Cogito ergo sum come strumento per identificare l'uomo

Aperto da salvatore, 04 Luglio 2019, 08:11:54 AM

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salvatore

Il cogito viene inteso da Cartesio come "res", nel prisma del cogito ergo sum"; si tratta di una cosa che pensa, che dubita,, immagina , percepisce Vi è una diversificazione fra pensiero e materia.e non si tratta di qualcosa di materiale, ma di eterno e immortale. Corpo e materia sono differenti dal pensiero. Può pensarsi a una candela di cera, le cui caratteristiche mutano quando essa è vicina alla fiamma "Forse era quello che penso ora: che la cera stessa cioè non fosse questa dolcezza del miele, né quella fragranza dei fiori, né il colore bianco, né la figura, né il suono, ma un corpo che poco fa mi appariva evidente in quei modi, ed ora in forme diverse. Cosa è dunque precisamente questo che immagino così? Consideriamo attentamente e, eliminato tutto ciò che non riguarda la cera, vediamo quel che rimane: certo null'altro che qualcosa di esteso, flessibile, mutevole." (Cartesio, Meditazioni metafisiche)."Prendiamo per esempio questo pezzo di cera appena tolto dall'alveare: non ha ancora perso la dolcezza del miele che conteneva, conserva ancora qualcosa dell'odore dei fiori da cui deriva; il suo colore, la sua forma, la sua grandezza sono ben visibili; è duro, freddo, possiamo toccarlo, e se lo colpiamo produrrà un suono. Insomma, tutte le cose che ci possono far distintamente conoscere un corpo possiamo in esso riscontrarle. Ma ecco che, mentre parlo, lo avvicino al fuoco: ciò che restava del suo sapore svanisce, l'odore si disperde, il suo colore cambia, la sua forma anche, la sua grandezza aumenta, diventa liquido, si scalda, tanto da poterlo appena toccare e, per quanto lo si batta, non renderà più nessun suono. È ancora la stessa cera dopo questo cambiamento? Bisogna ammettere di sì e nessuno lo può negare. Che cosa conoscevo, dunque, distintamente in questo pezzo di cera? Sicuramente nulla di quanto avevo notato per mezzo dei sensi, dato che tutte le cose che cadevano sotto il gusto, o l'odorato, o la vista, o il tatto o l'udito, sono ora cambiate, eppure la cera è rimasta la stessa. Forse era ciò che penso ora, cioè che la cera non era né questa dolcezza di miele, ne questo gradevole odore di fiori, né questa bianchezza, né questa forma, né questo suono, ma soltanto un corpo che poco fa mi appariva sotto tutte queste forme, e che ora si presenta sotto altre forme. Ma che cosa immagino effettivamente quando la concepisco in questo modo? Consideriamola attentamente ed allontaniamo tutte le cose che appartengono alla cera; vediamo cosa resta. Non rimane altro che qualcosa di esteso, di malleabile e di mutevole. Ora, cosa sono questi caratteri: malleabile e mutevole? Intendo, forse, che questa cera, essendo rotonda, può diventare quadrata e passare, quindi, dal quadrato ad una figura triangolare? Non è certo questo, dato che la concepisco capace di ricevere un'infinità di simili mutamenti, e non saprei nemmeno percorrere quest'infinità con la mia immaginazione, pertanto questo concetto che ho della cera non può esaurirsi con la facoltà di immaginare. Che cos'è, allora, questa estensione? Non è anch'essa sconosciuta, dato che nella cera che fonde aumenta, ed aumenta ancora quando è interamente fusa e sempre di più man mano che il calore aumenta? E non comprenderei chiaramente e secondo verità che cos'è la cera, se non pensassi che è in grado di ricevere più varietà riguardo all'estensione di quanto potessi mai immaginare. Devo dunque riconoscere che non sono in grado di concepire, attraverso l'immaginazione, che cos'è questa cera, e che solo il mio intelletto lo può fare; e mi riferisco a questo pezzo di cera in particolare, perché per la cera in generale la cosa è ancora più evidente. Ebbene, qual è quella cera che non può essere concepita che per mezzo dell'intelletto e dello spirito? È sicuramente la stessa che vedo, che tocco, che immagino, la stessa che conoscevo fin dall'inizio. Ma il fatto rilevante è che la sua percezione, o meglio l'azione attraverso la quale si coglie, non è un dato visivo, né tattile, né un'immaginazione, ma soltanto un'ispezione dello spirito, la quale può essere imperfetta e confusa, com'era all'inizio, oppure chiara e distinta com'è ora, a seconda che la mia attenzione si diriga di più o di meno verso le cose che sono in essa e di cui è composta. (Meditazione II)"
Dio e le cose sono sostanza, ma secondo una gradazione diversa, per non elevare le cose alla dignità di Dio e per non degradare le cose. Benché ogni attributo sia sufficiente per fare conoscere la sostanza, ve n'ha tuttavia uno in ognuna, che costituisce la sua natura e la sua essenza, e dal quale tutti gli altri dipendono. Cioè l'estensione in lunghezza, larghezza e profondità, costituisce la natura della sostanza corporea; e il pensiero costituisce la natura della sostanza pensante. (PF,1,53). L'estensione è la determinazione della sostanza che è il "mondo", ossia un ente mondano che differisce dal "cogito", dalla res cogitans, come esteriore e totalmente distinto da essa.Tutto ciò che si può attribuire al corpo presuppone estensione, e non è che un modo di quello che è esteso; egualmente, tutte le proprietà che troviamo nella cosa che pensa, non sono che modi differenti di pensare. Così non sapremmo concepire, per esempio, nessuna figura se non in una cosa estesa, né movimento che in uno spazio che sia esteso; così l'immaginazione, il sentimento e la volontà dipendono in tal modo da una cosa che pensa, che non possiamo concepirli senza di essa. Ma al contrario noi possiamo concepire l'estensione senza figura o senza movimento, e la cosa che pensa senza immaginazione o sentimento, e così via. (PF, ibid.).. L'extensio è la caratteristica essenziale dell'ente mondano, tanto essenziale che l'ente mondano si identifica con essa. Il movimento va considerato da un punto di vista cinematico, ossia indipendentemente dalle cause, non avendo esso efficacia determinante per l'essere. Secondo Cartesio, i sensi non hanno una funzione conoscitiva, ma sono uno strumento per perpetuare e conservare la corporeità dell'uomo. Si può accedere al vero attraverso "l'intellectio", che in tal modo ha un ruolo più pregnante rispetto alla "sensatio". "Confesso francamente che non conosco altra materia delle cose corporee che quella che può essere divisa, figurata e mossa in ogni sorta di modi, cioè quella che i geometri chiamano la quantità, e che prendono per oggetto delle loro dimostrazioni: e che non considero in questa materia che le sue divisioni, le sue figure e i suoi movimenti; ed infine che, riguardo a questi, io non voglio nulla ricevere per vero, se non quello che ne sarà dedotto con tanta evidenza, da poter tenere luogo di una dimostrazione matematica. E poiché può rendersi ragione in questo modo di tutti i fenomeni della natura, io non credo che si debbano ammettere altri principi nella fisica, e nemmeno che si abbia ragione di desiderarne altri diversi da quelli che sono qui spiegati. (PF,2,64)". Il vero essere è determinabile in termini matematici e in ciò vi è un distacco da Aristotele L'"extensio" è condizione conforme all'essere di una determinata conoscibilità ed essa funge da parametro per delimitare quello che può appartenere all'essere del mondo e quello che è escluso da esso. IL COGITO E' PROPRIO DELL?UOMO E IDENTIFICA L'ESSENZA UMANA.

Jacopus

Cartesio é stato superato dagli studi neuroscientifici in modo definitivo. Resta un grande testimone della sua epoca. Pensare che le teorie di Cartesio siano ancora valide é una illusione astorica.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

salvatore

Cerco di invitare a una esegesi del suo pensiero, Il pensiero come  caratteristica umana.

Ipazia

Citazione di: salvatore il 04 Luglio 2019, 09:27:35 AM
Cerco di invitare a una esegesi del suo pensiero, Il pensiero come  caratteristica umana.

Già Platone con gli universali individuò una peculiarità nella capacità astrattiva del pensiero umano. Solo che mettendo la realtà sottosopra, come spesso capita ai filosofi, si immaginò i particolari discendere dagli universali. Così fecero i neoplatonici dopo di lui fino a Galileo. E perfino Einstein con la storia dei dadi (Dio o Natura, da Spinoza in poi, cambia poco). Cartesio si allinea alla concezione galileiana di una mathesis universalis che regolerebbe normativamente la rex extensa (Natura). Pensiero epistemologicamente fecondo perchè ha insegnato agli umani la misurazione, ma metafisicamente periglioso perchè fa nutrire il sospetto che ciò che non è misurabile sia illusorio. A questa apparente illusione il cogito risponde con la sua autonomia che le scienze della psiche andranno a sondare. Non allontanandosi di molto dalla felice intuizione cartesiana del cogito quale carattere peculiare dell'essenza umana. Ma già Protagora aveva capito tutto. E Schopenauer non può che fargli il verso.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Salvatore. Benvenuto.
Io, contrariamente ad Ipazia e numerosi altri qui dentro, son profano semi-illetterato.

Volevo solo chiedere se secondo la dottrina cartesiana (oppure  secondo il tuo personale punto di vista, se diverso), il COGITO E' PROPRIO DELL'UOMO nel senso che solo l'uomo è in grado di cogitare (argomento debolissimo poichè tautologico - poichè noi pensiamo e non abbiamo nozione che altri possano farlo, allora affermiamo che solo noi possiamo essere quelli che siamo !!).......................

...........................oppure E' PROPRIO DELL'UOMO nel senso che il cogitare (indipendentemente dalla diffusione di tale attività) è l'attributo che rende specificatamente umano l'uomo ?. Grazie di una tua eventuale risposta. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

davintro

Citazione di: Jacopus il 04 Luglio 2019, 08:20:05 AMCartesio é stato superato dagli studi neuroscientifici in modo definitivo. Resta un grande testimone della sua epoca. Pensare che le teorie di Cartesio siano ancora valide é una illusione astorica.


Le neuroscienze poggiano sull'osservazione sensibile, dunque il loro ambito di validità è delimitato alla tipologia di realtà adeguato a tale osservazione sensibile, vale a dire la materialità delle cose che divengono oggetto dei sensi nel momento in cui entrano in contatto con i campi sensoriali del corpo appartenente al soggetto che ne fa esperienza. Se una realtà spirituale, come per Cartesio sarebbe il cogito, per definizione non è osservabile sensibilmente (altrimenti non sarebbe spirituale), allora la questione della sua esistenza e l'analisi della sua natura non può essere vincolata ai risultati di quei saperi che invece si rivolgono alla realtà sensibile e materiale, perché il loro ambito di validità non riguarderebbe per definizione quello a cui la questione si riferisce. Il che ovviamente non vuol dire che Cartesio non possa essere contestato, ma che, nella misura in cui ragiona da filosofo, cioè deduttivamente e speculativamente, non può che essere contestato che filosoficamente, e non empiricamente, cioè lo si può contestare considerando eventuali incoerenze nella sua metodologia, ma senza utilizzarne un'altra, adeguata a un piano di questioni diverso da quello su cui lui ha pensato. Se il metodo cartesiano poggia sulla potenziale illusorietà dei sensi, e l'emersione del cogito è il residuo di certezza messo in evidenza dopo il setaccio operato dalla radicalizzazione del dubbio, allora qualunque tipo di scienza naturale, comprese le neuroscienze, poggiante, anche parzialmente, sui sensi, non possono cogliere il cogito nell'accezione in cui la intende Cartesio, come ciò che resta una volta messo in discussione tutta la componente empirica dell'uomo.


Per quanto riguarda l'idea del cogito come essenza dell'uomo, la mia perplessità consiste nell'impressione di una certa sovrapposizione dell'aspetto metodologico-euristico rispetto a quello propriamente ontologico in Cartesio. Cioè un passaggio troppo diretto dall'assunzione dell'Io-penso come dato indubitabile del sapere alla sua considerazione come tratto sufficiente a definire l'essere dell'uomo, la sua essenza, appunto. In realtà, riconoscere il cogito come residuo indubitabile delle nostre esperienze consente di porlo come necessario punto di partenza di un metodo di conoscenza che voglia essere massimamente razionale, da applicare però a una gamma di fenomeni di cui fanno parte anche le esperienze sensibili. Ma porlo come fondamento metodologico non implica necessariamente porlo anche come fondamento ontologico, nel momento in cui il metodo di ricerca che fonda comprende tra i suoi oggetti di applicazione anche la realtà materiale. Fintanto che si considera il cogito come fondamento dell'umano, ancora non si riconoscerebbe la distinzione dell'umano da realtà puramente spirituali come Dio, che condividerebbero con esso l'essere pensanti, ma se ne differenzierebbero dal loro essere privi di materia. Se l'essenza è ciò che fonda necessariamente l'essere dell'uomo, distinto sia dal resto della natura che da Dio, allora limitare la sua essenza al cogito ne garantirebbe la peculiarità nei confronti della prima, ma non del secondo, in pratica l'uomo sarebbe una sorta di Dio, che solo per una volontà del tutto accidentale decide di incarnarsi, assumendo la sua materialità come componente inessenziale, non davvero parte integrante di esso, dato che l'essenza starebbe nel suo cogito. Perché l'essenza contraddistingua l'uomo nell'unità del suo essere, sia in ciò che lo assimila al puro spirito, sia in ciò che lo assimila alla materia, deve consistere in un principio che connetta entrambe le dimensioni. Ecco perché trovo più convincente la soluzione aristotelica di identificare l'essenza dell'uomo con l'anima razionale, anima che a differenza del cogito cartesiano deve la sua attualità alla necessità di legarsi, in quanto forma, con la materia corporea, di modo che l'essenza esprima dell'uomo la sua condizione di finitezza ontologica, cioè il non essere Atto puro, spirito puro, ma sintesi attualità e passività, comprendendo anche la componente materiale nella sua struttura necessaria, distinguendolo da una sorta di cogito divino solo accidentalmente incastrato nel corpo, cogito, che nell'accezione cartesiana,  cioè non essendo "forma" necessitante di una materia su cui applicarsi, resterebbe insufficiente a fondare l'essere dell'uomo nella sua completezza. Dunque è possibile accettare da Cartesio la sua metodologia, anche prendendo le distanze dalle conclusioni ontologiche

Ipazia

Io le conclusioni ontologiche le lascerei alle psicoscienze. Anche perchè ontologicamente non si può escludere l'attività cogitante di altre specie senzienti. La consapevolezza cogitante della propria individualità e del mondo circostante (res extensa) non è certo esclusiva dell'umano. Dell'umano è peculiare (essenza) un certo modo di cogitare, tendente all'astrazione, catagolazione, quantificazione, misurazione, speculazione analitica e sintetica. Quindi non il cogito in sè, ma il cogito sub specie umana, che è quello di cui Cartesio può parlare con cognizione di causa e che le psicoscienze indagano.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

#7
La rivoluzione cartesiana che apre alla modernità è il movimento gnoseologico che si origina da un IO e che differenzierà quindi le stesse ontologie antiche. Non è affatto superato dalle scienze, per quanto scritto già da Davintro, il metodo che poggia la verità sul sensibile epistemologicamente studia il fenomeno sull'effetto, ma non come interezza fenomenologica che lo esprimeranno tutte le filosofie dopo il razionalismo cartesiano, con l'empirismo psicologico e mettendo in dubbio la causazione, con l'IO sono,IO penso  di Kant, con la dialettica fra il concreto e l'astratto, che poi sarebbero il cogitans e l'extensa, di Hegel, con la fenomenologia di Husserl dove il fenomeno inizia dall'intenzionalità soggettiva. La scienza è altro dalla filosofia, ma proprio per l'approccio diverso metodologico di accertamento della verità.

Il cosiddetto mentale diverso rispetto al cervello fisico, tutt'oggi pone le diverse interpretazioni
dei filosofi della mente, che contiene neurocienze e cognitivismo, fra i due antipodi: fisicalismo e metafisca.

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