conoscenza e critica della conoscenza

Aperto da davintro, 15 Agosto 2016, 18:26:43 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Sariputra

#90
Citazione di: maral il 13 Settembre 2016, 22:48:17 PMSe "l'Essere tace nel suo semplice è" come si può dire che è lo spirito? Dicendo che è lo spirito, anche se poi si afferma che dello spirito nulla di può dire, si è già reso l'essere un ente, se ne è presentato un predicato a cui si contrappone la sua negazione, il non spirito, forse quella materia che però ugualmente è e dunque rientra nell'Essere. E perché mai, dato che qualcosa si è detto dell'Essere non si potrebbe predicare ancora dello spirito come di un qualsiasi ente, e predicare all'infinito, come di un qualsiasi ente. Dicendo che l'Essere è lo spirito si è già posta una dualità e ogni dualità continua all'infinito a scindersi negli enti, possiamo cominciare a contare! L'Essere non è né spirito né materia, poiché è entrambe le cose, esso non ha nome perché ha ogni nome e quando diciamo Essere, diciamo qualcosa che non ha significato perché ha ogni significato, è l'uno e il molteplice, è tutto e niente, è contraddizione che non presenta alcuna contraddizione. E' e quindi appare, ma è e pertanto non appare: appare nel continuo infinito sorgere e tramontare degli enti e si nasconde nel medesimo sorgere e tramontare. E anche questo continuo apparire e scomparire deve apparire e scomparire nell'Essere, perché anch'esso come ogni cosa è. Ogni dire appropriato dell'essere è inappropriato, ogni senso è insensato, proprio come queste parole. Avvicinarsi all'Essere è entrare nella follia più profonda e originaria degli enti ove tutto e nulla accade.

Un simile "Essere" non è concepibile né dalla ragione, né dal sentimento, né dall'intuizione. La domanda allora diventa: Cosa ce ne facciamo?
Leviamo il calice e godiamo di quella poca gioia che la vita ci riserva?...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

@Maral
Secondo me, l'Essere non necessita di maiuscola, ma è semplicemente la forma sostantivata del verbo "essere", ovvero è come "l'amare" o "l'udire" o "l'imparare"... l'essere è principalmente la predicazione dell'esistenza, sia essa empirica, concettuale o soltanto (inevitabilmente) linguistica; lo dimostra il fatto che ogni "essere" deve essere logicamente riferito a un soggetto: "x è", per dire che "x" esiste; oppure "x è y" per dire qualcosa ("y") riguardo "x".
Affermare "l'Essere è" suona logico, ma, in fondo, è un aforisma "incompleto": l'Essere non esiste empiricamente; gli enti sono, esistono... "l'Essere è x" è invece una frase di senso compiuto (dove "x" può essere sostituito da differenti parole...). Sintomatico il fatto che il suo consueto contrario, il non-essere, sovente inteso come "nulla", sia inteso solitamente come non-essere-empirico... altrimenti, è innegabile che il "non-essere è un concetto, è una definizione, è un tema, è un'espressione, etc." e questo "essere del non-essere" non è affatto paradossale, se restiamo lontani dalla possibile ambiguità linguistica (che non distingue i differenti livelli dell'essere-come-esistere...). 
Se poi con "l'Essere è" intendiamo che l'Essere esiste come concetto/proprietà/condizione, allora non ha laicamente senso la maiuscola, perché anche "l'amare è", "l'udire è", "l'imparare è"...

Lo so, starete già pensando alla differenza ontologica... ma non è forse possibile, oggi, riconoscere anche che le "maiuscole" di derivazione platonico-cristiana sono mitologemi di una metafisica che è stata utile al suo stesso superamento? 
Non mi è impossibile pensare all'essere-degli-enti solo come loro proprietà esistenziale, come loro condizione di esistenza (così come penso all'appassire-dei-fiori come fase del loro ciclo vitale, senza che ci sia un'Appassire trascendentale, ma soltanto il semplice concetto di appassire), senza postulare necessariamente un Essere-apeiron a cui tali enti debbano far ritorno "pagando il fio della loro esistenza" (con buona pace del caro vecchio Anassimandro...).

@Sariputra
Prosit:)

@paul11
Resto desideroso di poter meglio comprendere la tua prospettiva, magari grazie alle domande del mio precedente post...

paul11

#92
Citazione di: Phil il 13 Settembre 2016, 22:00:41 PM
Questa teoria metafisica (una rivisitazione di Hegel?) mi pone alcuni interrogativi:
Citazione di: paul11 il 13 Settembre 2016, 19:08:49 PMPenso che l'Essere semplicemente è e corrisponde allo spirito. ma di questo spirito nulla si può dir altro perchè non esiste non ha predicazioni
Probabilmente c'è un refuso che è sfuggito alla rilettura: se "l'Essere semplicemente è e corrisponde allo spirito", com'è possibile che "di questo spirito nulla si può dir altro perchè non esiste"?
L'Essere corrispondente allo spirito (sinonimi?!) dovrebbe essere postulato come esistente, altrimenti ne conseguirebbe che l'Essere non è (che è una prospettiva impraticabile nel tuo orizzonte, da quel che ho capito...).

Se poi l'Essere-spirito non ha predicazioni e nulla se ne può dire, come possiamo sostenere che tale Essere emani un'anima? Allora, c'è qualcosa di predicabile riguardo l'Essere-spirito... e com'è possibile ascrivergli tale compito? L'autocoscienza ce lo rivela?


Citazione di: paul11 il 13 Settembre 2016, 19:08:49 PMAvviene allora che dall'eterno lo spirito emana un'anima che si incarna nel divenire
Questa emanazione è come l'ipostasi plotiniana o è di altro tipo?

Citazione di: paul11 il 13 Settembre 2016, 19:08:49 PMl'autocoscienza che a sua volta ha coscienza di un'anima
L'autocoscienza dunque porge l'idea di anima alla coscienza/ragione tramite... non può essere conoscenza razionale-empirica, quindi suppongo sia tramite intuito, giusto?

Citazione di: paul11 il 13 Settembre 2016, 19:08:49 PMQuell'autocoscienza può benissimo sbarrare la porta, in quanto incapace di risolvere il momento del contraddittorio e quindi si risolve e si dissolve SOLO nel divenire e lo accetta come proprio destino. [...] L'angoscia potrei definirlo come il momento in cui l'anima non può più suggerire all'autocoscienza la presenza ontologica dell'Essere da cui viene, per cui ora l'autocoscienza chiude lo sguardo all'anima e rivolge l'attenzione ,la propria volontà,  alla ragione chiedendo continua conoscenza, illudendosi che il momento contraddittorio possa svanire con la sola ragione applicata al sensibile del mondo
Quindi l'anima, emanata dall'Essere, può essere così "difettosa" da non poter indirizzare l'autocoscienza, oppure così "soggetta al caso" al punto da poter anche produrre un'autocoscienza che si lascia intrappolare dalle contraddizioni della ragione anziché guidarla?
La fallibilità al livello dell'autocoscienza, forse non adeguatamente "sollecitata" dalla ragione, come può (se può) essere ri-orientata verso l'anima?

P.s. I miei riferimenti allo "spirito" e alla "cultura" erano un commento alla citazione da Davintro che avevo riportato...
Hegel metafisico? Dipende cosa intendi per metafisico. Non è spirituale, il suo concetto di spirito e trascendenza si ferma all'autocoscienza e lo spirito come idea. Non ho di fatto un ascendete filosofico in assoluto, ma ritengo geniale come Hegel unisce la pluralità del contraddittorio nel mondo empirico riportandolo al concetto universale in modo razionale, utilizzando la dialettica, in questo sì mi ha influito.

Rispondo a te e Maral,
Maral il tuo errore è l'oggettivazione ontologica dell'Essere che viene confuso quindi con enti ed essenti tipico di molta filosofia . O noi siamo qualcosa  come Esseri o la filosofia è chiacchiera inutile che nulla dice di noi e dell'esistenza.
Heidegger intuisce che l'Essere metafisico concettualizzato fino ad allora non ha senso perchè non è legato all'esistenza. Tutte le metafisiche che pongono l'Essere e lo confondono con gli enti e quindi essenti non dicono nulla del motivo per cui siamo al mondo.Sono metafisiche noiose perchè non rispondono all'interrogativo del perchè esistiamo.L'Essere è e basta all'origine. Ma non gli basta autocontemplarsi speculativamente nel principio di identità. Deve vivere la contrraddiizione e l'esistenza nel divenire è la contraddizione rispetto all'eternità dell'Essere.Heidegger concettualizza l'Esser-ci nel momento in cui l'Essere esiste nell'orizzonte del tempo e vive per la morte.
La mia tesi è che o esiste una filosofia che comprende interamente il processo fra l'essere e le contraddizioni del conoscere nell'esistenza o la filosofia è morta,su questo sono d'accordo con Heidegger. Oppure diventa ermeneutica o linguistica e si relativizza ridimensionandosi negli interrogativi che si pone. perchè la filosfia non nacque per questi scopi  secondari .E come se la Bibbia fosse studiata da un credente  per fini linguistici e interpretativi di questi e non più di Dio.
Nel mio modo di concettualizzare l'Essere, solo l'esistenza con il ritorno dell'anima allo spirito o Essere, SOLO adesso ha le significazioni per cui la vita han avuto un senso e quindi ha le predicazioni.
Di cosa si può dire se l'Essere è ma non esiste se non predicati concettualizzati dentro l'esistenza?
Ha senso dire di Dio ad esempio secondo la lettura di un umano? Meglio tacere.E infatti agli ebrei è proibito il nome di Dio, il tetragramma.

Phil,
in un certo  senso è vero c'è un processo di ipostasi gerarchica plotiniana.

Possiamo negare che esistiamo? Mi pare evidente, tautologico.Non ritengo che l'Essere entri direttamente nell'esistenza e direttamente quindi sia predicabile, da questo mi discosto da molte teologie, perchè sarebbe già contraddittorio l'Essere nel momento in cui esiste e questi o è verità o falsità sempre.
L'essere deve rimanere pura identità nell'eterno diversamente sarebbe impossibile impraticabile la concettualizzazione di una verità dentro l'esistenza poiche quell'Essere sarebbe dentro i momento "corruttibile" non identitario dell'esistenza dove tutto vive in contraddizione dialettica. E' l'anima come soffio vitale che svolge il compito dell'essere nel contraddittorio e ritorna come  significazioni all'esser per cui dà il senso e le predicazioni..Solo così il cerchio si chiude dialetticamente..

C'è un doppio movimento della conoscenza, quella empirica e quella metafisica unita dal momento riflessivo dell'autocoscienza.E' a salire e a discendere.

L'autocoscienza è legata all'anima in quanto gli deposita il senso delle significazioni.

maral

Citazione di: SariputraUn simile "Essere" non è concepibile né dalla ragione, né dal sentimento, né dall'intuizione. La domanda allora diventa: Cosa ce ne facciamo?
Nulla, l'ente non può fare alcuna cosa dell'Essere, non può utilizzarlo in alcun modo. L'Essere in quanto tale non è qualcosa a disposizione dell'ente.
CitazioneLeviamo il calice e godiamo di quella poca gioia che la vita ci riserva?...
Non sarebbe una cattiva idea, come diceva Socrate sapere di non sapere è il massimo sapere che ci è concesso, cerchiamo solo di vivere come meglio possiamo, per quello che siamo e non possiamo non essere: l'altrettanto famoso "conosci te stesso" scritto sul tempio di Apollo (e Dioniso) a Delfi.

Citazione di: PhilSecondo me, l'Essere non necessita di maiuscola, ma è semplicemente la forma sostantivata del verbo "essere", ovvero è come "l'amare" o "l'udire" o "l'imparare"... l'essere è principalmente la predicazione dell'esistenza, sia essa empirica, concettuale o soltanto (inevitabilmente) linguistica; lo dimostra il fatto che ogni "essere" deve essere logicamente riferito a un soggetto: "x è", per dire che "x" esiste; oppure "x è y" per dire qualcosa ("y") riguardo "x".
Anche dire che l'Essere è solo la forma sostantivata del verbo essere significa ridurlo a un ente (come tanti altri enti: l'amare, l'udire, l'imparare ecc., che comunque sono aspetti dell'Essere esistenzialmente inteso). Certo, l'essere implica l'esistenza, ma implicandola ne implica anche la negazione. Dicendo che x è (l'ente è) non dico altro che x è x (che non equivale a dire che x esiste, se per esistere intendiamo si manifesta, appare a qualcuno), ossia con x è si afferma la perfetta tautologia di x che genera un non x e quindi già lo pone come ente anche se di x non sto predicando nulla. Dicendo invece che x è y affermo che c'è qualcosa di x che trovo anche in y, ma per vedere questa somiglianza devo comunque in qualche modo avere (a priori) x e y come generalità. Non posso cioè predicare che questa mela è rossa, senza già sapere cosa in generale è la mela e cosa in generale è il rosso (per quanto sia mela che rosso si possano a loro volta dire nella loro particolare universalità di significato in molti modi linguisticamente diversi, basta intendersi).
In merito alla diversità dei linguaggi che tuttavia pare far riferimento a una fonetica espressiva originaria non arbitraria mi sembra interessante il richiamo a questa ricerca: http://www.repubblica.it/scienze/2016/09/13/news/studio_con_lo_stesso_suono_gli_umani_esprimono_la_stessa_idea_anche_in_lingue_diverse-147714389/?ref=HRLV-22

@Paul, sei d'accordo che dell'Essere nulla si può dire? Se sei d'accordo come puoi dire (o come può dire Hegel) che l'Essere è lo Spirito da cui discende tutto il resto. Certo, dell'Essere si può dire anche qualsiasi cosa, si può dire che è Spirito, Materia, basta non pretendere che sia solo questo o quest'altro, perché pure quest'altro è, nel modo in cui viene a essere. Dire che l'Essere è lo Spirito è equivalente a dire che l'Essere è la Materia, dato che nell'Essere ci stanno entrambe le cose.
Mi dispiace deluderti nelle tue speranze, ma a mio avviso non può esistere una filosofia che "comprenda interamente il processo fra l'essere e le contraddizioni del conoscere nell'esistenza", giacché questo implicherebbe poter comprendere l'essere in cui invece ci troviamo sempre compresi come enti esistenti (e dunque contraddittori), ma non per questo la filosofia è morta, perché non è morta e non morirà mai la tentazione di fare di un modo di concepire e vedere il mondo un assoluto (ossia di fare di una filosofia una superstizione) e la filosofia può continuare a vivere proprio combattendo contro questa tentazione. Può quindi vivere di un compito continuamente decostruttivo per consentire una dimensione vivibile anziché assoluta e dunque invivibile come la follia. E questo, per quanto l'assoluto resti sempre sommamente desiderabile, non è a mio avviso per nulla uno scopo secondario, perché se le vecchie metafisiche sono decedute, ce ne sono sempre di nuove, ben più potenti e suggestive che vogliono prenderne il posto per costruirsi come assoluto.

paul11

Maral, 
non ho ancora capito cosa sia per te l'uomo. E'' sì o no un agente conoscitivo ( e ti contraddiresti se dicessi di no), o è un semplice ente come un filo 'erba. 
Continui a trattare l' Essere come se non ci appartenesse e quindi non potrai mai rispondere alla relazione fra Essere ed esistenza.
E' impossibile comprendere l'Essere dalla propria condizione di esistenza, semplicemente perchè farebbe a meno di esistere.

Constato che sei passato al relativismo dopo le lezioni severiniane.
La tua è una posizione ambigua intellettualmente, incoerente. O fai a meno di accettare di discutere l'Essere e accetti fino in fondo  un relativismo  culturale che non è più filosofia   è più coerente la scienza contemporanea, oppure è necessario relazionare ,come ho scritto più volte, l'Essere e l'esistenza

E di nuovo ti contraddici.Come potremmo formulare l'essere, enti, tempo, universali , empirico, metafisico, ecc. se in qualche modo noi non li comprendessimo.Chi sei tu per dire che invece è sentimento, superstizione , tentazione?
Come rispondi alla conoscenza che domanda oltre il sensibile, se esiste un significato nella vita?
C'è  chi risolve la sua coscienza e ragione  di essere come un animale che si dissolve nel nulla :amen.E incoerentemente continua a ragionare inutilmente,  perchè ciò che porta sopra il corpo non è ragione è orpello per vincere la concorrenza perchè non ha nessun senso la sua esistenza, vale come un'ameba: ma non perchè lo dico io, ma perchè lo ha deciso lui.

Non ho speranze, ho concetti e considerazioni riflessive, le superstizioni e le tentazioni saranno tue, non certamente mie

davintro

Phil scrive

"Lo spirito sarebbe dunque una ragione ordinatrice dell'esperienza, che allo stesso tempo interpreta e produce senso; ovvero la intendi più come un'attitudine culturale (ogni senso e figlio della sua cultura: "sua" perché la fonda, o "sua" perchè ne deriva, come ha già notato Sariputra) piuttosto che come un'inclinazione verso una trascendenza che prescinde dalla fattualità degli (avvenim)enti. Giusto?"

Direi che un'opzione non esclude l'altra. Essere fattore ordinativo dell'esperienza presuppone un margine di trascendenza rispetto a ciò che si ordina, perchè la logica ordinatrice sarebbe qualcosa di non necessariamente immanente al carattere di molteplicità degli oggetti dell'esperienza ma sarebbe espressione di un soggetto che ha un potere di unificare a livello concettuale tale esperienza. Il valore, il senso delle cose le cose non le hanno per sè ma lo ricevono a partire da una coscienza (che valore avrebbe la bellezza di un'opera d'arte senza uno sguardo soggettivo, esteticamente educato e formato che la contempla e ne gode?), e questo presuppone che il soggetto si rivolga in tale donazione di significati a partire da un modo d'essere distinto dagli oggetti che a partire da esso ricevono tale donazione. Non potrebbe cioè l'uomo dare alle cose alcunchè, alcun valore nulla che le cose come meri fatti oggettivi non possiderebbero già, se non fosse già ontologicamente in qualche modo distinto da distinto da esse. Lo spirito non è un' "attitudine culturale", piuttosto è ciò che rende possibile ogni forma di cultura in quanto tale, perchè ogni cultura ha come principio una soggettività cosciente che intepreta il mondo a partire da sè, in modo attivo. Perchè la cultura integri e si aggiunga alla natura materiale originaria occorre che il soggetto originante la cultura, l'uomo, non sia un ente naturale come tutti gli altri, ma un soggetto animato da esigenze, idee che lo portano ad ammettere prospettive differenti dal reale naturale di cui ha un'esperienza "hic et nunc", e sulla base di ciò poter operare una trasformazione, cioè l'introduzione di una nuova forma nella materia, cosicchè il mondo assume nuove forme attraverso la donazione di valore che riceve da un ente che di ogni valore è la portatrice, la persona. Come potrebbe Michelangelo aver progettato nuove forme rispetto ad un insensato blocco di marmo se non ci fosse alcuna discontinuità ontologica tra la sua persona e il blocco stesso? Dove avrebbe trovato l'idea di nuove forme, nonchè del valore estetico che a tali forme egli (e noi come ammiratori delle sue opere) attribuiva? Questa discontinuità ontologica, questa trascendenza, è data dallo spirito. E i limiti della presenza spirituale nell'uomo coincidono con i limiti della sua autonomia rispetto al mondo esterno, i limiti dell'autonomia dell'Io rispetto al non-Io

paul11

#96
Il problema della critica della conoscenza è come si formano i concetti e come li relazioniamo.
Si è discusso sui presussposti della conoscenza, universale, particolare, o di una ontologia preesistente come universalità, temporalità.
L'altro grosso problema che emerge dalle critiche che ho avuto è nel limite dellaconoscenza stessa nei cuoi concetti. Dove vogliamo che la ragione arrivi ? Perchè è quì che constato incoerenza.
Lo scettico, l'empirista e il metafisico applicano la propria conoscenza rispetto a dove sostenfono che vi sia la verità, oltre il limite non è possible andare.
Lo scettico è Diogene che coerentemente abita nudo in una botte e defeca sulla piazza come un cane.
Quindi limita fortmente dove la ragione possa andare, per lui la verità è ciò che abita in prima persona, in ciò che vede, sente e percepisce come un animale. Impossibile e non praticabile andare oltre.
L'empirsta è il tipico scienziato contemporaneo (lo so che non è proprio così, ma utilizzo lo stereotipo),
che si fida della realtà anche se applica le regole formali della logica/matematica ( e per me questo è già incoerenza perchè la utilizza dove gli conviene e non secondo ragione).Negli empiristi vi sono scienziati e pensatori riduttivisti che ad esempio negano la coscienza.
Ora se nego la coscienza coerentemente nego tutte le  etiche e morali che sarebbero semplice estensione percettiva psichica di un animale sociale per convenienza. Non hanno nessun fondamento logico di esistere, per cui la regola è quella naturale ,non vince la ragione vince il più forte.
L'empirista spirtuale è la tipica contraddizione in termini.
Il metafisico, anche quì esistono varie versioni, nega una realtà naturale come principio veritativo e la rivolge alla propria ragione.(anche questo è uno stereotipo, ma è par far capire succintamente)

Quindi  il finalismo fra conoscenza-ragione- posizione filosofica è dove si pensa sia la verità e il compito se si dà o meno alla ragione di limitarsi al punto in cui la verità è ancora riconoscibile, deducibile .

La filosofia che da secoli ormai ha sposato una linea scientificizzata, ha di fatto accettato che le crisi dei primitivi, dei fondamentali sui sistemi, i paradigmi stessi scientifici, sia applicabile a sè, quindi si è relativizzata confondendosi con la stessa scineza sperimentale.
Il problema oggi è talmente riduttivo che l'Essere è obnulato del tutto, il problema è addirittura se abbiamo una coscienza o se siamo solo stimoli neurofisiologici.

Phil

Citazione di: davintro il 14 Settembre 2016, 17:02:19 PMCome potrebbe Michelangelo aver progettato nuove forme rispetto ad un insensato blocco di marmo se non ci fosse alcuna discontinuità ontologica tra la sua persona e il blocco stesso? Dove avrebbe trovato l'idea di nuove forme, nonchè del valore estetico che a tali forme egli (e noi come ammiratori delle sue opere) attribuiva? Questa discontinuità ontologica, questa trascendenza, è data dallo spirito. 
Personalmente, propenderei per una semplice "astrazione concettuale" piuttosto che per una "trascendenza"... che differenza c'è? La seconda può presupporre uno "spirito" (termine ambiguo e tutto da dimostrare), la prima no (quindi non richiede indagini su postulazioni teoretiche, o sulla fede, o su intuizioni particolari...). L'astrazione funziona meglio, è filosoficamente più "efficiente" della trascendenza.
Secondo me, ad esempio, Michelangelo ha "semplicemente" usato la sua creatività per progettare (e la sua tecnica per realizzare) un'opera d'arte. Esattamente (più o meno ;D ) come facciamo noi quando scriviamo i post: la "discontinuità ontologica" fra noi e i nostri post non è data dallo spirito, comunque venga inteso (opinione mia), ma si tratta di combinare ciò che già conosciamo (le parole e i concetti, proprio come Michelangelo conosceva di certo i materiali e le forme) secondo la nostra capacità ("scrittoria" nel nostro caso, estetica nel caso dello scultore), producendo qualcosa di nuovo (piuttosto modesto nel nostro caso, decisamente sontuoso nel caso di Michelangelo).
A parer mio, mettere in ballo lo spirito (se non lo si intende come mera attività della mente) crea solo complicazioni spurie e falsi problemi di conciliazione fra i piani dell'esistenza...

maral

#98
Paul, certo che l'uomo è, nel suo particolare modo di essere, ossia nel suo essere un ente, un ente conoscitivo, anzi si potrebbe dire che ogni vivente essendo senziente è un ente conoscitivo, laddove però nell'uomo questa conoscenza si esprime in modo riflessivo reiterato potenzialmente all'infinito: l'uomo conoscendo conosce se stesso e conoscendo se stesso conosce il mondo in sente di vivere e questo lo fa attraverso il linguaggio con cui sviluppa relazioni reciprocamente influenzanti con altri esseri umani, che condizionano la conoscenza di altri esseri umani. Ma non può entrare in relazione con l'Essere in quanto tale, poiché è nell'Essere; è in esso compreso e non comprendente, ne è parte in ogni modo e in nessun modo può elevarsi su di esso per coglierne il panorama e definirlo (anche se in qualche modo, soprattutto in Occidente, si è sempre pensato di poterlo fare: l'Essere è Dio, l'essere è lo Spirito assoluto, oppure è Materia assoluta sempre in divenire, ma tutti questi non sono che enti, al massimo super enti se proprio li si vuole considerare tali per idolatrarli e come enti in rapporto all'Essere uno vale l'altro. Se ho detto che ogni volta che si pretende una chiara definizione da cui tutto si possa spiegare si cade nella superstizione, intendendo con tale termine una potenza senza conoscenza, è proprio perché dell'Essere non possiamo avere alcuna conoscenza mentre ci si illude di poterne avere dominio. Non mi stupisco che trovi contraddittorio questo mio dire, dell'Essere si può dire solo contraddicendosi, proprio perché è tutto ciò che è, non è due, è uno, ma nell'uno l'uno è due: l'ente e la sua negazione. Hai presente il Tao? Forse il Tao è  la metafora più pertinente dell'Essere, che pur tuttavia è ancora solo metafora, perché solo come le metafore sono i termini dei nostri discorsi.
La parte non è il Tutto, ma ne è parte (e lo sottolinea pure Severino, al contrario di Hegel che pensa che la sua dialettica possa pervenire alla totalità: che grande, ultima illusione della vecchia metafisica quella di Hegel! Un portentoso fuoco d'artificio finale a rischiarare le tenebre, poi le tenebre): l'onda non è l'oceano anche se sotto di essa vi è tutto l'oceano, come sotto ogni altra onda, ma l'oceano è anche qualcosa di infinitamente meno dell'onda, non ha possibilità di definirsi se non come un'onda e un'altra e ancora un'altra: solo nelle infinite onde può trovare la sua vera definizione, ma le onde non finiscono mai e l'Essere non completa mai il suo nome. Ancora una metafora questa, perché non c'è altro modo di esprimersi in merito al rapporto tra essere ed ente e nessuna metafora sarà mai assoluta, tutto il nostro linguaggio è dato da metafore e metafore di metafore, possiamo comprendere solo le nostre metafore  che finiranno prima o poi con il contraddirsi.
L'uomo non può fare a meno di cercare sempre il significato e il significato del significato e il significato dei significanti con cui indica il significato (quindi con continue inversioni tra segno e cosa) sperando di cogliere il significato vero di se stesso: non può non farlo (a differenza di un'ameba) proprio per quello che è nella sua specificità di ente, proprio perché non è un'ameba, l'ameba è molto più vicina all'Essere di qualsiasi uomo e per questo infatti non ci dice nulla oltre a quello che la sua semplice presenza rivela all'uomo che la osserva e a volte la invidia. L'uomo è in questa eterna peregrinazione che si esprime nel suo riflettere, nel suo pensare sentendo insieme ad altri uomini che condividono l'uno con l'altro il proprio destino e reciprocamente lo condizionano. Ma non solo gli uomini che stanno ora intorno a noi, tutti gli esseri umani comparsi sulla terra.
Giungere a sapere di non sapere, non significa rinunciare a sapere tanto non si saprà mai nulla, ma al contrario, significa non poter non continuare a tentare di sapere, di modo che ogni illusione possa essere tolta e ogni superstizione (intesa nel modo che prima dicevo di potenza senza conoscenza) superata, soprattutto  quelle che costruiamo in merito a noi stessi.
Hai detto bene, in qualche modo noi comprendiamo, ma qualsiasi cosa noi comprendiamo sta sempre oltre la nostra comprensione, ogni passo sul cammino della conoscenza colloca il traguardo sempre un passo più avanti e ogni cammino è in realtà un ritorno. In fondo ogni essere umano è sempre in cammino tra i segni e i significati che compongono le metafore (a volte magnifiche metafore) con cui si esprime ed è proprio questo cammino che va garantito e preservato, non le illusioni di essere arrivati alla meta definitiva, in cima all'altare di un pensiero astrattamente metafisico da cui tutto si spiega con certezza per l'eternità.
Pure Severino lo dice: il pensiero astratto può cogliere la Gioia della Gloria, ma concretamente essa non appare, anche se è necessario che concretamente appaia.

paul11

Maral,
non ha capito quello che penso, e lo leggo dalle critiche,
E' paradossale ,ma la tua critica è giusta per Severino che ha la presunzione che con delle formulette logiche di aver risolto il dilemma.
Non posso  ripetermi continuamente, dovresti rileggerti non gli ultimi post, anche perchè uscirei dal tema della discussione che non è discutere di quello che penso io.
Non hai capito che io domino proprio niente e me ne vado dal mondo senza la verità?
Il mio compito come vivente è raccogliere significazioni, cosa che  ovviamente  Severino e metafisiche vecchie non
pensano nemmeno nelle fredde e algide ontologie in cui l'uomo è una comparsata come ente.Come se gli enti fossero descritti chissà da chi.
Non hai capito nemmeno Hegel che presumo non hai mai letto da quello che scrivi , ma non per difenderlo, non sono nè mi sento idealista,ma pone un 'autocoscienza che nessuna metafisica  ( Hegel non è metafisico in termini classici del termine se non nella trascendenza del momento contraddittorio quando diventa universale nel concetto)compreso Severino pone e in quanto tale un agente attivo che relazione universali e particolari: tutto quì.
Quello che non riesci a capire è che Severino non potrà mai influire su una cultura, Hegel invece sì.
Perchè applica la teoretica alla pratica, la dialettica alla conoscenza alla storia, all'etica. perchè il punto centrale è l'autocoscienza. ma ribadisco, non mi interessa far apologetica hegeliana.
Mi spiaae solo di non essere stato capito, ma capisco anche i perchè.

Ma rientrando nella discussione sulla conoscenza voglio vedere se qualcuno ha il coraggio di entrare con coerenza e onestà intellettuale su come lo scettico, l'empirico e il metafisico costruiscono il lor mondo modellandosi dentro la propria conoscenza, ovvero come la propria coscienza utilizza la verità empirica e fin dove quindi l'agente conoscitivo decide che finisce il vero e inizia la fallacia. 

Il linguaggio , Maral.................
sto studiandomi Maometto e il Corano per capire quali motivazioni avesse l'ultimo profeta quello del sigillo secondo l'islam, quali influssi culturali avesse alla base.
Bene la calligrafia, penso si sappia, è l'arte secondo l'Islam ma anche una certa cultura orientale, in cui il segno è addirittura divino più della parola. L'arabesco è la ripetizione di una forma all'infinito.La scrittura per queste culture non riflette la realtà della parola,bensì  l'espressione  visibile dell'arte spirtiuale. In Occidente l'abbiamo ridotta a perizia forense,come al solito guardiamo il basso senza capire che alto e basso coincidono.Il mandala indiano ha questa significazione,La cultura araba per quanto controversa ,per posizione geografica applica i sincretismi di antiche culture che gli arrivano dalle tradizioni.Noi le abbiamo obliate, come molte cose, rincorrendo la realtà dell'utile e funzionale e trattiamo ormai il linguaggio come fredda analisi logica, del periodo, ortografica, semantica, sintattica.Come se un testo sia possibilitato nella sua estrema complessità ad essere ridotto ai particolari formali delle singole infinite proposizioni che lo compongono-
Qundi certo che l'essere è tutto, ma non è la sommatoria dei particolari , è quello che noi abbiamo capito di un intero testo che chiudiamo dopo aver finito...e andiamo a dormire.

Phil

Citazione di: paul11 il 15 Settembre 2016, 00:10:48 AMvoglio vedere se qualcuno ha il coraggio di entrare con coerenza e onestà intellettuale su come lo scettico, l'empirico e il metafisico costruiscono il lor mondo modellandosi dentro la propria conoscenza, ovvero come la propria coscienza utilizza la verità empirica e fin dove quindi l'agente conoscitivo decide che finisce il vero e inizia la fallacia.
Al riguardo avrei un'osservazione:
Citazione di: paul11 il 14 Settembre 2016, 18:41:03 PMLo scettico, l'empirista e il metafisico applicano la propria conoscenza rispetto a dove sostenfono che vi sia la verità, oltre il limite non è possible andare.
Ho trovato un intruso: uno di quei tre non sostiene che vi sia una verità, non la pone come traguardo o come limite della propria conoscenza, ma ne prescinde, sospendendo il giudizio (epochè): quello che oggi possiamo chiamare relativista, pronipote di quello che una volta si chiamava scettico.
Parlare di verità "al plurale", di verità contingenti e relative alla prospettiva-paradigma che si adotta, di verità come scoglio (scambiato per porto) su cui si arena il pensiero interpretante, significa non essere tenuti in scacco dall'ideale della Verità, e quindi non averla come limite invalicabile coercitivo (a prescindere che si sia favorevoli o contrari ad un pensiero così "debole" e disincantato...).

P.s.
Citazione di: paul11 il 14 Settembre 2016, 18:41:03 PMLo scettico è Diogene che coerentemente abita nudo in una botte e defeca sulla piazza come un cane. Quindi limita fortmente dove la ragione possa andare, per lui la verità è ciò che abita in prima persona, in ciò che vede, sente e percepisce come un animale. Impossibile e non praticabile andare oltre.
Il Diogene della botte, era "cinico", non "scettico"... inoltre lo scetticismo non comporta di credere solo "in ciò che vede, sente o percepisce come un animale", questo è un "sensismo" radicalizzato  ;)

paul11

phil,
sì, Diogene è un cinico, è Pirrone lo scettico.Ma guarda caso è proprio Diogene che ci racconta di Pirrone oltre al discepolo di quest'ultimo Timone.

Tutte e tre le figure, lo scettico, empirico, metafisico ( ovviamente sono stereotipate come figure appunto esemplificative) applicano un processo conoscitivo.La verità è una deduzione come si esplica da un procedimento risolutivo matematico e che tende a semplificare il complesso a trovarne essenza.
Il problema è che tutti accettano la matematica,  la logica ma ognuno interpreta in maniera diversa l'applicazione degli strumenti formali .Wittgenstein nelle riflessioni sulla matematica essendo stato anche insegnante di questa materia si pone il problema.
Lo scettico dubito degli strumenti conoscitivi, non si fida dei sensi e nemmeno della ragione Pirrone.Ciò che bello o brutto, vero o falso è solo convenzione.
Non penso sia esattamente la posizione dei relativisti nostri contemporanei.
Penso che la matematica sia un sistema perfetto poichè sta esattamente al centro fra l'empirico  e il metafisico.
Il mio ragionamento esemplificativo che avevo posto è che la matematica "sta in piedi da sola", non ha necessità neppure di un'applicazione.ha proprietà formali ,regole interne pur non essendo per nulla appartenete al mondo empirico.La sua applicazione al mondo empirico lo fa sembrare all'interno di questa dimensione,
Invece il linguaggio della parola ha necessità di espressione ,di denotazione.Ogni parola , inteso come nome, come predicazione è sempre riferito a qualcosa. Il segno è indispensabile sia legato a qualcosa.la matematica invece può essere solo segnica, come avevo scritto 2 mele denota un segno e un nome, ma il 2 da solo può applicarsi agli altri segni fra loro.totalmente avulso dall'empirico e quindi è il linguaggio per antonomasia universale. Possiamo interpretare la parola, ma non il numero.
Per me il sistema matematico è esemplificativo che il sistema empirico non basta, la ragione non può fermarsi a cercare verità solo lì.E se la ragione umana è riuscita a partorire un simile sistema, la stessa ragione tende ad andare oltre la dimensione fattuale del mondo fisico.
Si tratta di capire dove si ritiene che la ragione debba arrestarsi, dove si pensa possa arrivare il processo conoscitivo.Lo scettico dubita persino di se stesso, non ha fiducia di sensi e ragione,L'empirico ha fiducia nella ragione, ma solo se applicata al mondo fattuale dove i sensi governano.Il metafisico va oltre il mondo fattuale perchè sostiene che la forma è più importante della sostanza per cui mollta metafisica si fida più di dove lo porta il raziocinio del procedimento formale piuttosto che la dimensione del sensibile.
Per questo Kant ferma il suo processo gnoseologico e costruisce il noumeno, come d'altra parte farà Wittgenstein  nel linguaggio. Ma come si spiega che la matematica sta in piedi in sè e per sè?
la logica formale è anch'essa segnica nelle sue formulazioni, ma il suo problema è il rapporto con la parola.
Il mio parere,come  ho appena scritto che ogni parola denota per cui è interpretabile oltre che più ambigua e sfuggente.La matematica invece è pura astrazione segnica ed è paradossale che funzioni proprio per questo bene nelle applicazioni empiriche, ovvero quando si attribuisce ,si accompagna al segno matematico e le sue proprietà al mondo fisico. 
Questo dovrebbe far riflettere, quanto la forma è potente e universale in quanto applicabile al tutto e quindi ha un ordinamento, ha proprietà interne

maral

Paul, concludo con alcune ultime precisazioni in merito alla risposta che mi hai indirizzato:
Confermo, non mai letto Hegel, ma solo la lezione che di lui ne dà Severino (più ovviamente lontani ricordi scolastici), più un utilissimo libricini di Berto sulla dialettica hegeliana che è poi fondamentalmente la stessa tecnica che utilizza Severino (sia pure seguendo un indirizzo opposto). Sulla base di queste mie conoscenze (limitatissime e indirette) penso comunque di poter sostenere (con Severino) che Hegel esprime l'apoteosi finale della metafisica classica e che la filosfia hegeliana è l'ultimo grande tentativo di costruire un pensiero assoluto in termini appunto di metafisica classica pur riletta in chiave dialettica, l'ultimo tentativo (a parte Severino, che comunque si muove in un senso radicalmente diverso, giacché nega l'impianto originario del pensiero metafisico dell'Occidente per rifondarlo radicalmente) di pervenire all'assoluto ontologico e di credere di poterlo raggiungere, se non di averlo comunque raggiunto. Hegel costruisce il suo sistema come totalità assoluta che non lascia nulla fuori di sé. Ma dopo Hegel c'è stato Schopenhauer, c'è stato Marx, con le loro critiche al sistemone idealista e c'è stato soprattutto Nietzsche e la profonda crisi del Novecento che è sfociata nel mondo dominato dal pensiero tecnico e non perché si è sbagliato strada, ma perché quella era la strada che non si poteva non percorrere partendo da quella metafisica. Dopo Nietzsche comunque il mondo hegeliano, l'assoluto onnicomprensivo è definitivamente crollato.
Per quanto riguarda Severino, penso che riformuli completamente la questione metafisica, lo fa, è vero, partendo da una considerazione formale, che, per quanto complessa e ardua sia la sua filosofia, estremamente semplice: l'assoluto espresso dalla tautologia. Ma questo fondamento logico non rende per nulla Severino un pensatore freddo che analizza solo i formalismi logico linguistici godendo della sua abilità tecnica, ciò che lo anima (e lo si sente in ogni suo lavoro e in questo sono d'accordo con Cacciari), è una necessità profondamente umana: il suo pensiero palpita di una sorta di mistica che si rispecchia pienamente nella suggestiva complessità di un linguaggio per nulla autoreferente. Eppure Severino non è un mistico, ma un filosofo estremamente razionale, ma la sua ragione va ben oltre i freddi giochi formali dell'analisi linguistica e la sua filosofia esige che ogni ente nella sua differenza sia concretamente quello che è per l'eternità, nulla può venire sottratto dall'astrazione, nemmeno da quella astrazione che è l'umano preso in termini generali. E questo è qualcosa che trovo assolutamente dirompente in ogni senso: sociale, politico, economico (e non per niente Severino scrive ampiamente di temi sociali, politici, economici, non scrive solo testi teoretici).
Infine tu, paul11. Non credo di non aver capito quanto senti che ti appartiene (certo, in qualche misura non ti avrò capito, come sempre succede, figuriamoci!), condivido anzi in buona parte la tua idiosincrasia per i formalismi analitici di una filosofia che si riduce a mera tecnica del linguaggio continuando peraltro a non cavare un ragno dal buco, capisco anche che, sulla spinta della  dialettica, non intendi perseguire un dominio cognitivo assoluto (come fa invece Hegel no?), ma pur tuttavia non posso fare a men di chiedermi allora perché dici che l'Essere è lo Spirito? Come ti collochi rispetto a chi dice che non stanno così le cose? Dello Spirito dici che non si può dire, ma dell'Essere sì? si può dire che è Spirito e non Materia? Spirito e Materia sono entrambi degli universali, entrambi delle astrazioni e quindi proprio per questo entrambi dei relativi, sono degli enti che nascono in relazione l'uno all'altro, l'uno in apparente opposizione all'altro. Un assoluto originario dello Spirito che ha di più o di meno di un assoluto originario della materia?

Per quanto riguarda la questione linguistica, non so se sei giunto al termine di quella lezione di Sini o se hai trovato troppo formali e inconcludenti quei discorsi, eppure quel tuo ultimo richiamo alla scrittura sta proprio nel tema centrale di quella lezione su Derrida: si parla di un'archeoscrittura che viene prima di ogni parola pronunciata, di ogni fonema vocale che occupa, a dire di Derrida, una posizione primaria nel discorso in Occidente. E certo, è un tema quello dell'originaria scrittura, che sta profondamente nel mondo medio orientale e orientale, ove il grafema non è il segno di un'espressione vocale: il segno scritto viene prima e  si esprime nel silenzio, come lo spazio tra due parole: l'archeoscrittura è fatta di sospensioni mute. E' una cosa su cui varrebbe la pena riflettere, poiché sono forse solo queste sospensioni che rivelano il mondo.
Noi siamo sempre solo nel presente, il presente è l'Essere che è, ma la nostra esistenza ha senso solo tra un passato e un futuro che non sono (non più, non ancora), esistiamo solo in questa irrimediabile duplicità virtuale del tempo, allora forse quell'impercettibile segno è proprio il presente in cui sempre veramente siamo, l'assolutamente indicibile differenza che si colloca una in mezzo ai due e fa apparire qualcosa che dal futuro va al passato per riflettersi nel nostro cammino dal passato verso il futuro. Se l'Essere è questo presente non è più semplicemente l'universale assolutamente astratto (l'astrazione suprema di tutte le astrazioni, l'universale di tutti gli universali) come in genere lo consideriamo, ma un segno impercettibile che tace cosicché il senso appaia nell'esistenza e appaia un ieri e un domani, un significante e un significato, un vero e un falso, un empirico e un metafisico, un irrazionale e un razionale, un immanente e un trascendente, una teoresi e una prassi, un sogno e un mondo tangibile e reale, un sì e un no e tutte le dicotomie con cui ci esprimiamo per ritrovarci sicuri nel nostro significare. L'Essere sembra essere allora l'originaria singolare differenza da cui tutto l'universo appare in una storia che continua a ripeterla moltiplicandola all'infinito in infiniti significati tra loro sempre diversi e tra loro sempre in relazione.

paul11

Maral,
offri talmente tanti spunti interessanti che mi vorrebbe un libro per risponderti.
Sò abbastanza di Severino, ho letto e riflettuto parecchio come Berto descrive la logica dialettica di Severino 
e ho scritto  fino ad ora circa venti pagine protocollo di appunti su "Fenomenologia dello spirito"di Hegel,che non ho ancora finito, poi passerò  ad "Essere e tempo"di Heidegger.
Ho deciso di studiarmi direttamente i testi perchè mi sono accorto che chi riporta i loro pensieri spesso "dicono quello che loro vedono", e tralasciano troppo spesso dei passaggi fondamentali che sono le loro chiavi di lettura.
Fenomenologia dello spirito di Hegel inizia dove finisce Kant. E' un procedimento gnoseologico, non metafisco perchè Kant non è metafisico  vuole scientificizzare la filosofia e "Critica della ragion pura" è la critica della conoscenza proprio come il titolo di questa discussione e da filosofo/scienziato fa quello che un empirista coerente come il nostro Sgiombo, fa, la metafisica si apre e chiude con il noumeno.Non trascende la conoscenza oltre l'evidenza empirica. Hegel se  non ricordo male non utilizza mai in "fenomenologia dello spirito" il termine Essere, ente, utilizza l'essente.Le parole sono importanti per capire le categorie del pensiero di un filosofo.
Utilizza moltissimo l'autocoscienza e la forma dialettica del procedimento conoscitivo, dove utilizza il momento astratto e concreto, suddividendo le forme della conoscenza in "in sè", "per sè" "in sè e per sè".
Ti dico subito che è criticabile come descrive la metodologia della conoscenza, è ovviamente stata molto più discussa e tutt'ora continua, in linguistica, teoria della conoscenza, persino la psicanalisi è una metodologia(Galimberti docet) Quello spirito che utilizza Hegel non è spirtuale o religioso, è l'idea.
L'autocoscienza ad esempio non è ben analizzata come agente conoscitivo "in sè", ontologicamente e descrive, come troppi pensatori scrivono, in modo autoreferenziale, ovvero alla fine è un sistema retorico che cerca di convincere reiterando la ua chiave di lettura gnoseologica. Ma la sua originalità è l'utilizzo dialettico della conoscenza.Severino è a mio parere uno dei pochissimi che ha capito davvero Hegel, prende la filosfia dialettica,  e la trasforma in logica dialettica che comprende quella formale,. Avrai letto qualche hanno fa il contenzioso  fra  Severino con ordinari di filosofia in logica.
La metafisica che considero obsoleta dopo Heidegger, e adesso non prendermi per heideggeriano :),
è quella delle descrizioni ontologiche degli enti che non procede come agente conscitivo.
Io vedo un cielo stellato e lo fotografo e descrivo ogni corpo.Ma non mi dice del movimento della volta celeste,non dice che è un essere umano esistente che è gente conoscitivo che utilizza la ragione per descriverlo.
Purtroppo alla metafisica si oppone l'antropologia, O essere ed enti, essenti, oppure il linguaggio muta completamente sulle strutture antropologiche che ovviamente hanno origini e finalità diverse che indicano quindi il momento analitico descrittivo.


Nel mio pensiero è centrale Paul, Maral, l'agente conoscitivo. L'Essere è lì non per ontologia in sè e per sè, ma perchè qualcuno lo ha descritto, gli ha dato un significato e gli ha dato un grafema oltre un fonema, da questo mi distacco da Hegel, come dalle metafisiche obsolete.
L'autocoscienza di Hegel a mio parere è geniale, ma non come oggetto ontologico metafisico, ma come il luogo da cui tutto nasce come conoscenza, linguaggio.
Perchè il problema è il motivo per cui un umano fra gli umani decide di avere fiducia o meno in un certo sistema di relazione che vede lui come agente conoscitivo, la ragione come strumento intelligibile e fenomeni fisici, eventi oppure concetti.
La conoscenza presuppone: un agente conoscitivo, uno strumento relazionale, un oggetto da conoscere.
Il mio pensiero non è basato sull'Essere come costruzione conoscitiva, ecco perchè tace, ma è l'autocoscienza il fulcro di tutto perchè da una parte l'agente conoscito, l'autocoscienza, l'uomo, applica la ragione nel mondo empirico, ma dall'altra parte potrebbe o non potrebbe proseguire a ragionare SOLO concettualmente(poichè non vi sono più oggetti fenomenici dadescrivere del mondo fisico) per arrivare all'Essere.
Ha poca importanza in questa discussione se per me lìEssere corrisponde allo Spirito, per qualcuno l'Essere non esite nemmeno, non si pone il problema, oppure arriva all'Essere e lo descriverebbe in maniera diversa dal mio.
Il focus a cui volevo arrivare, quindi non è l'Essere, ma semmai perchè c'è chi si ferma al mondo empirico e perchè invece c'è chi prosegue oltre al concetto formale dell'empirico e alo applica oltre, diciamo nel metafisco-

Nella riposta a Phil, sollevo una riflessione. Perchè la matematica che è pura ragione non viene riconosciuta come concetto metafisico.Viene invece interpretato come strumento.Ma dove salta fuori?
Davintro a sua volta ritiene che i principi di universale e tempo siano metafisici, e capisco quello che vorrebe dire ,perchè è simile alla mia posizione sulla matematica, anzi forse il suo è più essenziale, presupposto a sua volta per arrivare a formulare un sistema matematico.
Non so se sono riuscito a spiegarmi Maral, Chiudo per ora, dicendo che in effetti l'aspetto volitivo, l'anelito alla spinta a rivolgere l'autocoscienza verso la metafisica è la ragione non sufficiente a spiegare la ragione stessa SOLO nel dominio empirico del divenire.La ragione starebbe in piedi da sola come momento puramente riflessivo, contemplativo di se stesso.Ma così come la coscienza è relazionata al cervello, ma non corrisponde, si pone un momento trascendente, c'è un qualcosa di apriroristico,delle regole, dei principi che sono ontologicamente e quindi metafiscamente in noi stessi come umani esistenti, come agenti che diventano conoscitivi.

Phil

Citazione di: paul11 il 17 Settembre 2016, 03:09:21 AMPerchè la matematica che è pura ragione non viene riconosciuta come concetto metafisico.Viene invece interpretato come strumento.
La matematica non è metafisica perché la metafisica tende a ragionare (anche solo per ipotesi verosimili), ma non a calcolare-quantificare. La matematica invece non ragiona, conta (quindi non la definirei "pura ragione", anzi...),

Come tu stesso osservavi giustamente, nel momento in cui la matematica si declina in logica formale (aprendosi così al ragionamento), si innescano mille problemi, molti dei quali basati sulla relazione con ciò di cui si ragiona (siano dati empirici, concetti, intuizioni, elementi estetici, etc.). Perché solo diventando linguaggio la matematica ragiona, altrimenti conta e descrive. E le sue descrizioni, se non corrispondono ad esigenze fisiche o umane, non sono metafisiche, ma semplicemente concettuali (al netto della differenza fra essere "astratto-concettuale" ed essere "metafisico": dire metafisica, almeno in occidente, significa chiamare in causa una tradizione con tematiche e approcci piuttosto caratterizzati...). 

La distanza, o meglio, la differenza (differance  ;) ) fra intelligenza artificiale e intelligenza umana è tutta qui; calcolare versus ragionare...

Discussioni simili (5)