Come dimostrare logicamente l'esistenza della coscienza?

Aperto da HollyFabius, 26 Aprile 2016, 20:12:25 PM

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paul11

Citazione di: Loris Bagnara il 18 Maggio 2016, 12:51:32 PM
Citazione di: sgiombo il 18 Maggio 2016, 08:18:54 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 17 Maggio 2016, 19:53:56 PMMi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?[/size] La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono. Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi. Non sono affatto convinto che possa risolvere il problema, per due motivi. Il primo è che le funzioni del corpo/cervello in verità variano e fluttuano di secondo in secondo (pensieri, emozioni, desideri, sensazioni etc) e che solo in generale, e facendo una sorta di media di lungo periodo, tali funzioni possono considerarsi più o meno simili. Ma solo più o meno, e solo compiendo un'astrazione a posteriori: insomma, un'operazione inversa, analoga a quella dell'autoreferenzialità, mi pare. Il secondo motivo è che se assumiamo la struttura delle funzioni del corpo/cervello umano nella loro generalità, allora tutti gli uomini sarebbero grosso modo identici. Cioè, se non consideriamo le specifiche differenze di contenuti mentali, ma restiamo sul generale, allora banalmente possiamo dire che tutti gli uomini pensano, sentono, desiderano più o meno allo stesso modo, cioè presentano un'analoga struttura funzionale. Ma allora come fa a sorgere il senso della nostra specifica identità? Come facciamo a sentirci legati ad uno specifico corpo impermanente, se la struttura delle funzioni accomuna tutti gli esseri umani? In conclusione, questi sono i due grandi problemi che il riduzionismo deve risolvere: il problema dell'impermanenza e quello dell'individuazione. Non chiedo altre risposte, ora. Ho chiarito quel che intendevo dire e lascio a ciascuno il tempo e la voglia di rifletterci sopra...
Rispondo (anche se non direttamente chiamato in causa; me ne scuso, ma non sono riuscito a trettenermi oltre). Non vedo alcun problema (dal punto di vista dei monisti materialisti, quale io peraltro non sono). Tanto dell' esperienza personale cosciente (dell' "io", se così ti piace chiamarla) quanto del cervello (vivo) si può dire tranquillamente che iniziano e finiscono di esistere sostanzialmente insieme (con qualche limitata sfasatura; con buona approssimazione insieme se il cervello si intende in quanto pienamente sviluppato e regolarmente funzionante: non nel feto e primissimi giorni di vita extrauterina, non se in coma); e che si trasformano durante la loro esistenza, cioé che persistono relativamente, parzialmente, per certi aspetti e caratteristiche, continuando ad essere se stessi (ciascuno se stesso), pur mutando relativamente, parzialmente, per certi altri aspetti e caratteristiche (per esempio tu continui ad essere te stesso pur cambiando relativamente: non sei esattamente il bambino che eri qualche anno fa; esattamente come il tuo cervello continua ad essere il tuo cervello e a funzionare in quanto tuo cervello, pur non essendo esattamente quello di quando eri bambino e non funzionando esattamente nello stesso modo): ma dove starebbe mai il problema?
Ci mancherebbe, non si trattava di una conversazione privata... Venendo al dunque, il problema lo si può vedere solo se si smette di osservare la realtà con gli stessi occhi di sempre. Perché è umano dare per scontato ciò che constatiamo tutti i giorni. Tutti i giorni e per tutta la nostra vita constatiamo quel che dice Sgiombo, e finiamo per darlo per scontato, per ovvio. Ma è poi così ovvio? Ho già detto altrove che è più difficile fare intuire l'urgenza di una domanda, che dare una risposta. Ci provo con una metafora. In ottica riduzionista, come ho supposto di mettermi, il corpo umano non è altro che la somma delle sue parti, senza un principio che lo renda una unità. Possiamo allora immaginarcelo come una sorta di nube di materia, che fluttua nello spazio e nel tempo. La stessa cosa può dirsi dell'esperienza cosciente, che in ottica riduzionista è da intendersi come una nube di contenuti mentali, che anch'essa fluttua nel tempo e nello spazio. Ora, noi abbiamo esperienza di questo fatto: senza che vi sia nulla che colleghi una nube all'altra, le due nubi stanno insieme, fluttuano insieme, vanno di pari passo per tutta la durata della vita. E' così scontato? A ciò va aggiunta una considerazione che farò ancora più fatica a far cogliere. A entrambe quelle nubi sono legato io. Non un essere umano qualsiasi. Io. Che potevo anche non esserci. Non c'è nulla che implichi la mia presenza. Se allora io mi rappresento come un palloncino gonfio d'elio, legato con uno spago, ecco, quel palloncino che sono io resta legato con il suo spago a quelle due nuvole, mentre queste si spostano e fluttuano per tutta la durata della vita... Non riesco a fare di meglio, per far cogliere il senso del problema.

se è consentito....
E'  proprio la coscienza che è unità del corpo e senza necessità di sobbarcarsi l'onere di correre dietro a tutto ciò che fisicamente il corpo fisco compie per vivere fisicamente  E' proprio la coscienza che mantenendo  un'unità del corpo garantisce l'unità dentro un esperienza nel passaggio dell'attimo dopo attimo. Il nostro corpo garantisce la sostituzione di cellule con altre nuove costruendo la continuità di non perdere la propria vita ed esistenza , ma è la coscienza ancora di più che senza bisogno lei stessa di comandare le sostituzione fisicihe del corpo può spostare la sua volontà e il suo linguaggio in "altro", estranearsi dalla fisicità
Noi siamo l'IO narrante in una storia , la nostra, che contribuisce all'identificazione .

Come siamo noi, paul11,ecc, quando gli altri ci incontrano per strada ,ecc. io non mi presento come stomaco o polmone, ma se ben individuiamo cosa ci identifica è proprio  la coscienza. Comunicano fra loro proprio le coscienze e quì nasce il passaggio da natura a cultura.. La contraddizione della scienza è che comunica ad esempio a paul11 come coscienza, come persona ,come identità ma lo studia come insieme di parti o addirittura come semplici parti.

Il riduzionista non crede nemmeno alla coscienza ,non è dato osservativo e quindi dimostrativo.E qu' l'uomo è contraddittorio perchè quando è fuori dal ruolo di scienziato riduzionista comunica come coscienza e quando entra nel ruolo di scienziato nega la coscienza , questa è la ruolificazione che genera alienazione. Quest'uomo quale coscienza veste e quale identità investe?

sgiombo

Citazione di: Loris Bagnara il 18 Maggio 2016, 12:51:32 PM
Venendo al dunque, il problema lo si può vedere solo se si smette di osservare la realtà con gli stessi occhi di sempre.
Perché è umano dare per scontato ciò che constatiamo tutti i giorni.
Tutti i giorni e per tutta la nostra vita constatiamo quel che dice Sgiombo, e finiamo per darlo per scontato, per ovvio.
Ma è poi così ovvio?

Ho già detto altrove che è più difficile fare intuire l'urgenza di una domanda, che dare una risposta.
Ci provo con una metafora.

In ottica riduzionista, come ho supposto di mettermi, il corpo umano non è altro che la somma delle sue parti, senza un principio che lo renda una unità.
CitazioneNo, scusa, questo non é affatto riduzionismo.

Questo é una banale (e maligna) deformazione caricaturale che con l' autentico riduzionismo non ha nulla a che fare!

Per l' autentico riduzionismo il tutto é uguale alla somma delle parti poste in determinate relazioni reciproche.
La somma degli organi del corpo umano reciprocamente separati (tagliati gli uni dagli altri e semplicemente giustapposti) é complessivamente uguale al "tutto" costituito da un cadavere (sezionato).
Invece la somma degli organi del corpo umano fra loro uniti e funzionanti regolarmente, in rapporti reciproci tali da realizzare un' unità anatomica e fisiologica (funzionante senza l' aggiunta di alcun ulteriore "ingrediente vitalistico" o "animistico" misteriosamente scaturente dalla loro somma) é complessivamente uguale al ben altro "tutto" costituito dal corpo umano vivente.



Possiamo allora immaginarcelo come una sorta di nube di materia, che fluttua nello spazio e nel tempo.

La stessa cosa può dirsi dell'esperienza cosciente, che in ottica riduzionista è da intendersi come una nube di contenuti mentali, che anch'essa fluttua nel tempo e nello spazio.

Ora, noi abbiamo esperienza di questo fatto: senza che vi sia nulla che colleghi una nube all'altra, le due nubi stanno insieme, fluttuano insieme, vanno di pari passo per tutta la durata della vita.
E' così scontato?

CitazioneA parte la metafora delle "nuvolette" che personalmente trovo alquanto infelice (ma é questione di gusti), a me pare non vi sia nulla di problematico: é ciò che si constata quotidianamente.


A ciò va aggiunta una considerazione che farò ancora più fatica a far cogliere.
A entrambe quelle nubi sono legato io.
Non un essere umano qualsiasi. Io. Che potevo anche non esserci.
Non c'è nulla che implichi la mia presenza.
Se allora io mi rappresento come un palloncino gonfio d'elio, legato con uno spago, ecco, quel palloncino che sono io appare dal nulla proprio dentro a quelle nubi, e resta legato con il suo spago a quelle due nubi, mentre queste si spostano e fluttuano per tutta la durata della vita...

Non riesco a fare di meglio, per far cogliere il senso del problema.

CitazioneE a me non riesci proprio a far comprendere nulla di sensato con questa metafora: io ci sono e il fatto desta meraviglia, d' accordo.
Ma tutta la faccenda delle nuvolette e del palloncino che c' entra?


Loris Bagnara

Citazione di: sgiombo il 18 Maggio 2016, 16:10:55 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 18 Maggio 2016, 12:51:32 PM
Venendo al dunque, il problema lo si può vedere solo se si smette di osservare la realtà con gli stessi occhi di sempre.
Perché è umano dare per scontato ciò che constatiamo tutti i giorni.
Tutti i giorni e per tutta la nostra vita constatiamo quel che dice Sgiombo, e finiamo per darlo per scontato, per ovvio.
Ma è poi così ovvio?

Ho già detto altrove che è più difficile fare intuire l'urgenza di una domanda, che dare una risposta.
Ci provo con una metafora.

In ottica riduzionista, come ho supposto di mettermi, il corpo umano non è altro che la somma delle sue parti, senza un principio che lo renda una unità.
CitazioneNo, scusa, questo non é affatto riduzionismo.

Questo é una banale (e maligna) deformazione caricaturale che con l' autentico riduzionismo non ha nulla a che fare!

Per l' autentico riduzionismo il tutto é uguale alla somma delle parti poste in determinate relazioni reciproche.
La somma degli organi del corpo umano reciprocamente separati (tagliati gli uni dagli altri e semplicemente giustapposti) é complessivamente uguale al "tutto" costituito da un cadavere (sezionato).
Invece la somma degli organi del corpo umano fra loro uniti e funzionanti regolarmente, in rapporti reciproci tali da realizzare un' unità anatomica e fisiologica (funzionante senza l' aggiunta di alcun ulteriore "ingrediente vitalistico" o "animistico" misteriosamente scaturente dalla loro somma) é complessivamente uguale al ben altro "tutto" costituito dal corpo umano vivente.



Possiamo allora immaginarcelo come una sorta di nube di materia, che fluttua nello spazio e nel tempo.

La stessa cosa può dirsi dell'esperienza cosciente, che in ottica riduzionista è da intendersi come una nube di contenuti mentali, che anch'essa fluttua nel tempo e nello spazio.

Ora, noi abbiamo esperienza di questo fatto: senza che vi sia nulla che colleghi una nube all'altra, le due nubi stanno insieme, fluttuano insieme, vanno di pari passo per tutta la durata della vita.
E' così scontato?

CitazioneA parte la metafora delle "nuvolette" che personalmente trovo alquanto infelice (ma é questione di gusti), a me pare non vi sia nulla di problematico: é ciò che si constata quotidianamente.


A ciò va aggiunta una considerazione che farò ancora più fatica a far cogliere.
A entrambe quelle nubi sono legato io.
Non un essere umano qualsiasi. Io. Che potevo anche non esserci.
Non c'è nulla che implichi la mia presenza.
Se allora io mi rappresento come un palloncino gonfio d'elio, legato con uno spago, ecco, quel palloncino che sono io appare dal nulla proprio dentro a quelle nubi, e resta legato con il suo spago a quelle due nubi, mentre queste si spostano e fluttuano per tutta la durata della vita...

Non riesco a fare di meglio, per far cogliere il senso del problema.

CitazioneE a me non riesci proprio a far comprendere nulla di sensato con questa metafora: io ci sono e il fatto desta meraviglia, d' accordo.
Ma tutta la faccenda delle nuvolette e del palloncino che c' entra?
L'avevo detto che sarebbe stato difficile.

Sgiombo, hai dimostrato ancora una volta di essere totalmente privo d'intuito.
Refrattario al linguaggio simbolico e metaforico, che è l'unico a poterti portare oltre.
E totalmente appagato delle tue risposte, ma soprattutto delle domande che non ti fai.

Sono felice per te.

sgiombo

Citazione di: Loris Bagnara il 18 Maggio 2016, 16:42:18 PM


Sgiombo, hai dimostrato ancora una volta di essere totalmente privo d'intuito.
Refrattario al linguaggio simbolico e metaforico, che è l'unico a poterti portare oltre.
E totalmente appagato delle tue risposte, ma soprattutto delle domande che non ti fai.

Sono felice per te.
CitazioneGrazie!
(Per me é semplicemente razionalismo; al quale non rinuncerei per niente al mondo).

maral

Citazione di: Paul11Perchè non pensare che la coscienza sia come una nuvola elettromagnetica dentro il cranio, ma non perfettamente corrispondente al cervello? Abbiamo presente gli elettroni e il nucleo atomico? Un campo magnetico non è direttamente e fisicamente corrispondente alla sola area della materia che lo genera, basta vedere la magnetosfera terrestre  e quanto il sole incida con le sue radiazioni a milioni di chilometri di distanza.
E ancora, perchè utilizziamo l'imaging per "vedere" un cervello , se non per impressionare l'elettromagnetismo presente in esso.
Il presupposto di questa ipotesi è: se vediamo il modo di funzionare della coscienza in una mappatura elettromagnetica, in qualche modo il fenomeno elettromagnetico (o elettrochimico) dovrebbe costituire il fondamento della coscienza stessa. L'ipotesi è lecita e interessante, ma il rischio è come sempre quello di ridurre la comprensione effettiva del significare della coscienza a se stessa al suo modo di funzionare per come viene rilevato, fino a identificarla completamente al mezzo con cui la si rileva. La mappa diventa così evidentemente il fenomeno che si intende mappare e i principi che consentono di mappare i principi del fenomeno stesso.

Citazione di: Loris BagnaraMi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Il problema dell'identità permanente è stato affrontato in termini neurologici, ad esempio  da Damasio. La sua ipotesi è che questa identità corrisponde all'immagine che le strutture corticali elaborano a partire dalla biostaticità che l'organismo variando deve mantenere sempre invariata per sopravvivere. Il compendio di tutte le informazioni necessarie a questo mantenimento dell'unità stabile del corpo si trova nel midollo allungato. Il discorso è interessante, come tentativo di dare conto del fenomeno coscienza di sé su base neurologica. Lo introduco nella sezione "Scienza e tecnologia" per chi volesse commentarlo e approfondirlo.

paul11

Citazione di: maral il 19 Maggio 2016, 09:53:26 AM
CitazionePerchè non pensare che la coscienza sia come una nuvola elettromagnetica dentro il cranio, ma non perfettamente corrispondente al cervello? Abbiamo presente gli elettroni e il nucleo atomico? Un campo magnetico non è direttamente e fisicamente corrispondente alla sola area della materia che lo genera, basta vedere la magnetosfera terrestre e quanto il sole incida con le sue radiazioni a milioni di chilometri di distanza. E ancora, perchè utilizziamo l'imaging per "vedere" un cervello , se non per impressionare l'elettromagnetismo presente in esso.
Il presupposto di questa ipotesi è: se vediamo il modo di funzionare della coscienza in una mappatura elettromagnetica, in qualche modo il fenomeno elettromagnetico (o elettrochimico) dovrebbe costituire il fondamento della coscienza stessa. L'ipotesi è lecita e interessante, ma il rischio è come sempre quello di ridurre la comprensione effettiva del significare della coscienza a se stessa al suo modo di funzionare per come viene rilevato, fino a identificarla completamente al mezzo con cui la si rileva. La mappa diventa così evidentemente il fenomeno che si intende mappare e i principi che consentono di mappare i principi del fenomeno stesso. 

No, Maral ,tu vai alla conclusione , mentre per me è solo un passaggio questo , perchè la coscienza è qualcosa di dinamico e non di statico risolvibile in una formula filosofica o fisica, per me è molto, ma molto di più.

L'intera discussione di innumerevoli post si è come sezionata, chi pone un'intera teoria teosofica, chi cerca i contenuto relazionali, chi cerca una fisicità.  Il mio parere è che è proprio l sintesi di tutto questo la coscienza: fisica del cervello-filosofia della mente, filosofia morale, mondo reale, sistemi di relazione. Io addirittura ,magari in maniera diversa dalla teosofia, ma come tu sai essendo credente andrei oltre, io credo all'anima come incarnazione in una coscienza che si collega alla morte fisica  allo spirito . 
Forse sono addirittura stato scambiato per un riduzionista, ma perchè ho seguito la domanda del topic e del post di partenza.
Dimostrare una coscienza per via logica è un'autoreferenza.Noi possiamo riempire di contenuti quell'insieme chiamata coscienza e che può crescere di un livello superiore in una autocoscienza , ma implica non solo logica, ma fisica, filosofia, e chi ci crede spirito .

Adatto che tutti sappiamo o comunque avvertiamo come coscienza forse la chiave di lettura fondamentale che appartine singolarmente a noi che può ulteriormente farci domandare ,perchè sia mo quì, che senso ha tutto quanto, le discussioni sulla coscienza sono e saranno sempre infinite, abbiamo avuto esempio anche sul vecchi forum .

Ma va bene così, nel senso che ognuno di noi ha aderito a un compito che apparteneva al suo sapere, alla sua identità oserei dire e lo ha confrontato anche accesamente. ma proprio perchè sappiamo l'importanza della coscienza .

Il mio percorso è stato induttivo finora, perchè non credo alla netta divisione fra fisica e spirito  e a tutte le interpretazioni  filosofiche che ne conseguono . Ritengo che vi siano "ponti", passaggi , dove ad esempio la materia è il terreno, il substrato che permette l'emergere di altro, fra cui la coscienza stessa.

Loris Bagnara

Citazione di: maral il 19 Maggio 2016, 09:53:26 AM


CitazioneMi sto ponendo nei panni di uno che vorrebbe accogliere la tesi che l'autocoscienza emerga dal cervello. Però questo tizio ha un dubbio: se è vero che nulla è permanente nel corpo e nel cervello umano (anche tu l'hai confermato), come è possibile che da una struttura impermanente sorga un'illusione permanente?
La logica riduzionista esigerebbe di individuare una struttura materiale permanente a cui agganciare l'illusione permanente dell'io-sono.

Ora tu proponi che le funzioni svolte dal corpo/cervello possano costituire tale struttura permanente a cui l'io-sono possa agganciarsi.
Il problema dell'identità permanente è stato affrontato in termini neurologici, ad esempio  da Damasio. La sua ipotesi è che questa identità corrisponde all'immagine che le strutture corticali elaborano a partire dalla biostaticità che l'organismo variando deve mantenere sempre invariata per sopravvivere. Il compendio di tutte le informazioni necessarie a questo mantenimento dell'unità stabile del corpo si trova nel midollo allungato. Il discorso è interessante, come tentativo di dare conto del fenomeno coscienza di sé su base neurologica. Lo introduco nella sezione "Scienza e tecnologia" per chi volesse commentarlo e approfondirlo.
Mi fa piacere vedere che anche la scienza riduzionista cerca di dare una soluzione al problema della permanenza dell'identità.
In questo forum c'è chi nemmeno avverte l'esistenza del problema...
E' interessante quel che riporti, maral, ma un po' troppo sintetico :-\ ... Ci sai indicare dove trovare maggiori informazioni sul tema?

P.S. Pardon, come non detto. Ho visto solo ora che hai aperto un altro 3D sul tema. Comincerò col leggere quello. Grazie.

maral

Direi che la permanenza del sé è una problematica molto importante anche in termini neurologici. Nell'altro 3D ho linkato il video di Damasio (che si può sottotitolare, se non si conosce l'inglese), così puoi sentire direttamente dalla sua presentazione, assai più competente di ogni mio discorso. Se poi vuoi approfondire "Emozione e coscienza" dello stesso autore è un testo senz'altro utile e stimolante.

davintro

Sgiombo scrive:

"Ma ciò non toglie che la coscienza in generale, la coscienza di altro dal proprio essere cosciente (quale che sia il grado di attenzione che presenta) é altra cosa dalla coscienza (anche questa più o meno attenta o distratta che sia) della coscienza (dalla sensazione del pensiero del "proprio essere cosciente", del pensiero dei -gli altri- "contenuti di coscienza"); e che solo quest' ultima (diversa dalla coscienza di qualsiasi altra "cosa" o "conteuto esperienziale") costituisca l' "autocoscie4nza"."

Assolutamente d'accordo! Non ho mai sostenuto il contrario. Certamente la coscienza degli oggetti del mondo esterno è "altra cosa" rispetto alla coscienza della coscienza. Non ho mai parlato di un rapporto di identità, evidentemente sono due modalità di coscienza aventi una distinta qualità di vissuto. Volevo dire che l'autocoscienza è la condizione necessaria, il termine giusto credo sia "trascendentale", della coscienza in genere. Senza autocoscienza avremmo solo sensazioni senza la possibilità di un intervento ordinatore da parte dell'Io, che presupporrebbe l'associare stimolo a stimolo grazie al ricordo di esperienze passate che forniscono gli schemi associativi da cui nascono percezioni e concetti. E che esista una correlazione fortissima fra senso della propria identità e memoria mi pare sia un dato inoppugnabile (per coincidenza proprio pochi giorni fà leggevo John Searle scrivere riguardo un "senso del sè" che si costituisce temporalmente attraverso la continuità passato-presente che si dà attraverso i ricordi)

Non direi che l'autocoscienza sia un prodotto del linguaggio, direi al contrario che il linguaggio presupponga il pensare in astratto che è dato dal trascendimento dell'immediatezza dell'esperienza sensibile in virtù della mediazione data dalla continuità temporale del flusso di coscienza. Il linguaggio è una generalizzazione, le parole si riferiscono ad una molteplicità di oggetti concreti che vengono unificate attraverso il riscontro di somiglianze che rendono possibile classificare e categorizzare. Il riscontro di somiglianze presuppone la continuità temporale del flusso di coscienza: quel singolo oggetto me ne ricorda uno simile di cui ho avuto esperienza passate e ciò dà un senso alla formazione di una parola che si riferisca a entrambi gli oggetti nonchè tutti gli oggetti passati, presenti e futuri aventi quelle caratteristiche simili. Il linguaggio presuppone cioè la non-immediatezza di una coscienza che si protende verso il passato ed il futuro in un flusso che va al di là della semplice ed immediata coscienza presente. E quest'unità tra il mio passato, il mio presente, il mio futuro è data dall'autocoscienza, dall'idea che questi tre "stati temporali" sono uniti dal fatto di essere i "miei" stati temporali, appartententi ad un unico Io. Il linguaggio non è un apriori, ma la conseguenza di una relazione coscienza-mondo che si manifesta originariamente in forme intuitive e prelinguistiche. Il rosso che percepisco non è ancora una parola, ma un vissuto intuitivo concreto, non ancora un segno grafico, simbolico. Questo verrà "poi"

Lou

#204
io direi, molto semplicente e intuitivamente, che l'autocoscienza é la presenza della coscienza a sé stessa.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

acquario69

#205
Citazione di: Lou il 20 Maggio 2016, 00:49:00 AM
io direi, molto semplicente e intuitivamente, che l'autocoscienza é la presenza della coscienza a sé stessa.

Secondo me hai colto in pieno.
Dal mio punto di vista e in altre parole,l'autocoscienza e' la "parte" divina,indivisible,immutabile e perenne Che risiede in noi.(la sua presenza come dici tu)

Allora il pensiero e' coscienza (Cioe coscienza individuale e formale,percio duale)
Quando il pensiero CESSA si SVELA l'autocoscienza (il "vuoto" e il senza forma,Non duale)

Per evitare possibili contraddizioni apparenti,quell'autocoscienza come spiegato sopra e' la STESSA Che COINCIDE (diventa UNO) con LA Coscienza (unica,divina,onnipervadente)
...quindi si potrebbero anche dire Che la coscienza individuale altro non e' Che il riflesso di un unica coscienza universale

sgiombo

Citazione di: davintro il 20 Maggio 2016, 00:28:48 AM
Sgiombo scrive:

"Ma ciò non toglie che la coscienza in generale, la coscienza di altro dal proprio essere cosciente (quale che sia il grado di attenzione che presenta) é altra cosa dalla coscienza (anche questa più o meno attenta o distratta che sia) della coscienza (dalla sensazione del pensiero del "proprio essere cosciente", del pensiero dei -gli altri- "contenuti di coscienza"); e che solo quest' ultima (diversa dalla coscienza di qualsiasi altra "cosa" o "conteuto esperienziale") costituisca l' "autocoscie4nza"."

Assolutamente d'accordo! Non ho mai sostenuto il contrario. Certamente la coscienza degli oggetti del mondo esterno è "altra cosa" rispetto alla coscienza della coscienza. Non ho mai parlato di un rapporto di identità, evidentemente sono due modalità di coscienza aventi una distinta qualità di vissuto. Volevo dire che l'autocoscienza è la condizione necessaria, il termine giusto credo sia "trascendentale", della coscienza in genere. Senza autocoscienza avremmo solo sensazioni senza la possibilità di un intervento ordinatore da parte dell'Io, che presupporrebbe l'associare stimolo a stimolo grazie al ricordo di esperienze passate che forniscono gli schemi associativi da cui nascono percezioni e concetti. E che esista una correlazione fortissima fra senso della propria identità e memoria mi pare sia un dato inoppugnabile (per coincidenza proprio pochi giorni fà leggevo John Searle scrivere riguardo un "senso del sè" che si costituisce temporalmente attraverso la continuità passato-presente che si dà attraverso i ricordi)

CitazioneMa se "la coscienza degli oggetti del mondo esterno è "altra cosa" rispetto alla coscienza della coscienza", allora può darsi benissimo che essa si dia e di fatto essa si da anche senza  la "coscienza della coscienza": "sensazioni senza la realtà di fatto di un (soltanto possibilie, potenzale) intervento ordinatore da parte dell' io, che presupporrebbe l'associare stimolo a stimolo grazie al ricordo di esperienze passate che forniscono gli schemi associativi" sono pur sempre senzazioni ovvero "contenuti di coscienza" ovvero "coscienza"; che spesso di fatto accadono.


Non direi che l'autocoscienza sia un prodotto del linguaggio, direi al contrario che il linguaggio presupponga il pensare in astratto che è dato dal trascendimento dell'immediatezza dell'esperienza sensibile in virtù della mediazione data dalla continuità temporale del flusso di coscienza. Il linguaggio è una generalizzazione, le parole si riferiscono ad una molteplicità di oggetti concreti che vengono unificate attraverso il riscontro di somiglianze che rendono possibile classificare e categorizzare. Il riscontro di somiglianze presuppone la continuità temporale del flusso di coscienza: quel singolo oggetto me ne ricorda uno simile di cui ho avuto esperienza passate e ciò dà un senso alla formazione di una parola che si riferisca a entrambi gli oggetti nonchè tutti gli oggetti passati, presenti e futuri aventi quelle caratteristiche simili. Il linguaggio presuppone cioè la non-immediatezza di una coscienza che si protende verso il passato ed il futuro in un flusso che va al di là della semplice ed immediata coscienza presente. E quest'unità tra il mio passato, il mio presente, il mio futuro è data dall'autocoscienza, dall'idea che questi tre "stati temporali" sono uniti dal fatto di essere i "miei" stati temporali, appartententi ad un unico Io. Il linguaggio non è un apriori, ma la conseguenza di una relazione coscienza-mondo che si manifesta originariamente in forme intuitive e prelinguistiche. Il rosso che percepisco non è ancora una parola, ma un vissuto intuitivo concreto, non ancora un segno grafico, simbolico. Questo verrà "poi"
CitazioneNon ho affemato che l'autocoscienza sia puramente e semplicemente, sic et simpliciter un prodotto del linguaggio, ma che il linguaggio, consentendo il pensiero di concetti astratti e non solo l' immaginazione o il ricordo di oggetti di esperienza concreti mi sembra una conditio sine qua non dell' autocoscienza, cioé della coscienza (della sensazione mentale del pensiero) del proprio essere cosciente in generale, astrattamente (e non semplicemente il ricordo di qualche precedente concreto oggetto di esperienza cosciente o l' immaginazione di qualche possibile -o anche impossibile- futuro concreto oggetto di esperienza cosciente; che é ragionevole ritenere accada anche per lo meno a molti aminali non umani).

Non vedo infatti come potrebbe accadere, in assenza di concetti astratti linguisticamente definiti, di trascendere l'immediatezza dell'esperienza sensibile (in virtù della mediazione data dalla continuità temporale del flusso di coscienza).

Per esempio il concetto di "triangolo" non si limita all' immaginazione di un qualcosa di concreto triangolare considerabile "paradigmatico" o "prototipico" di tutte le altre cose triangolari reali e no (anche se ne é inevitabilmente accompagnato di fatto): implica invece nozioni che eccedono l' immaginazione del concreto e che sono esprimibili solo verbalmente, linguisticamente).

Infatti per passare dal rosso che percepisco e che non è ancora una conectto astratto, ma un vissuto intuitivo concreto, ho bisogno di segni verbali, simbolici (in maniera più o meno rudimentale, vaga, imprecisa, quanto é scritto oggi nel vocabolario della lingua italiana come definizione di "rosso").

Mentre non mi sembra particolarmente rilevante il fatto ovvio che per astrarre concetti generali dagli oggetti particolari - concreti (immaginati o direttamente e presentemente esperiti sensorialmente) é necessaria la memoria, dal momento che ben pochi di tali oggetti (o forse di fatto uno solo per volta, almeno nel caso si tratti di oggetti di memoria e immaginazione) possono essere simultaneamente presenti alla coscienza.

Elvio

Citazione di: Loris Bagnara il 02 Maggio 2016, 09:58:31 AM
Dalla riflessione sul rapporto fra coscienza e materia scaturiscono tre possibili posizioni, tre diverse premesse su cui costruire una "visione del mondo":

1) posizione monista: esiste la coscienza e la materia è un contenuto illusorio della coscienza;
2) posizione monista: esiste la materia e la coscienza è un'illusione prodotta dalla materia;
3) posizione dualista: coscienza e materia esistono su piani distinti e paritari.

4) posizione del loto: non esiste né la coscienza né la materia.

Pensa al tuo corpo da vivo e da morto. La materia un attimo prima e un attimo dopo è la stessa (salvo l'ipotesi di Dan Brown di pesare l'anima come differenza tra il prima e il dopo):
Eppure qualcosa cambia, ma non sappiamo come. Conosciamo il prima ma non il dopo. Non sappiamo come si sente un cucchiaino di zucchero prima di entrare nel nostro corpo. Eppure anche i moscerini dormono e i topi sono dotati di autocoscienza.

maral

Trovo più convincente una posizione che riconosce l'esistenza di materia e coscienza, ma le vede una espressione dell'altra, in un rapporto reciproco che le presenta come originaria unità.
In tal modo il dualismo si risolve nel monismo, poiché né l'una né l'altra possono essere prese originarie e separate.

Sariputra

#209
Citazione di: maral il 21 Maggio 2016, 23:42:03 PMTrovo più convincente una posizione che riconosce l'esistenza di materia e coscienza, ma le vede una espressione dell'altra, in un rapporto reciproco che le presenta come originaria unità. In tal modo il dualismo si risolve nel monismo, poiché né l'una né l'altra possono essere prese originarie e separate.

Soggetto e oggetto appaiono come due, ma sono uno. Sono interdipendenti. Si compenetrano. Non c'è oggetto senza soggetto; non c'è soggetto senza oggetto. L'osservatore è l'osservato. Quando il dritto e l'obliquo si incontrano e si serrano (come le gambe in loto) meravigliosamente ci sono Domanda e Risposta mescolate.
Come contemplandoci nello specchio: la forma e il riflesso si guardano. Non siamo il riflesso, ma il riflesso è noi.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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