Come mai secondo Nietzsche Socrate provocò la decadenza della tragedia greca?

Aperto da Socrate78, 30 Agosto 2020, 17:16:52 PM

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Dante il Pedante

Capisco Jacopus, un albero marcio può dare alcuni frutti sani e altri invece guasti.Però,nel dubbio di trovare il verme anche in quelli apparentemente sani mi servo da un altro albero. ;D
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

paul11

Citazione di: Lou il 31 Agosto 2020, 18:07:56 PM
Citazione di: Socrate78 il 30 Agosto 2020, 17:16:52 PM
Secondo la filosofia di Nietzsche (vedi l'opera "La nascita della tragedia dallo spirito della musica") la figura di Socrate rappresenta un elemento negativo nello sviluppo della cultura greca, infatti per Nietzsche fu proprio il pensiero socratico a determinare la decadenza di una forma letteraria che il filosofo tedesco apprezzava molto: la tragedia. Tuttavia mi chiedo: qual è il vero motivo per cui Socrate viene visto da Nietzsche in maniera così negativa? In effetti Socrate non faceva altro che voler superare il relativismo dei sofisti affermando che, dietro ai pregiudizi di ogni uomo, si trovava nascosta in ognuno di noi la verità e che quindi era necessario interrogarsi sul bene e sul male, sul giusto e sull'ingiusto per arrivare ad una verità universale. Che cosa c'entra tutto questo con la decadenza della tragedia greca?
La decadenza della tragedia greca è sì, agli occhi di Nietzsche, il decadimento di una " forma letteraria", ma in modo acuto e in forza di ció che le forme artistiche recano in sè, il nostro rintraccia in ció il decadimento di una sapienza intera che caratterizzó gli antichi greci sino a Socrate: la sapienza tragica. Se vogliamo caratterizzare il sapere tragico esso è una forma di conoscenza di tipo estetico ed estatico, che non elimina nè supera le contraddizioni e mantiene, a dirla tutta quella tensione eraclitea tra gli opposti in una unità originaria dove il gioco tra differenza è identità è preservato, dove Apollo non puó vivere senza Dioniso. Il coro dionisiaco si sprigiona e mantiene una pluralità di voci che suonano e disvelano gli abissi di una civiltà che non si sottrae all'assurdo. Dopo Nietzsche i greci non possono più pensarsi come quella civiltà armoniosa, misurata e serena che si è pensata essere. Il dissidio esistenziale non si compone, non si risolve, si svela e l'esperienza estetica lo conosce e lo accetta in tutto il suo orrore.
Ora, da questa primaria introduzione, si puó capire come, Socrate e, principalmente direi che l'antagonista è il Socrate di Platone, che irrompe con un metodo, dialettico per superare logicamente le contraddizioni e arrivare a quella conoscenza razionale che solo da garanzia di virtù e conseguente felicità è una inversione, o meglio una svolta storica, di tutto ció che la tragedia è il suo sapere aveva fatto emergere, non insegnato. L'uomo teoretico è così e l'intellettualismo  etico è a suo modo uno scandalo. Conosco il bene e lo faccio. Davvero?
È una questione morale la conoscenza?
Un daimon che si fa coscienza critica e una coscienza che ascolta un daimon?


Gnosi se auton.
É possibile?


Sono domande.


Forse è questo che avvicina così Nietzsche e Socrate, queste domande.


"Socrate mi è così vicino -lo confesso- che sono quasi sempre in lotta con lui."




Condivido quasi tutto, meno la parte finale, se ho capito.
E' vero che Nietzsche pensa all'estetica fino direi ad una mistica, ma perché i presupposti con il Socrate di Platone sono opposti. La via dialettica, attraverso i dialoghi, è una via razionale.
Platone /Socrate ritiene che l'arte sia immagine e rappresentazione e quindi non verità.
Lo esplica bene in alcuni passi dei dialoghi socratici e verso la fine di "Repubblica".
Se per Nietzsche la vera tragedia inizia e finisce con Eschilo, in quanto gli altri due, Sofocle e infine Euripide lo hanno ormai "annacquata", per Platone/Socrate seppure riconoscano sopratutto nella musica un potere evocativo, l'estetica non può portare alla verità.
Il presupposto di Nietzsche  che esprime bene la sua posizione in "Su verità e menzogna in senso extramorale", è che l'uomo non può pervenire ad una verità, è una illusione, una menzogna.
Se si accetta la sua tesi, significa che semplicemente l'uomo si prende il mondo come si dà, e tutte le strutture culturali che si danno l'attribuzione di razionali, compreso il linguaggio sono vane, poiché prive di qualità veritative. Non resterebbe che accettare la condizione umana di esistere, senza costruirvi strutture linguistiche culturali. E' una tesi a mio parere forte, ma allo stesso tempo ambigua.
Nella struttura filosofica di Platone c'è una distinzione fra ontologia e gnoseologia(conoscenza,  scienza per il tempo di Platone).
E' proprio l'intellezione che sopravanza la sensibilità, il pensiero è superiore ai sensi, tant'è che differenza la dianoia in quando mediano, dalla noesis, in quanto intellezione veritativa.
Platone eredita a sua volta dagli antichi il principio del cosmos, dell'ordine universale, domanda che Nietzsche nemmeno si pone o comunque glissa ambiguamente. Non è possibile accettare la condizione tragica umana, senza chiedersi "un perché"? Tutte le tradizioni sanno che la natura stessa ,compresa quella umana, deriva in qualche modo dal moto cosmologico, e cosmos in greco significa appunto ordine e aletheia svelamento,  verità.
Allora la verità della condizione tragica umana, questo andirivieni di vite e di morti, (tant'è che alla fine di "Repubblica" viene svolto il "mito di Er", è una reincarnazione in cui l'esempio del fuso con anelli concentrici, rappresentano i moti del cosmos dove le Diadi sono svolte dall'Uno) che senso ha? Da cosa,come e perchè "è"?
Quindi, se Nietzsche accetta come veritativa la condizione umana, altrettanto compie Platone per altri versi e in modi anche diversi. Se si accetta la condizione del cosmos, delle regole universali, queste vengono dichiarate come Bene, come Idea del Bene. Se la condizione tragica umana porta ad una mistica dell'estetica, l'altrettanto Idea di un Bene supremo originario , in quanto non può essere che bene ciò che viene generato dal cosmos, ha al proprio interno il significato di morale, la mistica la porta al comportamento virtuoso coerentemente e confacente all'ordine supremo he detta la morale.. E l'Idea di Bene originaria che costruisce la morale. L'estetica non può costruire una morale, può semmai arrivare ad una pietas. E Nietzsche non è vero che crede ad abomini, stermini o comunque dove il forte uccide il debole. Sta al forte avere la pietas verso il debole, ma non è un obbligo morale, una virtù dettata da un Bene originario, rimane una sollecitazione interiore e singolare, individuale, dovrebbe essere una verità intrinseca non al cosmos, ma alla stessa condizione esistenziale umana.
Il cristianesimo originario ebbe entrambe le tesi: un bene supremo rappresentato da Dio e una pietas nel Figlio incarnato nella condizione umana, nella sua tragedia nella passione.

Dante il Pedante

cit.Non è possibile accettare la condizione tragica umana, senza chiedersi "un perché"? Tutte le tradizioni sanno che la natura stessa ,compresa quella umana, deriva in qualche modo dal moto cosmologico, e cosmos in greco significa appunto ordine e aletheia svelamento,  verità.
E' vero.Senza chiedersi perché non c'è tragedia. E se qualcuno mi chiede perché non c'è tragedia senza chiedersi perché, mi vien da ridere e gli rispondo."Vedi che ti tocca chiederti perché?"
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

green demetr


La critica a Socrate ed Euripide coicide con il passaggio di consegne tra il mito e la ragione.
L'obiettivo non può essere certo Platone, bensì Socrate, che introduce un pensiero individualista.
Il passaggio dalla c(a)osmologia alla cosmologia, si risolve nella visione ultrafilosofica (perchè antimetafisica) nicciana, nell'asservimento morale, ad un giusto malefico, auto-proclamato in nome di una maieutica fittizia, contro natura.
Per Nietzche il passaggio alla città, alle sue poiesis, coincide con lo stesso crollo dei valori, che venivano rappresentati dal coro.
Il coro che è l'inconscio mitico delle tragedie sofoclee, il vero pneuma del sapere antico, l'attraversatore del caos originale, viene a partire da Euripide messo in secondo piano.
Fino alla sua scomparsa nel super-omismo onanista socratico.
L'emersione dell'individuo come maschera, fa dimenticare la maschera.
La maschera che era inevitabile per l'attraversamento del caos, serviva al viaggio immaginifico, tutto umano, all'interno della c(a)osmologia: non poteva che essere una taumaturgia, di carattere sociale, dove il dolore dell'uno era il dolore di tutti.
Con Socrate, questa taumaturgia viene spazzata via.
Il dubbio socratico, vuole spezzare la maschera, l'appartenenza in nome di una morale auto-imposta, di una ricerca interiore.
Una negazione di ciò che è vero, che è vero in quanto santo.
Socrate è lo spirito della modernità, è l'incarnazione stessa del dubbio. Un dubbio che si spinge fino all'abiezione laddove forma una nuova morale. Una morale anti naturale, negazionista del caos, e ordinatrice.
Una morale che è disposta a negare il dolore, per questa morale, Elena è colpevole, e la grande tradizione dei Sophoi è messa al rogo, tacciata di corruzione, laddove la corruzione è solo nella mente di Socrate.
Ciò che viene per sempre messo al bando è l'aruspice.
E' la nascita della città moderna.
Un atto di infinita arroganza che merita la damnatio memoriae.
Non può essere quindi nè S.Paolo, nè Platone.
Ciò che viene messo in evidenza è molto di più dunque.

Il viaggio fantastico in funzione sociale come taumaturgia viene sostituito dall'artificio.
I sentimenti veri dell'antico vengono dismessi per sempre, posti nel deminticatoio della memoria.

Questo fino a Freud, che infine scopre la funzione della rimozione in ambito clinico.

In realtà è Nietzche che la scopre, su questo Derrida sciverà pagine criptiche ma definitive.

La rimozione, è ben più quello che la clinica evidenzia (e in un atto mostruoso riedifica alla morale borghese).

La rimozione è proprio il grimaldello da cui ripartire per riaprire il discorso sulla filosofia.

L'individualismo contemporaneo, è arrivato dopo l'apogeo illuminista, dopo la morte di Dio, al suo punto di non ritorno.

O si attua un ritorno ad Edipo, o è la fine già vaticinata da Nietzche.

D'altronde lo stesso Socrate, figura letteraria, di quello stesso Platone, il cui unico errore è stata proprio l'incapacità di previsione della rimozione, finirà proprio in punto di morte per chiedere a quell'Asclepio, di figurare per il mondo intero la soluzione, e insieme un atto di contrimento spirituale: la fine della vita all'improvviso ha rivelato allo stesso Socrate, e dunque a Platone, l'errore immane dell'intero suo filosofare.
E' dunque Platone che si interroga su quell'errore, che non è un errore, perchè come già detto da molti altri, Platone è un cosmologo.
E' piuttosto una minaccia.

Quello che Socrate allude, è la necessità di rimanere fedeli agli Dei, come fece Edipo.

Il giusto e ingiusto che si è tirato in ballo in questo 3d è di nuovo, punto e a capo, l'errore persistente di questa società, che finisce per produrre individui incapaci di capire cosa è bene e cosa è male.
Ossia niente. Bene e male, sono solo parole, infatuazioni di menti succubi, incapaci di reagire.

La persistente nominazione di Nietzche, quasi a nome tutelare, dei promotori della superstizione, è la spia allarmante, e quindi corretta al vero pensare.
La verità non si nasconde tra una particella ed un altra, e nemmeno nelle forze, incommensurabili, se non tramite fantasiose teorizzazioni del campo.
La verità risiede nel pensiero.

Nietzche è senza dubbio la vetta più alta, l'uomo che ha doppiato in quanto ad acume e orizzonti scoperti, qualsiasi altro filosofo che fosse almeno alla pari con lui.

Ironia della sorte sono proprio i cosmologisti, o gli acosmisti che meglio si prestano a dialogare con lui.

Nietzche è ben lungi un maestro del sospetto, viene chiamato così solo da chi non pensa.

Nietzche è un maestro del pensiero, che intende la verità, proprio come ogni cosmologista (vedi Paul) la intende per davvero, ossia come il pensiero stesso.

Il pensare nasce proprio dalla tragedia. Ossia dalla sua rappresentazione.

E' tramite la sua rappresentazione, che l'oggetto può splendere per il soggetto.

La numinazione è dell'io.

E' l'io che dipinge la rappresentazione, il soggetto ne è solo investito.

Se non ci mettiamo in testa che noi in quanto moderni siamo obbligati a essere soggetti, non riusciremo mai a percorrere la strada inversa, quella che ci porta al Dio supremo.

Nietzche non ce l'aveva in questo senso con il Cristo, in quanto lui stesso, nei biglietti della pazia, non poteva che essere che quello stesso Cristos.
Ossia il salvatore, il Maestro.

Nemmeno con S.Paolo poteva avercela, e infatti loda S.Paolo in quanto aruspice di quel logos divino.

Ce l'aveva con il rimosso.

Anzi è Nietzche stesso che lo intende.

Il rimosso nelle parole di Gesù, di S.Paolo, di Platone, di Socrate, fa di tutti costoro, una macchinazione della stessa idea di modernità.

Una macchinazione che esclude l'aruspice, il sogno, l'utopia, per renderci schiavi.

Schiavi delle nostre rappresentazioni senza orizzonte, schiacciate sul presente, quasi che il presente fosse tutto quello che abbiamo, e che invece è solo tutto quello che abbiamo come soggetti, investiti dal potere delle immagini, e dimentichi del lavoro della parola.

La filosofia, croce di Nietzche, ma naturale delizia.

E insieme ad essa le sue sorelle la letteratura e sopratutto la Poesia.

E c'è ancora molto di questo. E' che ce lo siamo dimenticati di cosa sia.

E certo la reminescenza di Platone.

Arrivederci
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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