conoscenza e critica della conoscenza

Aperto da davintro, 15 Agosto 2016, 18:26:43 PM

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sgiombo

#165
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 13:59:23 PM
Per quanto riguarda la questione sul divenire e come la intende Severino se ne è molto discusso a suo tempo nel vecchio forum. Comunque in breve Severino parte dalla tautologia di ogni ente che si basa sul principio di identità (A è A) su cui non si può dubitare. Se A è A non potrà mai essere qualcosa di diverso da A nella sua concreta presenza (ove concreta significa completamente definita) da quello che è, quindi non solo Phil che adesso legge questo messaggio è mai stato un oocita, né un embrione, né un feto, tutti enti diversi da quello che Phil che legge questo messaggio è, ma non è nemmeno il Phil che qualche ora fa scriveva un altro messaggio, anche costui è un ente diverso ed eterno, non potendo mai essere altro da quello che è. Severino considera la fede nel divenire la follia e la violenza estrema dell'Occidente (che si esercita ogni volta che si vuole far diventare una cosa un'altra cosa), appunto perché con essa si crede che le cose possano essere ciò che non sono, pur restando ciò che sono (se dico che A è diventato B, dico che pur non essendo A B a un certo momento A è davvero B, e per diventare B A si è annullato pur rimanendo A).

CitazioneMannaggia a me, che non riesco a trattenermi dall' obiettare (per l' ennesima volta)!
Cercherò almeno di limitarmi al "minimo sindacale".


Da dove salta fuori questo "mai" (
Se A è A non potrà mai essere qualcosa di diverso da A)?
Se A è A in un determinato tempo o/e luogo non potrà assolutamente in alcun modo essere qualcosa di diverso da A in tale
determinato tempo o/e luogo, mentre in un altro tempo (successivo) potrà benissimo essersi trasformato in B (per esempio: A= l' embrione di ciascuno di noi; B = ciascuno di noi oggi).




CitazioneMa come si risolve che il percettore percepisce il mutamento e non questi enti eterni?
Ottima domanda, infatti fenomenologicamente gli enti eterni non appaiono. Ma per Severino  noi non percepiamo affatto il mutamento, il mutamento che crediamo di percepire è solo il frutto di una volontà di crederlo (noi non percepiamo A che diventa B, ma A e B e poi affermiamo volendolo credere che l'uno è diventato l'altro). Questa fede sostiene che le cose possano cambiare pur rimanendo le stesse (lo stesso uomo che da embrione diventa bambino, poi adulto, poi  vecchio poi cadavere pur rimanendo il medesimo uomo). Questo errore è dato dal pensare astrattamente le cose non nella loro concreta ed effettiva interezza che è eterna e si manifesta nella dimensione di un continuo sopraggiungere e passare oltre degli enti eterni nei vari contesti di significato in cui parzialmente si mostrano. La dimensione in cui appaiono gli eterni è dunque quella di un immenso fluire la cui totalità è infinita.

CitazioneVeramente la mia volontà sarebbe che io, Sgiombo, restassi lo Sgiombo giovane di quando avevo vent' anni...
Ma malgrado la mia volontà di crederlo (non assoluta: per fortuna so accettare il destino), ciò che credo di percepire é invece il mio inesorabile diventare sempre più vecchio (e vicino alla morte).


sgiombo

Citazione di: anthonyi il 28 Settembre 2016, 14:33:38 PM
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 13:59:23 PM
La tesi di una lingua comune non è altro che l'ipotesi sulla radice comune delle lingue Indo-Europee, cioè delle lingue sviluppatesi nelle aree mediterranee, mediorientali fino al continente Indiano, certamente c'è chi la mette in discussione ma è una tesi linguisticamente dominante. Essa è d'altronde associata con contenuti culturali, mitologici e cultuali che mantengono elementi comuni in tutte queste aree.
CitazioneLa tesi di una lingua originaria comune indoeuropea penso sia messa in discussione da ben pochi e ben poco convincentemente.
Ma é diversa da quella di una lingua autenticamente universale originaria innata.

sgiombo

Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 14:33:54 PM
Per meglio chiarire ancora la questione mi rifaccio a un testo di Sini che è su posizioni pragmatiche ben diverse da quelle severiniane.  Nell'opinione comune, osserva Sini, si pensa che le parole siano dei segni convenzionali per indicare o evocare (nominare) l'assente. Se dico ad esempio "cavallo" io evoco quel particolare ente che è un cavallo quando ad esempio non abbiamo un cavallo sotto gli occhi. La parola sta al posto della cosa che non c'è. Ma, fa ancora notare Sini, per potersi accordare che la vocalizzazione (il segno vocale) "cavallo" significa l'animale in questione, dobbiamo già avere un linguaggio e delle parole e delle parole. Ma, aggiunge, "il fatto fondamentale è che la cosa della parola è assente anche quando, per ipotesi, la cosa stessa sia presente. La presenza davanti a noi di un cavallo non renderebbe meno assente l'oggetto della parola "cavallo". E inoltre noi non potremmo avere alcuna "cosa" nella presenza, alcun "cavallo", se già prima non si fosse per noi aperto lo spazio della parola, della nominazione... le cose si manifestano nelle parole e non prima di esse, così che noi possiamo stabilire dei segni che vi rimandino." (da C.Sini "Il silenzio e la parola")
Questo significa, che anche chi pensa in modo esperenziale e strettamente fenomenologico, senza alcuna implicazione metafisica ontologica, che nessuna cosa può essere prima della parola che la nomina, cosa e parola sono sempre insieme, sono il frutto di una rete di relazioni assai complessa che sola ce ne dà presenza reale e significato, sempre indissolubilmente e originariamente insieme.
CitazioneDunque -se ben capisco- secondo Sini quando nessun uomo in grado di parlare era ancora comparso sulla terra, e dunque non esisteva la parola (o meglio la locuzione costituita da due parole) "monte Bianco" il monte Bianco non esisteva (come insieme di sensazioni fenomeniche nell' ambito delle esperienze coscienti di altri animali già esistenti (per esempio aquile, stambecchi, lupi, ecc.).

Non sono d' accordo.

maral

Citazione di: Sariputra il 28 Settembre 2016, 14:57:52 PM
Nel reale infatti osserviamo che l'entità seme, diventa l'entità germoglio e poi l'entità albero. Dov' è andato l'ente seme quando percepiamo l'ente albero ? Non è "scomparso" nel Nulla , ma si è trasformato nell'ente albero, che diventerà ente humus e così via in eterno...Questo non mi sembra contraddica il principio di identità. Quando il seme esiste come seme è un seme, quando esiste come germoglio è un germoglio, e così via. Quando è albero non sarà certo roccia; quando è seme non sarà ancora albero.
Ma se il seme si è trasformato nell'albero, il seme non c'è più. quindi l'ente seme è diventato nulla e da quel nulla del seme è saltato fuori l'albero. E pur tuttavia per dire che il seme è diventato albero, fa notare Severino, ho bisogno di pensare quel seme presente nell'albero. La contraddizione sta qui e alla luce del principio di identità Severino ha ragione. Il seme in quanto è seme non sarà mai un albero proprio come non sarà mai una roccia; seme, albero e roccia sono tre enti diversi che vengono ad apparire. Nel caso di seme ed albero, essi hanno qualcosa in comune per cui l'apparire del seme richiama quello dell'albero facendoli apparire uno dopo l'altro, ma restano nella loro concreta interezza due enti diversi ed eterni (la sostanza del seme resta sil seme, esattamente come quella dll'albero l'albero per come sono in ogni minimo dettaglio).
Si noti che il mutare è percepito come minaccia (oltre che una grande opportunità di potenza) da tutto il pensiero occidentale che, per porsi al sicuro dal divenire inesorabile in cui fermamente crede, immagina enti privilegiati, eterni, sottratti al mutare (Dio è il classico esempio) che possono salvaguardarci. Severino nega che ci sia alcuna necessità di questi enti privilegiati, poiché tutti gli enti in quanto tali sono eterni.
CitazioneTra l'altro, se non comprendo male, il portare alle estreme conseguenze il concetto di enti ( come fa Severino, mi par di capire) fa rientrare dalla finestra il concetto di Divenire, da lui negato e ritenuto cacciato dalla porta. Infatti, se tutti questi infiniti enti appaiono e devono seguire una logica nell'apparire, in che cosa differiscono dal divenire stesso? Dire che un corso d'acqua fluisce per la somma di infinite, eterne e immutabili, goccioline o dire che infinite goccioline si trasformano in un corso d'acqua fluente non è, di fatto, la stessa cosa?
La differenza è che nell'apparire l'ente non diventa mai nulla, mai altro da ciò che è e continua a mostrarsi in infiniti contesti diversi e questo continuo poter apparire di tutti gli enti nelle relazioni che li richiamano è quella che Severino chiama Gioia della Gloria contrapposta alla Terra Isolata in cui il continuo apparire degli eterni è concepito come divenire dei morenti che sono solo per un istante infinitesimo, tra il nulla originario e il nulla che li attende. In tal senso il feto, il bimbo, l'adolescente che pensi di essere stato e il vecchio che pensi sarai non sono l'ente che sei essendo diversi e questa storia appartiene solo all'ente che ora sei e che, in quanto è, è sempre.
Citazione di: Phil il 28 Settembre 2016, 16:41:22 PM
Concordo; inoltre mi sembra problematico proprio il definire l'identità dell'ente eterno; va bene astrarre logicamente in "A" e "B", ma concretamente (onticamente): se io che adesso scrivo, sono un ente diverso dal me che 15 minuti fa stendeva i panni, non diventa puro arbitrio (e quasi capriccio) distinguermi e scandirmi in enti potenzialmente infiniti?
Per Severino, al contrario è proprio il pensare astrattamente che conduce al divenire, mentre pensare concretamente l'ente per come è fa emergere la sua necessaria (quindi mai contingente) eterna specifica identità che gli è propria (differente da quella di qualsiasi altro ente). E' la peculiarità differente di ogni ente a essere eterna e insopprimibile. Detto questo noi non possiamo immaginarci che come una storia, ma questa storia è sempre in un eterno presente, è il presente di ciò che siamo che si presenta (appare) sempre come memoria di un passato e aspettativa di un futuro.
Non aggiungerò altro qui su Severino, altrimenti il discorso si farebbe troppo esteso, ben oltre il tema trattato.

Phil

Citazione di: sgiombo il 28 Settembre 2016, 18:46:44 PM
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 14:33:54 PM"il fatto fondamentale è che la cosa della parola è assente anche quando, per ipotesi, la cosa stessa sia presente. La presenza davanti a noi di un cavallo non renderebbe meno assente l'oggetto della parola "cavallo". E inoltre noi non potremmo avere alcuna "cosa" nella presenza, alcun "cavallo", se già prima non si fosse per noi aperto lo spazio della parola, della nominazione... le cose si manifestano nelle parole e non prima di esse, così che noi possiamo stabilire dei segni che vi rimandino." (da C.Sini "Il silenzio e la parola") Questo significa, che anche chi pensa in modo esperenziale e strettamente fenomenologico, senza alcuna implicazione metafisica ontologica, che nessuna cosa può essere prima della parola che la nomina, cosa e parola sono sempre insieme, sono il frutto di una rete di relazioni assai complessa che sola ce ne dà presenza reale e significato, sempre indissolubilmente e originariamente insieme.
CitazioneDunque -se ben capisco- secondo Sini quando nessun uomo in grado di parlare era ancora comparso sulla terra, e dunque non esisteva la parola (o meglio la locuzione costituita da due parole) "monte Bianco" il monte Bianco non esisteva (come insieme di sensazioni fenomeniche nell' ambito delle esperienze coscienti di altri animali già esistenti (per esempio aquile, stambecchi, lupi, ecc.). Non sono d' accordo.
Non credo sia un caso che Sini parli di "manifestazione delle cose nelle parole" e non di "esistenza", per cui non so fino a che punto è [/size]lecito parafrasarlo con "nessuna cosa può essere prima della parola che la nomina"(cit. Maral).
Mi pare Sini alluda piuttosto alla necessità di avere un nome, per poter "essere una cosa"(identificata), e quindi per potersi manifestare nel 
linguaggio (non ontologicamente!). Almeno è così che interpreto quel "noi non potremmo avere alcuna "cosa" nella presenza, alcun "cavallo", se già prima non si fosse per noi aperto lo spazio della parola, della nominazione", ovvero: se supponiamo non esista la parola "cavallo" come nominazione di quell'ente, non è possibile parlare del "cavallo", e quindi anche quando ce l'ho presente davanti a me, non è per me un "cavallo", giacché tale nominazione non è stata ancora formulata (per ipotesi).

Qualche pagina dopo quella citazione, Sini infatti dice: "La parola ha l'assente dentro di sè per sua costituzione e natura o non sarebbe parola. Il suo assente non è diverso quando la cosa empirica sta lì davanti o quando sta altrove; e anzi la cosa empirica può stare lì davanti solo perchè la parola ha nominato l'assenza, il per tutti" (p. 58), e questo "per tutti" è tale in virtù dell'astrazione linguistica che consente di parlare di oggetti assenti, proprio in quanto astratti, in un modo che tutti comprendano.

Quindi, se intendiamo così il discorso di Sini, il Monte Bianco esisteva anche prima della "comunità parlante", ma nessuno lo aveva "battezzato" così, quindi non era ancora il "Monte Bianco" (se non ho frainteso, la morale della favola è: finché qualcosa non ha una sua parola, una sua nominazione, resta non dicibile, non predicabile e non "ragionabile").

maral

Citazione di: sgiombo il 28 Settembre 2016, 18:46:44 PM
Dunque -se ben capisco- secondo Sini quando nessun uomo in grado di parlare era ancora comparso sulla terra, e dunque non esisteva la parola (o meglio la locuzione costituita da due parole) "monte Bianco" il monte Bianco non esisteva (come insieme di sensazioni fenomeniche nell' ambito delle esperienze coscienti di altri animali già esistenti (per esempio aquile, stambecchi, lupi, ecc.).

Non sono d' accordo.
Sgiombo, quello che Sini (e non solo Sini che si riferisce a tutta una corrente fenomenologica pragmatica di pensiero che si rifà a Wittgenstein, Husserl, Whitehead, Pierce, Mead, Derrida e via dicendo) viene dicendo è che per l'essere umano, in quanto essere continuamente parlante, le cose esistono solo nel loro significare e questo significare è parola, le cose sono inseparabili dalle parole con cui le si nomina. Non è che io vedo qualcosa e poi mi invento o convengo con degli altri su una parola per farne segno della cosa evocandola quando quella cosa non mi sta davanti, subito la parola si presenta se c'è la cosa, per il fatto che c'è come un significato, un'espressione vocale che ha un significato che risuona. Che poi questa espressione vocale sia diversa da lingua a lingua dipende dai dai contesi culturali contingenti e locali, ma la parola, qualsiasi essa sia, è necessaria alla cosa, proprio per poterla considerare oggettiva, condivisibile. E' alla luce del significato di questa parola "Monte Bianco" che noi riteniamo che quella cosa sia un monte (altra parola) e che quel monte è una parola che significa che quella cosa deve essere sempre esistita ed esistita per tutti, dove "esistita per tutti" sono ancora parole. E' implicito nella parola umana il significato di qualsiasi pre esistenza, non nella cosa. Per un bambino appena nato, per le aquile, gli stambecchi e i lupi che magari vivono sul monte, il monte non lo esperiscono come ciò che noi consideriamo monte vedendo degli stambecchi che ci si arrampicano sopra e attribuendogli di conseguenza il significato che noi gli diamo, non c'è per loro un soggetto che conosce qualcosa che sta fuori da lui come qualcosa a se stante più o meno permanente. Non è il "monte". perché non c'è né il monte né un me che possa concepirlo tale, con il significato (compreso quello di essere pre esistente a ogni esistenza) che noi, in quanto parlanti gli attribuiamo. Cos'è allora quel monte per essi che non hanno parola per concepirlo? Cos'è il monte prima di nominarlo? è un puro accadere in cui non è presente alcuna specificazione oggettuale, non è presente né soggetto, né oggetto, né monte, né stambecco che sta sul monte e nemmeno alcuna pre esistenza, perché l'accadere accade solo adesso e quando non accade non c'è e precede ogni distinzione tra dentro e fuori. E' solo la parola che lo fa rimanere e la parola costruisce la metafisica che lo pone e la scienza stessa, umana, che lo definisce e lo studia, perché anche la scienza, anche la matematica si esprime a parole.
Come vedi siamo all'opposto del pensiero severiniano e ai suoi enti eterni, ma alla fine si arriva a qualcosa di molto simile, se intendiamo che l'ente è il suo stesso completo significare in un mondo che per l'uomo implica il suo nome non come un'aggiunta arbitraria o semplicemente convenuta a posteriori potendo anche non convenirne: la cosa non è altro che il suo nome che risuona a tutti noi per come risuona.

maral

#171
Ma Phil, se si dice:  "la cosa empirica può stare lì davanti solo perchè la parola ha nominato l'assenza, il per tutti" come fa la cosa empirica a starci davanti lì per tutti senza che la parola ne nomini l'assenza? Certo che la cosa empirica (intesa come esperienza) c'è? ma cos'è quella cosa empirica? Un monte? un cavallo? Carlo Sini? un fungo? Solo nella parola la cosa empirica che è esperita come relazione ci si mostra davanti oggettualmente (come oggetto per tutti) e non certo per mera e arbitraria convenzione.
Sini è molto chiaro quando descrive l'esperienza di un bambino di un anno che ha fame, noi diciamo che "ha fame", perché abbiamo la parola per dire e intendere "fame" e quindi per dire e intendere un bambino come un soggetto che ha fame, la fame esiste per noi oggettivamente nella nostra parola, per quel bambino la fame è lui stesso, lui è la fame perché non sa dirla, lui è la pappa, perché non ha parola per dirla. E certo che ha fame, ma quello che noi intendiamo per fame non è l'esperienza che lui vive prima della parola, non è per nulla la stessa cosa. Ed è la stessa cosa che dicono Maturana e Varela quando scrivono della necessità di distinguere il mondo descritto dall'osservatore e quello che vive l'unità vivente come tale. Poi anche loro per distinguere tra questi mondi devono usare le parole, non possono fare altrimenti. La parola in tal senso crea il mondo dell'osservatore che è essenzialmente il nostro mondo, il mondo ove abitiamo in cui le cose possiamo intenderle solo come significati, pur non essendo i significati delle cose.

sgiombo

Citazione di: Phil il 28 Settembre 2016, 21:06:48 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Settembre 2016, 18:46:44 PM
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 14:33:54 PM
CitazioneMi pare Sini alluda piuttosto alla necessità di avere un nome, per poter "essere una cosa"(identificata), e quindi per potersi manifestare nel linguaggio (non ontologicamente!). Almeno è così che interpreto quel "noi non potremmo avere alcuna "cosa" nella presenza, alcun "cavallo", se già prima non si fosse per noi aperto lo spazio della parola, della nominazione", ovvero: se supponiamo non esista la parola "cavallo" come nominazione di quell'ente, non è possibile parlare del "cavallo", e quindi anche quando ce l'ho presente davanti a me, non è per me un "cavallo", giacché tale nominazione non è stata ancora formulata (per ipotesi).
Non credo sia un caso che Sini parli di "manifestazione delle cose nelle parole" e non di "esistenza", per cui non so fino a che punto è lecito parafrasarlo con "nessuna cosa può [/size]essere prima della parola che la nomina"(cit. Maral).
Mi pare Sini alluda piuttosto alla necessità di avere un nome, per poter "essere una cosa"(identificata), e quindi per potersi manifestare nel linguaggio (non ontologicamente!). Almeno è così che interpreto quel "noi non potremmo avere alcuna "cosa" nella presenza, alcun "cavallo", se già prima non si fosse per noi aperto lo spazio della parola, della nominazione", ovvero: se supponiamo non esista la parola "cavallo" come nominazione di quell'ente, non è possibile parlare del "cavallo", e quindi anche quando ce l'ho presente davanti a me, non è per me un "cavallo", giacché tale nominazione non è stata ancora formulata (per ipotesi).

Qualche pagina dopo quella citazione, Sini infatti dice: "La parola ha l'assente dentro di sè per sua costituzione e natura o non sarebbe parola. Il suo assente non è diverso quando la cosa empirica sta lì davanti o quando sta altrove; e anzi la cosa empirica può stare lì davanti solo perchè la parola ha nominato l'assenza, il per tutti" (p. 58), e questo "per tutti" è tale in virtù dell'astrazione linguistica che consente di parlare di oggetti assenti, proprio in quanto astratti, in un modo che tutti comprendano.

Quindi, se intendiamo così il discorso di Sini, il Monte Bianco esisteva anche prima della "comunità parlante", ma nessuno lo aveva "battezzato" così, quindi non era ancora (nei pensieri umani) identificato come il "Monte Bianco" (se non ho frainteso, la morale della favola è: finché qualcosa non ha una sua parola, una sua nominazione, resta non dicibile, non predicabile e non "ragionabile").

CitazioneGrazie per le chiare spiegazioni: le cose o i fatti reali esistono o accadono (ontologicamente) anche indipendentemente dagli eventuali pensieri o discorsi (fatti di parole) circa "cose " e "fatti" (identificati linguisticamente) ...se non intendi questo, allora non ho capito nulla.

Mi viene comunque da dire che (senza voler mancare di rispetto al prof. Sini) sostenenre che finché qualcosa non ha una sua parola, una sua nominazione, resta non dicibile, non predicabile e non "ragionabile") mi sembra un po' la scoperta dell' acqua calda.

       * * * 

Citazione di Maral:
Sgiombo, quello che Sini (e non solo Sini che si riferisce a tutta una corrente fenomenologica pragmatica di pensiero che si rifà a Wittgenstein, Husserl, Whitehead, Pierce, Mead, Derrida e via dicendo) viene dicendo è che per l'essere umano, in quanto essere continuamente parlante, le cose esistono solo nel loro significare e questo significare è parola, le cose sono inseparabili dalle parole con cui le si nomina. Non è che io vedo qualcosa e poi mi invento o convengo con degli altri su una parola per farne segno della cosa evocandola quando quella cosa non mi sta davanti, subito la parola si presenta se c'è la cosa, per il fatto che c'è come un significato, un'espressione vocale che ha un significato che risuona. Che poi questa espressione vocale sia diversa da lingua a lingua dipende dai dai contesi culturali contingenti e locali, ma la parola, qualsiasi essa sia, è necessaria alla cosa, proprio per poterla considerare oggettiva, condivisibile. E' alla luce del significato di questa parola "Monte Bianco" che noi riteniamo che quella cosa sia un monte (altra parola) e che quel monte è una parola che significa che quella cosa deve essere sempre esistita ed esistita per tutti, dove "esistita per tutti" sono ancora parole. E' implicito nella parola umana il significato di qualsiasi pre esistenza, non nella cosa. Per un bambino appena nato, per le aquile, gli stambecchi e i lupi che magari vivono sul monte, il monte non lo esperiscono come ciò che noi consideriamo monte vedendo degli stambecchi che ci si arrampicano sopra e attribuendogli di conseguenza il significato che noi gli diamo, non c'è per loro un soggetto che conosce qualcosa che sta fuori da lui come qualcosa a se stante più o meno permanente. Non è il "monte". perché non c'è né il monte né un me che possa concepirlo tale, con il significato (compreso quello di essere pre esistente a ogni esistenza) che noi, in quanto parlanti gli attribuiamo. Cos'è allora quel monte per essi che non hanno parola per concepirlo? Cos'è il monte prima di nominarlo? è un puro accadere in cui non è presente alcuna specificazione oggettuale, non è presente né soggetto, né oggetto, né monte, né stambecco che sta sul monte e nemmeno alcuna pre esistenza, perché l'accadere accade solo adesso e quando non accade non c'è e precede ogni distinzione tra dentro e fuori. E' solo la parola che lo fa rimanere e la parola costruisce la metafisica che lo pone e la scienza stessa, umana, che lo definisce e lo studia, perché anche la scienza, anche la matematica si esprime a parole.
Come vedi siamo all'opposto del pensiero severiniano e ai suoi enti eterni, ma alla fine si arriva a qualcosa di molto simile, se intendiamo che l'ente è il suo stesso completo significare in un mondo che per l'uomo implica il suo nome non come un'aggiunta arbitraria o semplicemente convenuta a posteriori potendo anche non convenirne: la cosa non è altro che il suo nome che risuona a tutti noi per come risuona.

CitazioneLa conoscenza o per lo meno la considerazione, il pensiero della cosa, e non la cosa é il "significare dell' ente (tramite il simbolo verbale) per noi che lo pensiamo".
Come dice Phil (se ben l' intendo), la cosa (esempio : il monte Bianco) esisteva anche prima della "comunità parlante", anche se nessuno lo aveva "battezzato" così, quindi non era ancora la cosa pensata (identificata linguisticamente) in quanto tale (per esempio in quanto "Monte Bianco"); ma non per questo era meno cosa reale.

maral

#173
La cosa "Monte Bianco" non è una cosa, ma è una parola, perché "Monte bianco" è una parola che non indica una cosa, ma un'esperienza in cui non c'è cosa, ma l'assenza della cosa. l'assenza dell'oggetto che viene a starci davanti (ossia a stare davanti al soggetto che l'espressione vocale crea per "rimbalzo", come dice Sini) proprio in virtù della parola.
Sini non si limita allora a dire che  "finché qualcosa non ha una sua parola, una sua nominazione, resta non dicibile, non predicabile e non ragionabile" che sarebbe effettivamente una banalità, come nota Sgiombo, ma dice che solo se l'esperienza è resa dicibile da una parola può presentarsi davanti a noi come una cosa, solo se è dicibile il Monte Bianco è la cosa Monte Bianco.
Qui vale il verso di Holderling, citato da Heidegger: "nessuna cosa è ove la parola manca"

Sariputra

Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 19:59:59 PMMa se il seme si è trasformato nell'albero, il seme non c'è più. quindi l'ente seme è diventato nulla e da quel nulla del seme è saltato fuori l'albero. E pur tuttavia per dire che il seme è diventato albero, fa notare Severino, ho bisogno di pensare quel seme presente nell'albero. La contraddizione sta qui e alla luce del principio di identità Severino ha ragione. Il seme in quanto è seme non sarà mai un albero proprio come non sarà mai una roccia; seme, albero e roccia sono tre enti diversi che vengono ad apparire. Nel caso di seme ed albero, essi hanno qualcosa in comune per cui l'apparire del seme richiama quello dell'albero facendoli apparire uno dopo l'altro, ma restano nella loro concreta interezza due enti diversi ed eterni (la sostanza del seme resta sil seme, esattamente come quella dll'albero l'albero per come sono in ogni minimo dettaglio).
Citazione di: Sariputra il 28 Settembre 2016, 14:57:52 PM
Non è affatto vero che , se il seme si è trasformato nell'albero, il seme non c'è più. Quello che non c'è più è solamente la percezione/designazione della mente  dell'ente seme sostituita dalla percezione/designazione della mente con l'ente albero. Infatti "seme-germoglio-albero" non sono enti designati ma processi dinamici del reale che la mente non riesce a pensare, ma certamente a intuire.
Questa intuizione universale , che ci accomuna, che potremmo anche chiamare "sano buon senso" fa sì che di fronte ad un'idea che ha senso solo per il pensiero ( come quella Severiniana) si contrapponga l'intuizione che ciò non è possibile. Infatti una teoria simile non spiega perchè questi enti non appaiano Tutti contemporaneamente alla coscienza, o  perchè non appaiano in modo casuale, o caotico, così che mentre in un momento di coscienza percepiamo l'ente Sari che scrive , il momento dopo non è possibile percepire l'ente Sari che piange nella culla. Un altro problema è che viene a mancare qualsiasi dinamismo al reale confinato in un'eternità immobile, in cui gli enti eterni appaiono in successione logica senza una causa valida. Pensare che l'ente "Sari che spinge come un forsennato seduto sulla tazza del water" sia  un fatto eterno  ;D oltre che inquietarmi , logicamente o sul piano della semplice intuizione , sembra una cosa assennata? Perchè la riflessione, dal mondo magnifico, etereo delle idee, bisogna calarla anche nel contingente e quindi abbiamo enti che , eternamente, sono in putrefazione, enti che eternamente muoiono, ecc.
E siccome questi enti si svolgono secondo una seguenza intelleggibile dalla ragione , di nuovo, non c'è alcuna differenza con l'evidenza percettiva del divenire del reale.
Perchè mai non si può sostituire l'idea di "ente fisso" con quella di "ente dinamico", che risolve un sacco di complicazioni? Che necessità c'è per la ragione pensare che un seme DEVE in eterno restare un seme e NON DEVE mai diventare un germoglio? Tra l'altro se osserviamo attentamente l'ente seme scopriamo che contiene già in sè le piccole foglioline, minuscole, dell'ente germoglio, e in questo osserveremo la presenza di tutte le caratteristiche dell'ente albero. Così che sembra più ragionevole supporre che il seme sia già in potenza il germoglio e questo l'albero. Ma anche osservando attentamente l'ente seme scopriremo che è composto da innumerevoli elementi di non-seme ( acqua, linfa, residui, ecc.). A loro volta, gli elementi di non-seme presenti, sono composti da altri di non-non- seme, e così via...in definitiva dove troviamo l'ente seme , se non in una mera definizione verbale? Se lo priviamo di tutti o in parte i suoi composti, non c'è più il seme.
Rifiutando l'idea , ritenuta erronea, del divenire, per caso non si muore? Severino è ancora eternamente vivo , visto che ha rifiutato l'idea erronea del divenire? Certo, da qualche parte esiste, secondo questa concezione, l'attimo eterno in cui il filosofo ha concepito quest'idea, e subito dopo l'attimo eterno in cui l'ha letta alla moglie e in sequenza l'attimo eterno in cui la moglie ha dichiarato di non conoscerlo... ;D ma purtroppo esiste anche l'eternità dei vermi che si mangiano il corpo di Severino...
Adesso l'attimo eterno in cui il Sari scrive si è concluso e viene sostituito dall'attimo eterno in cui il Sari se ne va a dormire...mah!  ???


Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

maral

#175
Infatti Severino considera assurdo il concetto dell'essere in potenza, lo considera contraddizione assoluta.
Per questo Sari che va a dormire, non è lo stesso Sari che scrive, altrimenti non si potrebbero distinguere. Benvenuto dunque al nuovo ente Sari e buon riposo, in attesa del prossimo Sari che si sveglia  :)
(la logica della sequenza dell'apparire c'è, è data dal contesto che richiama questi diversi eterni necessariamente ad apparire in questo ordine, e non in un qualsiasi altro).

Sariputra

Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:50:44 PMInfatti Severino considera assurdo il concetto dell'essere in potenza, lo considera contraddizione assoluta. Per questo Sari che va a dormire, non è lo stesso Sari che scrive, altrimenti non si potrebbero distinguere. Benvenuto dunque al nuovo ente Sari e buon riposo, in attesa del prossimo Sari che si sveglia :) (la logica della sequenza c'è, è data dal contesto che li richiama necessariamente ad apparire in questo ordine).

E dove sta la differenza con il percepire che il Sari che se ne sta andando a dormire ( ma che non ha ancora preso la pastiglietta...) diventerà il Sari che si risveglierà? (Si spera...)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

maral

La differenza sta nel fatto che se il "Sari che va a dormire" diventa il "Sari che si risveglia" il "Sari che va a dormire" cessa di essere, non è più), mentre per Severino solo cessa di apparire, ma continua eternamente ad esserci e questo significa che potrà anche tornare ad apparire proprio come tale.

Phil

Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:19:36 PMMa Phil, se si dice: "la cosa empirica può stare lì davanti solo perchè la parola ha nominato l'assenza, il per tutti" come fa la cosa empirica a starci davanti lì per tutti senza che la parola ne nomini l'assenza? Certo che la cosa empirica c'è? ma cos'è quella cosa empirica? Un monte? un cavallo? Carlo Sini? un fungo? Solo nella parola la cosa empirica che è esperita come relazione ci si mostra davanti oggettualmente (come oggetto per tutti) e non certo per mera e arbitraria convenzione.
Tuttavia, se l'oggetto si mostra nella parola, o meglio, la parola nomina l'assenza dell'oggetto, questa parola può essere "per tutti" perché è convenzione astratta, altrimenti sarebbe parola dotata di senso solo per il soggetto che la pronuncia.

Non ho ben colto la differenza a cui alludi fra
Citazione di: Phil il 28 Settembre 2016, 21:06:48 PMfinché qualcosa non ha una sua parola [...] resta non dicibile, non predicabile e non "ragionabile"
e
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:32:21 PMsolo se l'esperienza è resa dicibile da una parola può presentarsi davanti a noi come una cosa
Non sono forse due affermazioni complementari? Entrambe affermano che ciò che non è dicibile con una parola non ha un'identità linguistica e quindi non è una cosa (predicabile), e non essendo una cosa (per qualcuno o per tutti) non ci si può ragionare...

Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:32:21 PMQui vale il verso di Holderling, citato da Heidegger: "nessuna cosa è ove la parola manca"
O anche, rispettando la differenza fra ontologia e semiologia, potremo dire con Wittgenstein "I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo".

Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 22:50:44 PM
(la logica della sequenza dell'apparire c'è, è data dal contesto che richiama questi diversi eterni necessariamente ad apparire in questo ordine, e non in un qualsiasi altro).
Questa logica sequenziale e contestuale mi pare davvero simile al cosiddetto "divenire", anche se riguarda enti postulati come eterni (giacché l'eternità può essere solo una congettura) che appaiono e scompaiono... secondo me, proprio come nel caso di Zenone citato settimane fa, anche qui si rischia di perdere di vista la realtà per incartarsi in falsi problemi meta-fisici  :)

Sariputra

#179
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 23:15:28 PMLa differenza sta nel fatto che se il "Sari che va a dormire" diventa il "Sari che si risveglia" il "Sari che va a dormire" cessa di essere, non è più), mentre per Severino solo cessa di apparire, ma continua eternamente ad esserci e questo significa che potrà anche tornare ad apparire proprio come tale.

Ma ci credi veramente?...Siii sincero... :) :) :)
E poi...perchè il "Sari che va a dormire cessa di essere"? Mi sento fluire in perfetta continuità...non percepisco alcun "spazio" di interruzione nel mio fluire. Sento il cuore pulsare, il sangue fluire, il respiro procedere...non si notano interruzioni tra un ente Sari e un altro. Dove finisce un ente e ne inizia un altro? Solo nel pensiero? Troppo poco per evitare la bastonata del solito , famoso monaco zen... ;D ;D.
Siamo proprio nella metafisica...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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