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Commento all'"Eutifrone"

Aperto da Eutidemo, 12 Agosto 2024, 17:19:39 PM

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Eutidemo

Socrate incontra Eutifrone nei pressi del Tribunale, e, tra di loro, si svolge il seguente dialogo:
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SOCRATE: E dunque, Eutifrone, hai qualche causa anche tu? Sei accusato o accusi?
EUTIFRONE: Accuso.
SOCRATE: E chi?
EUTIFRONE: Uno che ad accusarlo sembrerà che io sia matto!
SOCRATE: Perché mai? Accusi forse uno che vola?
EUTIFRONE: Quanto a volare ci manca proprio molto: egli si trova, ormai, a essere molto vecchio.
SOCRATE: Ma chi è costui?
EUTIFRONE: Mio padre.
SOCRATE: Tuo padre, o benedetto amico?
EUTIFRONE: Proprio così .
SOCRATE: E quale è l'imputazione? E di che cosa l'accusi?
EUTIFRONE: Di omicidio, o Socrate.
SOCRATE: Per Ercole! Certo, o Eutifrone, i più ignorano come mai una cosa simile stia in piedi; non penso proprio che il primo capitato metterebbe in piedi giustamente una causa simile, ma piuttosto uno, che in fatto di saggezza, si sia fatto molto avanti.
EUTIFRONE: Piuttosto avanti, per Zeus, o Socrate!
SOCRATE:
E' forse uno dei tuoi parenti, quello che è stato ucciso da tuo padre, non è vero?
Certamente, del resto, non accuseresti d'omicidio proprio lui per un estraneo.
EUTIFRONE: Ma è ridicolo, Socrate, che tu pensi che ci sia qualche differenza se l'ucciso è un estraneo o un familiare; a questo solo si deve badare se chi ha ucciso lo ha fatto con giustizia (ad esempio per legittima difesa), oppure no.
E se ha agito giustamente lasciare perdere, se no, perseguirlo, anche se l'uccisore è un tuo familiare e siede alla tua tavola.
Perché la contaminazione avviene lo stesso se tu convivi con questo tale, essendo consapevole della sua colpa, e non purifichi te stesso ed anche lui trascinandolo in tribunale. In questo caso il morto era un mio bracciante che prestava la sua opera presso di noi quando lavoravamo la terra in Nasso.
Un giorno dopo essersi ubriacato si adirò con uno dei nostri servi e lo uccise.
Mio padre, fattegli legare le mani e i piedi, lo buttò in un pozzo e mandò qualcuno qua, dall'esegeta, a sentire cosa occorreva fare.
In tutto questo tempo mio padre non si dava pensiero di quell'uomo incatenato, anzi lo trascurava poiché era un assassino, come se fosse una cosa da nulla se anche poi moriva: ciò che in realtà accadde. Egli morì infatti per la fame, il freddo e le catene prima che fosse tornato il messo da parte dell'esegeta.
Ora, mio padre e gli altri familiari si rammaricano di questo, che io, per un assassinio, accusi di omicidio mio padre, che poi non ha ucciso, come essi sostengono; e se poi avesse anche ucciso, dato che il morto era un assassino, non bisognava affatto darsi pensiero di un tale soggetto: che poi è cosa empia, per un figlio accusare il proprio padre dì omicidio, mal distinguendo, o Socrate, riguardo alle cose della divinità, che cosa sia il santo e cosa il non santo.
SOCRATE: E tu, o Eutifrone, credi proprio di sapere così esattamente come stanno le cose riguardo le divinità e cosa sia il santo e cosa il non santo, tanto da non aver paura, pur stando le cose così come tu le hai esposte, di non trovarti a compiere tu stesso qualche cosa empia, accusando tuo padre di omicidio?
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Il dialogo, molto breve, prosegue con altre contrapposte argomentazioni, che, se volete, potete trovare nel seguente LINK; e che, eventualmente, mi riservo di commentare in seguito.
***
Al riguardo, secondo me, occorre considerare due aspetti della questione, i quali, sebbene alquanto diversi tra di loro, sono strettamente interconnessi: quello "GIURIDICO" e quello "ETICO".

Eutidemo

#1
1) L'ASPETTO GIURIDICO
Al riguardo, occorre innanzitutto considerare come veniva trattato l'omicidio nell'antica Atene.
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Nella Grecia protostorica, i "φόνοι" (al singolare φόνος) erano gli spiriti maschili dell'assassinio, mentre le loro sorelle, "ανδρòκτασιαι" (al singolare ανδρòκτασια), erano figli e figlie, per partenogenesi, di ERIS, la dea della discordia; e gli assassini, in genere, venivano uccisi per vendetta dai familiari dell'ucciso.
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Dracone, nel VII secolo a.C., fu il primo legislatore dell'antica Atene,  a stabilire che l'omicida fosse giudicato da appositi "tribunali".
Stabilì pure:
- che l'omicida fosse  punito in modo differente a seconda che la sua azione fosse volontaria (omicidio doloso) o involontaria (omicidio colposo);
- quali fossero i casi specifici in cui l'uccisione di un uomo era da considerarsi legittima e, pertanto, non punibile (ad es.la "legittima difesa").
***
Le leggi di Dracone, almeno in materia di omicidio, rimasero  sostanzialmente immutate rispetto alla loro versione originaria, fino ai tempi di Socrate, ed anche oltre; ed infatti Solone mantenne le leggi del suo predecessore in materia di omicidio ( φόνος).
***
Quanto a quelli che io, con impropria terminologia moderna ho chiamato "tribunali", i diritto ateniese prevedeva la distinzione di due tipologie di processi:
- "δίκαι", erano le cause che riguardavano sostanzialmente la tutela del diritto famigliare, le quali venivano istruite per iniziativa del diretto interessato;
- γραφαί, invece, erano le cause che ciascun singolo cittadino poteva intentare per punire i reati che mettevano a repentaglio gli interessi generali della πόλις (ad es. i reati di empietà, di ὕβρις, i tentativi di sovvertimento delle istituzioni ecc.).
***
In ogni caso, il processo si svolgeva in due fasi:
- l'istruttoria davanti all'Arconte βασιλεύς, per vagliare il materiale prodotto dalle parti in causa e per assegnare la causa al "tribunale"; competente;
- il dibattimento vero e proprio, davanti ai giudici, in "aula".
***
Ma, per tornare al caso che ci interessa, nel caso di un "processo per omicidio" ("δίκη φόνου"), vi erano ben cinque "tribunali", ciascuno con una sua propria competenza per "materia":
- l'"Areopago" per l'omicidio volontario (φόνος ἐκ προνοίας);
-  il "Palladio" per quello involontario (φόνος μὴ ἐκ προνοίας o ἀκούσιος);
- il "Delfinio" per l'omicidio legittimo (φόνος δίκαιος);
- il "Pritaneo" per quello causato da ignoti, da animali o da oggetti;
- il "Freatto", per l'omicidio commesso da chi era già stato condannato,  e, quindi si trovava esiliato dalla πόλις.
***
In tutti tali casi, non esistendo la figura del Pubblico Ministero, l'accusa poteva essere mossa da un qualsiasi cittadino; così come, appunto, nel caso di Eutifrone, il quale, almeno a mio parere, si stava dirigendo  davanti all'Arconte (βασιλεύς"), affinchè costui assegnasse la causa al "tribunale" competente.
***
Il quale, secondo me, si sarebbe trovato a dover decidere se assegnare la causa:
- all'"Areopago" per omicidio volontario (φόνος ἐκ προνοίας);
- ovvero al "Palladio" per omicidio involontario (φόνος μὴ ἐκ προνοίας o ἀκούσιος).
***
Al riguardo, innanzitutto, occorre premettere che, sia allora (ai tempi di Socrate ed Eutifrone) che oggi, il reato di omicidio si configura :
- sia quando l'agente provoca direttamente la morte della vittima (ad esempio per accoltellamento);
- sia quando l'agente provoca indirettamente la morte della vittima, in conseguenza di un suo illecito comportamento omissivo (ad esempio lasciando morire di fame e di freddo il servo nel pozzo).
***
Ciò premesso, almeno a mio avviso, nel comportamento del padre di Eutifrone, si potrebbero considerare, secondo una terminologia moderna (ma concettualmente valida anche ai tempi di Socrate), due diversi "coefficienti psichici della condotta"; i quali, come vedremo avranno dei diversi riflessi anche in campo ETICO:
a)
Il "dolo eventuale", che, almeno secondo la teoria classica, si configura quando l'agente compie un'azione, foss'anche lecita (come la segregazione in un pozzo del servo omicida), prevedendo ed accettando, però, che le "probabili" conseguenze della sua condotta omissiva (nel trattenerlo senza cibo nel pozzo) potrebbero configurare un illecito penale quale l'"omicidio".
b)
La "colpa cosciente", che, almeno secondo la teoria classica,  si configura quando l'agente compie un'azione, foss'anche lecita (come la segregazione in un pozzo del servo omicida), prevedendo ed accettando, però, che le "possibili" conseguenze della sua condotta omissiva (nel trattenerlo senza cibo nel pozzo) potrebbero configurare un illecito penale quale l'"omicidio".
***
Tale distinzione tra i detti due diversi "coefficienti psichici della condotta", però, è quella derivante dall'accettazione della "teoria della probabilità"; la quale afferma che il "dolo eventuale" si configura quando l'agente si rappresenta l'evento come una conseguenza "probabile" della propria condotta, senza richiedere un elemento volontaristico specifico, mentre la "colpa cosciente", invece, si applica quando l'agente considera l'evento solo come una mera "possibilità".
Secondo la "teoria della possibilità", invece, la punibilità a titolo di "dolo eventuale" richiede soltanto la rappresentazione della "possibile verificazione dell'evento"; e, quindi, volendo "spaccare il capello in quattro", una versione esasperata di questa teoria prende in considerazione il tipo di conoscenza posseduta dall'agente, distinguendo tra la consapevolezza della "pericolosità concreta" e della "pericolosità  astratta" della propria condotta rispetto al bene giuridico tutelato.
Ma non credo che all'epoca di Socrate e di Eutifrone sarebbero arrivati a tali sottigliezze!
***
Poi esistono altre due teorie, le quali entrambe potrebbero (o dovrebbero) essere state considerate, sia sotto il profilo giuridico, sia sotto il profilo etico, anche all'epoca di Socrate e di Eutifrone :
a)
La "teoria dell'operosa volontà" di evitare l'evento, la quale sostiene che il dolo eventuale debba essere escluso se l'agente ha preso misure astrattamente idonee per evitare il pericolo di produrre l'evento lesivo.
b)
La "teoria dell'indifferenza o dell'approvazione", le quali mettono l'accento sull'"atteggiamento interiore" dell'agente verso l'evento; cioè, secondo i sostenitori di tali teorie:
- si configura il "dolo eventuale" nel  caso di coloro che approvano o sono indifferenti all'evento;
- si configura, invece "la colpa cosciente", nel  caso di coloro che, pur prevedendo l'evento, non lo desiderano né sperano che si verifichi.
***
Per concludere tale complessa disamina, oggi, la tesi prevalente nella giurisprudenza è quella della cosiddetta "accettazione del rischio", secondo la quale  il limite del dolo eventuale è rappresentato dalla certezza che gli eventi possibili rappresentati non si verificheranno.
Pertanto:
- agisce a titolo di "dolo eventuale" l'agente che, pur non avendo l'evento come scopo, accetta il rischio che si verifichi come risultato della propria condotta, anche se ciò comporta il suo verificarsi.
- agisce, invece, a titolo di "colpa cosciente" (cioè aggravata) l'agente che, pur prevedendo l'evento come possibile risultato della propria condotta, agisce nella convinzione che non si verificherà.
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Ora, almeno stando a come riferisce i fatti Eutifrone (a meno che il padre non soffrisse di "Alzheimer"), quale che sia la teoria preferita dall'Arconte, ritengo che, senza dubbio, costui avrebbe deferito la causa all'"Areopago" per omicidio volontario (φόνος ἐκ προνοίας), sia pure per mero "dolo eventuale".
***
Circa, poi, la "legittimità" del comportamento di Eutifrone, non c'è dubbio alcuno che, considerata la legislazione dell'epoca, lui avesse senz'altro il diritto di accusare il padre di omicidio in Tribunale; nel qual caso, oltre che a fungere da accusatore, avrebbe anche potuto fungere da testimone dei fatti.
In forza dell'articolo 199 del nostro codice di procedura penale i "prossimi congiunti" (definiti nell'articolo 307 del codice penale) non sono obbligati a deporre come testimoni; l'unica eccezione è prevista qualora siano loro ad aver presentato denuncia o querela, per cui, nel caso di Eutifrone, avrebbe potuto benissimo testimoniare anche oggi!
***

Eutidemo

2) L'ASPETTO ETICO
Io sono sempre stato avverso alla "eteronomia morale", per cui tutti i ragionamenti che Socrate fa su quello che gli Dei possono ritenere "giusto" o "ingiusto" (ovvero "santo" o "esacrabile"), mi lasciano completamente indifferente; anche perchè è ormai assodato che gli Dei non esistono, e non sono mai esistiti!
***
Quanto al Dio monoteista, a mio parere, è impossibile sapere che cosa ritenga oggettivamente "giusto" o "ingiusto"; ed infatti, visto che non ha mai tenuto una conferenza stampa in diretta ed a reti unificate, quello che Lui ritiene oggettivamente "giusto" o "ingiusto" ci è stato riferito soltanto da altri uomini come noi, in base ad una sedicente "delega" firmata esclusivamente da loro, ma priva della sottoscrizione autografa del "delegante" (Dio).
***
Per cui, per me, è soggettivamente "giusto" o "ingiusto" soltanto quello che mi detta la mia coscienza e la mia ragione; le quali, però, non posso escludere che vengano ispirate da Dio (o, almeno, lo spero)!
***
Ciò premesso, nel caso di Eutifrone, bisogna eticamente considerare due aspetti:
- la maggiore o minore gravità del delitto del padre;
- la liceità per un figlio di accusare il proprio padre per quel particolare delitto.
***
Ed infatti, almeno secondo me, un figlio che denunciasse il padre perchè ha evaso le tasse, compirebbe un gesto "civicamente meritevole", ma "eticamente riprovevole"; fermo restando che, come sopra detto, la mia è soltanto una "opinabilissima opinione".
***
Però, sempre secondo la mia "opinabilissima opinione", un figlio che denunciasse il padre perchè ha assassinato un uomo, compirebbe un gesto  "civicamente ed eticamente meritevole"; non foss'altro perchè, così facendo, eliminerebbe il rischio che il genitore possa ripetere tale insano gesto con un'altra persona.
***
Peraltro, nel caso di specie, poichè il padre di Eutifrone aveva messo "sotto sequestro" un omicida, inviando un messaggero dall'esegeta, per sapere cosa occorresse fare:
- avrebbe dovuto semplicemente rinchiuderlo in una stanza, non facendogli mancare nè di che cibarsi nè di che scaldarsi;
- ma non avrebbe mai dovuto iincatenargli le mani e i piedi, e poi gettarlo in un gelido pozzo, a morire di fame e di freddo.
***
Così facendo, secondo me, non solo il padre di Eutifrone ha commesso un "omicidio volontario" (sia pure, forse, solo con dolo eventuale), ma lo ha perpetrato anche in un modo particolarmente crudele; ed invero, lasciar morire qualcuno di fame e di freddo, è come sopprimerlo tramite "tortura".
***
Concludendo, quindi, dal punto di vista etico, secondo me Eutifrone ha fatto benissimo a trascinare il padre in tribunale; non avendo alcuna rilevanza che costui fosse il suo genitore.
Ed infatti occorre anche considerare che Eutifrone ha soltanto "accusato" suo padre; però ha lasciato al "tribunale" il compito di decidere se "condannarlo" o "assolverlo".
***
Ed altrettanto faccio io! :)
***

Alberto Knox

interessante l'approfondimento che hai fornito di come veniva concepito e vissuto l'aspetto giuridico di quel tempo. Meno approfondito è la questione degli dei, come viveva un antico il rapporto con gli dei? come noi oggi con la chiesa? sappiamo che si tendeva a volersi accaparrare, tramite delle offerte e delle preghiere ,la protezione di quello o di quell altro dio o piu di uno in base ai propri interessi .  E questo è esattamente quello che accade oggi quando si prega Dio che ci aiuti a tirare avanti. loro non amavano gli dei, ma li supplicavano affinchè li aiutassero a tirare avanti e piu che devozione si parla di timore , è solo un caso che ancora oggi si usa l espressione "timorati di Dio"?

 Detto questo l'etica  (o il politacamente etico corretto) rispetto al caso presentato è naturalmente a favore della decisione di Eutifrone di portare a giudizio  il padre. Però in effetti la cosa non è molto semplice perchè dobbiamo ora calarci nei panni di Eutifrone . E chiederci;  e io cosa avrei fatto?
fatto questo passaggio non sono sicuro che tuti qui dentro risponderanno ( a se stessi non a noi) la stessa cosa dell eticamente corretto.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Eutidemo

Citazione di: Alberto Knox il 12 Agosto 2024, 20:48:16 PMinteressante l'approfondimento che hai fornito di come veniva concepito e vissuto l'aspetto giuridico di quel tempo. Meno approfondito è la questione degli dei, come viveva un antico il rapporto con gli dei? come noi oggi con la chiesa? sappiamo che si tendeva a volersi accaparrare, tramite delle offerte e delle preghiere ,la protezione di quello o di quell altro dio o piu di uno in base ai propri interessi .  E questo è esattamente quello che accade oggi quando si prega Dio che ci aiuti a tirare avanti. loro non amavano gli dei, ma li supplicavano affinchè li aiutassero a tirare avanti e piu che devozione si parla di timore , è solo un caso che ancora oggi si usa l espressione "timorati di Dio"?

 Detto questo l'etica  (o il politacamente etico corretto) rispetto al caso presentato è naturalmente a favore della decisione di Eutifrone di portare a giudizio  il padre. Però in effetti la cosa non è molto semplice perchè dobbiamo ora calarci nei panni di Eutifrone . E chiederci;  e io cosa avrei fatto?
fatto questo passaggio non sono sicuro che tuti qui dentro risponderanno ( a se stessi non a noi) la stessa cosa dell eticamente corretto.
Hai ragione! :)
Ed infatti, poichè lo stesso Socrate non si dimostra determinato come in altri casi, l'Eutifrone viene considerato un "dialogo aporetico"!
Grazie per il tuo intervento, e cordiali saluti! :)

Alberto Knox

Citazione di: Eutidemo il 13 Agosto 2024, 12:27:23 PMEd infatti, poichè lo stesso Socrate non si dimostra determinato come in altri casi, l'Eutifrone viene considerato un "dialogo aporetico"!
appunto perchè è un discorso aporetico che spinge all introspezione e non ad una conclusione oggettiva concordata. tu però ad una conclusione sei giunto mi sembra..
Citazione di: Eutidemo il 12 Agosto 2024, 17:40:39 PMConcludendo, quindi, dal punto di vista etico, secondo me Eutifrone ha fatto benissimo a trascinare il padre in tribunale; non avendo alcuna rilevanza che costui fosse il suo genitore.
ora effettuando il passaggio sostituendo il soggetto con te stesso io credo che la tua conclusione inizi a vacillare.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Eutidemo

Ciao Xnox. :)
Come io stesso ho scritto, l'"Eutifrone" è un "dialogo aporetico", dal greco "ἀπορητικός", derivante dal verbo "ἀπορέω; ed  infatti è composto dal prefisso "ALPHA STERETIKON" (corrispondente alla nostra "a privativa") e dal sostantivo POROS (corrispondente al nostro "poro" o "foro").
Cioè, "oggettivamente" e "filosoficamente", è una problematica "senza via d'uscita"!
***
Ciò non toglie, però, che, "soggettivamente", e "pragmaticamente", ciascuno di noi debba "necessariamente" fare la propria personale scelta "etica" in base alla propria coscienza; come, appunto, ho fatto io, senza per questo voler "assolutizzare" oggettivamente la mia scelta.
***
Per cui la conclusione a cui sono  giunto, è che, in tal caso, io avrei ritenuto "giusto" deferire mio padre all'autorità giudiziara; lasciando, però, che poi fosse essa a decidere!
***
Ed infatti occorre considerare che Eutifrone ha soltanto "accusato" suo padre di omicidio; però ha lasciato al "tribunale" il compito di decidere se "condannarlo" o "assolverlo".
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Ed altrettanto avrei fatto io!
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Un cordiale saluto! :)
***

Alberto Knox

Citazione di: Eutidemo il 13 Agosto 2024, 16:51:33 PMPer cui la conclusione a cui sono  giunto, è che, in tal caso, io avrei ritenuto "giusto" deferire mio padre all'autorità giudiziara; lasciando, però, che poi fosse essa a decidere!
ritenere che sia "giusto" farlo  non facilità le cose in questo caso. E di sicuro non ne sminusce la tragedia . Per tali motivi dico solo che sarei molto combattuto. Come  figlio posso coprire molti sbagli gravi come mio padre farebbe per me , ma per quanto riguarda questi casi estremi è molto difficile prendere una decisione.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Eutidemo

Ciao Xnox. :)
Sul fatto che anche io sarei stato molto combattuto, non c'è dubbio alcuno; ed infatti è ovvio che, in questi casi estremi è molto difficile prendere una decisione.
***
Però occorre distinguere:
- ciò che si ritiene "giusto fare";
- ciò che, poi, "effettivamente si fa".
Si tratta di due questioni completamente diverse!
***
Ed infatti, nel caso di Eutifrone, io avrei senz'altro ritenuto "giusto" deferire mio padre all'autorità giudiziaria; ma non è detto che, poi, il mio "sentimento di amore filiale" non sarebbe riuscito a prevalere sul mio "senso della giustizia"!
Si tratta di due faccende che stanno su un piano diverso!
***
E qui, con riferimento al caso del dialogo tra Eutifrone e Socrate, si trattava soltanto di stabilire cosa fosse "giusto" o meno fare (ovvero "santo", come dicono loro); non di altro!
***
Un cordiale saluto! :)
***







Alberto Knox

tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare insomma ;)
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

niko

Pochi avrebbero denuciato il loro stesso padre, ma certamente il padre e' colpevole di un delitto orrendo e il figlio su un piano etico ha fatto bene a denunciarlo.

Per valutare meglio l'eticita' dell'azione, bisogna pero' vedere che rapporto ci fosse tra i due: se buono e di amore, come un tipico rapporto padre e figlio o se il figlio, al momento del delitto, gia' non sopportasse il padre per altri motivi e rancori pregressi, e allora la cosa potrebbe essere letta come una sorta di ripicca o vendetta. Certo un padre caratterialmente e psicologicamente capace di rendersi colpevole di un simile delitto, potrebbe essere stato un pessimo padre.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

bobmax

Ciò che è giusto, deve necessariamente essere giusto per me. Vi sono poi i giudizi degli altri, che sono però comunque subordinati al mio senso di giustizia. Che prevale sempre su quello di chiunque altro. Fosse pure Dio in terra.

Ciò non significa che io abbia comunque ragione, ma che finché la penso diversamente non può che prevalere in me la mia verità.

Rivolgermi a un tribunale affinché giudichi mio padre, può significare solo una cosa: io l'ho già condannato.
Infatti non si trascina in tribunale il proprio padre per verificare se è colpevole o meno. Lo si è già giudicato colpevole!

Il ricorso al tribunale può avere solo altre motivazioni che non siano la verifica della effettiva colpevolezza.
Perché il tribunale può anche assolverlo, ma se sono arrivato al punto di accusarlo pubblicamente, per me, almeno nel momento in cui lo denuncio alla autorità, è senz'altro colpevole.

Di modo che la ragione per cui lo trascino in tribunale o è per mostrargli il suo errore e magari punirlo, cosa che non sono in grado di fare autonomamente, o per evitare che il delitto si ripeta.
Comunque in ogni caso il giudizio è da me già stato dato.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Alberto Knox

Mi viene in mente un aneddoto, non si sa se sia vera la storia , ma questa storia parla di un padre che aveva commesso un delitto  durante il dominio dell impero Napoleonico, era stato messo a giudizio ed era stato messo in carcere. Il figlio chiese ricorso , domandando udienza per vedere Napoleone , il quale dopo le incessanti richieste alla fine lo riceve e dopo averlo ascoltato gli risponde "tuo padre ha commesso un grave reato ed è giusto che sia in carcere, deve scontare il suo debito con la giustizia, è giusto! che venga tenuto in carcere" . Al che il ragazzo in ginocchio risponde "mio signore , io non sono venuto a chiedere giustizia, sono venuto a chiedere misericordia"

Da un lato abbiamo un figlio che per giustizia denuncia il padre per omicidio, dall altra un altro figlio, consapevole del reato del padre, che perdona e che va davanti all uomo piu potente del mondo e gli chiede misericordia per suo padre.
Non solo perdona ma chiede che venga perdonato , c'è una netta differenza fra i due ragazzi, dove l'uno vede nella giustizia la sua norma etica fondamentale e l'altro che vede nel perdono la forma piu alta di etica.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#13
Quello preso in esame in questa discussione, è un caso particolare ed estremo, del più generale caso di come ci comportiamo o come ci siamo comportati in seguito alla valutazione dell'operato dei nostri padri.
Da ciò infatti indirettamente dipende la nostra educazione, il nostro farci uomo.
Colui che accusa il padre è presumibilmente un uomo già fatto, che nel farsi, dal padre ha certamente preso esempio, dal che deduco, considerato il forte senso di giustizia del figlio, che ad esso il padre abbia ben contribuito.
Paradossale avere allevato il proprio accusatore, no?
Come avrà giudicato il comportamento del figlio questo padre?
Sarà per esso la prova della buona educazione che gli ha dato?
Oppure lo giudicherà un ingrato, magari perchè questo assassino non è più lo stesso padre che lo ha educato, ma ciò che nel tempo è divenuto?
E' stata la punizione che il padre ha dato al servo a portare alla sua morte.
Queste punizioni erano ammesse in generale?
Il figlio stesso ne partecipa?
Qual'è la probabilità che questo comportamento ammesso dalla cultura verso gli schiavi porti alla loro morte?
Il padre l'ha calcolata male?
Ha fatto solo un errore di calcolo, magari perchè vicino alla demenza?
Se vicino alla demenza, la legge prevede di destituirlo dai poteri che la cultura gli attribuisce?
Se la legge non lo prevede, ad essa poteva sostituirsi il figlio?
Se non lo ha fatto possiamo considerarlo perciò colpevole di fatto?
L'accusa del figlio è una indiretta ammissione di colpa, pensando in tal modo  di tacitare la propria coscienza?
Arriva il momento in cui fra padre e figlio i ruoli si capovolgono, e una accusa che deleghi ad altri di gestire il loro rapporto,  è una ammissione di fallimento.



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Quello che voglio dire è che se esiste una giustizia al di sopra di noi, assoluta, e quindi non perchè noi l'abbiamo posta al di sopra di noi, il caso di Eutifrone è scelto in modo esemplare, per chiedersi se esiste qualcosa nel nostro giudizio che possa stare sopra di essa.
Se invece il senso di giustizia lo deriviamo dai nostri padri, il caso di Eutifrone è materia per un dramma, più che di dibattito in tribunale.

L'esempio parte cioè da un pregiudizio, che noi, chiamati a giudicare, potremmo non condividere.
Di fatto siamo chiamati a giudicare se viene prima il padre o gli dei, e dobbiamo solo scegliere a chi fare il torto.
Certamente Eutifrone doveva tenere in maggior considerazione gli dei che il padre.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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