conoscenza e critica della conoscenza

Aperto da davintro, 15 Agosto 2016, 18:26:43 PM

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acquario69

CitazioneInnanzitutto faccio una domanda a mia volta: in che modo ci sarebbe già presente nella mente l' idea di una bellezza e di una bontà, prima di esperire cose belle e buone? C' é da qualche parte qualcuno (sano di mente) che ricorda di aver da sempre saputo cosa sia la bellezza anche prima di vedere qualcosa di concreto che gli ha fatto l' impressione della bellezza (che gli é parso bello)?.......

...Solo dopo che ha fatto un bel po' di esperienze simili a quelle sopra citate ("a posteriori", e non affatto prima di farle) sa cosa è "la bellezza", solo allora (e non affatto in maniera "innata") ha la conoscenza dell' idea di bellezza.

secondo me un esempio che dimostrerebbe che il buono e il bello e' "preesistente" e percio gia innato in noi,lo si può riscontrare guardando il comportamento di tutti i neonati,sopratutto nei confronti della madre che lo ha generato...si può notare da come il piccolo si sente calmo e rassicurato rimanendoci a contatto,oppure nei momenti in cui la madre lo guarda e come questo provochi la reazione immediata di un suo sorriso.

quindi penso che il bambino " sa' " già istintivamente cosa sia il buono e il bello e a mio avviso fa anche riflettere sul fatto che entrambi non possono essere disgiunti.

davintro

Citazione di: Phil il 01 Settembre 2016, 16:22:51 PM
Citazione di: davintro il 01 Settembre 2016, 02:17:23 AMIn qualunque concetto, in quanto tale, si annida l'idea di universalità, perchè ogni concetto vale per tutti gli individui possibili in ogni tempo e luogo della specie indicata nel concetto.
In ogni concetto si annida l'idea di "universalità" o di "astrazione"? Pongo questa domanda per intenderci meglio sulle parole chiave della questione... personalmente, direi che ogni concetto è astratto, ma non che ogni concetto è universale: ad esempio, il mio concetto di "giustizia" non solo è personale (limitato nello "spazio"), ma potrebbe essere stravolto domani (limitato nel "tempo"); quindi, quando lo penso, non lo penso "universale", ma solo utilmente "astratto", ovvero fruibile per valutare un'ipotetica universalità dei casi, ma senza essere esso stesso universale (non è dunque il concetto in quanto tale ad essere sempre e necessariamente universale, ma le sue possibili applicazioni; non so se è questa l'ambiguità che porta al nostro disaccordo...). Che significa "universalità dei casi"? In tutti i casi possibili. Come faccio ad estendere l'applicazione di un concetto (non il concetto stesso) a tutti i casi possibili? Tramite l'astrazione (negativa) che lega il singolare/parziale al plurale/totale.
Citazione di: davintro il 01 Settembre 2016, 02:17:23 AMQuindi non è possibile che il concetto di "universalità" sia la derivazione secondaria della negazione del concetto di finitezza o particolarità. Perchè già nel formare il concetto di "finitezza" o "particolarità" è già implicito il riferirsi della nostra mente all'universalità, la "finitezza" vale per TUTTI i finiti, la "particolarità" vale per TUTTI gli oggetti particolari.
Questi "tutti" vengono semplicemente astratti dai rispettivi "uno"... e, come accennavo prima, non è la "finitezza" o la "particolarità" ad essere "universale", ma, asintoticamente, le loro possibili applicazioni...
Citazione di: davintro il 01 Settembre 2016, 02:17:23 AML'apprensione dell'idea di "universalità" o "totalità" è una struttura trascendentale e innata della nostra mente, non può essere la derivazione di alcun concetto, perchè ogni concettualizzazione la presuppone.
Se "totalità" e "universalità" sono una "struttura trascendentale innata" (ammesso e non concesso ;) ), non dovrebbero logicamente appartenere alla stessa "struttura" anche "parzialità" e "singolarità"? Questa struttura innata non verrebbe comunque attivata dall'esperienza del singolare/parziale? La capacità d'astrazione non si sviluppa, nei primi anni (non sono pratico di infanzia!) proprio a partire dal vissuto del particolare? Questo sviluppo (se c'è...) conferma l'innatismo del concetto di universalità oppure conferma che l'universalità è frutto di un'astrazione (negativa)? Per ora, concorderei con Sgiombo nel concludere che la condizione di possibilità della concettualizzazione è l'astrazione, non il concetto di universalità (a sua volta derivato da un'astrazione, secondo me...):
Citazione di: sgiombo il 01 Settembre 2016, 13:39:42 PMCiò che ogni concettualizzazione presuppone non é la conoscenza innata [...] del concetto di "universale" (che si acquisiscono a posteriori, con l' esperienza; oppure ci vengono insegnati), bensì la mera capacità (potenzialità) innata di astrarre e definire concetti.
P.s. Si possono astrarre concetti non universali? Se per concetto intendiamo "astrazione formale", direi di si: ognuno di noi ha i suoi individuali concetti riguardanti l'arte, la politica, la vita, etc. che non sono universalmente validi o accettati...

è certamente vero che la mia idea di giustizia può cambiare col tempo ma questo non smentisce il carattere universalistico del concetto. L'uomo è un essere imperfetto, mutevole, condizionato da ciò che è altro da sè, quindi cambiano le sue idee, il contenuto dei suoi concetti, delle sue definizioni... ma come scritto più volte l' "annidarsi" dell'universale nei concetti non riguarda il contenuto dei concetti (a meno che non si parli del concetto stesso di "universalità" ed in fondo avevo aperto la discussione proprio riguardo questo tema, come potrebbe una critica della conoscenza,tesa a stabilire i principi universali della conoscienza scientifica, giustificare la riduzione dell'esperienza all'esperienza sensibile), che può essere sensibile nel caso di concetti di oggetti materiali come case o cavalli, o intelligibili come "libertà" o "giustizia". Rigurda il modo d'essere formale dei concetti. Sia che si parli di concetti  contenutisticamente sensibili o intelligibili, ogni concetto viene intenzionato come valido a prescindere dalla contingenza spaziotemporale dei singoli oggetti a cui il concetto si riferisce, dunque ogni concetto, preso in questo senso, è universale. E questa valenza universalistica permette ai concetti di essere elementi dei nostri giudizi, potendo essere utilizzati come criteri regolativi trascendentali. Quando formulo il giudizio "di fronte a me c'è un albero" il concetto albero vale per tutti gli alberi possibili immaginabili, anche per tutti quelli che non ho ancora osservato, da cui non ho potuto effettuare alcuna astrazione, altrimenti non potrei applicarlo a quel singolo albero che mi sta di fronte. L'universalità formale del concetto "albero" permette di dare al giudizio un'intenzionalità oggettiva, un tendere verso il riferirimento ad uno stato di cose oggettive, che non ha nulla a che fare con il fatto che potrei sbagliarmi, qui ciò che conta è l'intenzione. Se il concetto "albero" non fosse universale non potrei porlo come criterio regolativo per un giudizio che intende essere oggettivo, perchè altrimenti il criterio potrebbe essere smentito da altri criteri she sfuggono al recinto semantico del concetto "albero", che in quanto non più universale, sarebbe limitato da tale recinto e non ponibile più come criterio assoluto (ripeto, assoluto come intenzionalità, nel momento in cui lo utilizzo, non "assoluto" nel senso che IN UN MOMENTO SUCCESSIVO non potrei modificarlo), andrebbe persa, non la reale oggettività del sapere scientifico, ma qualunque carattere tetico dei nostri giudizi, qualunque spinta intenzionale che li porti a rivolgersi alla rappresentazione dell'oggettività del reale, perchè ogni concetto non potrebbe essere considerato di volta in volta come universalmente valido a livello formale

in generale lo "sviluppo" non è mai una creazione dal nulla, ma il potenziamento, l'approfondimento di  qualcosa che già c'è, un certo nucleo preesistente. Dunque affermare che l'astrazione sarebbe il risultato di uno sviluppo non esclude di per sè che tale sviluppo non sia un processo che interessa degli elementi originariamente o innatamente presenti nella nostra mente. Inoltre in base a ciò che ho scritto non avrei alcun bisogno di negare che l'astrazione si realizzi non innatamente ma a partire dall'esperienza percettiva a-posteriori di oggetti particolari! Ciò che sostengo come innata (ma forse preferirei parlare di "originarietà" o "trascendentalità") non è l'astrazione nel complesso della sua struttura ma l'apprensione della nozione di "universalità", che sostengo sia elemento necessario ma non sufficiente dell'astrazione. Questa ha bisogno di una molteplicità di percezioni sensibili e di un riferimento universalistico che dia ai concetti che forma una valenza che li permetta di applicarli a oggetti in qualunque condizione empirica. Sintesi di forma e contenuto e se il contenuto non è innato non ha senso affermare l'innatezza del processo in generale!

L'universalità formale dei concetti non ha nulla che fare con il loro eventualmente essere "universalmente validi e accettati". L'universalità, come del resto l'oggettività del vero, non c'entra con il consenso intersoggettivo. Perchè i miei concetti delle cose siano posti come universali non ho alcun bisogno che siano condivisi nel loro contenuto da altri. Possiamo riempire di un contenuto diverso ciò che intendiamo come "giustizia" e libertà", ma ciascuno di noi come singolo porrà formalmente il suo concetto personale di "giustizia" o "libertà" come valido per ogni determinazione particolare di azioni giusti o soggetti liberi. Se così non fosse non esisterebbe alcuna lotta o conflitto nella storia tra persone e popoli che sostengono differenti interpretazioni delle stesse categorie. I conflitti e le incomprensioni accadono per la mancanza dell'universalità del contenuto delle categorie (contenuto condizionato, anche si tratta di concetti intelligibili, dal carattere di finitezza empirico dell'uomo), ma al tempo stesso accadono perchè ciascuno pone come universale il significato delle sue categorie, cioè il modo d'essere formale con cui strutturiamo i concetti. Infatti l'universalià formale che considero è l'universalità intesa come intenzione soggettiva di chi utilizza il concetto. I concetti delle cose particolari non sono universali, ma sono posti come tali dai soggetti, e questo "porsi" è il fondamentale atto che il pone in essere. Quindi in un certo senso proprio il conflitto interpretativo tra i significati che differenti uomini e comunità danno degli stessi concetti presuppone da parte di ciascuno l'intenzione universalistica con cui tali concetti vengono formati.

paul11

L'universalità , totalità  e unicità è il concetto deduttivo a cui tendono tutte le filosofie(compreso teologie) e le scienze contemporanee del metodo sperimentale. La particolarità, multiformità è tipico  nel mond odell'esperienza e del vissuto nella percezione sensoriale.
Non saprei dire se esiste un innatismo per cui l'uomo tende a pensare alla sintesi, ma sicuramente nel momento in cui lo sviluppo e l'esperienza del pensiero sono in grado di razionalizzare ,tutte le teorie ,ribadisco tutte, tendono all'origine.
la matematica inizia dal 1 e non dal 100, la cosmologia inizio dall'unicità energetica e materiale da cui poi temporalmente emergono forze e corpi astrofisici,  i teoremi poggiano su postulati semplici.
Tutta la struttura del pensiero tende ad avere il "mattoncino lego", ovvero il modulo base che a sua volta modella la rappresentazione, lo faceva la scienza antica lo fa la scienza contemporanea.
Tutte le grandi teorie scientifiche dall'evoluzione biologica e fisica iniziano da un "atomos" che dal semplice  va verso il cpmplesso,
la cellula che evolve, il primo animale che si differenzia. Quindi tutto il movimento della conoscenza se esperisce nella multiformità e complessità dal movimento induttivo dell'analisi si passa alla sintesi e categorizzazione gerarchica con le tassonomie. lo schema è quello dell'albero che dal punto originario tende a ramificarsi sempre più alla base.
Per arrivare a questo la conoscenza passa dal movimento induttivo delle analisi alle sintesi dedudttive, è come se la percezione/ragione esperisce nel mondo e il ritorno alla ragione che riflette se stessa cerca i minimi comuni multipli i massimi comun divisori  nei segni, simboli significati. Quindi l'uomo tende a costruire un ORDINE nelle sintesi tassonomiche delle categorie

sgiombo

Citazione di: davintro il 02 Settembre 2016, 01:18:25 AM
Rispondo a Sgiombo

La potenzialità o predisposizione è ciò che non è ancora o non è più attuale, mentre le cause che producono un effetto come l'astrazione devono essere tutte attuali, cioè reali. Attuale deve essere la percezione sensibile che apprende il contenuto dell'oggetto individuale, attuale deve essere l'avvertimento della nozione di universalità per la quale ciò che si astrae dal particolare vale per tutti gli individui possibili. Cosa farebbe passare la potenzialità della nostra mente soggettiva all'attualità per la quale concretamente interviene nel processo di astrazione?

CitazioneLe ripetute esperienze di enti o eventi particolari concreti accomunate dalle caratteristiche che per l' appunto il pensiero distingue dalle altre individuali o comunque relativamente meno universali e astrae.
Senza che esista prima dell' astrazione stessa nessuna 
avvertibile  nozione di universalità, che si acquisisce a posteriori, per l' appunto in seguito all' astrazione.


Io posso essere fisicamente predisposto per svolgere con buon profitto una certa attività sportiva ma questo ancora non è sufficiente a determinare il fatto che io svolga realmente bene quello sport (magari per pigrizia mi alleno poco oppure per disinteresse non inizio nemmeno a praticarlo). Così l'apprensione dell'idea di universale necessaria almeno formalmente per ogni concetto per essere attuale nell'astrazione deve essere un'intuzione attuale e non solo una "predisposizione".

CitazioneEsattamente come mettendomi a correre e allenandomi (in seguito a concrete esperienze che mi inducono a farlo) traduco in atto quelle che altrimenti rimarrebbero solo le mie mere potenzialità atletiche (mera potenzialità di correre velocemente, e non capacità attualmente reale, già innata in quanto tale, di correre velocemente), così pensando, stabilendo, definendo un concetto universale astratto (in seguito a concrete esperienze di casi particolari che lo esemplificano le quali mi inducono a farlo) traduco in atto quelle che altrimenti rimarrebbero solo le mie mere potenzialità gnoseologiche, teoriche (mera capacità di conoscere idee universali e non conoscenza attualmente reale, già innata in quanto tale, di idee universali).


Se un evento (l'astrazione) per realizzarsi ha bisogno del concorso del reale accadere causale di due fattori (la percezione sensibile del contenuto e l'intuizione dell'universalità che permette al concetto di comprendere tutti gli individui a prescindere dalla contingenza spaziotemporale nella quale posso farne esperienza), e uno dei due interviene attualmente e l'altro resta allo stato potenziale (di fatto un non-essere più o un non-essere ancora), l'evento non si realizza, fermo restando che, ovviamente la predispozione è fondamentale e necessaria.


Citazione
L' astrazione per realizzarsi ha bisogno del concorso del reale accadere causale delle percezioni sensibili (tante) del suo "contenuto" e della capacità (in assenza di tali percezioni sensibili meramente potenziale) di astrarre e di definire il concetto astratto: non c' è alcuna "intuizione" (sensazione? Conoscenza?) "dell'universalità" prima di questo processo mentale!


è vero che il concetto di "universalità" porta in sè come implicita una relazione (oppositiva) con il concetto di "particolarità", ma questo non ha nulla a che fare con il problema della genesi della presenza dell'idea di universalità nella nostra mente. Un conto è una relazione sul piano logico-concettuale un altro una relazione di tipo reale-psicologico. Il fatto che concettualmente l'idea di universalità comprenda il fatto di essere opposta al concetto di particolarità non vuol dire che quest'ultimo sia la causa del formarsi reale del primo  nella nostra mente. Altrimenti, sarebbe come dire che essendo il concetto di "madre" in necessaria relazione logica con quello di "figlio" ci sarebbe una dipendenza genetica reale della donna madre con il figlio (e viceversa), mentre dal punto di vista della causalità esistenziale la dipendenza è unilaterale. La madre è causa dell'esistenza del figlio e non viceversa a prescindere dal fatto che prima di generare il figlio non poteva definirsi madre.

CitazioneNon ho mai sostenuto quanto qui giustamente neghi.


Occorre evitare la confusione tipica di un certo empirismo tra "sostanza" e "relazione". Il problema della genesi psicologica della realtà sostanziale dell'idea di universalità ( so che è un pò imbarazzante parlare di "realtà a proposito di un'idea, ma spero di riuscire a far capire che parlando di "realtà" considero la realtà psicologica della presenza dell'idea alla mente) dalle relazioni conseguenti alla sua natura. Tra l'altro se vale l'idea per cui la relazione determina una dipendenza il passaggio potrebbe essere tranquillamente percorso in senso inverso e determinare non la dipendenza dell'universale dal particolare, ma del particolare dall'universale e questo confermerebbe il carattere di anteriorità del concetto di quest'ultima


CitazioneIn che senso "occorre evitare la confusione tipica di un certo empirismo tra 'sostanza" e "relazione' "?
Il periodo che segue queste parole mi é incomprensibile (non trovo un verbo della proposizione principale).

Comunque non ho mai sostenuto che esistano fra i significati dei concetti (in particolare fra i significati dei concetti particolari e di quelli universali; mi scuso per il gioco di parole) soltanto, unicamente, "universalmente" relazioni di dipendenza causale.
Casomai esistono necessariamente relazioni di interdipendenza (reciprocità, complementarità) logica e semantica. 
Relazioni causali esistono necessariamente solo nel processo (reale) di "confezionamento" di concetti universali da concetti particolari (singolari o comunque relativamente meno universali).


sgiombo

Citazione di: acquario69 il 02 Settembre 2016, 02:35:09 AM
CitazioneInnanzitutto faccio una domanda a mia volta: in che modo ci sarebbe già presente nella mente l' idea di una bellezza e di una bontà, prima di esperire cose belle e buone? C' é da qualche parte qualcuno (sano di mente) che ricorda di aver da sempre saputo cosa sia la bellezza anche prima di vedere qualcosa di concreto che gli ha fatto l' impressione della bellezza (che gli é parso bello)?.......

...Solo dopo che ha fatto un bel po' di esperienze simili a quelle sopra citate ("a posteriori", e non affatto prima di farle) sa cosa è "la bellezza", solo allora (e non affatto in maniera "innata") ha la conoscenza dell' idea di bellezza.

secondo me un esempio che dimostrerebbe che il buono e il bello e' "preesistente" e percio gia innato in noi,lo si può riscontrare guardando il comportamento di tutti i neonati,sopratutto nei confronti della madre che lo ha generato...si può notare da come il piccolo si sente calmo e rassicurato rimanendoci a contatto,oppure nei momenti in cui la madre lo guarda e come questo provochi la reazione immediata di un suo sorriso.

quindi penso che il bambino " sa' " già istintivamente cosa sia il buono e il bello e a mio avviso fa anche riflettere sul fatto che entrambi non possono essere disgiunti.


CitazioneQuesto presunto "sapere" tra virgolette (metaforico!) è solo un comportarsi (fra l' altro a posteriori: dopo che vede la madre il neonato si sente calmo e rassicurato, dopo che si è accorto che la madre lo guarda sorride, l' attuazione di una mera tendenza comportamentale congenita, indotta da percezioni empiriche, e per niente "conoscenza a priori reale", effettiva (la metafora non va mai presa alla lettera e confusa con una pretesa realtà letterale di ciò che esprime). 


acquario69

#20
Citazione di: paul11 il 02 Settembre 2016, 09:17:27 AM
L'universalità , totalità  e unicità è il concetto deduttivo a cui tendono tutte le filosofie(compreso teologie) e le scienze contemporanee del metodo sperimentale. La particolarità, multiformità è tipico  nel mond odell'esperienza e del vissuto nella percezione sensoriale.
Non saprei dire se esiste un innatismo per cui l'uomo tende a pensare alla sintesi, ma sicuramente nel momento in cui lo sviluppo e l'esperienza del pensiero sono in grado di razionalizzare ,tutte le teorie ,ribadisco tutte, tendono all'origine.
la matematica inizia dal 1 e non dal 100, la cosmologia inizio dall'unicità energetica e materiale da cui poi temporalmente emergono forze e corpi astrofisici,  i teoremi poggiano su postulati semplici.
Tutta la struttura del pensiero tende ad avere il "mattoncino lego", ovvero il modulo base che a sua volta modella la rappresentazione, lo faceva la scienza antica lo fa la scienza contemporanea.
Tutte le grandi teorie scientifiche dall'evoluzione biologica e fisica iniziano da un "atomos" che dal semplice  va verso il cpmplesso,
la cellula che evolve, il primo animale che si differenzia. Quindi tutto il movimento della conoscenza se esperisce nella multiformità e complessità dal movimento induttivo dell'analisi si passa alla sintesi e categorizzazione gerarchica con le tassonomie. lo schema è quello dell'albero che dal punto originario tende a ramificarsi sempre più alla base.
Per arrivare a questo la conoscenza passa dal movimento induttivo delle analisi alle sintesi dedudttive, è come se la percezione/ragione esperisce nel mondo e il ritorno alla ragione che riflette se stessa cerca i minimi comuni multipli i massimi comun divisori  nei segni, simboli significati. Quindi l'uomo tende a costruire un ORDINE nelle sintesi tassonomiche delle categorie



infatti tutto ha un fondamento,tutto parte inesorabilmente da un principio. (si e' mai costruita una casa a cominciare dal tetto? non credo!)

ma come mi piacciono le metafore!!  :)

il principio e' uno ed e' l'Essere stesso che si dispiega nella molteplicita
esattamente come dal numero uno seguono tutti gli altri numeri a seguire

ed inoltre questi li contiene tutti appunto in principio.
infatti;

1+1 = 2
1+1(2)+1 = 3
1+1+1(3)+1 = 4...

e ci sarebbe anche da dire sullo 0 (zero) !

Citazionesgiombo
Questo presunto "sapere" tra virgolette (metaforico!) è solo un comportarsi (fra l' altro a posteriori: dopo che vede la madre il neonato si sente calmo e rassicurato, dopo che si è accorto che la madre lo guarda sorride, l' attuazione di una mera tendenza comportamentale congenita, indotta da percezioni empiriche, e per niente "conoscenza a priori reale", effettiva (la metafora non va mai presa alla lettera e confusa con una pretesa realtà letterale di ciò che esprime).


ok la pensiamo in maniera molto diversa.

paul11

... e adesso il terzo post.
Perchè la scienza sperimentale  utilizza gli strumenti formali logici, compie  il momento conoscitivo induttivo nela multiformità, lo riduce nelle sintesi deduttive ai principi fisici, matematici.......e si ferma, si blocca?
Il filosofo va oltre, utilizza gli stessi strumenti logico formali e applica il momento conoscitivo razionale oltre il mondo empirico.

Ora perchè la cultura in generale da secoli teme il momento razionale della conoscenza deduttiva (la riflessione del pensiero che si pensa), se lei sessa lo applica accompagnando il fenomeno ed evento ? E' solo un problema di metodo sperimentale: non è vero.

Il problema è ideologico non è razionale, è una presa di posizione razionalmente contraddittoria, perchè il pensiero che si pensa  ordina il sistema globale e si ripresenterebbe al mondo come cultura quindi di nuovo il deduttivo interagirebbe nell'induttivo, il metafisico presenta il suo ordine e lo applica all'empirico come visione culturale.
Questo è quello che teme l'attuale cultura. 
Quindi non è tanto il problema della conoscenza,  allorchè la sintesi diventa ordine e principi questi ritornano nel momento culturale che a sua volta condiziona i mondo sociale.
Il matematico che formalmente applica l asua scienza alle teorie dell'universo costruendo 12 dimensioni nel multiverso....... non gliene importa niente a nessuno, perchè il suo modello rappresentativo non "rompe" il modello culturale dilagante: è neutro.

sgiombo

Citazione di: acquario69 il 02 Settembre 2016, 10:14:35 AM

Citazionesgiombo
Questo presunto "sapere" tra virgolette (metaforico!) è solo un comportarsi (fra l' altro a posteriori: dopo che vede la madre il neonato si sente calmo e rassicurato, dopo che si è accorto che la madre lo guarda sorride, l' attuazione di una mera tendenza comportamentale congenita, indotta da percezioni empiriche, e per niente "conoscenza a priori reale", effettiva (la metafora non va mai presa alla lettera e confusa con una pretesa realtà letterale di ciò che esprime).


ok la pensiamo in maniera molto diversa.

CitazioneDirei come al solito ...ma va bene così: il mondo é bello perché é vario!
Ti saluto con simpatia.

sgiombo

Citazione di: davintro il 02 Settembre 2016, 02:53:27 AM
L'universalità formale del concetto "albero" permette di dare al giudizio un'intenzionalità oggettiva, un tendere verso il riferirimento ad uno stato di cose oggettive, che non ha nulla a che fare con il fatto che potrei sbagliarmi, qui ciò che conta è l'intenzione. Se il concetto "albero" non fosse universale non potrei porlo come criterio regolativo per un giudizio che intende essere oggettivo, perchè altrimenti il criterio potrebbe essere smentito da altri criteri she sfuggono al recinto semantico del concetto "albero", che in quanto non più universale, sarebbe limitato da tale recinto e non ponibile più come criterio assoluto (ripeto, assoluto come intenzionalità, nel momento in cui lo utilizzo, non "assoluto" nel senso che IN UN MOMENTO SUCCESSIVO non potrei modificarlo), andrebbe persa, non la reale oggettività del sapere scientifico, ma qualunque carattere tetico dei nostri giudizi, qualunque spinta intenzionale che li porti a rivolgersi alla rappresentazione dell'oggettività del reale, perchè ogni concetto non potrebbe essere considerato di volta in volta come universalmente valido a livello formale

CitazioneE l'universalità formale del concetto "ippogrifo" come può permettere di dare al giudizio un' intenzionalità oggettiva, un tendere verso il riferirimento ad uno stato di cose oggettive?
Anche il concetto di "Ippogrifo" é formalmente universale (non meno di quello di "albero"), ma dove starebbe la sua ogettività, il riferirimento ad uno stato di cose oggettive cui tenderebbe?



in generale lo "sviluppo" non è mai una creazione dal nulla, ma il potenziamento, l'approfondimento di  qualcosa che già c'è, un certo nucleo preesistente. Dunque affermare che l'astrazione sarebbe il risultato di uno sviluppo non esclude di per sè che tale sviluppo non sia un processo che interessa degli elementi originariamente o innatamente presenti nella nostra mente. Inoltre in base a ciò che ho scritto non avrei alcun bisogno di negare che l'astrazione si realizzi non innatamente ma a partire dall'esperienza percettiva a-posteriori di oggetti particolari! Ciò che sostengo come innata (ma forse preferirei parlare di "originarietà" o "trascendentalità") non è l'astrazione nel complesso della sua struttura ma l'apprensione della nozione di "universalità", che sostengo sia elemento necessario ma non sufficiente dell'astrazione. Questa ha bisogno di una molteplicità di percezioni sensibili e di un riferimento universalistico che dia ai concetti che forma una valenza che li permetta di applicarli a oggetti in qualunque condizione empirica. Sintesi di forma e contenuto e se il contenuto non è innato non ha senso affermare l'innatezza del processo in generale!

CitazioneForse cominciamo un po' ad intenderci.
Ma l'apprensione della nozione di "universalità" come elemento necessario ma non sufficiente dell'astrazione in che senso può dirsi "innata"?
La nozione di "universalità" (a meno che, come di fatto solitamente avviene, non ci venga insegnata da altri che a loro volta l' hanno direttamente acquisita a posteriori oppure anch' essi indirettamente essendo stata anche a loro insegnata) si acquisisce a posteriori, in seguito ad esperienze, non la si sa (conosce) appena nati, prima di fare esperienze (allorché se ne ha solo la potenziale capacità di acquisirla).



davintro

Citazione di: sgiombo il 02 Settembre 2016, 09:54:58 AM
Citazione di: davintro il 02 Settembre 2016, 01:18:25 AMRispondo a Sgiombo La potenzialità o predisposizione è ciò che non è ancora o non è più attuale, mentre le cause che producono un effetto come l'astrazione devono essere tutte attuali, cioè reali. Attuale deve essere la percezione sensibile che apprende il contenuto dell'oggetto individuale, attuale deve essere l'avvertimento della nozione di universalità per la quale ciò che si astrae dal particolare vale per tutti gli individui possibili. Cosa farebbe passare la potenzialità della nostra mente soggettiva all'attualità per la quale concretamente interviene nel processo di astrazione?
CitazioneLe ripetute esperienze di enti o eventi particolari concreti accomunate dalle caratteristiche che per l' appunto il pensiero distingue dalle altre individuali o comunque relativamente meno universali e astrae. Senza che esista prima dell' astrazione stessa nessuna avvertibile nozione di universalità, che si acquisisce a posteriori, per l' appunto in seguito all' astrazione.
Io posso essere fisicamente predisposto per svolgere con buon profitto una certa attività sportiva ma questo ancora non è sufficiente a determinare il fatto che io svolga realmente bene quello sport (magari per pigrizia mi alleno poco oppure per disinteresse non inizio nemmeno a praticarlo). Così l'apprensione dell'idea di universale necessaria almeno formalmente per ogni concetto per essere attuale nell'astrazione deve essere un'intuzione attuale e non solo una "predisposizione".
CitazioneEsattamente come mettendomi a correre e allenandomi (in seguito a concrete esperienze che mi inducono a farlo) traduco in atto quelle che altrimenti rimarrebbero solo le mie mere potenzialità atletiche (mera potenzialità di correre velocemente, e non capacità attualmente reale, già innata in quanto tale, di correre velocemente), così pensando, stabilendo, definendo un concetto universale astratto (in seguito a concrete esperienze di casi particolari che lo esemplificano le quali mi inducono a farlo) traduco in atto quelle che altrimenti rimarrebbero solo le mie mere potenzialità gnoseologiche, teoriche (mera capacità di conoscere idee universali e non conoscenza attualmente reale, già innata in quanto tale, di idee universali).
Se un evento (l'astrazione) per realizzarsi ha bisogno del concorso del reale accadere causale di due fattori (la percezione sensibile del contenuto e l'intuizione dell'universalità che permette al concetto di comprendere tutti gli individui a prescindere dalla contingenza spaziotemporale nella quale posso farne esperienza), e uno dei due interviene attualmente e l'altro resta allo stato potenziale (di fatto un non-essere più o un non-essere ancora), l'evento non si realizza, fermo restando che, ovviamente la predispozione è fondamentale e necessaria.
CitazioneL' astrazione per realizzarsi ha bisogno del concorso del reale accadere causale delle percezioni sensibili (tante) del suo "contenuto" e della capacità (in assenza di tali percezioni sensibili meramente potenziale) di astrarre e di definire il concetto astratto: non c' è alcuna "intuizione" (sensazione? Conoscenza?) "dell'universalità" prima di questo processo mentale!
è vero che il concetto di "universalità" porta in sè come implicita una relazione (oppositiva) con il concetto di "particolarità", ma questo non ha nulla a che fare con il problema della genesi della presenza dell'idea di universalità nella nostra mente. Un conto è una relazione sul piano logico-concettuale un altro una relazione di tipo reale-psicologico. Il fatto che concettualmente l'idea di universalità comprenda il fatto di essere opposta al concetto di particolarità non vuol dire che quest'ultimo sia la causa del formarsi reale del primo nella nostra mente. Altrimenti, sarebbe come dire che essendo il concetto di "madre" in necessaria relazione logica con quello di "figlio" ci sarebbe una dipendenza genetica reale della donna madre con il figlio (e viceversa), mentre dal punto di vista della causalità esistenziale la dipendenza è unilaterale. La madre è causa dell'esistenza del figlio e non viceversa a prescindere dal fatto che prima di generare il figlio non poteva definirsi madre.
CitazioneNon ho mai sostenuto quanto qui giustamente neghi.
Occorre evitare la confusione tipica di un certo empirismo tra "sostanza" e "relazione". Il problema della genesi psicologica della realtà sostanziale dell'idea di universalità ( so che è un pò imbarazzante parlare di "realtà a proposito di un'idea, ma spero di riuscire a far capire che parlando di "realtà" considero la realtà psicologica della presenza dell'idea alla mente) dalle relazioni conseguenti alla sua natura. Tra l'altro se vale l'idea per cui la relazione determina una dipendenza il passaggio potrebbe essere tranquillamente percorso in senso inverso e determinare non la dipendenza dell'universale dal particolare, ma del particolare dall'universale e questo confermerebbe il carattere di anteriorità del concetto di quest'ultima
CitazioneIn che senso "occorre evitare la confusione tipica di un certo empirismo tra 'sostanza" e "relazione' "? Il periodo che segue queste parole mi é incomprensibile (non trovo un verbo della proposizione principale). Comunque non ho mai sostenuto che esistano fra i significati dei concetti (in particolare fra i significati dei concetti particolari e di quelli universali; mi scuso per il gioco di parole) soltanto, unicamente, "universalmente" relazioni di dipendenza causale. Casomai esistono necessariamente relazioni di interdipendenza (reciprocità, complementarità) logica e semantica. Relazioni causali esistono necessariamente solo nel processo (reale) di "confezionamento" di concetti universali da concetti particolari (singolari o comunque relativamente meno universali).

Chiedo scusa, in effetti ho dimenticato di inserire il verbo dopo la parentesi. Volevo scrivere che "Il problema della genesi psicologica della realtà sostanziale dell'idea di universalità (segue la parentesi) va distinto da quello delle relazioni conseguenti alla sua natura". Volevo dire che la realtà di un ente, compreso un ente ideale non si riduce al fatto di essere in relazione con altri enti, la relazione non è una realtà in sè, ma un modo d'essere di una realtà la cui ragione dell'esistenza non coincide necessariamente con la ragion d'essere delle sue relazioni, e a tal propostivo avevo fatto l'esempio della madre e del bambino. Mi è sembrato che sostenessi che la correlazione dell'idea di universalità e quella di particolarità dovesse portare a dedurre una dipendenza causale-psicologica della prima dalla seconda, mentre a mio avviso qualunque concetto in quanto tale, compreso quello di "particolarità", è posto dalla mente come avente valore universale, cosicchè l'universalità non può essere la conseguenza ma la condizione a-priori di ogni concetto. Per il resto provo a rispondere tra poco in un altro messaggio...

davintro

Citazione di: sgiombo il 02 Settembre 2016, 12:48:02 PM
Citazione di: davintro il 02 Settembre 2016, 02:53:27 AML'universalità formale del concetto "albero" permette di dare al giudizio un'intenzionalità oggettiva, un tendere verso il riferirimento ad uno stato di cose oggettive, che non ha nulla a che fare con il fatto che potrei sbagliarmi, qui ciò che conta è l'intenzione. Se il concetto "albero" non fosse universale non potrei porlo come criterio regolativo per un giudizio che intende essere oggettivo, perchè altrimenti il criterio potrebbe essere smentito da altri criteri she sfuggono al recinto semantico del concetto "albero", che in quanto non più universale, sarebbe limitato da tale recinto e non ponibile più come criterio assoluto (ripeto, assoluto come intenzionalità, nel momento in cui lo utilizzo, non "assoluto" nel senso che IN UN MOMENTO SUCCESSIVO non potrei modificarlo), andrebbe persa, non la reale oggettività del sapere scientifico, ma qualunque carattere tetico dei nostri giudizi, qualunque spinta intenzionale che li porti a rivolgersi alla rappresentazione dell'oggettività del reale, perchè ogni concetto non potrebbe essere considerato di volta in volta come universalmente valido a livello formale
CitazioneE l'universalità formale del concetto "ippogrifo" come può permettere di dare al giudizio un' intenzionalità oggettiva, un tendere verso il riferirimento ad uno stato di cose oggettive? Anche il concetto di "Ippogrifo" é formalmente universale (non meno di quello di "albero"), ma dove starebbe la sua ogettività, il riferirimento ad uno stato di cose oggettive cui tenderebbe?
in generale lo "sviluppo" non è mai una creazione dal nulla, ma il potenziamento, l'approfondimento di qualcosa che già c'è, un certo nucleo preesistente. Dunque affermare che l'astrazione sarebbe il risultato di uno sviluppo non esclude di per sè che tale sviluppo non sia un processo che interessa degli elementi originariamente o innatamente presenti nella nostra mente. Inoltre in base a ciò che ho scritto non avrei alcun bisogno di negare che l'astrazione si realizzi non innatamente ma a partire dall'esperienza percettiva a-posteriori di oggetti particolari! Ciò che sostengo come innata (ma forse preferirei parlare di "originarietà" o "trascendentalità") non è l'astrazione nel complesso della sua struttura ma l'apprensione della nozione di "universalità", che sostengo sia elemento necessario ma non sufficiente dell'astrazione. Questa ha bisogno di una molteplicità di percezioni sensibili e di un riferimento universalistico che dia ai concetti che forma una valenza che li permetta di applicarli a oggetti in qualunque condizione empirica. Sintesi di forma e contenuto e se il contenuto non è innato non ha senso affermare l'innatezza del processo in generale!
CitazioneForse cominciamo un po' ad intenderci. Ma l'apprensione della nozione di "universalità" come elemento necessario ma non sufficiente dell'astrazione in che senso può dirsi "innata"? La nozione di "universalità" (a meno che, come di fatto solitamente avviene, non ci venga insegnata da altri che a loro volta l' hanno direttamente acquisita a posteriori oppure anch' essi indirettamente essendo stata anche a loro insegnata) si acquisisce a posteriori, in seguito ad esperienze, non la si sa (conosce) appena nati, prima di fare esperienze (allorché se ne ha solo la potenziale capacità di acquisirla).

I giudizi esistenziali, per cui giudichiamo una tal cosa oggettivamente esistente o no, non sono i soli giudizi possibili. L'esistenza è solo uno dei tanti predicati potenzialmente attribuibili a un soggetto. Quindi l'universalità, sempre nell'accezione formale, del concetto di ippografo non è toccato dal fatto di sapere l'ippografo non esiste nella realtà. Il fatto che non sia un ente realmente oggettivo ma opera della fantasia soggettiva degli uomini non preclude affatto la possibilità di poter dare giudizi oggettivi su di esso, pena confondere il senso logico dell'idea di oggettività (il valore di verità oggettiva di un giudizio) con quello ontologico (l'essere realmente autonomo di qualcosa rispetto ad una mente soggettiva che lo pensa o lo immagina). L'universalità mi permette di porre il concetto di "ippografo" come modello ideale regolativo sulla base del quale poter emettere su un singolo ippogrifo dei giudizi aventi un'intenzionalità oggettiva. Posso dire che "l'immagine che ho di fronte ritrae un'ippogrifo" e posso giudicare oggettivamente vero tale enunciato, a prescindere dal fatto di sapere che l'immagine rppresenta un essere fantastico e non reale. Va confermata l'idea che l'universalità formale dei concetti permette a questi di comporre un giudizio intenzionato verso una realtà oggettiva, mentre la totale relativizzazione dei concetti condurrebbe anche al totale relativismo e scetticismo nelle nostre conoscenze, conoscenze che altro non sono che un complesso organico e oridnato di giudizi. Conoscere e giudicare. Su questo punto in particolare Kant ha perfettamente ragione: perchè si dia conoscenza scientifica occorre che tale conoscenza sia costiuita da giudizi, sì sintetici, ma a-priori.

Dire che la conoscenza è come tutti gli altri concetti un derivato a-posteriori dell'esperienza degli oggetti particolari porterebbe a smentire qualunque collegamento tra apparato concettuale della mente soggettiva e natura degli oggetti esperiti che devono essere adeguati a produrre nella nostra mente concetti che li comprendono. Si creerebbe un fossato così largo tra realtà e mente che dovrebbe portare all'annullamento di qualunque discorso razionale, empirista o innatista che sia. Certamente il concetto di casa è ricavato dall'esperienza di singole case reali, e il concetto di albero dall'esperienza di singoli alberi reali, perchè alberi e case sono realtà adeguate e corripondenti ai concetti di "casa" e "albero". Ma il concetto di "universalità" o "totalità" ? Da dove deriverebbe? A partire da quale esperienza a-posteriori di oggetti potrebbe essere ricavata l'idea di universalità? Perchè il principio di corrispondenza per cui il concetto di "albero" e "casa" sono ricavati da realtà che corrispondono al significato del concetto, cioè alberi e case, non varrebbe più per l'universalità che invece andrebbe ricava dall'esperienza di una realtà che universale non è, perchè contingente, mutevole e delimitata dallo spazio-tempo da cui ricaviamo a-posteriori l'esperienza? Non è piuttosto più coerente pensare che l'apprensione dell'universale  sia qualcosa dipendente dall'esperienza di qualcosa di realmente universale, adeguato a produrre quel concetto, un "qualcosa" operante al di là della contingenza spaziotemporale e con cui dunque la nostra mente è da sempre in contatto, a prescindere che raggiunga un livello di autocoscienza tale da rendersi conto di questo essere in contatto?

Phil

Citazione di: davintro il 03 Settembre 2016, 16:29:14 PMPerchè il principio di corrispondenza per cui il concetto di "albero" e "casa" sono ricavati da realtà che corrispondono al significato del concetto, cioè alberi e case, non varrebbe più per l'universalità che invece andrebbe ricava dall'esperienza di una realtà che universale non è?
Credo che la risposta a questa domanda sia l'"astrazione negativa" a cui accennavo in precedenza (e che, per inciso, non è una mia invenzione!): alcuni concetti non appartengono a realtà esperibili, ma sono stati comunque derivati dalla negazione di ciò che è esperibile. 
Come posso sapere cos'è l'"assenza", se sperimento solo presenze? E il concetto di "eternità"? E il "nulla"? Sono tutti concetti definiti (oltre che da una tradizione che ce li insegna e da un vocabolario che ce li spiega) logicamente dalla negazione di un'astrazione che possiamo basare sull'esperienza. 
Per questo alcune astrazioni creano falsi problemi e paradossi che "concretamente" non sussistono (Zenone docet!).

L'universalità (una volta acquisita per astrazione dalla particolarità), secondo me, è come l'"esponente" matematico, la "potenza" che moltiplica i risultati della singola astrazione; ad esempio: guardo una cavallo - astraggo alcune caratteristiche - ottengo la "forma astratta di quel cavallo" ("FC") - negando l'individualità (dell'esperienza conoscitiva di quel singolo cavallo), ottengo una non-individualità dell'esperienza, detta universalità (n) - coniugo la "forma astratta" di cavallo (FC) con la congetturata universalità (n) - inizio a pensare quella "forma astratta" valida per un numero infinito di cavalli (FCn). 
Salvo poi dover verificare se in quella forma ho considerato qualcosa che invece è solo una contingenza particolare di quel singolo cavallo...

Citazione di: davintro il 03 Settembre 2016, 16:29:14 PMNon è piuttosto più coerente pensare che l'apprensione dell'universale sia qualcosa dipendente dall'esperienza di qualcosa di realmente universale
[corsivo mio]
Se anche esperissimo qualcosa di universale non lo sapremmo mai con certezza, perché non potremmo verificarne l'universalità, quindi non potrebbe essere quella l'esperienza che fonda l'universale come concetto (salvo crederci per fede... ma tale credenza tuttavia presuppone già l'acquisizione del concetto di universalità da una tradizione o da un "vocabolario", per cui tale concetto di universalità sarebbe semplicemente "ricevuto" e presupposto...).

sgiombo

#27
Citazione di: davintro il 03 Settembre 2016, 16:29:14 PM
I giudizi esistenziali, per cui giudichiamo una tal cosa oggettivamente esistente o no, non sono i soli giudizi possibili. L'esistenza è solo uno dei tanti predicati potenzialmente attribuibili a un soggetto. Quindi l'universalità, sempre nell'accezione formale, del concetto di ippografo non è toccato dal fatto di sapere l'ippografo non esiste nella realtà. Il fatto che non sia un ente realmente oggettivo ma opera della fantasia soggettiva degli uomini non preclude affatto la possibilità di poter dare giudizi oggettivi su di esso, pena confondere il senso logico dell'idea di oggettività (il valore di verità oggettiva di un giudizio) con quello ontologico (l'essere realmente autonomo di qualcosa rispetto ad una mente soggettiva che lo pensa o lo immagina). L'universalità mi permette di porre il concetto di "ippografo" come modello ideale regolativo sulla base del quale poter emettere su un singolo ippogrifo dei giudizi aventi un'intenzionalità oggettiva. Posso dire che "l'immagine che ho di fronte ritrae un'ippogrifo" e posso giudicare oggettivamente vero tale enunciato, a prescindere dal fatto di sapere che l'immagine rppresenta un essere fantastico e non reale.

CitazioneChe "Quindi l'universalità, sempre nell'accezione formale, del concetto di ippografo non è toccato dal fatto di sapere  che l'ippografo non esiste nella realtà. Il fatto che non sia un ente realmente oggettivo ma opera della fantasia soggettiva degli uomini non preclude affatto la possibilità di poter dare giudizi oggettivi su di esso" concordo; ma allora non è vero che "L'universalità formale del concetto [in generale, necessariamente nel caso di qualsiasi concetto, anche quello di "ippogrifo] permette di dare al giudizio un'intenzionalità oggettiva, un tendere verso il riferimento ad uno stato di cose oggettive" (se non, in certi casi, come quello del concetto di "ippopgrifo", negandolo al concetto stesso).
Mentre il concetto può avere un' intenzionalità oggettiva (per esempio "albero") o meno ( per esempio "ippogrifo"), invece il giudizio può essere oggettivamente vero se nega l' esistenza di un riferimento a uno stato di cose oggettive circa il concetto universale di "ippogrifo" (che ne soddisfi l' intenzionalità), il quale in fatti non esiste, non si dà nella realtà (indipendentemente dal fatto di essere eventualmente anche pensata o meno), ma unicamente nel pensiero circa la realtà; o falso se lo afferma.
Se invece vogliamo attribuire l' intenzionalità ai giudizi, anzichè ai concetti di cui predicano, allora i giudizi su un singolo ippogrifo (al contrario di quelli su un singolo albero esistente; o all' immagine di un ippogrifo che puoi avere davanti, che è ben altra cosa da un ippogrifo, come l' immagine di un albero è ben altra cosa di un albero!) possono avere e hanno un' intenzionalità soddisfatta dal riferimento a qualcosa di meramente pensato (e reale unicamente in quanto tale), un riferimento meramente concettuale e non reale indipendentemente dall' eventuale essere anche pensato o meno (al contrario dei giudizi su un singolo albero realmente esistente).


Va confermata l'idea che l'universalità formale dei concetti permette a questi di comporre un giudizio intenzionato verso una realtà oggettiva, mentre la totale relativizzazione dei concetti condurrebbe anche al totale relativismo e scetticismo nelle nostre conoscenze, conoscenze che altro non sono che un complesso organico e oridnato di giudizi. Conoscere e giudicare. Su questo punto in particolare Kant ha perfettamente ragione: perchè si dia conoscenza scientifica occorre che tale conoscenza sia costiuita da giudizi, sì sintetici, ma a-priori.

CitazioneMa esistono concetti universali e anche particolari; per esempio il concetto del mio gatto Attila (che é "cosa" diversa dalla "cosa" costituita dal mio gatto Attila: la seconda potrebbe benissimo esistere anche senza la prima; e viceversa, come dimostra l'esistenza del concetto particolare di "ippogrifo Pegaso").
Inoltre rimando alle considerazioni esposte appena sopra circa il possibile riferimento dei concetti universali a un mero ente di pensiero (cosa reale unicamente in quanto pensata), oltre che a una cosa reale indipendentemente dall' essere eventualmente anche pensata (ente anche di pensiero) o meno.


Ho sempre dissentito da Kant sulla presunta esistenza di giudizi sintetici a priori (a priori o si stabiliscono arbitrariamente definizioni, che non sono conoscenza, non essendo giudizi, o si deducono giudizi analitici, che non fanno che esplicitare conoscenza di già implicata nelle premesse.


Dire che la conoscenza è come tutti gli altri concetti un derivato a-posteriori dell'esperienza degli oggetti particolari porterebbe a smentire qualunque collegamento tra apparato concettuale della mente soggettiva e natura degli oggetti esperiti che devono essere adeguati a produrre nella nostra mente concetti che li comprendono. Si creerebbe un fossato così largo tra realtà e mente che dovrebbe portare all'annullamento di qualunque discorso razionale, empirista o innatista che sia.

CitazioneCome tutti gli altri concetti é un derivato a-posteriori il concetto di "conoscenza", non il fatto della conoscenza, il quale ultimo è consentito dai rapporti reali di fatto fra mente e mondo (se si ammettono alcune tesi indimostrabili non esiste alcun "fossato" incolmabile fra mente conoscente e mondo conosciuto, anche se il concetto di "conoscenza" si acquisisce a posteriori).


Certamente il concetto di casa è ricavato dall'esperienza di singole case reali, e il concetto di albero dall'esperienza di singoli alberi reali, perchè alberi e case sono realtà adeguate e corripondenti ai concetti di "casa" e "albero". Ma il concetto di "universalità" o "totalità" ? Da dove deriverebbe? A partire da quale esperienza a-posteriori di oggetti potrebbe essere ricavata l'idea di universalità? Perchè il principio di corrispondenza per cui il concetto di "albero" e "casa" sono ricavati da realtà che corrispondono al significato del concetto, cioè alberi e case, non varrebbe più per l'universalità che invece andrebbe ricava dall'esperienza di una realtà che universale non è, perchè contingente, mutevole e delimitata dallo spazio-tempo da cui ricaviamo a-posteriori l'esperienza? Non è piuttosto più coerente pensare che l'apprensione dell'universale  sia qualcosa dipendente dall'esperienza di qualcosa di realmente universale, adeguato a produrre quel concetto, un "qualcosa" operante al di là della contingenza spaziotemporale e con cui dunque la nostra mente è da sempre in contatto, a prescindere che raggiunga un livello di autocoscienza tale da rendersi conto di questo essere in contatto?

CitazioneDirei che certamente il concetto di casa è ricavato dall'esperienza di singole case reali, e il concetto di albero dall'esperienza di singoli alberi reali, perchè i concetti di "casa" e "albero" sono adeguati e corrispondenti alla realtà di alberi e case.

(A meno che non lo si acquisisca "di già confezionato" per insegnamento da altri, come per lo più di fatto accade) il concetto di "universalità"(e analogo discorso vale per "totalità") si acquisisce a posteriori per astrazione per così dire "al quadrato" (e dunque "a posteriori al quadrato" o "ulteriormente a posteriori"), cioè astraendo (ulteriormente) una caratteristica generale (per l' appunto quella dell' universalità) che è comune a vari concetti universali astratti dei quali necessariamente, come conditio sine qua non, si è fatta precedentemente esperienza (che si è a loro volta precedentemente acquisiti per astrazione e pensati), come quelli di "cavallo", "gatto", "sentimento", ecc., ecc., ecc. (che sono relativamente meno universali-astratti, ovvero relativamente più particolari-concreti di quello che da essi si astrae di "universalità"); astrazione che naturalmente non si esaurisce nella mera distinzione di ciò che è comune a tutti gli oggetti "finora" esperiti in passato "rientranti nei" concetti considerati,  (di "cavallo", "gatto", "sentimento", ecc., ecc., ecc.), ma lo "proietta induttivamente" anche ad eventuali -potenziali- altri oggetti considerabili in futuro in numero indefinito, illimitato, attraverso un' ulteriore elaborazione teorica stabilendo per definizione il concetto di "universalità".
Ciò che vale per i concetti di alberi e case vale esattamente allo stesso modo per l'universalità che infatti si ricava esattamente allo stesso modo dalle esperienze di realtà (concettuali, in questo caso) che così tanto universali non sono (sono relativamente meno universali), relativamente più particolari e delimitati dallo spazio-tempo, le quali sono nell' esperienza (mentale, in questo caso).

Un "qualcosa" operante al di là della contingenza spaziotemporale e con cui dunque la nostra mente è da sempre in contatto, a prescindere che raggiunga un livello di autocoscienza tale da rendersi conto di questo essere in contatto mi sembra una frase senza senso: come può (in che senso?) la nostra mente essere (da sempre) in contatto con qualcosa senza raggiungere un livello di auto(?)coscienza tale da rendersi conto di questo essere in contatto? Tutto ciò che fa la nostra mente cosciente è (l' unico genere di !"contatto" che può avere con altre "cose" consiste nel) "rendersi conto" (avere consapevolezza fenomenica, sentire interiormente o "avvertire" qualcosa), e non altro.

maral

Citazione di: sgiombo il 01 Settembre 2016, 21:22:06 PM
Per definizione si conoscono con certezza le sensazioni fenomeniche (esteriori-materiali ed interiori-mentali), se esse si avvertono (accadono) e (si avvertono le sensazioni interiori o mentali costituenti il fatto che) si predica che accadono (definizione di conoscenza = predicazione conforme alla realtà, ovvero predicazione che accade realmente qualcosa accadendo realmente tale qualcosa, o che non accade realmente qualcosa non accadendo realmente tale qualcosa).

Che cosa significa conoscere? Io penso che conoscere sia semplicemente vivere e che non si possa né vivere né conoscere "per definizioni", le definizioni a volte aiutano, ma sempre ingannano. Noi siamo sempre conformi alla realtà e tutto quello che accade comunque realmente accade, esterno e interno insieme. Esterno e interno sono solo definizioni per una catalogazione comoda ai nostri discorsi.
Noi, in quanto umani, sbagliamo (e tutti sbagliamo) non perché i nostri discorsi, i nostri pensieri, immaginazioni e prassi non sono conformi a una esterna realtà in sé, dato che la realtà solo in questi discorsi, pensieri, immagini e prassi si manifesta comunque si presentino, ma perché non riusciamo a intenderli nel loro contesto, non vogliamo vederli in rapporto a quello sfondo specifico, da noi stessi determinato per come ne veniamo determinati (ciascuno o collettivamente), in cui risiede la validità del loro significato.
Tutto ciò che appare in qualche modo realmente accade e accade significando qualcosa in rapporto a qualcos'altro che è un altro significato di immagini che continuamente si presentano esigendo che un senso possa venire trovato. E questo senso in qualche misura è sempre arbitrario e in qualche misura no e distinguerlo in questi termini non è un atto assoluto ed eterno, ma dipende dai contesti (fisici, biologici, cognitivi e sociali) in cui si manifesta.    


CitazioneLa cosa in sé o noumeno (se c' è) per definizione non è accessibile alla sensazione, che per definizione è (e non può essere che) apparenza, fenomeno.

E' invece accessibile all' intelletto, che la, può pensare, ne può parlare (come di fatto qui si sta facendo), che essa esista realmente o meno)

Qui non stiamo parlando di cose in sé (anche se si può avere la pretesa di farlo), perché ciò che si può concepire e parlare non è mai la cosa in sé semplicemente per il fatto che nulla si può dire dell' "in sé" del quale si può propriamente solo tacere, anche se continuamente di esso si vuole dire qualcosa facendolo apparire.


CitazioneInnanzitutto faccio una domanda a mia volta: in che modo ci sarebbe già presente nella mente l' idea di una bellezza e di una bontà, prima di esperire cose belle e buone? C' é da qualche parte qualcuno (sano di mente) che ricorda di aver da sempre saputo cosa sia la bellezza anche prima di vedere qualcosa di concreto che gli ha fatto l' impressione della bellezza (che gli é parso bello)?

Certo, lo avevo già detto, è impossibile un'idea di bellezza senza che vi siano cose belle, ma è ugualmente impossibile che vi sia alcuno che sappia vedere cose belle senza che non senta prima in sé la bellezza. La bellezza non è, come vorrebbe un certo realismo ingenuo,  un "a posteriori" rispetto all'esperienza delle cose.

Citazione...Dopo un bel po' di tutte queste esperienze stabilisce di chiamare "esperienza della bellezza" quel certo carattere comune a tutti i sentimenti di cui sopra, e che potrebbe riproporsi indefinitamente di fronte ad altre donne, ad altre opere d' arte, ad altre musiche, ad altri paesaggi, ecc. (e non di fronte alla visione della giornalista Lucia Annunziata, a un opera di Renzo Piano, a un rap, a una discarica di rifiuti, ecc.).
E come fai a sentire quel certo carattere comune senza che ti sia dato come carattere comune? Tu stai dicendo che la bellezza è un tratto comune (che così si "stabilisce di chiamare", come se il suo significato fosse solo una questione arbitraria di nomi!) che si ripete nelle diverse esperienze di cose in diverso modo belle senza accorgerti della "petitio principii": come si possono sentire diverse modalità di bellezza, senza che vi sia il sentimento di quella stessa bellezza che si vorrebbe spiegare a partire da esse?
Pensare che vi siano prima cose belle senza la bellezza che le rende in modo diverso tali è tanto assurdo quanto pensare che vi sia prima una bellezza ideale astratta senza le cose diversamente e concretamente belle.  







maral

Citazione di: Phil il 01 Settembre 2016, 21:49:04 PM
Dal mio punto di vista, il ruolo del linguaggio e della sua acquisizione viene spesso sottovalutato: se è vero che è il linguaggio a strutturare l'orizzonte di senso in cui ciascuno vive, le idee-ops!-astrazioni concettuali vengono prima apprese dalla cultura in cui si cresce (o costruite per "induzione linguistica" come suggerisce Sgiombo con l'esempio della bellezza), poi, esperendo e riflettendo, possono essere personalizzate... se riconosco e definisco qualcosa come "bello" o "duplice" o "astratto" è perché mi è stato precedentemente insegnato e spiegato cosa significa "bello" e "duplice" e "astratto", e come individuare queste caratteristiche nell'esperienza (oppure, in alternativa, creerò dei neologismi...).
E chi lo ha insegnato cosa significano "bello" e "duplice" e "astratto" a chi te lo ha insegnato? Dove sono stati trovati originariamente quei termini? Certamente questi significati, come ogni significato, è dato dalla cultura in cui si cresce, ma ogni cultura come lo ottiene? Dove lo trova?

CitazioneL'astrazione per eccellenza è quella del linguaggio, e proprio il linguaggio (con la sua logica) è l'unico paradigma imprescindibile per il ragionamento (idealista o materialista che sia), ma già nel riconoscerne il funzionamento si ha qualche indizio per risolvere le sue apparenti aporie: se non mi fosse stato insegnato che esiste "il bello", o meglio, che si può parlare di un'esperienza/percezione come "bella", non mi si potrebbe porre la dialettica viziosa fra percezione-del-bello/criterio-della-bellezza.
Quindi, per me, tutto parte dal linguaggio, dall'acquisizione "eteronoma" delle sue parole-definizioni-concetti, per poi proseguire il laborioso tentativo di "calibrazione" del proprio vocabolario basandosi sull'esperienza.

P.s. In questa constatazione dell'egemonia della linguisticità, non scorgo traccia nè della metafisica, nè di paradossi...
Io non penso che, pur essendo fondamentale per l'essere umano l'esperienza del linguaggio e che solo in questa dimensione linguistica comunicativa (intesa nel senso più ampio possibile) la questione può avere significato, ma nessuno insegna che esiste il bello o che una certa esperienza delle cose è bella come una diversa esperienza. Al massimo si insegna un vocabolo con cui poter comunicare il proprio sentire e non il sentire né il modo di sentire in esso la qualità. Questa mi pare piuttosto una disposizione originaria che potrà anche essere rimossa, ma che non si apprende e non si ricava per semplice induzione, ma semmai rende possibile ogni induzione.

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