono sono posizioni diverse.

Perfetto, direi che la pensi come il sottoscritto 
..................
Ne segue che la realtà come un universo di entità indipendenti delle quali possiamo parlare è necessariamente una finzione del dominio puramente descrittivo, e che noi dovremmo infatti applicare la nozione di realtà proprio a questo dominio di descrizioni col quale noi, il sistema descrivente, interagiamo con le nostre descrizioni come se fossero entità indipendenti, dunque la domanda su cosa sia l'oggetto della conoscenza" perde di ogni significato: non vi è alcun oggetto di conoscenza, fondamentalmente conoscere è essere capace di operare adeguatamente in una situazione individuale o cooperativa (p.104). ......................

E' esattamente quello che stò tentando di definire negli ultimi post.
Grazie

Phil

Citazione di: maral il 18 Settembre 2016, 23:06:38 PMstabilire se è il numero a rendere le cose di cui si ha esperienza numerabile, o se è l'esperienza della numerazione delle cose a determinare per astrazione il numero  [...] non si può avere alcuna numerazione di cose senza il numero, né alcun numero senza una numerabilità esperita [...] significa che tra il mondo degli universali e quello delle cose esperite c'è sempre una stretta corrispondenza biunivoca
Nel caso specifico dei numeri (e quindi della matematica), il circolo vizioso fra "l'esperienza produce numeri per astrazione" e "i numeri consentono di contare nell'esperienza", circolo dal quale ci sembra non poter uscire, può dissolversi chiedendoci come ci siamo entrati... i numeri non sono innati, sono un'invenzione (non una scoperta), per cui mi pare legittimo che qualcuno, o alcuni, in un epoca pre-matematica, abbiano un giorno convenzionalmente definito i numeri, rendendo possibile il contare. Basandosi su un'esperienza non-numerica, codesti "fondatori della matematica" hanno stabilito la definizione dei numeri, che quindi sono nati da un'astrazione convenzionalizzata di esperienze vaghe (del tipo "tanto"/"poco").
La genealogia del numero dimostra che il rapporto tra calcolo astratto e calcolo empirico non è paradossale: è l'empirico (quantità vaga) che ha fondato l'astratto (numero esatto). Non a caso, talvolta l'astrazione ha dato origine a molteplici sistemi di misurazione (basti pensare alle diverse unità di misurazione per la lunghezza: centimetri vs pollici, entrambe basate sui numeri ma applicati con quantità differenti).

P.s. La considerazione di un atto fondativo, dell'irruzione del nuovo, è ciò che spesso risolve molti circoli viziosi...

Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2016, 00:13:39 AMMa dobbiamo allora essere relativisti, perchè questa sarebbe la conclusione?
Direi che il relativismo va inteso proprio come la constatazione che "la logica di ogni descrizione opera adeguatamente solo relativamente al proprio sistema descrivente" (parafrasando quanto citato da Maral)

Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2016, 00:13:39 AMSiamo sicuri che la conoscenza signifca dividere ,costruire la conoscenza dividendo nettamente il soggetto dall'oggetto?
La divisione non è mai netta, perché lo sguardo che indaga non è mai neutro (filo rosso da Protagora a Gadamer), ma d'altro canto, se non ci fosse un'altro-da-me, un conoscibile, un interpretabile, un descrivibile, un "tema", non si porrebbe nemmeno il problema del cosa conoscere (o tutto sarebbe auto-conoscenza...). Concordo sulla necessità di non assolutizzare l'oggetto, che non è "alterità", ma secondo me sempre "ulteriorità" (è sempre ulteriore al soggetto che lo indaga, non è mai totalmente altro; mistica a parte, ovviamente...).

Sul rapporto arte e scienza:
Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2016, 10:34:23 AMPrima di tutto è un'unica mente che fa scienza e arte e non lavora per compartimenti stagni. Chi ti dice che ad esempio ad Einstein l'intuizione non gli sia scaturita mentre suonava il violino di alcuni passi della teoria della relatività.
Se l'idea gli fosse venuta mentre cucinava parleremmo forse di rapporto fra relatività e arte culinaria? O, se stava giocando a calcio, fra relatività e sport? 
Indubbiamente, un'unica mente gestisce gran parte della vita umana, ma l'apporto e la funzionalità della specializzazione e della settorializzazione dei processi mentali, credo siano in generale più rilevanti della "contaminazione" e della interdisciplinarietà (che pure possono innescare intuizioni molto proficue...).

Citazione di: maral il 19 Settembre 2016, 12:03:19 PMmi pare evidente che la conoscenza scientifica risente comunque di una valenza estetica, l'essere umano (l'osservatore) non è suddivisibile in compartimenti stagni a sé stanti e tali da non influenzarsi reciprocamente, pur facendo riferimento a contesti operativi diversi. La bellezza di una teoria scientifica (la bellezza ad esempio che fu riconosciuta alla teoria della relatività di Einstein), non credo sia un termine secondario rispetto alla sua funzionalità e la ricerca va comunque in entrambe le direzioni
Direi che la "bellezza" della relatività non è affatto estetica, nel vero senso serio del termine... la filosofia di Nietzsche, ad esempio, non è "bella", ma può esser bello lo stile figurato e ardente con cui è stata scritta; così una teoria scientifica può avere "belle" conseguenze o "belle" formule, ma non si parla del "bello" estetico (un po' come quando, nel linguaggio parlato, si dice una "bella sorpresa", non si allude all'estetica...).

paul11

Phil,
Einstein avrebbe anche potuto avere un intuizione in bagno o in sogno, spesso non è l'attenzione o la concetrazione che danno soluzioni logiche, chissà perchè ci sono pensieri laterali, "meditare gente meditare".

Non è così banale il passaggio dallì'empirico alla 'astratto metafisico, nelle categorie che purtroppo si sono contrapposte.
nel momento in cui hai in tasca un pezzo di carta che ha valore convenzionale che sia chiama carta moneta ,hai assegnato un'astrazione, quel pezzo di carta ora ha un'altro significato.
Probabilmente le misure lineari, di capacità erano rapporti.
Se prendo un pezzo di legno e con questo mi metto a misurare un tavolo, quel pezzo di legno non è più solo empirco è diventato unità di misura ,come un righello
Ma fu soprattutto la geometria a spiccare il salto, tanto oda diventare sacra ed ermetica.
Se mi accorgo che indipendentemente dalla grandezza di una figura geometrica regolare, questa ha sempre dei rapporti costanti fra i lati, le diagonali ,gli angoli e l'area, e quella figura la utilizzo per misurare un tavolo, un appezzamento di terreno fino addirittura i corpi celesti , ho stabilito dei principi universali che valgono in cielo e in terra.
La geometria euclidea è una prima forma universale costruita su dei postulati che permette di costruire, disegnare con compasso e squadre (proprio come ci hanno insegnato a scuola) le prime figure geometriche regolari.

La nostra cultura ha nettamente separato quell'empirico e metafisico, ma furono proprio quelle possibilità di dare continuità biunivoca alle geometrie e matematiche che"rompevano" il muro fra dei e umani, fra cielo e terra quegli universali che in quanto tali attraversavano trasversalmente i saperi

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