Come dimostrare logicamente l'esistenza della coscienza?

Aperto da HollyFabius, 26 Aprile 2016, 20:12:25 PM

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davintro

Rispondo a Sgiombo:

Le sensazioni e i pensieri è tutto ciò che costituisce la conoscenza della realtà ma non sono di per sè cose reali, ma solo eventi che accadono a partire da una reale causalità psicofisica. Se le sensazioni e i pensieri potessero identificarsi con la realtà non sarebbe possibile valutarne il livello di aderenza e corrispondenza con un'oggettività, giacchè sarebbero essi stessi la verità. La nostra stessa discussione non sarebbe possibile, in quanto per poter giudicare che io avrei torto occorre necessariamente ammettere una realtà oggettiva distinta dalle nostre opinioni (cioè dai nostri pensieri) da usare come criterio per valutare i torti e le ragioni di ogni singolo pensiero. Dunque il pensiero è soggettività non oggettività e dunque non reale (anche se come intenzionalità, il pensiero è sempre rivolto alla rappresentazione di una realtà oggettiva, altra da sè, si rivolge a un trascendente e per questo alcuni pensieri sono più veri di altri). Per quanto riguarda le sensazioni, essendo queste al di fuori di una dubitabilità, non costituiscono un mondo oggettivo, cioè un mondo per il quale posso prendere una posizione, verificare, smentire, dubitare, dunque esse non sono oggetti reali ma soggettivi eventi che costituiscono il livello basico dell'esperienza e della conoscenza soggettiva. Infatti, posso dubitare che la sensazione che percepisco corrisponda a un oggetto reale, ma non che in questo momento abbia un certo tipo di sensazione. Questa è un fenomeno soggettivo della coscienza e dalla certezza di avere sensazioni, e di stare riflettendo e dubitando su di esse, si deduce l'esistenza di un io reale, pensante e senziente, che pone in atto pensieri e, con l'urto con reali oggetti esterni, sensazioni. Se queste fossero di per sè realtà, non sarebbe possibile distinguere l'indubitabilità della loro presenza nella mia coscienza con la possibilità dell'errore nei confronti della mia posizione riguardo il mondo oggettivo, perchè allora oggettività e soggettività finirebbero assurdamente per confondersi

paul11

#31
...se lo statuto ontologico lo portasse l'IO come coscienza ,ha necessità di relazionrare con il mondo esterno e con la comunità di altre persone e anche relazionare se stesso, vale a dire come consapevolezza di sè come autocoscienza.

Sgiombo, se ho capito bene, ha ragione nel sistema di relazione fra l'Io e il mondo percepito.
Deve necessariamente formalizzarsi un linguaggio che in qualche modo parametrizzi la realtà se vuole renderla conoscenza per sè e comunicare con gli altri della comunità, diversamente le soggettivazioni di tutti non formulano una conoscenza "esterna" del mondo, ma addirittura il visionario immaginativo e l'osservativo del reale non sarebbero possibili discriminarli. Vale a dire che senza una logica formale che tenta di togliere la soggettività sarebbe impossibile verificare la verità o falsità di una predicazione o proposizione. E quella veridicità nel mondo reale a sua volta garantisce l'agente conoscitivo con una sua coscienza.

Il paradosso, se si può  dire, dell'ontologia sulla coscienza è l'impossibilità a relazionarla "oggettivamente", nessuno può dire della nostra soggettività come coscienza, può solo fermarsi alla descrizione  ancora una volta esteriore dei comportamenti, atteggiamenti nostri iin funzione ancora una volta di una convenzione sociale.

In altri termini, i sistemi formali, descrivono e formalizzano il fenomeno fisico e il comportamento umano non come dati ontologici ,ma come espressione fenomenica.
Tant' è che noi potremmo essere con un "cervello in una vasca" o in una Matrix senza potercene accorgere, perchè le nostre verità o falsità descrittive sono dal di dentro del sistema, quindi noi descriviamo ciò che il fenomenico reitera como conoscenza scientifica in leggi, ma non siamo in grado di poter andare oltre lo statuto ontologico della coscienza descrivendola fattualmente, ma solo come presenza esperienziale e origine del movimento del conoscere.

HollyFabius

Citazione di: Sariputra il 03 Maggio 2016, 15:45:57 PM"L'essere è e non può non essere" e "il non-essere non è, e non può essere". (Parmenide)
Niente di più lontano da quello che maldestramente intendo dire. L'essere, nel mio intendere, è reale ma vuoto di esistenza intrinseca, in quanto dipendente da una moltitudine di fattori che sono non-essere. Di più, al di là di  questa moltitudine di fattori di non-essere non è dato trovare alcun essere. "L'essere è " dice Parmenide al che mi vien da domandargli "Sì...ma dov'è?" E per spiegarmi cosa intende per essere sarà costretto ad usare termini che sono non-essere. E "il non-essere non è" al che di nuovo verrebbe da dirgli:" Ma guardati intorno...è dappertutto!". Essere e non essere sono una dualità necessaria al pensiero.  Il reale trascende entrambi. Il reale è non-duale ed è vuoto di essere e di non-essere. Nessuna posizione. Aria libera. Finestrini abbassati.

Dobbiamo considerare il fatto che la riflessione ontologica di Parmenide è precristiana, non esistono per lui la categoria del fenomeno e del noumeno, non esiste il divenire. Il suo interrogarsi sull'essere è interrogarsi sul essere tavolo del tavolo, sull'essere uno dell'uno, sull'essere cento del cento e contemporaneamente è interrogarsi sul non-essere del tavolo prima che sia tavolo in assenza di un chiara esposizione del divenire, probabilmente anche un interrogarsi sulla essenza del cento in un contesto immanente. Per questo sospetto che la tua esposizione della negazione dell'essere sia vicina alla sua. Tu stesso infatti parli di essere e di non essere come dualità interna al pensiero ma poi usi il vuoto nel reale che assomiglia tanto al non essere nel mondo del pensiero precristiano. La tua convinzione che la realtà non sia duale e che non possa riprodursi nel pensiero in un modello duale fallisce quando tu stesso parli di vuoto e di reale (non è un parlare di vuoto contrapposto al reale?). Per quanto tu voglia togliere al reale ogni categoria del pensiero è un fatto evidente che nel reale esistano delle 'qualità', delle 'cose', delle 'essenze', delle 'non-essenze' differenti da luogo a luogo o da tempo a tempo. Il tuo reale diventa nulla, illusione, solo nel pensiero. Il nulla non esiste, non è, non ha consistenza nella realtà.

Sariputra

Citazione di: HollyFabius il 03 Maggio 2016, 18:39:08 PM
Citazione di: Sariputra il 03 Maggio 2016, 15:45:57 PM"L'essere è e non può non essere" e "il non-essere non è, e non può essere". (Parmenide) Niente di più lontano da quello che maldestramente intendo dire. L'essere, nel mio intendere, è reale ma vuoto di esistenza intrinseca, in quanto dipendente da una moltitudine di fattori che sono non-essere. Di più, al di là di questa moltitudine di fattori di non-essere non è dato trovare alcun essere. "L'essere è " dice Parmenide al che mi vien da domandargli "Sì...ma dov'è?" E per spiegarmi cosa intende per essere sarà costretto ad usare termini che sono non-essere. E "il non-essere non è" al che di nuovo verrebbe da dirgli:" Ma guardati intorno...è dappertutto!". Essere e non essere sono una dualità necessaria al pensiero. Il reale trascende entrambi. Il reale è non-duale ed è vuoto di essere e di non-essere. Nessuna posizione. Aria libera. Finestrini abbassati.
Dobbiamo considerare il fatto che la riflessione ontologica di Parmenide è precristiana, non esistono per lui la categoria del fenomeno e del noumeno, non esiste il divenire. Il suo interrogarsi sull'essere è interrogarsi sul essere tavolo del tavolo, sull'essere uno dell'uno, sull'essere cento del cento e contemporaneamente è interrogarsi sul non-essere del tavolo prima che sia tavolo in assenza di un chiara esposizione del divenire, probabilmente anche un interrogarsi sulla essenza del cento in un contesto immanente. Per questo sospetto che la tua esposizione della negazione dell'essere sia vicina alla sua. Tu stesso infatti parli di essere e di non essere come dualità interna al pensiero ma poi usi il vuoto nel reale che assomiglia tanto al non essere nel mondo del pensiero precristiano. La tua convinzione che la realtà non sia duale e che non possa riprodursi nel pensiero in un modello duale fallisce quando tu stesso parli di vuoto e di reale (non è un parlare di vuoto contrapposto al reale?). Per quanto tu voglia togliere al reale ogni categoria del pensiero è un fatto evidente che nel reale esistano delle 'qualità', delle 'cose', delle 'essenze', delle 'non-essenze' differenti da luogo a luogo o da tempo a tempo. Il tuo reale diventa nulla, illusione, solo nel pensiero. Il nulla non esiste, non è, non ha consistenza nella realtà.


Non essendo un concetto della mente come potrei  definire il vuoto ? La vacuità delle cose è essenzialmente un'esperienza intuitiva, non riproducibile in una frase, in un concetto, in un'idea. E' come voler descrivere un leone ad una persona che non l'ha mai visto e che conosce solo cavalli e tartarughe. Come puoi fare se non dire  "non è questo e non è neppure quello"? Non è un essere e neppure un non-essere. Il pensiero occidentale è profondamento influenzato dall'idea dell'essere e dall'idea della sua negazione e dal pensiero cristiano, che è l'apoteosi, a mio modesto parere, del concetto di essere.
Se osservo un tavolo, per usare l'es., noto che è composto da un'infinità di elementi non-tavolo (il legno, la colla, la vernice,il lavoro del falegname, i feltrini,ecc.). Ora l'essere (tavolo) si può definire o no la somma di infiniti elementi di non-tavolo? E senza gli elementi non-tavolo dove possiamo trovare l'essenza del tavolo? E' la sua funzione, il suo utilizzo l'essenza del tavolo? Ma qual'è la sua funzione che ne può definire l'essenza? Può servire per mangiare , ma me lo posso mettere sopra la testa per proteggermi dalla pioggia. Analizzando così ogni cosa, la troviamo dipendente da un'infinità di altre cose. Ora convenzionalmente si parla di tavolo, ma analizzandolo in profondità vediamo che è composto da non-tavolo. E così ogni cosa. Ma non è un'illusione nel senso che tu intendi o un nulla. C'è ben presente la funzione tavolo, l'idea di tavolo, il concetto di tavolo e l'immagine di tavolo. Infatti se tu e io parliamo di un tavolo, immaginiamo entrambi, con variazioni personali, un bel tavolo con quattro gambe. In questo senso il tavolo esiste. Ora estendo lo stesso vedere alla coscienza. Se abbiamo un pò di pratica introspettiva osserviamo che quello che definiamo" Io sono" è composto da un'infinità di stati mentali che appaiono e scompaiono incessantemente, di pensieri che sorgono e, prima ancora di svanire, sorgono nuovamente, di pulsioni e desideri consci e inconsci. Qual'è l'essere o essenza di questo processo ? L'esser consapevoli di questo andirivieni ? Nemmeno la consapevolezza è stabile; sorge e svanisce di continuo, esattamente come tutti gli altri stati mentali. Quando sorge diciamo "Ecco, io sono", ma poi svanisce e allora non siamo più consapevoli di tutti i nostri processi interiori ( per es. agiamo d'istinto, inconsapevolmente, svaniamo nel sonno profondo,ecc.). 
Assumere l'idea che la somma di infiniti non tavolo sia veramente un tavolo è, sempre a mio modesto parere, un errore del pensiero. Assumere l'idea che la somma di infiniti non-coscienza sia una coscienza è ancora un errore del pensiero. Per questo si parla di vacuità di ogni cosa. Nessuna essenza da trovare quindi nessuna illusione che ci sia un'essenza da trovare.
Proprio perchè non c'è un "tavolo" costruiamo tavoli meravigliosi.
Attenzione però a voler trascendere con il pensare questo semplice, veramente semplice, ordinario "vedere" le cose.  La vacuità ( o vuoto) non va intesa come l'assoluto, il Reale o l'essenza ultima di ogni cosa. Così facendo ripiombiamo di nuovo nel concetto di essere o in quello di non-essere. Il reale trascende il pensiero? Per essere coerente dovrei rispondere: "Al mattino bevo il caffè...".
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

HollyFabius

Citazione di: Sariputra il 03 Maggio 2016, 22:09:30 PM
Non essendo un concetto della mente come potrei  definire il vuoto ? La vacuità delle cose è essenzialmente un'esperienza intuitiva, non riproducibile in una frase, in un concetto, in un'idea. E' come voler descrivere un leone ad una persona che non l'ha mai visto e che conosce solo cavalli e tartarughe. Come puoi fare se non dire  "non è questo e non è neppure quello"? Non è un essere e neppure un non-essere. Il pensiero occidentale è profondamento influenzato dall'idea dell'essere e dall'idea della sua negazione e dal pensiero cristiano, che è l'apoteosi, a mio modesto parere, del concetto di essere.
Se osservo un tavolo, per usare l'es., noto che è composto da un'infinità di elementi non-tavolo (il legno, la colla, la vernice,il lavoro del falegname, i feltrini,ecc.). Ora l'essere (tavolo) si può definire o no la somma di infiniti elementi di non-tavolo? E senza gli elementi non-tavolo dove possiamo trovare l'essenza del tavolo? E' la sua funzione, il suo utilizzo l'essenza del tavolo? Ma qual'è la sua funzione che ne può definire l'essenza? Può servire per mangiare , ma me lo posso mettere sopra la testa per proteggermi dalla pioggia. Analizzando così ogni cosa, la troviamo dipendente da un'infinità di altre cose. Ora convenzionalmente si parla di tavolo, ma analizzandolo in profondità vediamo che è composto da non-tavolo. E così ogni cosa. Ma non è un'illusione nel senso che tu intendi o un nulla. C'è ben presente la funzione tavolo, l'idea di tavolo, il concetto di tavolo e l'immagine di tavolo. Infatti se tu e io parliamo di un tavolo, immaginiamo entrambi, con variazioni personali, un bel tavolo con quattro gambe. In questo senso il tavolo esiste. Ora estendo lo stesso vedere alla coscienza. Se abbiamo un pò di pratica introspettiva osserviamo che quello che definiamo" Io sono" è composto da un'infinità di stati mentali che appaiono e scompaiono incessantemente, di pensieri che sorgono e, prima ancora di svanire, sorgono nuovamente, di pulsioni e desideri consci e inconsci. Qual'è l'essere o essenza di questo processo ? L'esser consapevoli di questo andirivieni ? Nemmeno la consapevolezza è stabile; sorge e svanisce di continuo, esattamente come tutti gli altri stati mentali. Quando sorge diciamo "Ecco, io sono", ma poi svanisce e allora non siamo più consapevoli di tutti i nostri processi interiori ( per es. agiamo d'istinto, inconsapevolmente, svaniamo nel sonno profondo,ecc.).
Assumere l'idea che la somma di infiniti non tavolo sia veramente un tavolo è, sempre a mio modesto parere, un errore del pensiero. Assumere l'idea che la somma di infiniti non-coscienza sia una coscienza è ancora un errore del pensiero. Per questo si parla di vacuità di ogni cosa. Nessuna essenza da trovare quindi nessuna illusione che ci sia un'essenza da trovare.
Proprio perchè non c'è un "tavolo" costruiamo tavoli meravigliosi.
Attenzione però a voler trascendere con il pensare questo semplice, veramente semplice, ordinario "vedere" le cose.  La vacuità ( o vuoto) non va intesa come l'assoluto, il Reale o l'essenza ultima di ogni cosa. Così facendo ripiombiamo di nuovo nel concetto di essere o in quello di non-essere. Il reale trascende il pensiero? Per essere coerente dovrei rispondere: "Al mattino bevo il caffè...".
La cosa che non mi convince è proprio nella premessa, io vedo il vuoto come un concetto della mente.
Un primo punto di riflessione credo che sia su come considerare l'intuizione, essa anticipa la ragione o viene dopo un minimo di processo sensibile e quindi derivato dal fenomeno?  L'idea intuitiva del vuoto prescinde dalla conoscenza sensoriale della realtà? Io credo di no, viene dopo, come assenza di questa conoscenza.
Tu hai esemplificato su l'essere tavolo, ovvero usando un 'oggetto' esperienziale del quale abbiamo una esperienza sensoriale (tattile, visiva, ecc.) ma la stessa cosa non potresti farla con il numero 5, o con la cosa ancora più astratta del numero x. In questo caso l'essere numero x del numero x non dipende da altro che da se stesso. L'intuizione mentale pura (di un generico numero non definito) non è liberata dall'esperienza dei sensi perché nella nostra mente sappiamo che esiste una relazione fenomenica tra questa immagine e (per esempio) l'atto del contare sino a x, ma sappiamo decidere se l'intuizione del generico numero x è derivata, razionale o immediata, irrazionale?
La vacuità delle cose è un concetto utilizzabile per il numero x?
L'infinito è un concetto di cui ho intuizione, ma ho certezza della sua esistenza? Posso veramente realizzare una elaborazione intellettuale in grado di dare ragione all'infinito? Non è esso stesso nulla? Oppure posso considerare il nulla una infinita sottrazione di oggettualità? Ma in questo caso come mi pongo con la constatazione che non sono in condizione di dare ragione all'infinito?
Insomma attorno al nulla dovrò pur costruire un sistema di categorie che ne diano valenza intuitiva. L'assenza di questo sistema, di qualunque sistema non realizza il nulla, lo nega.



Sariputra

#35
Citazione di: HollyFabius il 03 Maggio 2016, 23:20:50 PM
Citazione di: Sariputra il 03 Maggio 2016, 22:09:30 PMNon essendo un concetto della mente come potrei definire il vuoto ? La vacuità delle cose è essenzialmente un'esperienza intuitiva, non riproducibile in una frase, in un concetto, in un'idea. E' come voler descrivere un leone ad una persona che non l'ha mai visto e che conosce solo cavalli e tartarughe. Come puoi fare se non dire "non è questo e non è neppure quello"? Non è un essere e neppure un non-essere. Il pensiero occidentale è profondamento influenzato dall'idea dell'essere e dall'idea della sua negazione e dal pensiero cristiano, che è l'apoteosi, a mio modesto parere, del concetto di essere. Se osservo un tavolo, per usare l'es., noto che è composto da un'infinità di elementi non-tavolo (il legno, la colla, la vernice,il lavoro del falegname, i feltrini,ecc.). Ora l'essere (tavolo) si può definire o no la somma di infiniti elementi di non-tavolo? E senza gli elementi non-tavolo dove possiamo trovare l'essenza del tavolo? E' la sua funzione, il suo utilizzo l'essenza del tavolo? Ma qual'è la sua funzione che ne può definire l'essenza? Può servire per mangiare , ma me lo posso mettere sopra la testa per proteggermi dalla pioggia. Analizzando così ogni cosa, la troviamo dipendente da un'infinità di altre cose. Ora convenzionalmente si parla di tavolo, ma analizzandolo in profondità vediamo che è composto da non-tavolo. E così ogni cosa. Ma non è un'illusione nel senso che tu intendi o un nulla. C'è ben presente la funzione tavolo, l'idea di tavolo, il concetto di tavolo e l'immagine di tavolo. Infatti se tu e io parliamo di un tavolo, immaginiamo entrambi, con variazioni personali, un bel tavolo con quattro gambe. In questo senso il tavolo esiste. Ora estendo lo stesso vedere alla coscienza. Se abbiamo un pò di pratica introspettiva osserviamo che quello che definiamo" Io sono" è composto da un'infinità di stati mentali che appaiono e scompaiono incessantemente, di pensieri che sorgono e, prima ancora di svanire, sorgono nuovamente, di pulsioni e desideri consci e inconsci. Qual'è l'essere o essenza di questo processo ? L'esser consapevoli di questo andirivieni ? Nemmeno la consapevolezza è stabile; sorge e svanisce di continuo, esattamente come tutti gli altri stati mentali. Quando sorge diciamo "Ecco, io sono", ma poi svanisce e allora non siamo più consapevoli di tutti i nostri processi interiori ( per es. agiamo d'istinto, inconsapevolmente, svaniamo nel sonno profondo,ecc.). Assumere l'idea che la somma di infiniti non tavolo sia veramente un tavolo è, sempre a mio modesto parere, un errore del pensiero. Assumere l'idea che la somma di infiniti non-coscienza sia una coscienza è ancora un errore del pensiero. Per questo si parla di vacuità di ogni cosa. Nessuna essenza da trovare quindi nessuna illusione che ci sia un'essenza da trovare. Proprio perchè non c'è un "tavolo" costruiamo tavoli meravigliosi. Attenzione però a voler trascendere con il pensare questo semplice, veramente semplice, ordinario "vedere" le cose. La vacuità ( o vuoto) non va intesa come l'assoluto, il Reale o l'essenza ultima di ogni cosa. Così facendo ripiombiamo di nuovo nel concetto di essere o in quello di non-essere. Il reale trascende il pensiero? Per essere coerente dovrei rispondere: "Al mattino bevo il caffè...".
La cosa che non mi convince è proprio nella premessa, io vedo il vuoto come un concetto della mente. Un primo punto di riflessione credo che sia su come considerare l'intuizione, essa anticipa la ragione o viene dopo un minimo di processo sensibile e quindi derivato dal fenomeno? L'idea intuitiva del vuoto prescinde dalla conoscenza sensoriale della realtà? Io credo di no, viene dopo, come assenza di questa conoscenza. Tu hai esemplificato su l'essere tavolo, ovvero usando un 'oggetto' esperienziale del quale abbiamo una esperienza sensoriale (tattile, visiva, ecc.) ma la stessa cosa non potresti farla con il numero 5, o con la cosa ancora più astratta del numero x. In questo caso l'essere numero x del numero x non dipende da altro che da se stesso. L'intuizione mentale pura (di un generico numero non definito) non è liberata dall'esperienza dei sensi perché nella nostra mente sappiamo che esiste una relazione fenomenica tra questa immagine e (per esempio) l'atto del contare sino a x, ma sappiamo decidere se l'intuizione del generico numero x è derivata, razionale o immediata, irrazionale? La vacuità delle cose è un concetto utilizzabile per il numero x? L'infinito è un concetto di cui ho intuizione, ma ho certezza della sua esistenza? Posso veramente realizzare una elaborazione intellettuale in grado di dare ragione all'infinito? Non è esso stesso nulla? Oppure posso considerare il nulla una infinita sottrazione di oggettualità? Ma in questo caso come mi pongo con la constatazione che non sono in condizione di dare ragione all'infinito? Insomma attorno al nulla dovrò pur costruire un sistema di categorie che ne diano valenza intuitiva. L'assenza di questo sistema, di qualunque sistema non realizza il nulla, lo nega.

Ma il concetto del numero X  non dipende dall'altro concetto di tutti i numeri non X ? Che significato ha , da solo, il numero X in assenza dei numeri non-X ?  E poi , il numeroX non è un essere, è semplicemente la somma di altri numeri X o è un semplice X che ha bisogno di qualcuno che lo pensi come X. Dire Uno senza riferirlo a niente serve solo a far di conto, ma in natura qualunque uno è la somma di infiniti non-uno. A ritroso forse troveremo una particella o atomo singolo, ma bisognerà vedere se la sua esistenza non dipende da leggi e necessità che non le appartengono, ma la determinano  E' proprio la ragione che vede il fatto evidente che non vi è un tavolo separato da tutti i non-tavolo che lo formano. La ragione applica la critica al concetto di tavolo. Allo stesso modo la ragione applica la critica al concetto di assenza di tavolo. Con la critica la ragione asserisce la mancanza di un'essenza "tavolo" ma allo stesso tempo la ragione conosce l'utilità e la funzione convenzionale del concetto tavolo.
Non trovo ci sia alcuna necessità di costruire un'elaborazione mentale per dare ragione al concetto di infinito. La sua stessa costruzione mi appare come una negazione del concetto stesso di infinità., in quanto un'elaborazione è di per se stessa una cosa finita. Pure la somma di infinite elaborazioni del concetto di infinito sono vuote di infinità.
Mi sembra che continui ad usare il termine Vuoto come sinonimo di Nulla. Ma il vuoto non è il nulla delle cose, ma la loro possibilità di venire ad esistere e trasformarsi. Tutti i non-tavolo che formano il "tavolo" non sono nulla, sono qualcosa, sono non-tavolo , a loro volta formati da infiniti non-non tavolo e così via...
La ragione però non può applicare parzialmente questa critica, ossia solamente rivolta a quello che immagina esterno a sè (il mondo). La deve usare per tutta l'esperienza che fa e quindi rivolgerla anche verso se stessa. Essendo però impossibile per la ragione sfuggire alle dualità ogni concetto espresso da questa sul Vuoto ( del tutto pieno di cose) appare contraddittorio, per questo si preferisce usare il termine "vedere". Parlare di vacuità non è la  vacuità delle cose.Vedere questo vuoto è l'attività della mente, il suo naturale conoscere quando non osserva partendo da categorie del pensiero. Il problema è che la nostra testa dà un nome ad ogni cosa. Il fatto di nominare, dare un'identità, è la base del concetto errato di essenza.  Io vedo un essere che nomino Flavia. Con il fatto di darle un nome ,istintivamente sono portato, erroneamente, a ritenere che esista un'essenza "Flavia". Purtroppo la testa funziona così. Ma "Flavia" è formata da un'infinità di cose che prese singolarmente non sono "Flavia".
Questo non significa che non ci sia nulla, anzi...la vera Flavia è una meraviglia dell'esistenza proprio perchè un'infinità la forma e, a sua volta, partecipa di altre infinità. La vera Flavia è semplicemente  vuota del concetto di "essenza Flavia", per così dire, che la limita artificiosamente, che la pone in una ben delimitata gabbia concettuale. Nominare e individualizzare è necessario in senso convenzionale. Non dovremmo però. a parer mio, applicarlo in senso ultimo.
Questo significa negare un'"anima" alle cose e a noi stessi ? Anima inteso nel senso comune, del termine ? Sì...purtroppo...o per fortuna...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

io credo che finche si ritiene (ovviamente parlo in generale) che noi siamo un semplice corpo con un cervello dentro la scatola cranica (che ragiona e pensa) non se ne esce.
a mio avviso il primo passo fondamentale e' quello di (almeno farsi venire il dubbio!) essere ben altra cosa ancora (che non significa per questo e affatto trascurare di essere anche "materia",anzi!)
e cioè che siamo anche anima e spirito.

prendere consapevolezza di questo permette di aprire un varco che altrimenti resterà sempre chiuso e circoscritto...dopodiché seguirebbe tutto il resto

sgiombo

#37
Citazione di: davintro il 03 Maggio 2016, 15:50:42 PM
Rispondo a Sgiombo:

Le sensazioni e i pensieri è tutto ciò che costituisce la conoscenza della realtà ma non sono di per sè cose reali, ma solo eventi che accadono a partire da una reale causalità psicofisica. Se le sensazioni e i pensieri potessero identificarsi con la realtà non sarebbe possibile valutarne il livello di aderenza e corrispondenza con un'oggettività, giacchè sarebbero essi stessi la verità. La nostra stessa discussione non sarebbe possibile, in quanto per poter giudicare che io avrei torto occorre necessariamente ammettere una realtà oggettiva distinta dalle nostre opinioni (cioè dai nostri pensieri) da usare come criterio per valutare i torti e le ragioni di ogni singolo pensiero. Dunque il pensiero è soggettività non oggettività e dunque non reale (anche se come intenzionalità, il pensiero è sempre rivolto alla rappresentazione di una realtà oggettiva, altra da sè, si rivolge a un trascendente e per questo alcuni pensieri sono più veri di altri). Per quanto riguarda le sensazioni, essendo queste al di fuori di una dubitabilità, non costituiscono un mondo oggettivo, cioè un mondo per il quale posso prendere una posizione, verificare, smentire, dubitare, dunque esse non sono oggetti reali ma soggettivi eventi che costituiscono il livello basico dell'esperienza e della conoscenza soggettiva. Infatti, posso dubitare che la sensazione che percepisco corrisponda a un oggetto reale, ma non che in questo momento abbia un certo tipo di sensazione. Questa è un fenomeno soggettivo della coscienza e dalla certezza di avere sensazioni, e di stare riflettendo e dubitando su di esse, si deduce l'esistenza di un io reale, pensante e senziente, che pone in atto pensieri e, con l'urto con reali oggetti esterni, sensazioni. Se queste fossero di per sè realtà, non sarebbe possibile distinguere l'indubitabilità della loro presenza nella mia coscienza con la possibilità dell'errore nei confronti della mia posizione riguardo il mondo oggettivo, perchè allora oggettività e soggettività finirebbero assurdamente per confondersi


Sensazioni (materiali) e (sensazioni mentalli o di) pensieri  (se e quando accadono realmente) in quanto tali (in quanto accadimenti di sensazioni e pensieri) sono reali.
Questa é una semplice tautologia: bisogna vedere in che senso sono reali, che significa "accadere realmente in quanto sensazioni e pensieri".

Anche "che avvengono a partire da una reale causalità psicofisica" bisogna vedere cosa significa.
Dalla realtà psicofisica costituita da un cervello osservato (cioé dalle sensazioni materiali accadenti nell' ambito delle esperienze coscienti di potenziali o attuali "osservatori" di tale cervello) possono derivare e derivano (nel senso di "essere causate") unicamente le azioni del corpo al quale appartiene quel cervello: contrazioni di muscoli, al limite anche secrezioni di ghiandole.
Invece le senzazioni (materiali) e (sensazioni mentalli o de-) i pensieri  dell' esperienza cosciente che a tale cervello si assume corrispondere (conformemente a quanto asseriscono sempre più convincentemente le neuroscienze), le sensazioni e pensieri dell' "osservato", che tale cervello non "conprendono" essendo invece esso compreso (come determinato insieme di sensazioni materiali) in quelle degli "osservatori", non ne sono causati (fisicamente, nel nodo in cui sono causati e scientificamente studiati gli eventi fisici), né causano gli eventi ad esso intrinseci (i suoi processi neurofisiologici): per quanto riguarda il mondo materiale di cui tale cervello (dell' "osservato") fa parte (nell' ambito delle esperienze cosciennti degli "osservatori") la sua coscienza potrebbe anche benissimo non accadere realmente che nulla cambierebbe: in conseguenza (per effetto) della fisiologia del suo cervello il comportamento del corpo cui questo appartiene (tutte "cose" fenomeniche appartenenti alle, facenti parte delle, esperienze coscienti degli "osservatori") avverrebbe esattamente così come avviene assumendosi che sia reale anche la sua propria esperienza cosciente (ma con esso non assolutamente interferente, ad esso trascendente).

Sensazioni e pensieri sono reali in quanto tali e ciò che non si può valutare (probabilmete ciò che intendi con "il livello di aderenza e corrispondenza con un'oggettività") é la realtà in sé che si può assumere (non dimostrare) ad essi corrisponda (comprendente il loro soggetto, lo stesso del loro oggetto nel caso delle sensazioni mentali, e i loro oggetti, diversi da loro soggetto nel caso di quelle materiali).

Ma ciò che possiamo valutare nelle nostre discussioni (se ciascuno di noi ammette la -indimostrabile; e men che meno mostrabile- realtà di altre esperienze coscienti delle quali ci parlano gli interlocutori; e la verità della conoscenza scientifica) sono le corrispondenze o meno delle rispettive sensazioni materiali: questa é in sostanza (secondo la mia personale filosofia) l' intersoggettività degli oggetti materiali (fenomenici, costituiti unicamente da mere sensazioni: "esse est percipi"!); che é una conditio sine qua non della conoscenza scientifica.
La maggiore o minore verità della conoscenza del mondo fenomenico materiale (della sua conoscenza in generale e in particolare della conoscenza scientifica) non é data (non può essere data) dalla conformità dei predicati che lo riguardano alle cose in sé (noumeno), ma dalla loro conformità alle sensazioni fenomeniche materiali (e al loro divenire) accadenti (separatamente, in modo reciprocamente trascendente) nelle varie esperienze fenomeniche coscienti e reciprocamente corrispondenti in modo biunivoco (cosa indimostrabile, ma da credere se si vuole uscire dal solipsismo e accettare la conoscenza scientifica).

Dunque il pensiero (e la conoscenza; in particolare scientifica) non é e non può essere pensiero (e conoscenza) delle cose in sé (conoscenza letteralmente "oggettiva", cioé degli oggetti -in sé- delle sensazioni) ma al massimo (nel caso di quella del modo materiale) pensiero delle corrispondenze intersoggettive fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti (conoscenza intersoggettiva).

In generale le sensazioni sono soggettive (appartengono alla realtà fenomenica), ma non per questo non sono reali (se e quando realmente accadono); e quelle materiali si può (e si deve se la conoscenza scientifica é vera)  assumere che siano intersoggettive o "reciprocamente corrispondenti fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti" (soggettive) di cui fanno parte.

Dalla certezza di avere sensazioni, e di stare riflettendo e dubitando su di esse, non si può dedurre necessariamente (dimostrare) l'esistenza di un io reale, pensante e senziente, che pone in atto pensieri e, con l'urto con reali oggetti esterni (nemmeno l' esistenza reale questi si può dimostrare), sensazioni: la realtà potrebbe benissimo limitarsi a queste sensazioni e basta; l' esistenza reale anche di altro (altre esperirenze fenomeniche coscienti oltre a quella immediatamente constatata, vissuta, cose in sé esistenti anche allorché non si percepisce nulla, ivi compreso l' "io" soggetto di tutte le sensazioni e oggetto di quelle mentali, gli oggetti di quelle materiali, ecc) si può credere (dal solipsismo si può uscire) solo per fede, come credenze indimostrabili

Duc in altum!

Stamane leggendo questo passo ho pensato potesse alimentare, produttivamente, la discussione.

Tratto dal n° 10 della collana: Scoprire la filosofia - Rousseau.

<< Per noi - scrive ancora Rosseau nelle Lettere Morali -, esistere equivale a sentire; e la nostra sensibilità è incontestabilmente anteriore alla nostra ragione.
Non crediate che sia impossibile spiegare il principio attivo della coscienza prescindendo dalla ragione. E nel caso fosse impossibile, allora tale spiegazione non sarebbe necessaria. Perché i filosofi che combattono questo principio non ne provano l'inesistenza in assoluto, ma si limitano ad affermarla; quando invece sosteniamo che esiste, contiamo su tutta la forza della testimonianza interiore e sulla voce della coscienza che depone a favore di se stessa.
Quanta pena suscitano questi tristi ragionatori!
Cancellando in se stessi i sentimenti della natura, distruggono la fonte di tutti i loro piaceri e per sfuggire al peso della coscienza sono capai solo di rendersi insensibili.
Limitiamoci in tutto ai primi sentimenti che troviamo dentro noi stessi>>.
[continua il redattore]: Tutto il pensiero rousseniano ruota intorno a una coppia di sentimenti che ne costituiscono gli assi portanti: l'amore verso se stessi e il sentimento che ne deriva nei confronti degli altri, cioè la pietà. A suo modo (di Rosseau) di vedere: <<mediante la sola ragione, indipendentemente dalla coscienza, non è possibile stabilire alcuna legge naturale (quindi, aggiungo io, @Duc, neanche l'esistenza della coscienza attraverso una dimostrazione logica); e tutto  il diritto di natura non è altro che una chimera se non è fondato su una necessità naturale del cuore umano.
Superflui i trattati di metafisica e morale; basta osservare l'ordine e il progresso dei nostri sentimenti>>. come leggiamo nell'Emilio.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

sgiombo

Citazione di: Duc in altum! il 04 Maggio 2016, 12:17:17 PM
Stamane leggendo questo passo ho pensato potesse alimentare, produttivamente, la discussione.

Tratto dal n° 10 della collana: Scoprire la filosofia - Rousseau.

<< Per noi - scrive ancora Rosseau nelle Lettere Morali -, esistere equivale a sentire; e la nostra sensibilità è incontestabilmente anteriore alla nostra ragione.
Non crediate che sia impossibile spiegare il principio attivo della coscienza prescindendo dalla ragione. E nel caso fosse impossibile, allora tale spiegazione non sarebbe necessaria. Perché i filosofi che combattono questo principio non ne provano l'inesistenza in assoluto, ma si limitano ad affermarla; quando invece sosteniamo che esiste, contiamo su tutta la forza della testimonianza interiore e sulla voce della coscienza che depone a favore di se stessa.
Quanta pena suscitano questi tristi ragionatori!
Cancellando in se stessi i sentimenti della natura, distruggono la fonte di tutti i loro piaceri e per sfuggire al peso della coscienza sono capai solo di rendersi insensibili.
Limitiamoci in tutto ai primi sentimenti che troviamo dentro noi stessi>>.
[continua il redattore]: Tutto il pensiero rousseniano ruota intorno a una coppia di sentimenti che ne costituiscono gli assi portanti: l'amore verso se stessi e il sentimento che ne deriva nei confronti degli altri, cioè la pietà. A suo modo (di Rosseau) di vedere: <<mediante la sola ragione, indipendentemente dalla coscienza, non è possibile stabilire alcuna legge naturale (quindi, aggiungo io, @Duc, neanche l'esistenza della coscienza attraverso una dimostrazione logica); e tutto  il diritto di natura non è altro che una chimera se non è fondato su una necessità naturale del cuore umano.
Superflui i trattati di metafisica e morale; basta osservare l'ordine e il progresso dei nostri sentimenti>>. come leggiamo nell'Emilio.

Ma si può ben essere "ragionatori allegri", che portano alegria a chi é in loro compagnia!
(E pure irrazionalisti tristi che fanno anche più pena dei razionalisti sentimentalmente aridi).

Si può beissimo ragionare (essere estremamente razionalisti), evitare di Limitiarsi in tutto ai primi sentimenti che si trovano dentro se stessi, senza per questo Cancellare affatto in se stessi i sentimenti della natura, senza distruggere la fonte di tutti i propri piaceri e sfuggire al peso della coscienza rendendosi insensibili.

Si, mediante la sola ragione, indipendentemente dalla coscienza, non è possibile stabilire alcuna legge naturale (fin qui concordo con Rousseau); ma aggiungo per parte mia: nemmeno mediante i soli sentimenti senza ragione e razionalità.
Che sono qualità umane non affatto reciprocamente escludentisi, bensì compolementari!

Loris Bagnara

#40
Citazione di: HollyFabius il 26 Aprile 2016, 20:12:25 PM[...]
Il principio è che "il tutto è più delle singole parti"!
Ebbene si questo  principio, sintesi del pensiero della Psicologia della Gestalt è in realtà il cuore della tesi forte dell'IA.
Mi aiutate a dimostrare che è falso?
Purtroppo non posso aiutarti, perché sono convinto che il tutto sia davvero più delle singole parti. :)

Prendiamo ad esempio il principio cosciente, quello che in altri post ho chiamato io-sono (l'osservatore): anche nella concezione più riduttivista (che non mi appartiene) non si può certo sostenere che l'io-sono sia l'insieme dei fenomeni mentali che attraversano la mente dell'individuo; né che sorga come risultato della giustapposizione dei fenomeni mentali.
L'io-sono e i fenomeni mentali costituiscono l'io-empirico, senza che lo si possa scomporre in parti costituenti come si potrebbe fare con una macchina.

Del resto anche l'universo è un tutto. Non esistono fenomeni singoli, se non come frutto d'un'astrazione/approssimazione che ci è utile a fini pratici e di studio. I fenomeni sono tutti interrelati fra loro, e la quantistica ci dice che anche l'osservatore è parte del fenomeno che osserva.
Due particelle elementari che sono state "a contatto" restano per sempre collegate anche quando si allontanano l'una dall'altra, in virtù del noto fenomeno dell'entanglement. Ora, se è vero che ad un certo punto della storia dell'universo vi è stata quella singolarità che chiamiamo Big Bang, ciò significa che tutte le particelle che compongono l'universo sono in uno stato "entangled"...

Non esistono le parti, esiste solo il tutto: il tutto che si manifesta in illusioni chiamate dall'osservatore "fenomeni".

davintro

#41
Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2016, 08:27:50 AM
Citazione di: davintro il 03 Maggio 2016, 15:50:42 PMRispondo a Sgiombo: Le sensazioni e i pensieri è tutto ciò che costituisce la conoscenza della realtà ma non sono di per sè cose reali, ma solo eventi che accadono a partire da una reale causalità psicofisica. Se le sensazioni e i pensieri potessero identificarsi con la realtà non sarebbe possibile valutarne il livello di aderenza e corrispondenza con un'oggettività, giacchè sarebbero essi stessi la verità. La nostra stessa discussione non sarebbe possibile, in quanto per poter giudicare che io avrei torto occorre necessariamente ammettere una realtà oggettiva distinta dalle nostre opinioni (cioè dai nostri pensieri) da usare come criterio per valutare i torti e le ragioni di ogni singolo pensiero. Dunque il pensiero è soggettività non oggettività e dunque non reale (anche se come intenzionalità, il pensiero è sempre rivolto alla rappresentazione di una realtà oggettiva, altra da sè, si rivolge a un trascendente e per questo alcuni pensieri sono più veri di altri). Per quanto riguarda le sensazioni, essendo queste al di fuori di una dubitabilità, non costituiscono un mondo oggettivo, cioè un mondo per il quale posso prendere una posizione, verificare, smentire, dubitare, dunque esse non sono oggetti reali ma soggettivi eventi che costituiscono il livello basico dell'esperienza e della conoscenza soggettiva. Infatti, posso dubitare che la sensazione che percepisco corrisponda a un oggetto reale, ma non che in questo momento abbia un certo tipo di sensazione. Questa è un fenomeno soggettivo della coscienza e dalla certezza di avere sensazioni, e di stare riflettendo e dubitando su di esse, si deduce l'esistenza di un io reale, pensante e senziente, che pone in atto pensieri e, con l'urto con reali oggetti esterni, sensazioni. Se queste fossero di per sè realtà, non sarebbe possibile distinguere l'indubitabilità della loro presenza nella mia coscienza con la possibilità dell'errore nei confronti della mia posizione riguardo il mondo oggettivo, perchè allora oggettività e soggettività finirebbero assurdamente per confondersi
Sensazioni (materiali) e (sensazioni mentalli o di) pensieri (se e quando accadono realmente) in quanto tali (in quanto accadimenti di sensazioni e pensieri) sono reali. Questa é una semplice tautologia: bisogna vedere in che senso sono reali, che significa "accadere realmente in quanto sensazioni e pensieri". Anche "che avvengono a partire da una reale causalità psicofisica" bisogna vedere cosa significa. Dalla realtà psicofisica costituita da un cervello osservato (cioé dalle sensazioni materiali accadenti nell' ambito delle esperienze coscienti di potenziali o attuali "osservatori" di tale cervello) possono derivare e derivano (nel senso di "essere causate") unicamente le azioni del corpo al quale appartiene quel cervello: contrazioni di muscoli, al limite anche secrezioni di ghiandole. Invece le senzazioni (materiali) e (sensazioni mentalli o de-) i pensieri dell' esperienza cosciente che a tale cervello si assume corrispondere (conformemente a quanto asseriscono sempre più convincentemente le neuroscienze), le sensazioni e pensieri dell' "osservato", che tale cervello non "conprendono" essendo invece esso compreso (come determinato insieme di sensazioni materiali) in quelle degli "osservatori", non ne sono causati (fisicamente, nel nodo in cui sono causati e scientificamente studiati gli eventi fisici), né causano gli eventi ad esso intrinseci (i suoi processi neurofisiologici): per quanto riguarda il mondo materiale di cui tale cervello (dell' "osservato") fa parte (nell' ambito delle esperienze cosciennti degli "osservatori") la sua coscienza potrebbe anche benissimo non accadere realmente che nulla cambierebbe: in conseguenza (per effetto) della fisiologia del suo cervello il comportamento del corpo cui questo appartiene (tutte "cose" fenomeniche appartenenti alle, facenti parte delle, esperienze coscienti degli "osservatori") avverrebbe esattamente così come avviene assumendosi che sia reale anche la sua propria esperienza cosciente (ma con esso non assolutamente interferente, ad esso trascendente). Sensazioni e pensieri sono reali in quanto tali e ciò che non si può valutare (probabilmete ciò che intendi con "il livello di aderenza e corrispondenza con un'oggettività") é la realtà in sé che si può assumere (non dimostrare) ad essi corrisponda (comprendente il loro soggetto, lo stesso del loro oggetto nel caso delle sensazioni mentali, e i loro oggetti, diversi da loro soggetto nel caso di quelle materiali). Ma ciò che possiamo valutare nelle nostre discussioni (se ciascuno di noi ammette la -indimostrabile; e men che meno mostrabile- realtà di altre esperienze coscienti delle quali ci parlano gli interlocutori; e la verità della conoscenza scientifica) sono le corrispondenze o meno delle rispettive sensazioni materiali: questa é in sostanza (secondo la mia personale filosofia) l' intersoggettività degli oggetti materiali (fenomenici, costituiti unicamente da mere sensazioni: "esse est percipi"!); che é una conditio sine qua non della conoscenza scientifica. La maggiore o minore verità della conoscenza del mondo fenomenico materiale (della sua conoscenza in generale e in particolare della conoscenza scientifica) non é data (non può essere data) dalla conformità dei predicati che lo riguardano alle cose in sé (noumeno), ma dalla loro conformità alle sensazioni fenomeniche materiali (e al loro divenire) accadenti (separatamente, in modo reciprocamente trascendente) nelle varie esperienze fenomeniche coscienti e reciprocamente corrispondenti in modo biunivoco (cosa indimostrabile, ma da credere se si vuole uscire dal solipsismo e accettare la conoscenza scientifica). Dunque il pensiero (e la conoscenza; in particolare scientifica) non é e non può essere pensiero (e conoscenza) delle cose in sé (conoscenza letteralmente "oggettiva", cioé degli oggetti -in sé- delle sensazioni) ma al massimo (nel caso di quella del modo materiale) pensiero delle corrispondenze intersoggettive fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti (conoscenza intersoggettiva). In generale le sensazioni sono soggettive (appartengono alla realtà fenomenica), ma non per questo non sono reali (se e quando realmente accadono); e quelle materiali si può (e si deve se la conoscenza scientifica é vera) assumere che siano intersoggettive o "reciprocamente corrispondenti fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti" (soggettive) di cui fanno parte. Dalla certezza di avere sensazioni, e di stare riflettendo e dubitando su di esse, non si può dedurre necessariamente (dimostrare) l'esistenza di un io reale, pensante e senziente, che pone in atto pensieri e, con l'urto con reali oggetti esterni (nemmeno l' esistenza reale questi si può dimostrare), sensazioni: la realtà potrebbe benissimo limitarsi a queste sensazioni e basta; l' esistenza reale anche di altro (altre esperirenze fenomeniche coscienti oltre a quella immediatamente constatata, vissuta, cose in sé esistenti anche allorché non si percepisce nulla, ivi compreso l' "io" soggetto di tutte le sensazioni e oggetto di quelle mentali, gli oggetti di quelle materiali, ecc) si può credere (dal solipsismo si può uscire) solo per fede, come credenze indimostrabili

Se l'intersoggettività fosse il criterio regolativo della verità che si discute e il fine della conoscenza scientifica (conclusione necessaria dell' "esse est percipi", il tuo discorso mi sembra internamente coerente) andrebbe di fatto persa l'idea di un progresso di tale conoscenza mediante nuove scoperte. L'idea dell'oggettività di un mondo trascendente è la condizione necessaria della scoperta. Fondando epistemologicamente la verità scientifica sull'intersoggettività delle sensazioni si arriverebbe secondo me all'assurdo di sostenere che in un mondo ipotetico nel quale la stragrande maggioranza delle persone subisse una malattia, una disfuzione, dei campi percettivi e cominciasse a percepire la neve che cade di colore rosso la neve cambierebbe effettivamente colore diventando effettivamente rossa, oppure che prima delle scoperte di Galilei e Copernico, quando la credenza dell'intersoggettività era costituita dal geocentrismo e dalla staticità della Terra, la Terra  fosse effettivamente ferma e al centro dell'Universo per poi cominciare magicamente a muoversi e a decentrarsi dal sistema solare con l'avvento di una nuova credenza intersoggettiva fenomenica prodotta da nuove scoperte. La scienza si ridurebbe al conformismo appiattito sull'aderenza al complesso dell'immagine sensibile del mondo culturalmente e socialmente strutturata storicamente. Ma la scienza non è democrazia. La possibilità di modificare, mediante nuove scoperte, l'immagine scientifica del mondo, modificarla rispetto a un'interpretazione in un certo periodo storico più o meno dominante a livello intersoggettivo, implica necessariamente una "via di uscita" dall'arbitrarietà dei fenomeni soggettivi e dall'intersoggettività, che non è mai superamento di tale arbitrarietà, ma solo suo allargamento quantitativo. La vera via di uscita a cui le nostre scoperte tendono è rivolta alle "cose in sè". Indentificare le "cose in sè" con l'accezione del noumeno (inconoscibile) che ne dava Kant porta a equivoci. Ovvio che partendo dalla premessa di definire la distinzione fenomeno-noumeno con quella esperibile-inesperibile si arrivi per forza a pensare che la conoscenza del noumeno sia una pretesa irrazionale. Tautologico: dell'inesperibile non abbiamo esperienza (dunque è assurdo pensare di conoscerlo). Ma è una conclusione che è già presente nella premessa, nella premessa di definire il nuomeno come assoluto inesperibile , dunque pregiudiziale, non il risultato di una critica. Se si intende invece la "cosa in sè" come causalità reale che produce i fenomeni, le sensazioni della nostra coscienza rendendo questa coscienza di un soggetto effettivamente e attualmente esistente, allora recuperare il discorso su ciò che è "transfenomenico" non è più dogmatismo ma esigenza svolta a partire dal dato stesso della presenza dei fenomeni della coscienza, residuo del dubbio cartesiano, dunque punto di partenza solido per un argomentare razionale. Sono cioè i fenomeni stessi (sensazioni e pensieri) che richiedono l'ammissione di un loro superamento, sebbene, come è chiaro, la trascendenza (le cose in sè) che ne deriva sarà necessariamente una trascendenza relativa e condizionata in un certo senso dal punto di partenza da cui è stata riconosciuta (la soggettività)

Loris Bagnara

in questo forum ho visto citato più volte George Berkeley e il suo "esse est percipi", e quasi sempre mi è sembrato che lasciasse intendere una comprensione del pensiero berkeleyano diversa dalla mia.
Può anche darsi che fosse solo un'impressione. In ogni caso, per stabilire una base comune su cui poterci intendere senza rischio di equivoci, mi sembra utile riportare la seguente sintesi del pensiero berkeleyano che si trova su Wikipedia, e che corrisponde alla comprensione che mi ero fatta sin dai tempi del liceo (ahimé, lontani...).

Citazioni da https://it.wikipedia.org/wiki/George_Berkeley:
Citazione[...]
Nei Commentari filosofici scrive che, se l'estensione esistesse al di fuori della mente, o si avrebbe a che fare con un Dio esteso, oppure si dovrebbe riconoscere un essere eterno e infinito accanto a Dio. Berkeley aderisce quindi all'immaterialismo ovvero alla dottrina per cui nulla esiste al di fuori della mente: non esiste la materia, ma solo Dio e gli spiriti umani.
[...]
Ma anche gli oggetti che noi crediamo esistere sono in realtà delle astrazioni ingiustificate; non esistono oggetti corporei, ma soltanto collezioni di idee che ci danno una falsa impressione di materialità e sussistenza complessiva.[1] Infatti noi conosciamo soltanto le idee che coincidono con le impressioni dei sensi. Proprio come in un sogno, noi abbiamo percezioni spazio-temporali relative ad oggetti materiali senza che questi esistano.
[...]
La celebre formula che riassume la filosofia di Berkeley, «Esse est percipi», vuol dire "l'essere significa essere percepito", ossia: tutto l'essere di un oggetto consiste nel suo venir percepito e nient'altro. La teoria immaterialistica così enunciata sentenzia che la realtà si risolve in una serie di idee che esistono solo quando vengono percepite da uno spirito umano. È Dio, spirito infinito, che ci fa percepire sotto forma di cose e fatti le sue idee calate nel mondo. Idee, in un certo senso, "umanizzate", e in quanto tali "percepibili".
La dottrina di Berkeley esclude in virtù di questo principio l'esistenza assoluta dei corpi. Secondo il teologo irlandese tutto ciò che esiste è idea o spirito, quindi la realtà oggettiva non è che un'impressione data dalle idee.[2] Berkeley nega la distinzione fra qualità primarie e secondarie, propria di John Locke, sostenendo che tutte le qualità sono secondarie, cioè soggettive, e rigetta anche l'idea di substrato, ovvero di materia. Se esistesse una materia, essa sarebbe soltanto un limite alla perfezione divina. In questo senso anche la scienza di Newton non ha altro valore che quello di una mera ipotesi, che ci aiuta a fare previsioni per il futuro, ma non ha alcun riferimento con la realtà materiale, che non solo non è conoscibile, ma non esiste affatto. Le idee, secondo Berkeley, vengono impresse nell'uomo da uno spirito infinito, cioè Dio. Lo stesso Dio si configura come la Mente infinita grazie a cui le idee esistono anche quando non vengono percepite.
Berkeley porta quindi alle estreme conseguenze l'empirismo di Locke, giungendo a negare l'esistenza di una sostanza materiale perché non ricavabile dall'esperienza, e recidendo così ogni possibile legame tra le nostre idee e una realtà esterna. Egli anticipa lo scetticismo di David Hume, ma se ne mette al riparo ammettendo una presenza spirituale che spieghi l'insorgere di simili idee dentro di noi, rendendocele vive e attuali, sebbene prive ormai di un fondamento oggettivo.
[...]

Questo è il pensiero di Berkeley. I passi che ho evidenziato in grassetto parlano chiaro: dal dubbio cartesiano, attraverso l'empirismo di Locke, si giunge all'idealismo assoluto di Berkeley, secondo il quale nulla esiste al di fuori della mente. Uno sviluppo perfettamente coerente e, direi, inevitabile a quel punto.

Se cambiamo la terminologia propria del pensiero occidentale e sostituiamo il Dio personale con qualcos'altro di più "raffinato" siamo ad un passo dal concetto di maya dell'induismo. Insomma, quello che ho sostenuto io in questo 3D, quando ho parlato del primato dell'io-sono nei confronti di un'ipotetica realtà esterna oggettiva.

Sariputra

Citazione di: Loris Bagnara il 05 Maggio 2016, 22:30:31 PMin questo forum ho visto citato più volte George Berkeley e il suo "esse est percipi", e quasi sempre mi è sembrato che lasciasse intendere una comprensione del pensiero berkeleyano diversa dalla mia. Può anche darsi che fosse solo un'impressione. In ogni caso, per stabilire una base comune su cui poterci intendere senza rischio di equivoci, mi sembra utile riportare la seguente sintesi del pensiero berkeleyano che si trova su Wikipedia, e che corrisponde alla comprensione che mi ero fatta sin dai tempi del liceo (ahimé, lontani...). Citazioni da https://it.wikipedia.org/wiki/George_Berkeley:
Citazione[...] Nei Commentari filosofici scrive che, se l'estensione esistesse al di fuori della mente, o si avrebbe a che fare con un Dio esteso, oppure si dovrebbe riconoscere un essere eterno e infinito accanto a Dio. Berkeley aderisce quindi all'immaterialismo ovvero alla dottrina per cui nulla esiste al di fuori della mente: non esiste la materia, ma solo Dio e gli spiriti umani. [...] Ma anche gli oggetti che noi crediamo esistere sono in realtà delle astrazioni ingiustificate; non esistono oggetti corporei, ma soltanto collezioni di idee che ci danno una falsa impressione di materialità e sussistenza complessiva.[1] Infatti noi conosciamo soltanto le idee che coincidono con le impressioni dei sensi. Proprio come in un sogno, noi abbiamo percezioni spazio-temporali relative ad oggetti materiali senza che questi esistano. [...] La celebre formula che riassume la filosofia di Berkeley, «Esse est percipi», vuol dire "l'essere significa essere percepito", ossia: tutto l'essere di un oggetto consiste nel suo venir percepito e nient'altro. La teoria immaterialistica così enunciata sentenzia che la realtà si risolve in una serie di idee che esistono solo quando vengono percepite da uno spirito umano. È Dio, spirito infinito, che ci fa percepire sotto forma di cose e fatti le sue idee calate nel mondo. Idee, in un certo senso, "umanizzate", e in quanto tali "percepibili". La dottrina di Berkeley esclude in virtù di questo principio l'esistenza assoluta dei corpi. Secondo il teologo irlandese tutto ciò che esiste è idea o spirito, quindi la realtà oggettiva non è che un'impressione data dalle idee.[2] Berkeley nega la distinzione fra qualità primarie e secondarie, propria di John Locke, sostenendo che tutte le qualità sono secondarie, cioè soggettive, e rigetta anche l'idea di substrato, ovvero di materia. Se esistesse una materia, essa sarebbe soltanto un limite alla perfezione divina. In questo senso anche la scienza di Newton non ha altro valore che quello di una mera ipotesi, che ci aiuta a fare previsioni per il futuro, ma non ha alcun riferimento con la realtà materiale, che non solo non è conoscibile, ma non esiste affatto. Le idee, secondo Berkeley, vengono impresse nell'uomo da uno spirito infinito, cioè Dio. Lo stesso Dio si configura come la Mente infinita grazie a cui le idee esistono anche quando non vengono percepite. Berkeley porta quindi alle estreme conseguenze l'empirismo di Locke, giungendo a negare l'esistenza di una sostanza materiale perché non ricavabile dall'esperienza, e recidendo così ogni possibile legame tra le nostre idee e una realtà esterna. Egli anticipa lo scetticismo di David Hume, ma se ne mette al riparo ammettendo una presenza spirituale che spieghi l'insorgere di simili idee dentro di noi, rendendocele vive e attuali, sebbene prive ormai di un fondamento oggettivo. [...]
Questo è il pensiero di Berkeley. I passi che ho evidenziato in grassetto parlano chiaro: dal dubbio cartesiano, attraverso l'empirismo di Locke, si giunge all'idealismo assoluto di Berkeley, secondo il quale nulla esiste al di fuori della mente. Uno sviluppo perfettamente coerente e, direi, inevitabile a quel punto. Se cambiamo la terminologia propria del pensiero occidentale e sostituiamo il Dio personale con qualcos'altro di più "raffinato" siamo ad un passo dal concetto di maya dell'induismo. Insomma, quello che ho sostenuto io in questo 3D, quando ho parlato del primato dell'io-sono nei confronti di un'ipotetica realtà esterna oggettiva.


Una critica profonda a questa teoria di "Solo-mente" viene portata da Candrakirti e poi da Santideva. Se non ricordo male la scuola Vijnanavada sosteneva questa teoria.Secondo questa scuola la coscienza può esistere di per sè senza l'oggetto, come effettivamente avviene negli stati onirici e nelle altre illusioni.. La coscienza va considerata originatrice dei vari contenuti dei suoi stati grazie alla sua potenzialità intrinseca; essa è autodeterminante ed è governata da sue proprie leggi di sviluppo; crea l'oggetto. Inoltre, la Coscienza è autoluminosa ed è autoconosciuta come una lampada.
La critica principale di Candrakirti è che senza l'oggetto la coscienza conoscitrice non può funzionare. Se l'oggetto fosse irreale cosa si può conoscere? La mente è vuota e non può conoscere se stessa. Deve lavorare su qualcosa; una semplice forma non può fornire il contenuto."Neppure la spada più affilata può tagliare se stessa; le punte delle dita non possono essere toccate dalle stesse punte delle dita. La mente non conosce se stessa" dice il filosofo buddhista. Come può qualcosa essere allo stesso tempo il conoscitore e il conosciuto, senza dividersi in due? Se è conosciuto da un altro atto di conoscenza, quest'ultima conoscenza sarà conosciuta da un'altra, ciò che conduce ad un regresso all'infinito. Le semplici categorie, o anche l'Io trascendentale, sono del tutto vuoti. Non appare possibile avere alcuna conoscenza di sè senza la conoscenza degli oggetti. Il tutto si risolve, per Candrakirti, fedele alla posizione del Buddha di negazione dei punti di vista dell'"è" e del "non è",in un disturbo dei modi comuni di conoscenza dell'esistenza oggettiva senza alcun vantaggio compensatorio. In quanto reciprocamente dipendenti, né il soggetto puro né l'oggetto puro (la cosa in sè e il dato sensoriale) sono  incondizionatamente reali.
E' vero che , nella costruzione per es.del Vedanta, il mondo costruito del soggetto-oggetto è irreale (maya) ma questo non rende irreale il suo sub-strato (brahman) che però è non-concettuale. Se fosse l'oggetto dell'ideazione sarebbe irreale  come qualsiasi altro oggetto sovraimposto.L'Assoluto appare del tutto privo della dualità soggetto-oggetto.
Candrakirti però amplia la Critica anche a questo supposto substrato assoluto  in quanto , necessitando per apparire del dualismo soggetto-oggetto, non può dirsi incondizionatamente reale in quanto dipendente dalle forme del suo apparire. Per Candrakirti non si può avere Brahman senza maya, cosa in sè e ideazione costruttiva sono relative l'una all'altra. Come tali esse sono entrambe condizionate, e quindi vuote (shunya). Il discepolo di Nagarjuna non esita quindi a considerare sia la cosa in sè che le categorie della ragione pura come costruzioni concettuali. E queste costruzioni concettuali (vikalpa) sono l'oscuramento dell'Intuizione  che è il Reale.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: davintro il 05 Maggio 2016, 15:58:45 PM

Se l'intersoggettività fosse il criterio regolativo della verità che si discute e il fine della conoscenza scientifica (conclusione necessaria dell' "esse est percipi", il tuo discorso mi sembra internamente coerente) andrebbe di fatto persa l'idea di un progresso di tale conoscenza mediante nuove scoperte. L'idea dell'oggettività di un mondo trascendente è la condizione necessaria della scoperta. Fondando epistemologicamente la verità scientifica sull'intersoggettività delle sensazioni si arriverebbe secondo me all'assurdo di sostenere che in un mondo ipotetico nel quale la stragrande maggioranza delle persone subisse una malattia, una disfuzione, dei campi percettivi e cominciasse a percepire la neve che cade di colore rosso la neve cambierebbe effettivamente colore diventando effettivamente rossa, oppure che prima delle scoperte di Galilei e Copernico, quando la credenza dell'intersoggettività era costituita dal geocentrismo e dalla staticità della Terra, la Terra  fosse effettivamente ferma e al centro dell'Universo per poi cominciare magicamente a muoversi e a decentrarsi dal sistema solare con l'avvento di una nuova credenza intersoggettiva fenomenica prodotta da nuove scoperte. La scienza si ridurebbe al conformismo appiattito sull'aderenza al complesso dell'immagine sensibile del mondo culturalmente e socialmente strutturata storicamente. Ma la scienza non è democrazia. La possibilità di modificare, mediante nuove scoperte, l'immagine scientifica del mondo, modificarla rispetto a un'interpretazione in un certo periodo storico più o meno dominante a livello intersoggettivo, implica necessariamente una "via di uscita" dall'arbitrarietà dei fenomeni soggettivi e dall'intersoggettività, che non è mai superamento di tale arbitrarietà, ma solo suo allargamento quantitativo. La vera via di uscita a cui le nostre scoperte tendono è rivolta alle "cose in sè". Indentificare le "cose in sè" con l'accezione del noumeno (inconoscibile) che ne dava Kant porta a equivoci. Ovvio che partendo dalla premessa di definire la distinzione fenomeno-noumeno con quella esperibile-inesperibile si arrivi per forza a pensare che la conoscenza del noumeno sia una pretesa irrazionale. Tautologico: dell'inesperibile non abbiamo esperienza (dunque è assurdo pensare di conoscerlo). Ma è una conclusione che è già presente nella premessa, nella premessa di definire il nuomeno come assoluto inesperibile , dunque pregiudiziale, non il risultato di una critica. Se si intende invece la "cosa in sè" come causalità reale che produce i fenomeni, le sensazioni della nostra coscienza rendendo questa coscienza di un soggetto effettivamente e attualmente esistente, allora recuperare il discorso su ciò che è "transfenomenico" non è più dogmatismo ma esigenza svolta a partire dal dato stesso della presenza dei fenomeni della coscienza, residuo del dubbio cartesiano, dunque punto di partenza solido per un argomentare razionale. Sono cioè i fenomeni stessi (sensazioni e pensieri) che richiedono l'ammissione di un loro superamento, sebbene, come è chiaro, la trascendenza (le cose in sè) che ne deriva sarà necessariamente una trascendenza relativa e condizionata in un certo senso dal punto di partenza da cui è stata riconosciuta (la soggettività)

Rispondo:

A me pare che perché posa darsi conoscenza scientifica (e progresso storico della stessa) basti postulare che il monodo fenomenico materiale sia intersoggettivo, cioé che siano reciprocamente corrispondenti le sensazioni e il divenire delle sensazioni che lo costituiscono nell' ambito delle varie esperienze fenomiche coscienti.
Un' oggettività vera e propria (la conoscenza della cosa in sé o noumeno reale  indipendentememnte dall' accadere eventualmente anche di manifestazioni fenomeniche ad essa corrispondenti, a parte il fatto che é impossibile per definizione (se non in termini etremamente vaghi e oscuri, non nel suo determinato e per cos' dire "dettagliato" divenire), non mi sembra comunque necessaria: "la conoscenza scientifica funziona (si spiega)" benissimo anche senza.

La neve non é altro che insieme di sensazioni (un' entità puramente fenomenica) e in quanto tale può esere assunta (non dimostrata) come intersoggettivamente constatabile. Se un' alterazione fisiologica (o patologica) la facesse diventare rossa sarebbe rossa; casomai immutata sarebbe l' "entità in sé" ad essa corrispondente.

Diverso é il discorso circa il sistema tolemaico: esso era semplicemente una credenza ritenuta vera e poi falsificata scientificamente; in questo caso si tratta non della realtà dei fenomeni, come la neve con il suo colore bianco oppure rosso, ma delle credenze (vere o false) circa la realtà dei fenomeni.

La scienza é conoscenza dei fenomeni materiali intersoggettivamente verificabile/falsificabile (postulato peraltro indimostrabile; anche se di fatto ritenuto vero da tutte le persone comunemente ritenute sane di mente); e l' opinione sul mondo culturalmente e socialmente strutturata (e più o meno generalmente "dominante") in una determinata epoca storica (non: la sua "immagine" sensibile, se non in senso metaforico) può essere scientificamente più o meno vera o più o meno falsa, e questo in linea di principio può essere intersoggettivamente verificato (se é vera la conoscenza scientifica).

Tutto ciò di cui si ha coscienza é per definizione apparenza, fenomeno, (insieme di) sensazioni; e di questo (o meglio: della sua componente materiale) e di nient' altro si può avere conoscenza scientifica per il semplice fatto che solo i fenomeni materiali possono essere assunti accadere intersoggettivamente (in modo biunivocamente corrispondente nelle diverse esperienze coscienti) e misurati: se esiste realmente una realtà "in sé" ad essi corrispondente, allora per definizione non la si percepisce; e dunque:
a) non si può assumere che sia intersoggettivamente corrirpondente fra le varie esperinze coscienti che unicamente di percezioni fenomeniche e di nent' altro constano per definizione;
b) non si può misurare onde ricavare ipotesi sul suo divenire verificabili/falsificabili con uteriori misurazioni sperimentali (di fenomeni ovviamente).

Del noumeno (inaccessibile alla coscienza sensiblile per definizione) si può solo postulare (non dimostrabilmente; nè tantomeno mostrabilmente, per definizione) che sia in corrispondenza biunivoca con i fenomeni, onde spiegare:
a) la relativa costanza di essi: ogni volta che qualcuno va a Courtmaieur e guarda verso nordovest vede il monte Bianco); ogni volta che ripenso alla mia vita mi sovvengo sostanzialmente dello stesso complesso di ricordi con eventuali varianti reciprocamente congrue (salvo evidenti errori di memoria, amnesie e/o ricordi distorti o illusori, in linea di pìrincipio riconoscibili, spiegabili e correggibili);
b) l' intersoggettività dei fenomeni materiali (ogni volta che qualcuno vede il monte Bianco, allora nell' ambito del noumeno le entità in sé "soggetti" di tale visione (per esempio "io" o "tu" se andiamo a Courtmaieur e guardiamo verso nordovest) si trovano in rapporti simili o (corrispondenti) con la medesima entità in sé che di tale visione in ciascuna delle loro esperienze coscienti é l' oggetto (e che non potendo essere sentita non può essere misurata e scientificamente conosciuta: la si può solo congetturare esistere appunto anche per spiegare in questo modo che sto illustrando l' intersoggettività della conoscenza scientifica).

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