Come dimostrare logicamente l'esistenza della coscienza?

Aperto da HollyFabius, 26 Aprile 2016, 20:12:25 PM

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#180
Citazione di: davintro il 17 Maggio 2016, 15:19:55 PM
Non direi che la riflessione a posteriori "costruisca" alcunchè. La riflessione non produce i propri oggetti ma scopre qualcosa che gia c'è, mette in evidenza ciò che prima era latente. L'autocoscienza è questo sapere latente della coscienza che ha di sè, latente perchè nell'atteggiamento naturale (dominante nella nostra quotidianità) l'attenzione della coscienza è rivolta non su di sè ma sugli oggetti del mondo esterno che percepisce. L'atto di attribuzione di significati ad un oggetto ci appare come immediata perchè nell'atto percettivo, come è ovvio che sia, sono rivolto alla scoperta dei lati dell'oggetto sensibile e non sul processo cognitivo che in quel momento sta operando la sintesi percettiva. Non va confusa l'immediatezza con l'instantaneità. La percezione è effettivamente istantanea perchè gli schemi associativi del passato attraverso cui l'oggetto che ho di fronte assume un significato perchè associato con l'attribuzione di significato che oggetti simili hanno avuto per me nel passato, è già collegato con l'atto presente in virtu della continuità del flusso di coscienza, continuità data dal permanere nel flusso di un soggetto, di un Io genericamente inteso. Non c'è bisogno di un sforzo di regressione verso il passato, il passato è già qua. Ma non si può parlare di "immediatezza", perchè la percezione, seppur frutto della continuità passato-presente, è pur sempre sintesi, sintesi tra i lati dell'oggetto che si danno come fenomeni alla coscienza. La riflessione a posteriori, che può attuarsi o meno, scopre tale continuità tra la coscienza del passato e la coscienza del presente come condizione della mediazione percettiva ed in questo senso trova l'autocoscienza come già data, presente come latente ed ora la mette solo in evidenza ma non se la "inventa". Se se la inventasse, come in una sorta di autoillusione, non avrebbe senso parlare di riflessione come un atto teoretico, ma più come una sorta di atto volontario che "vuole" vedere ciò che magari non c'è. Chiaro che stiamo uscendo dall'accezione naturale del concetto di riflessione. Pensare che l'autocoscienza sia solo una costruzione a-posteriori della riflessione è possibile solo confondendo "autocoscienza" con "attenzione della coscienza su di sè". In realtà l'autocoscienza per essere non ha bisogno di essere tematizzata. la riflessione sposta l'autocoscienza dallo sfondo al punto focale dell'attenzione dello sguardo, ma anche fintanto che resta sullo sfondo se ne ha un livello di consapevolezza che condiziona lo stesso darsi del fenomeno presente nel punto centrale della visuale come ho provato a descrivere nei miei esempi.

CitazionePurtroppo mi é impossibile intenderti.

Per me "autocoscienza" = "coscienza della coscienza" = "coscienza come oggetto di coscienza" = "attenzione della coscienza su di sé".

Quando l' attenzione della coscienza non verte su di sé si ha coscienza di altre cose diverse dalla coscienza; id est: non si ha autocoscienza (ma soltanto coscienza). E questo anche se tali contenuti di coscienza (che non sono autocoscienza) sottintendono in qualche modo, per me alquanto oscuro, o dipendono in qualche modo da (ma comunque non attenzionano, non comprendono o includono attualmente come loro contenuti, cioé come contenuti di coscienza) esperienze coscienti passate (delle quali si ha memoria nel senso che sono potenzialmente evocabili, ma non ricordo ovvero evocazione immaginativa-mnemonica in atto).

maral

Citazione di: paul11 il 17 Maggio 2016, 14:26:01 PM
... mi arrendo. O si capisce quello che scrivo ,e forse è colpa mia, oppure è è inutile girare in giro.
Comunque:....
Se una porta di un materiale ti permette di gestire solo 2  due stati (passa la corrente,1; non passa la corrente 0)
hai 2 ^2 = 4 possibilità. Se un'altro materiale ha la possibilità ,per pura ipotesi, di gestire 10 stati , allora hai 10^10=100 : tutto quì.
?aul, puoi quanto meno convenire che il materiale organico, pur essendo su base esperenziale (e dunque non assoluta), una condizione che appare necessaria allo svilupparsi di una coscienza non è per nulla una condizione sufficiente? Ossia che quella possibilità di una maggiore interattività biochimica non riesce comunque  a dare ragione sufficiente di per se stessa di una attività cosciente anche elementare, nemmeno a livello di pura emozione? e dunque che la coscienza non sta nella quantità di relazioni che un tipo di materiale consente, ma nella qualità di un tipo di relazione che ancora non riusciamo a definire se non in termini assai vaghi e generali, per lo più basandoci su un'idea di somiglianza?
Il materiale organico è semplicemente un materiale la cui chimica è quella del carbonio, ma di per sé il carbonio è inorganico e ha origine inorganica come elemento. La chimica del carbonio di per sé non spiega proprio nulla della coscienza, non è sufficiente, esattamente come non lo è la meccanica quantistica delle particelle elementari. Questo non significa pensare che la coscienza sia un misterioso flusso spirituale, essa è data dalla materia, ma da una materia intesa come relazione e non come cosa. Una particolare relazione che è già coscienza.

paul11

Citazione di: HollyFabius il 17 Maggio 2016, 18:06:48 PM
Citazione di: paul11 il 17 Maggio 2016, 15:43:52 PMvale quanto scrivi alla fine, io intendo non più matematica binaria. perfetto nuovo hardwar nuove possibilità di costruzioni algoritmiche ed euristiche , alla fine ci siamo capiti. Volevo aggiungere.... la coscienza è la base per cui l'uomo diventa CULTURA .Tutti i post precedenti volevano evidenziare la differenza di stato animale o naturale e stato culturale., non dimentichiamoci che siamo natura e cultura. Ma affinchè v isia quella coscienza c'è necessità di una nuova forma materiale, ovvero di un cervello "fisico" atto a far emergere quella coscienza e le aree linguistiche nel cervello sono l'hardware per il software . Forse ora diventa più chiara tutta la'argomentazione fra cervello umano, cibernetica, computer, IA, manoi siamo bios, organicità da cui emerge la vita. Tutti queste "emergere" indicano il passaggi energetici che non sono solo materia, anche l'enenrgia elettrica di chi per primo accese una lampadina doveva avere il medesimo effetto. Il passaggio successivo è l'emergere di simboli e signiificati che permettono sistemi di relazione . Non sono altro che codificazioni di informazione, vale a dire che la percezione elettromagnetica che arriva ad una retina può essere codificata in simboli, in segni, ovvero in stati energetici dei neuroni con sinapsi. Quando il la nostra coscienza da neonati è tabula rasa quella percezione non è filtrata da un codificatore interpretativo che si costituisce ,man ma no che quella coscienza continua a reinterpretare i segnali esterni sempre più in simboli segni e significati che non appartengono più alla natura del mondo "reale" ,ma sempre più alla cultura . Questa prima codificazione interpretata che è coscienza , quando comincia a relazionare se stessa problematizzando la nostra esistenza diventa consapevolezza. A mio parere l'autocoscienza è quindi un ulteriore emergere della coscienza è utilizzare i simboli della realtà linguistica ,l'interpretazione delle percezioni sensoriali mediata da questa prima coscienza e rielaborate nella problematizzaione di quell'IO (se così possiamo dire) che si relaziona con Dio, con la psiche, con la realtà, con il passato, con il futuro, con il divenire, con l'eternità , ovvero è cultura indipendentemente da cosa e come crediamo e quindi interpretiamo . La prova logica di una coscienza è quindi semplicemente: " io credo in DIo" indipendentemente da un giudizio di giusto o sbagliato , vero o falso, perchè quel credere proietta i miei simboli e significati dentro la realtà diventando cultura.vale a dire io comunico a me stesso e al mondo, compreso i mie simili in cosa risolvo i significati simbolici di una coscienza che si costituisce in autocoscienza e posso fare diventare prassi ciò che la mia autocoscienza ha elaborato nei simboli, segni e significati . ... non so se mi sono spiegato
Condivido quasi tutto di quello che hai scritto con due eccezioni. La prima è relativa alla relazione temporale tra incoscienza, logos, consapevolezza e autocoscienza. Mi pare di capire che tu intenda il bimbo appena nato già fornito di potenzialità di coscienza e successivamente mediante la formazione del logos vedi emergere la consapevolezza (e la coscienza) che vedi come codificata in simboli e segni, ovvero razionale. La seconda è la l'emergere dell'autocoscienza come consapevolezza più indagine della relazione tra l'IO cosciente e dio. Se non è così correggimi perché ho male interpretato. Io ovviamente qui sotto commenterò quella che è la mia interpretazione del tuo pensiero. Io credo che lo stato di incoscienza permanga nell'uomo per tutta la vita e lo stato di coscienza sia solo un sofisticato strato superficiale esterno. Nei nostri pensieri anche in età matura vi è una maturazione delle idee prima irrazionale, sotto-coscienza e poi solo per alcune percezioni superiori vi è una comparsa di razionalizzazione. Molte nostre azioni sono ancora sotto la sfera interna sotto-cosciente, quasi totalmente durante il sonno ma anche in forma preponderante durante la veglia. Solo una piccola parte esterna di noi è logos, razionalità, meditazione consapevole. Questa per inciso è una prima fondamentale differenza con le macchine, noi forniamo attraverso la programmazione alle macchine parte dello strato esterno convinti che sia la parte significativa della conoscenza. Tutto ciò si sta rivelando un errore, è come dipingere una pietra di verde e pensare che la pietra sia diventata simile ad uno smeraldo, ma lo smeraldo è verde in profondità, lo separi in parti e le parti si mostrano verdi mentre se rompi la pietra dipinta scopri l'inganno. L'aspetto sociale e quello culturale derivato è importante nell'uomo ma è ancora un aspetto presente in forme meno articolate e complesse anche in altri animali. Su questo aspetto possiamo condividere l'opinione della IA forte che la quantità si trasforma in qualità. Per esempio la nostra società è qualitativamente diversa dalla società degli uomini di centinaia di anni fa. Questa differenza è dovuta ad una quantità rilevante di innovazioni introdotte. Sulla auto-coscienza come emersione della nostra indagine interna e confronto con dio sono fermamente scettico. Credo che l'autocoscienza venga maturata prima della riflessione sul sovrannaturale e comunque in forma indipendente. Peraltro occorre anche essere consapevoli che esiste un uomo pre-cristiano, un uomo orientale e che esistono e sono esistite anche altre forme di umanità. Il sovrannaturale non necessariamente passa per una qualche forma razionale, per grande parte della sua storia per l'uomo il sovrannaturale era irrazionale, oggi è razionale, un domani chissà.

..interessante e stimolante .
La sfera del logos emerge con la sfera affettiva della psiche, per questo noi assimiliamo prima i segni della tradizione che i genitori ci fanno interpretare. perchè sono loro i fautori della trasmissione di affetto accompagnata con i simboli culturali. ma teniamo presente che le età di formazione di una vera e propria coscienza che diventerà consapevolezza passa ad esmpio fino ai 5-6 anni con l'incapacità ancora di saper tempificare, che come ha scritto qualcuno nella discussione è molto importante, gli animali non l'hanno, per cui rendono tutto al presente.

L'esempio che ho scritto di "io credo in Dio" è solo un esempio, potrei dire che ne so "io credo nel pensiero di Nietzsche", oppure credo solo nella scienza o ancora sono scettico e interpreto il mondo come tale Intendo dire che noi maturiamo convinzioni nel momento in cui i simboli linguistici si sono relazionati fra loro ,senza necessità di input esterni, ovvero di percezioni sensoriali. Noi ci facciamo un'idea di mondo e di come potrebbe funzionare, in altri termini noi ci autocostruiamo dei paradigmi e assiomi senza accorgercene ,per cui abbiamo stili di vita e facciamo scelte in base a ciò che è "il nocciolo" duro su cui poggia tutto il nostro sistema relazionale. Quando troviamo qualcosa che ci colpisce non facciamo altro che relazionarlo con ciò che noi abbiamo costruito come coscienza, e quindi potremmo "ritarare" la nostra posizione. Sono d'accordo con te comunque, se fossero solo informazioni di conoscenza probabilmente non avremmo coscienza, questa ha necessità di una psiche, di un sommerso, di un inconscio, che contribuisce a rendere simbolo significante il logos.Semplicemente perchè l'IO  emerge prepotentemente nell'adolescenza quando cominciamo ad allargare i nostri orizzonti di confronto, ovvero relazioniamo il nostro "giovane" bagaglio con politica, economi,a Dio, l'arte, il sociale. Quì emerge il potere critico e quindi contestativo sui simboli della tradizione di una cultura. ma non è altro che un'affermazione della nostra coscienza che chiede al mondo di farsi riconoscere. Addirittura sostengo che le crisi dell'IO sono come le metamorfosi per arrivare alla maturità.

Quello che sostenevo quando ponevo l'esempio di "io credo..." è che la coscienza diventa potente, perchè noi siamo ora ,almeno in parte quel logos.Le motivazioni, gli atteggiamenti rispecchiano ora anche nelle prassi, nelle pratica della quotidianità del mondo, con le relazioni personali e sociali, ovvero gli altri ci identificano e ci riconoscono anche per quello che noi crediamo, quindi per la nostra coscienza.

Ritengo l'autocoscienza addirittura una forma intima, mistica,intesa come sacrale per noi ,ma lo intendo in maniera laicissima, o spiritualissima dipende dalla nostra formazione del logos , perchè è lì che sta il recondito logos con domande e relazioni che cercano risposte, quì sta il Graal della verità, l'incondivisibile il difficile da comunicare,ma che richiede il rispetto totale è dove IO e logos combaciano. Noi temiamo di mostrarlo per timore di non essere capiti ,o irrisi, proprio perchè l'identità nostra sta lì.

Loris Bagnara

Ok HollyFabius, lasciamo da parte i reciproci fraintendimenti e andiamo avanti.
Tanto più che tutto è partito da un tuo post che ho ripreso per fare una considerazione generale, e che non riguardava specificamente te, ma una corrente di pensiero...

Ha scritto nel tuo ultimo post:

CitazioneRispondo alla tua questione, ovvero: cosa c'è (se c'è) di stabile nel corpo/cervello umano a cui si possa riferire il senso di permanenza e stabilità del proprio io-sono, che ciascuno di noi sperimenta?

Ammetto che non mi è perfettamente e completamente chiaro cosa stai chiedendo, reagirei di rimbalzo: c'è qualcosa di stabile nel nostro corpo/cervello umano?
Se per stabile intendi che perdura nel tempo, nulla perdura in noi. Da quando nasciamo a quando moriamo vi è una continua trasformazione sia nel corpo che nel cervello. 
Questo però non esclude che per molti periodi quello che osserviamo come 'coscienza' permanga in forme sufficientemente stabili da fornire quella che è la nostra impressione di unità.
Se pensi ad un formicaio, la morte e nascita di formiche è continua ma le funzioni del formicaio permangono. E' un po' come una squadra di calcio dove un componente viene sostituito ma la squadra continua a giocare e dall'esterno continui a vedere la partita.
E' proprio questo il punto da afferrare.
Mi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Non sono affatto convinto che possa risolvere il problema, per due motivi.

Il primo è che le funzioni del corpo/cervello in verità variano e fluttuano di secondo in secondo (pensieri, emozioni, desideri, sensazioni etc) e che solo in generale, e facendo una sorta di media di lungo periodo, tali funzioni possono considerarsi più o meno simili. Ma solo più o meno, e solo compiendo un'astrazione a posteriori: insomma, un'operazione inversa, analoga a quella dell'autoreferenzialità, mi pare.

Il secondo motivo è che se assumiamo la struttura delle funzioni del corpo/cervello umano nella loro generalità, allora tutti gli uomini sarebbero grosso modo identici. Cioè, se non consideriamo le specifiche differenze di contenuti mentali, ma restiamo sul generale, allora banalmente possiamo dire che tutti gli uomini pensano, sentono, desiderano più o meno allo stesso modo, cioè presentano un'analoga struttura funzionale.
Ma allora come fa a sorgere il senso della nostra specifica identità? Come facciamo a sentirci legati ad uno specifico corpo impermanente, se la struttura delle funzioni accomuna tutti gli esseri umani?

In conclusione, questi sono i due grandi problemi che il riduzionismo deve risolvere: il problema dell'impermanenza e quello dell'individuazione.

Non chiedo altre risposte, ora. Ho chiarito quel che intendevo dire e lascio a ciascuno il tempo e la voglia di rifletterci sopra...

paul11

Citazione di: maral il 17 Maggio 2016, 19:09:52 PM
Citazione di: paul11 il 17 Maggio 2016, 14:26:01 PM... mi arrendo. O si capisce quello che scrivo ,e forse è colpa mia, oppure è è inutile girare in giro. Comunque:.... Se una porta di un materiale ti permette di gestire solo 2 due stati (passa la corrente,1; non passa la corrente 0) hai 2 ^2 = 4 possibilità. Se un'altro materiale ha la possibilità ,per pura ipotesi, di gestire 10 stati , allora hai 10^10=100 : tutto quì.
?aul, puoi quanto meno convenire che il materiale organico, pur essendo su base esperenziale (e dunque non assoluta), una condizione che appare necessaria allo svilupparsi di una coscienza non è per nulla una condizione sufficiente? Ossia che quella possibilità di una maggiore interattività biochimica non riesce comunque a dare ragione sufficiente di per se stessa di una attività cosciente anche elementare, nemmeno a livello di pura emozione? e dunque che la coscienza non sta nella quantità di relazioni che un tipo di materiale consente, ma nella qualità di un tipo di relazione che ancora non riusciamo a definire se non in termini assai vaghi e generali, per lo più basandoci su un'idea di somiglianza? Il materiale organico è semplicemente un materiale la cui chimica è quella del carbonio, ma di per sé il carbonio è inorganico e ha origine inorganica come elemento. La chimica del carbonio di per sé non spiega proprio nulla della coscienza, non è sufficiente, esattamente come non lo è la meccanica quantistica delle particelle elementari. Questo non significa pensare che la coscienza sia un misterioso flusso spirituale, essa è data dalla materia, ma da una materia intesa come relazione e non come cosa. Una particolare relazione che è già coscienza.

Quello che sostengo è che ola complessità è gestita da un "sistema operativo" all'altezza o collassa, vuol dire muore come appare. Il sistema operativo è nel cervello e il codice sorgente è il DNA.
La dimostrazione è che non vedo esseri con coscienza e capacità linguistica come la nostra.
La mia tesi è che la vita, il bios, è il substrato che fa emergere dalla complessità organica, un'otganizazione che deve necessariamente sovraintendere tutte le specializzazioni di apparati, funzioni,ecc.Richiede quindi un cervello potente.
Il salto definitivo è la comparsa nel cervello ,quindi fisicamente, delle aree linguistiche.
Sonon d'accordo con HollyFabius che gli animali più intelligenti hanno un abbozzo di psiche e coscienza, hanno ad esempio ritualità più individualistiche sui corteggiamenti (il cavallo ad esempio).
Sono ancora d'accordo con Hollyfabius quando dice che la complessità genera un salto di qualità.
Se gli animali più semplici non hanno apparati e funzioni ben definite, vedi un'ameba o comunque un protozoo, mentre appaiono in animali più grandi fisicamente e più complessi come quantità di scambi biochimici, trovo una progressione nella complessità proprio intesa come quantità e salto qualitativo.Non dimentichiamo che in natura efficienza energetica ed efficacia organica in rapporto all'ambiente sono la chiave di una continuità di esistenza.

Io non conosco il segreto della vita, oppure da credente potrei dire che "Dio ha soffiato.",ma è evidente che i gruppi carbossilici, gli acidi nucleici  il  DNA e l'RNA sono formati  da determinate molecole con determinati elementi.
Il carbonio è la base energetica, Il petrolio non deriva dal silicio o dall'antimonio, deriva da sostanze di nuovo organiche e sono i soliti elementi.Lamia è semplice  deduzione. D'altra parte la sostanza organica se ha più poteri plastici di trasformazione  e quindi di scambi energetici si degrada facilmente è più labile sotto pressione e temperatura. per questo forse la vita emerge solo in strette condizioni ambientali .

Bisogna fare attenzione a mio parere all'energia elettromagnetica come ho già scritto.Le reti nervose sono reti "elettriche" che generano campi magnetici. Quanti neuroni e sinapsi ci sono in un cervello umano?
Quanti muoiono e rinascono? Se una percezione elettromagnetica come lo spettro visivo impatta una retina e vine trasportato il segnale informativo ad un cervello il cervello per archiviarlo deve mutare gli stati energetici dei neuroni posti e localizzati in determinate aree e a volte anche lontane fisicamente fra loro.

Perchè non pensare che la coscienza sia come una nuvola elettromagnetica dentro il cranio, ma non perfettamente corrispondente al cervello? Abbiamo presente gli elettroni e il nucleo atomico? Un campo magnetico non è direttamente e fisicamente corrispondente alla sola area della materia che lo genera, basta vedere la magnetosfera terrestre  e quanto il sole incida con le sue radiazioni a milioni di chilometri di distanza.
E ancora, perchè utilizziamo l'imaging per "vedere" un cervello , se non per impressionare l'elettromagnetismo presente in esso.

Sono ipotesi Maral, ma non credo di essere così distante.

Mario Barbella

Citazione di: HollyFabius il 17 Maggio 2016, 08:20:21 AM
Citazione di: paul11 il 17 Maggio 2016, 01:59:14 AM
Con rispetto, ma sorrido a come si intellettualizza una coscienza, è già evidente aldilà del contenuto di cosa scrivete, ma il fatto che lo pensate e lo riflettete.Ci sono altri organismi capacità di astrarsi temporalmente, di sedersi davanti ad un computer di comporre dei simboli linguistici e di comunicarli linguisticamente?
Eppure mentre siete assorti il vostro cuore pompa sangue,, i vostri polmoni assorbono ossigeno e innumerevoli attività biochimiche si esplicano contemporaneamente ma voi siete "fuori" da atti metabolici, avete una volontà.
Siete in una sospensione temporale, ma siete fisicamente dentro un tempo .
Utilizzate la logica? Induttiva,deduttiva e magari immaginazione e intuizione, perchè potete spostare le vostre angolazioni, prospettive per relazionarvi, C'è psiche, c'è una motivazione per cui siete lui a scrivere, a pensare, riflettere?
Potete avere attenzione, concentrazione, meditazione  e pur anche contemplazione.E chi altri ha queste possibilità di porsi alfi fuori di sè e relazionarsi a sua volta con se stesso, con il mondo con il divenire o l'eterno.La capacità di problematizzarsi, di ingaggiare una relazione di puro pensiero?

Il cervello deve per forza essere adattato per permettere tutto questo, e a sua volta è stato spinto da una complessità organica..
E' evidente che complessità significa maggiore organizzazione, con differenziazioni specialistiche, interagenti funzioni, ma con centrali decisionali e operative separate ma intimamente connesse. Il corpo deve innanzitutto sopravvivere e lo fa con automatismi ,poi è separata la sfera della volontà. Se la complessità non avesse generato specificità funzionali e spinto a formazioni superiori di sovraintendere i meccanismi noi non ci saremmo.

Un silicio drogato, germanio o chi per esso  che lavora solo con due colori (sistema binario)è meno potente di avere a disposizione l'intero spettro elettromagnetico. I sistemi organici hanno requisiti di plasticità, reattività, capacità di interazione fra loro che avrà permesso i primi abbozzi di autoregolazione.Una cellula è già un'organizzazione di energia e il suo codice sorgente o è un RNA o evolutivamente è un DNA. Il giorbo in cui il substrato hardware sarò organico sarà possibile amplificare notevolmente quella potenza che il bit con i pacchetti di Byte da quattro, otto, dodici, ecc, sposta con velocità e quantità attraverso scambi energetici sapientemente regolati da istruzioni esterne, Il limite attuale è l'elettronica a stato solido, dove le architetture degli hardware, le miniaturizzazioni, le applicazioni delle nanotecnologie potranno ancora potenziare. Si può simulare una coscienza con un computer ,ma non è un organismo autoregolativo e autocodifcativo in grado di automodificare con mutazioni ed espandere le sue possibilità.
E' la plasticità organica che permette di generare coscienza, per le proprietà fisiche e chimiche che hanno i composti organici come le ossidoriduzioni.
La coscienza non  si dimostra perché è il primo ed assoluto "sentito"  che sostanzia l'IO  e che sostiene, proprio in quanto riferimento assoluto dell'universo, ogni altro "sentito".  :)
Un augurio di buona salute non si nega neppure a... Salvini ! :)
A tavola potrebbe pure mancare il cibo ma... mai il vino ! Si, perché una tavola senza vino è come un cimitero senza morti  ;)  (nota pro cultura (ed anche cucina) mediterranea)

HollyFabius

#186
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Maggio 2016, 19:53:56 PM
E' proprio questo il punto da afferrare.
Mi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Non sono affatto convinto che possa risolvere il problema, per due motivi.

Il primo è che le funzioni del corpo/cervello in verità variano e fluttuano di secondo in secondo (pensieri, emozioni, desideri, sensazioni etc) e che solo in generale, e facendo una sorta di media di lungo periodo, tali funzioni possono considerarsi più o meno simili. Ma solo più o meno, e solo compiendo un'astrazione a posteriori: insomma, un'operazione inversa, analoga a quella dell'autoreferenzialità, mi pare.

Il secondo motivo è che se assumiamo la struttura delle funzioni del corpo/cervello umano nella loro generalità, allora tutti gli uomini sarebbero grosso modo identici. Cioè, se non consideriamo le specifiche differenze di contenuti mentali, ma restiamo sul generale, allora banalmente possiamo dire che tutti gli uomini pensano, sentono, desiderano più o meno allo stesso modo, cioè presentano un'analoga struttura funzionale.
Ma allora come fa a sorgere il senso della nostra specifica identità? Come facciamo a sentirci legati ad uno specifico corpo impermanente, se la struttura delle funzioni accomuna tutti gli esseri umani?

In conclusione, questi sono i due grandi problemi che il riduzionismo deve risolvere: il problema dell'impermanenza e quello dell'individuazione.

Non chiedo altre risposte, ora. Ho chiarito quel che intendevo dire e lascio a ciascuno il tempo e la voglia di rifletterci sopra...

Impermanenza e individuazione
Nel mondo del logos, nella tradizione greca che ci accompagna l'identità delle cose è alla base di ogni riflessione.
Possiamo tranquillamente affermare che ogni nostra riflessione si basa sulla creazione di oggetti e sullo studio delle loro relazioni, ontologia, essere sono i concetti fondamenti.
Grandi filosofie si appoggiano al criterio di identità e al principio di non contraddizione, ogni discorso della filosofia occidentale implicitamente o esplicitamente si appoggia su questi principi, almeno questo è quanto io ho percepito.
Impermanenza e indivuduazione sono il tentativo di spostare questi principi sul piano del ragionamento attorno alla coscienza.
L'impermanenza è concettualmente simile alla critica del divenire di Severino, ripresa da Parmenide, se le cose cambiano non rimangono se stesse, quindi o rifiutiamo l'idea che esistano identità nelle cose o rifiutiamo che esista il divenire.
La filosofia occidentale, il nichilismo rifiuta l'identità e forse l'idea stessa delle cose, tutte le cose, Severino rifiuta il divenire.
Mi pare che la tua riflessione, profonda, rivive questo dilemma, spostandolo sul piano della coscienza.
La coscienza, vista come cosa in divenire, che varia e fluttua di secondo in secondo contrasta con la coscienza individuata come essere (oggetto permanente e coerente nel tempo).

Il fatto è che esiste una terza via logicamente percorribile. Il mare è in continuo movimento, le acque bagnano la spiaggie e poi la risacca ritira le onde, al suo interno animali nascono, vivono, muoiono. Il mare non è mai uguale a se stesso, non rispetta il principio di specifica identità.
Ogni onda è diversa dall'onda precedente, ogni risacca si ritira diversamente. Il mare si scompone e si ricompone continuamente, sempre diverso da se stesso ma permanentemente sempre se stesso.
Cosa rende il mare sempre costantemente, indiscutibilmente mare? Diresti che non possiamo ridurre il mare ad un insieme di liquido e carne animale, perchè il liquido non è fermo e gli animali contenuti muoiono?
Il vento increspa le onde, le forme delle onde sono tutte diverse tra loro, eppure sono convinto che se ti indico un'onda anche tu vedrai un'onda.
Ma come facciamo a riconoscere le onde se non esiste un'onda uguale ad un'altra onda, cose rende le diverse onde 'onda'?

Io vedo la nostra coscienza come il mare, esiste un mare sommerso, una parte di noi sotto-coscienza, irrazionale, animale che gorgoglia ed esiste una parte di noi sulla superficie, che disegna delle geometrie sempre diverse ma riconoscibili, fluttuanti, quasi come pensieri che sorgono dal nostro mare interno.

Ora io non riesco ad immaginare altri mari su altri pianeti, ma credo che esistano e che questi mari contengano fenomeni ondosi, fenomeni di fluttuazione e di risacca.
Ma non riesco ad immaginare che siano identici al mare terrestre, varieranno per dimensioni, colore, liquidi. Sarà diversa la gravità che li tiene vicini al loro mondo. Conterranno magari animali di cui non immaginiamo la forma, le funzioni, il ciclo naturale di vita.
Anzi escluderei che siano grosso modo identici al nostro mare.

davintro

Citazione di: sgiombo il 17 Maggio 2016, 19:07:57 PM
Citazione di: davintro il 17 Maggio 2016, 15:19:55 PMNon direi che la riflessione a posteriori "costruisca" alcunchè. La riflessione non produce i propri oggetti ma scopre qualcosa che gia c'è, mette in evidenza ciò che prima era latente. L'autocoscienza è questo sapere latente della coscienza che ha di sè, latente perchè nell'atteggiamento naturale (dominante nella nostra quotidianità) l'attenzione della coscienza è rivolta non su di sè ma sugli oggetti del mondo esterno che percepisce. L'atto di attribuzione di significati ad un oggetto ci appare come immediata perchè nell'atto percettivo, come è ovvio che sia, sono rivolto alla scoperta dei lati dell'oggetto sensibile e non sul processo cognitivo che in quel momento sta operando la sintesi percettiva. Non va confusa l'immediatezza con l'instantaneità. La percezione è effettivamente istantanea perchè gli schemi associativi del passato attraverso cui l'oggetto che ho di fronte assume un significato perchè associato con l'attribuzione di significato che oggetti simili hanno avuto per me nel passato, è già collegato con l'atto presente in virtu della continuità del flusso di coscienza, continuità data dal permanere nel flusso di un soggetto, di un Io genericamente inteso. Non c'è bisogno di un sforzo di regressione verso il passato, il passato è già qua. Ma non si può parlare di "immediatezza", perchè la percezione, seppur frutto della continuità passato-presente, è pur sempre sintesi, sintesi tra i lati dell'oggetto che si danno come fenomeni alla coscienza. La riflessione a posteriori, che può attuarsi o meno, scopre tale continuità tra la coscienza del passato e la coscienza del presente come condizione della mediazione percettiva ed in questo senso trova l'autocoscienza come già data, presente come latente ed ora la mette solo in evidenza ma non se la "inventa". Se se la inventasse, come in una sorta di autoillusione, non avrebbe senso parlare di riflessione come un atto teoretico, ma più come una sorta di atto volontario che "vuole" vedere ciò che magari non c'è. Chiaro che stiamo uscendo dall'accezione naturale del concetto di riflessione. Pensare che l'autocoscienza sia solo una costruzione a-posteriori della riflessione è possibile solo confondendo "autocoscienza" con "attenzione della coscienza su di sè". In realtà l'autocoscienza per essere non ha bisogno di essere tematizzata. la riflessione sposta l'autocoscienza dallo sfondo al punto focale dell'attenzione dello sguardo, ma anche fintanto che resta sullo sfondo se ne ha un livello di consapevolezza che condiziona lo stesso darsi del fenomeno presente nel punto centrale della visuale come ho provato a descrivere nei miei esempi.
CitazionePurtroppo mi é impossibile intenderti. Per me "autocoscienza" = "coscienza della coscienza" = "coscienza come oggetto di coscienza" = "attenzione della coscienza su di sé". Quando l' attenzione della coscienza non verte su di sé si ha coscienza di altre cose diverse dalla coscienza; id est: non si ha autocoscienza (ma soltanto coscienza). E questo anche se tali contenuti di coscienza (che non sono autocoscienza) sottintendono in qualche modo, per me alquanto oscuro, o dipendono in qualche modo da (ma comunque non attenzionano, non comprendono o includono attualmente come loro contenuti, cioé come contenuti di coscienza) esperienze coscienti passate (delle quali si ha memoria nel senso che sono potenzialmente evocabili, ma non ricordo ovvero evocazione immaginativa-mnemonica in atto).

Che dire... se si accetta la validità della tua equazione, nulla da obiettare, la coscienza può darsi senza autocoscienza. Ma allora proviamo a chiarire un attimo il concetto di "attenzione". L'attenzione non è un atto meramente cognitivo, come il giudizio o la percezione, ma implica la volontà del soggetto e questo la rende un atto distinto rispetto ad altri vissuti (Erlebnisse, dal tedesco) della coscienza. Io volontariamente decido dove dirigere la mia attenzione. In questo momento la sto orientando verso il pc dove sto scrivendo (torno all'esempio di prima, scusa ma per ora non mi viene in mente niente di meglio) mentre il resto dell'ambiente esterno (la mia stanza) e la mia situazione interiore (preoccupazioni, pensieri della mia vita non direttamente legati a ciò su cui sto scrivendo) restano sullo sfondo, sono un "sottofondo". Cosa dovrebbe impedire di definire questo sottofondo come contenuto di coscienza? Stando a ciò che sostieni, l'identità tra contenuto di coscienza e oggetto dell'attenzione, in questo momento, nel quale la mia attenzione è orientata sulla tastiera e sullo schermo del pc, il resto della mia stanza dovrebbe essere fuori della mia coscienza ed allora se qualcuno aprisse la porta non potrei accorgermene. E invece probabilmente me ne accorgerei e me accorgo perchè la porta da dove proviene il rumore era già presente alla mia coscienza, che non si riduce al focus centrale dell'attenzione, così come mentre sto scrivendo un certo concetto potrebbe portarmi, per una serie di collegamenti associativi, a farmi tornare alla mente il pensiero di una certa preoccupazione a cui da un pò di tempo non rivolgevo la mia attenzione. Ma quando mi ritorna in mente la riconosco non come qualcosa di creato dal nulla ma già da prima presente nella mia mente (cioè nella mia coscienza) e solo ora tornata ad essere oggetto d'attenzione. Se la coscienza coincidesse con il "dare attenzione" tutto ciò non sarebbe possibile. L'autocoscienza è questo sottofondo trascendentale garante dell'unità temporale passato-presente attraverso cui il mondo acquisisce un significato dato dalla mia storia personale. La soluzione sarebbe pensare la coscienza come strutturata come un insieme di livelli di maggiore e minore chiarezza, dove l'attenzione è un fattore che determina un incremento di nitidezza di una singola esperienza vissuta, fermo restando che anche i vissuti presenti nei livelli "inferiori", più oscuri restano comunque parte della coscienza ed in qualunque momento possono essere rischiarati

sgiombo

Citazione di: Loris Bagnara il 17 Maggio 2016, 19:53:56 PMMi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?[/size]
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Non sono affatto convinto che possa risolvere il problema, per due motivi.

Il primo è che le funzioni del corpo/cervello in verità variano e fluttuano di secondo in secondo (pensieri, emozioni, desideri, sensazioni etc) e che solo in generale, e facendo una sorta di media di lungo periodo, tali funzioni possono considerarsi più o meno simili. Ma solo più o meno, e solo compiendo un'astrazione a posteriori: insomma, un'operazione inversa, analoga a quella dell'autoreferenzialità, mi pare.

Il secondo motivo è che se assumiamo la struttura delle funzioni del corpo/cervello umano nella loro generalità, allora tutti gli uomini sarebbero grosso modo identici. Cioè, se non consideriamo le specifiche differenze di contenuti mentali, ma restiamo sul generale, allora banalmente possiamo dire che tutti gli uomini pensano, sentono, desiderano più o meno allo stesso modo, cioè presentano un'analoga struttura funzionale.
Ma allora come fa a sorgere il senso della nostra specifica identità? Come facciamo a sentirci legati ad uno specifico corpo impermanente, se la struttura delle funzioni accomuna tutti gli esseri umani?

In conclusione, questi sono i due grandi problemi che il riduzionismo deve risolvere: il problema dell'impermanenza e quello dell'individuazione.

Non chiedo altre risposte, ora. Ho chiarito quel che intendevo dire e lascio a ciascuno il tempo e la voglia di rifletterci sopra...

Rispondo (anche se non direttamente chiamato in causa; me ne scuso, ma non sono riuscito a trettenermi oltre).

Non vedo alcun problema (dal punto di vista dei monisti materialisti, quale io peraltro non sono).

Tanto dell' esperienza personale cosciente (dell' "io", se così ti piace chiamarla) quanto del cervello (vivo) si può dire tranquillamente che iniziano e finiscono di esistere sostanzialmente insieme (con qualche limitata sfasatura; con buona approssimazione insieme se il cervello si intende in quanto pienamente sviluppato e regolarmente funzionante: non nel feto e primissimi giorni di vita extrauterina, non se in coma); e che si trasformano durante la loro esistenza, cioé che persistono relativamente, parzialmente, per certi aspetti e caratteristiche, continuando ad essere se stessi (ciascuno se stesso), pur mutando relativamente, parzialmente, per certi altri aspetti e caratteristiche (per esempio tu continui ad essere te stesso pur cambiando relativamente: non sei esattamente il bambino che eri qualche anno fa; esattamente come il tuo cervello continua ad essere il tuo cervello e a funzionare in quanto tuo cervello, pur non essendo esattamente quello di quando eri bambino e non funzionando esattamente nello stesso modo):

ma dove starebbe mai il problema?

sgiombo

#189
Citazione di: paul11 il 17 Maggio 2016, 20:07:21 PMPerchè non pensare che la coscienza sia come una nuvola elettromagnetica dentro il cranio, ma non perfettamente corrispondente al cervello? Abbiamo presente gli elettroni e il nucleo atomico? Un campo magnetico non è direttamente e fisicamente corrispondente alla sola area della materia che lo genera, basta vedere la magnetosfera terrestre  e quanto il sole incida con le sue radiazioni a milioni di chilometri di distanza.

Rispondo:
Ma semplicemente perché si constata che di fatto la coscienza (l' esperienza fenmenica cosciente) é tutt' altra cosa (del tutto diversa) che una nuvola elettromagnetica dentro il cranio, ma non perfettamente corrispondente al cervello (la quale al massimo potrebbe costituirne un "minuscolo, occasionale contenuto"; peraltro di fatto non é così): può essere visione di panorami o di oggetti, ascolto di musica, degustazione di cibi, evocazione di ricordi, immaginazione di scene o di eventi irreali, sensazioni interiori di ragionamenti o di sentimenti, ma non una cosa materiale simile a una nuvola elettromagnetica dentro il cranio.

sgiombo

#190
Citazione di: davintro il 17 Maggio 2016, 23:59:30 PMChe dire... se si accetta la validità della tua equazione, nulla da obiettare, la coscienza può darsi senza autocoscienza. Ma allora proviamo a chiarire un attimo il concetto di "attenzione". L'attenzione non è un atto meramente cognitivo, come il giudizio o la percezione, ma implica la volontà del soggetto e questo la rende un atto distinto rispetto ad altri vissuti (Erlebnisse, dal tedesco) della coscienza. Io volontariamente decido dove dirigere la mia attenzione. In questo momento la sto orientando verso il pc dove sto scrivendo (torno all'esempio di prima, scusa ma per ora non mi viene in mente niente di meglio) mentre il resto dell'ambiente esterno (la mia stanza) e la mia situazione interiore (preoccupazioni, pensieri della mia vita non direttamente legati a ciò su cui sto scrivendo) restano sullo sfondo, sono un "sottofondo". Cosa dovrebbe impedire di definire questo sottofondo come contenuto di coscienza? Stando a ciò che sostieni, l'identità tra contenuto di coscienza e oggetto dell'attenzione, in questo momento, nel quale la mia attenzione è orientata sulla tastiera e sullo schermo del pc, il resto della mia stanza dovrebbe essere fuori della mia coscienza ed allora se qualcuno aprisse la porta non potrei accorgermene. E invece probabilmente me ne accorgerei e me accorgo perchè la porta da dove proviene il rumore era già presente alla mia coscienza, che non si riduce al focus centrale dell'attenzione, così come mentre sto scrivendo un certo concetto potrebbe portarmi, per una serie di collegamenti associativi, a farmi tornare alla mente il pensiero di una certa preoccupazione a cui da un pò di tempo non rivolgevo la mia attenzione. Ma quando mi ritorna in mente la riconosco non come qualcosa di creato dal nulla ma già da prima presente nella mia mente (cioè nella mia coscienza) e solo ora tornata ad essere oggetto d'attenzione. Se la coscienza coincidesse con il "dare attenzione" tutto ciò non sarebbe possibile. L'autocoscienza è questo sottofondo trascendentale garante dell'unità temporale passato-presente attraverso cui il mondo acquisisce un significato dato dalla mia storia personale. La soluzione sarebbe pensare la coscienza come strutturata come un insieme di livelli di maggiore e minore chiarezza, dove l'attenzione è un fattore che determina un incremento di nitidezza di una singola esperienza vissuta, fermo restando che anche i vissuti presenti nei livelli "inferiori", più oscuri restano comunque parte della coscienza ed in qualunque momento possono essere rischiarati

Rispondo:

D' accordo (mi correggo): la coscienza non necessariamente é attenzione (vi sono vari gradi possibili di attenzione ai contenuti di coscenza reciprocamente alternativi, e probabilmete sono infiniti: infinite gradazioni di attenzione più o meno forte).

Ma ciò non toglie che la coscienza in generale, la coscienza di altro dal proprio essere cosciente (quale che sia il grado di attenzione che presenta) é altra cosa dalla coscienza (anche questa più o meno attenta o distratta che sia) della coscienza (dalla sensazione del pensiero del "proprio essere cosciente", del pensiero dei -gli altri- "contenuti di coscienza"); e che solo quest' ultima (diversa dalla coscienza di qualsiasi altra "cosa" o "conteuto esperienziale") costituisca l' "autocoscie4nza".

E continuo a ritenere che solo l' uomo, grazie al linguaggio e alla possibilità di pensiero atratto che ne consegue, sia dotato di piena, autentica autocoscienza.

HollyFabius

Citazione di: davintro il 17 Maggio 2016, 23:59:30 PM

<CUT> Ma allora proviamo a chiarire un attimo il concetto di "attenzione". L'attenzione non è un atto meramente cognitivo, come il giudizio o la percezione, ma implica la volontà del soggetto e questo la rende un atto distinto rispetto ad altri vissuti (Erlebnisse, dal tedesco) della coscienza. Io volontariamente decido dove dirigere la mia attenzione. In questo momento la sto orientando verso il pc dove sto scrivendo (torno all'esempio di prima, scusa ma per ora non mi viene in mente niente di meglio) mentre il resto dell'ambiente esterno (la mia stanza) e la mia situazione interiore (preoccupazioni, pensieri della mia vita non direttamente legati a ciò su cui sto scrivendo) restano sullo sfondo, sono un "sottofondo". Cosa dovrebbe impedire di definire questo sottofondo come contenuto di coscienza? Stando a ciò che sostieni, l'identità tra contenuto di coscienza e oggetto dell'attenzione, in questo momento, nel quale la mia attenzione è orientata sulla tastiera e sullo schermo del pc, il resto della mia stanza dovrebbe essere fuori della mia coscienza ed allora se qualcuno aprisse la porta non potrei accorgermene. E invece probabilmente me ne accorgerei e me accorgo perchè la porta da dove proviene il rumore era già presente alla mia coscienza, che non si riduce al focus centrale dell'attenzione, così come mentre sto scrivendo un certo concetto potrebbe portarmi, per una serie di collegamenti associativi, a farmi tornare alla mente il pensiero di una certa preoccupazione a cui da un pò di tempo non rivolgevo la mia attenzione. Ma quando mi ritorna in mente la riconosco non come qualcosa di creato dal nulla ma già da prima presente nella mia mente (cioè nella mia coscienza) e solo ora tornata ad essere oggetto d'attenzione. Se la coscienza coincidesse con il "dare attenzione" tutto ciò non sarebbe possibile. L'autocoscienza è questo sottofondo trascendentale garante dell'unità temporale passato-presente attraverso cui il mondo acquisisce un significato dato dalla mia storia personale. La soluzione sarebbe pensare la coscienza come strutturata come un insieme di livelli di maggiore e minore chiarezza, dove l'attenzione è un fattore che determina un incremento di nitidezza di una singola esperienza vissuta, fermo restando che anche i vissuti presenti nei livelli "inferiori", più oscuri restano comunque parte della coscienza ed in qualunque momento possono essere rischiarati

Probabilmente esistono due accezioni possibili del concetto di "attenzione".
Esiste una attenzione puramente animale, sotto-cosciente e una attenzione strutturata, sovra-cosciente, tipicamente umana.
La prima attenzione è la stessa che puoi riconoscere nel gatto che si immobilizza all'impressione che sotto le foglie che si muovono possa celarsi un topo. Ogni suo movimento cessa, il suo corpo si contrae pronto a cogliere l'attimo ottimale per l'assalto, il suo sguardo, le pupille dei suoi occhi si muovono nel cercare il movimento impercettibile della foglia. E poi viene lo scatto. Ecco questo è sicuramente una rappresentazione di "attenzione" cui il mondo animale mostra in tutti i predatori. E' indubbio che questo atteggiamento presuppone una capacità "animale" di concentrare se stessi, le proprie forze vitali, in un unico atto o momento topico. Peraltro da una visione comportamentale ed evoluzionista è evidente che l'animale che meglio, nel senso di più efficacemente, riesce ad organizzare e utilizzare questo processo di "attenzione" è favorito nel perdurare esistenziale rispetto all'animale meno efficace, sia esso della stessa specie che di un'altra specie.
Un complementare comportamento di "attenzione" possiamo osservare nella preda, l'antilope si blocca un attimo, tutti i suoi sensi colgono i fruscii, alza la testa per massimizzare la ricezione di onde sonore e contemporaneamente si mette nella posizione dello scatto, con l'occhio scruta davanti a se per osservare i percorsi liberi, poi improvvisamente identificato un fruscio sospetto, scatta la corsa.
Questa forma di attenzione è sotto-coscienza, non immediata perché sfrutta al meglio i sensi (è quindi mediata dai sensi), i sensi, la percezione passano direttamente all'atto volitivo di aggressione o fuga (in dipendenza dei ruoli), la coscienza in questo casa sarebbe un fardello pericolo per la sopravvivenza.
Anche nell'uomo esiste questa forma di "attenzione", che cominciamo ad allenare, come tutti gli animali, dal momento stesso che usciamo dalla madre. A questa forma noi abbiamo aggiunto una "attenzione" consapevole, che è quella di cui parli nel tuo post. Io concentro i miei pensieri su un tema ed escludo ogni altra cosa.
Le due forme di "attenzione" non sono però disgiunte, io credo che esista per l'attenzione un sali-scendi da sopra a sotto la coscienza, l'attenzione cosciente non nasce dalla coscienza bensì dalla attenzione incosciente, dallo strato di "attenzione" animale che sfruttando anche le nostre capacita razionali e di immaginazione superiore ci forniscono lo strato e la situazione di cui stiamo parlando e di cui tutti abbiamo consapevolezza.
Esiste e possiamo riconoscere anche un processo di allenamento per la nostra attenzione, sia animale che sovra-animale, è quel processo che usa, per esempio l'atleta, di ripetizione ossessiva del gesto, allo scopo di renderlo quanto più possibile efficiente ed immediato (rispetto ai sensi). Il calciatore che ripete il gesto del palleggio, nel farlo coscientemente aumenta la sua capacità di farlo in forma automatica, esente poi della riflessione 'cosciente':  'arriva la palla, la vedo avvicinarsi, devi mettere il piede così o cosà per assorbile il colpo, ecco ora devo flettere il muscolo, ecco ora devo irrigidire il muscolo, ecc.'. Il calciatore si allena per portare l'attenzione cosciente razionale sotto la soglia della coscienza, per rendere il processo 'vedo la situazione' 'reagisco alla situazione' esente della parte razionale di attenzione, per comprimere questo processo alla sola parte animale.

paul11

#192
La coscienza non  si dimostra perché è il primo ed assoluto "sentito"  che sostanzia l'IO  e che sostiene, proprio in quanto riferimento assoluto dell'universo, ogni altro "sentito".  (Mario Barbella)

Sì può essere, e forse c'è qualcosa di vero. Intuitivamente la nostra cosciente si sente parte intima di un tutto

Citazione di: sgiombo il 18 Maggio 2016, 08:42:47 AM
Citazione di: paul11 il 17 Maggio 2016, 20:07:21 PMPerchè non pensare che la coscienza sia come una nuvola elettromagnetica dentro il cranio, ma non perfettamente corrispondente al cervello? Abbiamo presente gli elettroni e il nucleo atomico? Un campo magnetico non è direttamente e fisicamente corrispondente alla sola area della materia che lo genera, basta vedere la magnetosfera terrestre e quanto il sole incida con le sue radiazioni a milioni di chilometri di distanza.

Rispondo: Ma semplicemente perché si constata che di fatto la coscienza (l' esperienza fenmenica cosciente) é tutt' altra cosa (del tutto diversa) che una nuvola elettromagnetica dentro il cranio, ma non perfettamente corrispondente al cervello (la quale al massimo potrebbe costituirne un "minuscolo, occasionale contenuto"; peraltro di fatto non é così): può essere visione di panorami o di oggetti, ascolto di musica, degustazione di cibi, evocazione di ricordi, immaginazione di scene o di eventi irreali, sensazioni interiori di ragionamenti o di sentimenti, ma non una cosa materiale simile a una nuvola elettromagnetica dentro il cranio.


Sgiombo o sai cos'è oppure anche tu navighi nelle ipotesi.La mia convinzione è che un qualcosa di fisco, di materiale non può produrre un nulla che esiste, quindi è comunque una forma di energia.Che poi la scienza non riesca a osservarla fors eè questione di attendere nuove tecnologie strumentali, non lo so.

la coscienza non è un gioco linguistico, perchè emerge fisicamente grazie ad aree del cervello atte a far emergere la linguistica
 e linguisticamente, filosoficamente è impossible determinarla e definirla perchè è autoreferenziale riflettere di un  qualcosa che è già in sè ,
Se il sistema di relazione permetterebbe non di definirla, ma almeno di circoscriverla, daccapo non è solo ed essenzialmente con la logica che si potrebbe definirla , perchè non è  solo astrazione o trascendenza se "vive" ed esiste grazie ad un corpo fisico materiale.
Ed essendo il sottoscritto un credente  quello che cerco è il "ponte" per cui un materaiale organico vivente riesce a produrre, a far emergere, uno stato che ritengo ancora fisico , magari di energia non ancora scoperta(ribadisco non lo so), perchè ancora d un livello più alto penso che la coscienza sia ancora un "ponte" successivo ad una coscienza totale, universale, di un'energia spirituale.
Non credo alle favolette del puro spirito , contraddice la materialità di un corpo fisico 

maral

#193
Citazione di: davintro il 17 Maggio 2016, 15:19:55 PM
Rispondo a Maral:

Non direi che la riflessione a posteriori "costruisca" alcunchè. La riflessione non produce i propri oggetti ma scopre qualcosa che gia c'è, mette in evidenza ciò che prima era latente...
E cos'altro è la coscienza se non coscienza riflessa su se stessa, che talvolta accade, ma ben più spesso non accade (né è necessario che accada)? E' solo nel momento in cui accade che si avverte la presenza del soggetto e quindi di un soggetto in grado di essere cosciente di una coscienza intesa come propria. In questo senso l'autocoscienza appare come uno stato ulteriore della coscienza, come coscienza di quel sentirsi coscienti da cui è necessario partire per interpretare il mondo dal suo darsi "immediato" (che non è da intendersi in senso temporale, ossia istantaneo, ma "non mediato") in cui non c'è soggetto e pertanto nemmeno oggetto, ove non c'è né passato né futuro, ma tutto è qui e ora, nell'atto mediante che istantaneamente li determina. Nello stato di coscienza che non è autocoscienza non sono io a rivolgermi all'oggetto, perché l'immagine virtuale di un io riflessa dal mondo non sussiste ancora, dunque non è questione di un "mio" porre attenzione. In tal senso Sgiombo ha ragione quando dice che la stanza che sta intorno mentre si scrive al computer o si legge un libro, anche se non vi si pone attenzione, c'è, esattamente come c'è il gradino quando scendo le scale preso dai miei pensieri (e tuttavia so che c'è un gradino, so che sto scendendo le scale), la coscienza è lo sfondo opaco (ma di per se stesso lucidissimo) su cui un'autocoscienza può muoversi creando le sue figure di senso che procedono continuamente a un'individuazione soggettiva.
Ciò non toglie che dal momento in cui la coscienza del soggetto emerge riflessa dal mondo in se stessa, non è più negabile ed è solo a partire da essa che trae origine e ragione ogni  ogni discorso, compreso il discorso che  nega finge oggettività astratte da ogni posizione osservativa. E' solo da qui che il significato può essere reso come concatenazione di segni verbali, come simbolo che diventa parola (e parola creatrice).
Il soggetto è tutto e solo nella coscienza che riflette su se stessa ("riflette" nel senso strettamente speculare del termine) e una volta che questo riflesso appare, tutto appare alla luce di un soggetto originario che, anche se si nega (e forse soprattutto quando si nega dubitando di se stesso) c'è sempre, poiché è comunque solo lui che può intendere e pronunciare qualsiasi parola, qualsiasi logos.

Loris Bagnara

#194
Citazione di: sgiombo il 18 Maggio 2016, 08:18:54 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Maggio 2016, 19:53:56 PMMi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?[/size]
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Non sono affatto convinto che possa risolvere il problema, per due motivi.

Il primo è che le funzioni del corpo/cervello in verità variano e fluttuano di secondo in secondo (pensieri, emozioni, desideri, sensazioni etc) e che solo in generale, e facendo una sorta di media di lungo periodo, tali funzioni possono considerarsi più o meno simili. Ma solo più o meno, e solo compiendo un'astrazione a posteriori: insomma, un'operazione inversa, analoga a quella dell'autoreferenzialità, mi pare.

Il secondo motivo è che se assumiamo la struttura delle funzioni del corpo/cervello umano nella loro generalità, allora tutti gli uomini sarebbero grosso modo identici. Cioè, se non consideriamo le specifiche differenze di contenuti mentali, ma restiamo sul generale, allora banalmente possiamo dire che tutti gli uomini pensano, sentono, desiderano più o meno allo stesso modo, cioè presentano un'analoga struttura funzionale.
Ma allora come fa a sorgere il senso della nostra specifica identità? Come facciamo a sentirci legati ad uno specifico corpo impermanente, se la struttura delle funzioni accomuna tutti gli esseri umani?

In conclusione, questi sono i due grandi problemi che il riduzionismo deve risolvere: il problema dell'impermanenza e quello dell'individuazione.

Non chiedo altre risposte, ora. Ho chiarito quel che intendevo dire e lascio a ciascuno il tempo e la voglia di rifletterci sopra...

Rispondo (anche se non direttamente chiamato in causa; me ne scuso, ma non sono riuscito a trettenermi oltre).

Non vedo alcun problema (dal punto di vista dei monisti materialisti, quale io peraltro non sono).

Tanto dell' esperienza personale cosciente (dell' "io", se così ti piace chiamarla) quanto del cervello (vivo) si può dire tranquillamente che iniziano e finiscono di esistere sostanzialmente insieme (con qualche limitata sfasatura; con buona approssimazione insieme se il cervello si intende in quanto pienamente sviluppato e regolarmente funzionante: non nel feto e primissimi giorni di vita extrauterina, non se in coma); e che si trasformano durante la loro esistenza, cioé che persistono relativamente, parzialmente, per certi aspetti e caratteristiche, continuando ad essere se stessi (ciascuno se stesso), pur mutando relativamente, parzialmente, per certi altri aspetti e caratteristiche (per esempio tu continui ad essere te stesso pur cambiando relativamente: non sei esattamente il bambino che eri qualche anno fa; esattamente come il tuo cervello continua ad essere il tuo cervello e a funzionare in quanto tuo cervello, pur non essendo esattamente quello di quando eri bambino e non funzionando esattamente nello stesso modo):

ma dove starebbe mai il problema?
Ci mancherebbe, non si trattava di una conversazione privata...

Venendo al dunque, il problema lo si può vedere solo se si smette di osservare la realtà con gli stessi occhi di sempre.
Perché è umano dare per scontato ciò che constatiamo tutti i giorni.
Tutti i giorni e per tutta la nostra vita constatiamo quel che dice Sgiombo, e finiamo per darlo per scontato, per ovvio.
Ma è poi così ovvio?

Ho già detto altrove che è più difficile fare intuire l'urgenza di una domanda, che dare una risposta.
Ci provo con una metafora.

In ottica riduzionista, come ho supposto di mettermi, il corpo umano non è altro che la somma delle sue parti, senza un principio che lo renda una unità. Possiamo allora immaginarcelo come una sorta di nube di materia, che fluttua nello spazio e nel tempo.

La stessa cosa può dirsi dell'esperienza cosciente, che in ottica riduzionista è da intendersi come una nube di contenuti mentali, che anch'essa fluttua nel tempo e nello spazio.

Ora, noi abbiamo esperienza di questo fatto: senza che vi sia nulla che colleghi una nube all'altra, le due nubi stanno insieme, fluttuano insieme, vanno di pari passo per tutta la durata della vita.
E' così scontato?

A ciò va aggiunta una considerazione che farò ancora più fatica a far cogliere.
A entrambe quelle nubi sono legato io.
Non un essere umano qualsiasi. Io. Che potevo anche non esserci.
Non c'è nulla che implichi la mia presenza.
Se allora io mi rappresento come un palloncino gonfio d'elio, legato con uno spago, ecco, quel palloncino che sono io appare dal nulla proprio dentro a quelle nubi, e resta legato con il suo spago a quelle due nubi, mentre queste si spostano e fluttuano per tutta la durata della vita...

Non riesco a fare di meglio, per far cogliere il senso del problema.

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