citazionismo intimidatorio

Aperto da davintro, 13 Aprile 2020, 20:58:06 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

davintro

]ieri notte vedevo il bellissimo film di Rossellini su Socrate. Ho provato una grande ammirazione verso quelle modalità di impostazione del dialogo filosofico, quando l'unica cosa che contava nelle dispute filosofiche era l'argomentazione logica, la capacità di cogliere la contraddizione nei discorsi altrui, la coerenza interna dei propri, anziché riempire i discorsi di citazioni, di princìpi di autorità per intimorire l'interlocutore, senza argomentare sul perché le posizioni citate sarebbero vere, quando ancora quello contava era COSA si diceva, COME si diceva, anziché CHI lo diceva. Filosofare come ragionare con la propria testa invece che delegare alla storia e alle opinioni altrui il fondamento delle proprie pretese di verità. Certamente il fatto di situarsi nelle prime fasi storiche della storia della filosofia consentiva ai greci di percepirsi pionieri e liberi pensatori molto più dei pensatori della nostra epoca, perché meno gravati dal peso di una tradizione storica che ci influenza presentandosi come principio di autorità. Peso che se da una parte costituisce una ricchezza, un patrimonio di stimoli per poter pensare, dall'altro finisce con il divenire arma di chi usa il citazionismo, l'erudizione, la conoscenza dei filosofi del passato come strumento di convalida delle loro tesi e dileggio verso quelle degli altri, accusati di ignoranza, anziché utilizzare la logica e l'intuizione delle "cose stesse". Se si vuole, questo è un topic, in parte, di sfogo, considerando quanto ho sempre sofferto il sentirmi nella vita in modo più o meno esplicito accusato di non tener conto di tanti autori, proprio perché, riallacciandomi, a modo mio, a questa impostazione maieutica, basata sulla logica deduttiva e sul vedere gli autori del passato come stimoli, ma non come oggetto primario del mio interesse filosofico, ritengo che i richiami storici agli autori debbano aver un peso e un'utilità di livello ben diverso, se si parla di contesti di discussione di filosofia teoretica, discussioni riguardo le proprie personali tesi, oppure di discussione filologica, in cui l'obiettivo non è la formazione di un proprio pensiero, ma l'analisi delle tesi altrui

viator

Salve davintro. Perfetto. Proprio come """"sono costretto"""" a pensare io a causa della mia profonda ignoranza, la quale mi ha sempre impedito di accedere alle conoscenze, dottrine, saggezze, tradizioni altrui, perciò a rinunciare a "come detto da.......", "come scritto in ......", "come insegna la storia ........."......................., in sostanza, costringendomi ad arrangiarmi con argomentazioni caserecce.---------------------------------------------------------------------
Per fortuna la filosofia - per quelli come me e te - un vantaggio di sicuro ce l'ha : è la meno nozionistica delle materie e può venir coltivata - credimi, a livelli anche alti (benchè fuori dai circuiti istituzionali) - anche dagli analfabeti.------------------------------------------------------
Infatti l'intelligenza delle persone non si misura dal numero dei testi letti, degli autori citati, dei titoli conseguiti o delle espressioni "oscure" o "specialistiche" che vengono usate, ma solo dalla comprensibilità e dalla chiarezza di quanto si dice o si scrive agli altri. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

L'argumentum ab auctoritate l'abbiamo superato grazie a Dio quando abbiamo scoperto che non c'è o, quantomeno, che le cose a lui attribuite erano state scritte da umani e non da dei. Altra questione è che in qualsiasi disciplina da nulla non nasce nulla. Mozart era un genio, ma bisogna dare pure a Leopold quello che gli compete. Il rischio grosso del dilettantismo è di inventare cose già dette da altri. E quello ancora maggiore è che quelle cose siano già state confutate da altri con argomenti definitivi. Quindi penso che anche in filosofia una buona conoscenza dei giganti sulle cui spalle accomodarci (cit) sia una posizione che rende più gradevole il discorso e più proficui gli esiti. Del resto anche Socrate-Platone nei dialoghi invitava i suoi interlocutori a confrontarsi con i maestri della filosofia del suo tempo, non solo a filosofare a ruota libera. E non era nemmeno così possibilista da considerare tutte le esternazioni filosofiche allo stesso livello.

Ovviamente nessuno, esclusi i grandi specialisti, conosce a fondo tutta la storia del pensiero filosofico, ma allora, una citazione intimidatoria, diventa occasione per testare chi la fa sul suo campo, colmando qualche nostra lacuna (a partire da WP a oltre), e col tempo anche distinguendo all'istante la citazione organica al ragionamento rispetto a quella che ha solo un carattere compensatorio delle inadeguatezze del tuo interlocutore. Un carattere bullisticamente intimidatorio.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Non credo che le due cose si contrappongano. Pensare liberamente, usando criticamente ciò che hanno pensato gli altri sullo stesso argomento dovrebbe essere la strada. Pensare liberamente e basta di solito fa rischiare di dire banalità oppure cose già dette o già confutate. Ovviamente qui non siamo in un luogo di specialisti e pertanto va bene anche che vi siano non specialisti, che hanno voglia di parlare filosoficamente, ci mancherebbe. Però il problema del nostro tempo è proprio credere che la spontaneità, l'acume, la passione possano sostituire lo studio e la lettura dei libri su un argomento. C'è un simpatico paradosso, che si chiama Dunning-Kruger, che ipotizza come chi sappia di più si sente più in dubbio su molte questioni, mentre chi sa di meno è sicuro di quel poco che sa.
Fare l'elenco erudito di quello che si è letto è l'altro aspetto negativo, se serve solo per saccenteria. Però se si vuole dimostrare qualcosa, qualsiasi cosa in filosofia, come in qualsiasi altro ramo del sapere, non vedo quale altro strumento se non quello di citare le fonti e cercare di illustrare il pensiero su quell'argomento. C'è davvero un bias che andrebbe studiato approfonditamente: l'erudizione e lo studio visti come qualcosa di negativo, che fonda un'autorità che invece andrebbe lasciata alla libertà di pensare delle persone.
C'è evidentemente un equivoco di fondo. Infatti se esclamo "ipse dixit" è ovvio che mi rifaccio ad un principio di autorità odioso e stupido, ma se cito le fonti e i riferimenti di quello che dico sono invece rispettoso dei miei interlocutori che possono verificare quello che sto dicendo e magari oppormi o le loro deduzioni logiche, fondate sui loro ragionamenti, oppure quello che altri hanno detto sullo stesso argomento, confutandomi in modo molto più stringente, come ad esempio ha fatto Baylham, nel post su Darwin.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#4
Ma ci sono in filosofia cose che sono state definitivamente confutate , restando nell'ambito filosofico ?
Non ne conosco esempio, anche se ciò non è significativo , vista la mia vasta ignoranza.
Ci sono filosofie più o meno attuali , ma non più o meno vere , in genere.
Se consideriamo l'opera intera di un filosofo troveremo sicuramente falle , che al minimo saranno autocontraddizioni o errori logici.
Ma se prendiamo un singolo semplice argomento , possiamo contrapporci , ma non confutarlo. Non credo , a meno di non uscire fuori dall'ambito. Confutarlo ad esempio con una teoria scientifica , come mi pare si possa fare con Aristotele , ad esempio.
Comunque anche chi come me raramente fa' citazioni ,per mancanza di basi , non perciò espone  argomenti che nascono dal nulla, anche non sa' descriverne la genesi.
Diciamo che certi autori sono ancora attuali , e anche se non li conosci li respiri nell'aria.
In un modo o nell'altro i pensieri non nascono dal nulla.
Si può confutare la fisica di Aristotele .
Ma come si fa' a confutare l'etica etc... o no?
Mi avete messo un nel dubbio!
Comunque questo è un forum dove sembra davvero ci sia posto per diversi approcci , ognuno dei quali ha il suo senso , e tutti riescono a convivere.
Non ci avrei giurato .
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

davintro

#5

per Ipazia


"inventare (anche se in filosofia/scienza sarebbe più opportuno parlare di "scoprire") cose già dette da altri" sarebbe un problema solo assumendo l'originalità come parametro di valutazione per la qualità di un pensiero. Se da un lato ciò può avere un suo senso in quanto una scoperta innovativa è sempre un contributo che arricchisce qualitativamente il livello culturale di una società, dall'altro, per quanto riguarda il rafforzare le pretese veritative di un discorso, che questo sia o meno "originale" non dice nulla in proposito, non da alcuna garanzia di aumento delle probabilità che il discorso sia vero. La ricerca forzata dell'originalità finisce con l'essere l'altra faccia della medaglia del principio di autorità: in entrambi i casi l'opinione altrui diventa determinante per legittimar le proprie. Se in un caso la si assume in senso positivo di conformazione, e in un altro, negativamente, per distaccarsene per il gusto di essere bastian contrario, siamo sempre di fronte alla deposizione di un reale autonomo senso critico.




Per Jacopus


Quando parlo di "libero pensiero" o di "pensare con la propria testa", non intendo affatto un pensiero arbitrario o privo di regole, bensì vincolato a dei parametri di oggettività come l'intuizione, tramite cui apprendiamo il contenuto che ci interessa trattare, e la logica tramite cui il contenuto viene rielaborato, analizzato, per rilevarne le contraddizioni o la coerenza del filo logico. La citazione delle fonti è certamente un parametro per quanto riguarda l'obiettivo, filologico, di dimostrare la comprensione del pensiero altrui, che però è un'obiettivo ben distinto da quello, strettamente teoretico di ricercare la realtà delle cose in sé, che è altro rispetto il portato della storia delle opinioni su di esse. Non ha alcun senso pensare che la citazione delle fonti abbia lo stesso peso riguardo questi due diversi obiettivi, dimostrare di aver compreso il pensiero di un autore non vuol dire dimostrare di aver fatto luce sulla verità oggettiva, quando Socrate di fronte ai giudici dice che se avesse insegnato ai giovani a essere malvagi, considerato che i malvagi arrecano danni a chi è loro vicino, sarebbe andato contro i suoi stessi interessi, insegnano la malvagità a persone a lui vicine, non sta facendo alcun richiamo a Democrito o Anassagora, sta portando un argomento di pura logica, efficace a far luce, non sul pensiero altrui sulla realtà, ma sulla realtà in se stessa, nello specifico la realtà della sua innocenza, che non corrisponde certo necessariamente all'insieme delle diverse opinioni. E non ha nemmeno senso parlare di "dilettantismo", dato che l'approccio socratico può essere visto come più o meno esperto o dilettantistico esattamente come esperto o dilettantistico può essere il riferimento alla storia. Non sono due approcci da intendere come uno più o meno avanzato dell'altro, ma validi in relazione ai differenti contesti entro i quali hanno la loro ragion d'essere. Se fosse la conoscenza dei pensieri altrui la chiave fondamentale per accedere alla comprensione del reale, dovremmo intendere quest'ultimo come l'insieme dei contenuti dei molteplici punti di vista parziali, ma se così fosse, allora non si spiegherebbe come alcuni punti di vista siano antitetici tra loro, dato che in questo caso dovrebbero invece essere tutti più o meno veri e complementari tra loro, cosa che non è. Il che non vuol dire che lo studio dei pensatori del passato, non sia anche per il teoreta, e non solo per lo storico, un mezzo utilissimo (avrei più dubbi per parlare di "indispensabile"), ma lo è come spunto, stimolo che porta lo studioso a focalizzare l'attenzione e la riflessione su delle verità che in fondo erano in qualche modo già giacenti nella sua coscienza, senza che ce ne si rendesse pienamente conto. Lo stimolo dello studio non crea la verità, ma aiuta a esplicitarla, a portarla alla luce, per questo ritengo la maieutica, che non consiste nell'aggiungere, ma nel togliere i veli, l'approccio per eccellenza filosofico, e Socrate un fenomenologo antelitteram



A scanso di equivoci, e nel caso qualcuno possa vedermi come incoerente, non sto contestando il citazionismo in generale, nella vita, e anche in questo forum spesso cito autori e correnti, anche ora, sto citando Socrate, e probabilmente continuerò a farlo, ma personalmente non ho mai usato i riferimenti come degli argomenti che dovrebbero meglio garantire la verità delle mie opinioni, né tantomeno per intimorire gli interlocutori, anche considerando che, volendo, ognuno avrebbe questa possibilità nei miei confronti, molto più di quello che potrei fare io con loro. Quando cito è sempre nella misura in cui penso di poter rendere il mio pensiero più chiaro a chi legge, sintetizzandolo, associandolo a delle configurazioni storiche espresse da determinati autori che qualcuno potrebbe aver studiato e compreso molto meglio di come potrebbe comprendere il mio modo di esprimersi spesso tanto difettoso

InVerno

#6
E' la filosofia che scimmiotta la scienza[1], persino nella divulgazione, in maniera pur triste e ridicola, e onnipresente, vedo, nelle pubblicazioni odierne  che ogni tanto sfoglio in libreria (ma non compro!). Mettere una postilla che rimanda ad un paper scientifico o ad un fatto di cronaca serve in un certo tipo divulgazione e di metodo[2]. Il fatto che un altro filosofo (sempre morto, altrimenti ti manda una diffida per averlo citato a sproposito) dica questo o quell'altro non porta avanti la tua tesi di un millimetro, ma pare che la maggior parte degli scrittori moderni, persino quelli che nulla hanno a che fare con l'ambito accademico, credano il contrario, ovvero che facendo salti carpiati tra una citazione e l'altra di mettersi sulle spalle dei giganti, quando penso che la maggior parte dei giganti si lamenterebbe di avere questi citatori tra i coglioni, anzichè sulle spalle[3]. Ho visto libri dove il pensiero dell'autore era una sorta di ascella del pensiero, dove partendo dalla spalla del gigante  il braccio dell'autore fà un piccolo gesto di conferma e poi salta alla prossima citazione, per pagine e pagine. Perchè dovrei leggere il libro di una persona che non sa nemmeno sostenere le proprie idee senza chiamare la clack del suo patetico blocconote di citazioni che ha messo da parte negli anni? E' bullismo del pensiero, dove i bulli si sa, vanno in giro sempre in gruppo e se la prendono con i più indifesi, con l'aggravante che in questo caso il bullo è l'autore, che si porta in giro un carro di cadaveri e si adopera in necromanzia e resuscitazioni. [4]

[1] Carlo Collodi, Pinocchio.
[2] Alessandro del Piero, Detto tra noi.
[3] Franco Trentalance, Seduzione Magnetica
[4] Carlo Calenda, Orizzonti selvaggi.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

cvc

Buongiorno. Io considerei anche l'interprerazione della filosofia antica fatta ad esempio da Pierre Hadot (tanto per rimanere nelle citazioni) per cui tale filosofia era radicata nella tradizione dell'oralità, Socrate non scrisse nulla, Platone scrisse e soprattutto fece scrivere parecchio. La complessità del suo pensiero del resto era difficile potesse rimanere nella sfera della divulgazione orale. Comunque è bene rimarcare le differenze anche, per così dire tecniche, fra la cultura basata sull'oralità e quella basata sulla scrittura. Anche se non si può fare con due parole, meriterebbe trattazione a parte.
Ho visto il film di Rossellini anni fa, e anche se non ne ho un fresco ricordo, capisco che possa aver avuto questa impressione su Davintro.
Comunque nei dialoghi platonici Socrate pare non disdegni le citazioni. Ad esempio nell'Apologia mi pare citi Anassagora.


Saluti.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Ipazia

Citazione di: iano il 14 Aprile 2020, 02:39:02 AM
Ma ci sono in filosofia cose che sono state definitivamente confutate , restando nell'ambito filosofico ?

Se la filosofia ha delle pretese epistemiche, queste non possono che procedere per argomentazioni. Le argomentazioni possono essere confutate e in particolare possono essere state confutate fin dalla notte dei tempi filosofici da chi ne ha colto le contraddizioni e fallacie. La filosofia non è il territorio delle convinzioni personali che attengono piuttosto alla fede e alla doxa, non sindacabili, ma è il luogo del corretto ragionare che può riguardare anche l'oggetto di fede, l'argomentazione sulla quale è sempre criticabile quando la si voglia tradurre in discorso filosofico.

Il campo etico pone per sua natura domande "aperte", estremamente sensibili alle variazioni storico-ambientali pur nella permanenza dei fondamenti che girano costantemente intorno all'essere (umano) e al suo senso. Ma anche in questo campo, proprio per tale permanenza, l'accesso conoscitivo al già detto si rivela particolarmente fecondo.

@davintro

Nulla osta che uno possa essere gratificato da un pensiero che per lui ha il carattere dell'originalità e lo metta a disposizione di tutti. Ma ancora più gratificante è trovare un abitante della storia della filosofia che ne ha avuto uno uguale e confrontarsi con lo sviluppo che questo emerito signore ha dato alla comune riflessione "originale". Ancora più stimolante è confrontarsi con le critiche che quel, chiamiamolo postulato filosofico, ha subito da altri pensatori e cercare di controbatterle alla luce di aporie riscontrabili nella confutazione e/o nuovi elementi che la possono invalidare. Se tale operazione controdeduttiva non riesce è buonsenso intellettuale prendere atto che quelle confutazioni sono fondate e passare oltre. Una buona conoscenza "scolastica" della storia della filosofia favorisce tale processo dialogico e permette di ampliarlo a molti più interlocutori, che non un atteggiamento naive alla materia.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve. L'osservazione circa il rischio - per il novizio filosofante - di affermare il già detto non la trovo corretta, nel senso che il trovarsi ad ipotizzare od affermare l'ovvio, il convenzionale od il ritrito non è un RISCHIO bensì una FATALE CERTEZZA.
D'altra parte la condizione attuale della ALTA FILOSOFIA mi sembra proprio che rifletta anch'essa il quanto sopra, perciò OVUNQUE E COMUNQUE VALE IL DETTO "MAI NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE". --------------------------------------------------


Il problema quindi non è la scoperta del nuovo e neppure l'impossibile approfondimento del noto (il quale, analizzato, deve prima o poi arrendersi all'inesplicabile), bensi l'originalità dell'interpretazione.
Proprio perchè - a differenza della scienza - la filosofia non è metodo in sè, essa lascia libero il suo produttore di cercare ed augurabilmente trovare nuovi vestiti (il più possibile lucenti ed eleganti) che attraggano il lettore verso nuove visioni del noto. ---------------


La filosofia secondo me non è altro che la romantica della ragione. Poi  ci saranno i romanzieri di mestiere, quelli seriali, gli esordienti, gli incapaci. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Phil

«Citazionismo intimidatorio» mi sembra rimandare ad un duplice aspetto: metodologico e psicologico.
Sullo psicologico, come già osservato da altri, è ragionevole constatare come non ci sia più motivo di farsi "intimidire" dall'uso altrui delle citazioni: una citazione non dimostra nulla, anzi spesso sintetizza in modo ambiguo e indebito (alcune pseudo-citazioni non hanno nemmeno riscontro testuale, ma si sono ormai affermate vox populi come post-verità), e se viene ostentata come cultura è solo un vezzo barocco del discorso (una volta il piccolo borghese si toglieva il cappello di fronte ad una dotta citazione latina, senza nemmeno capirne il senso, riverendo "doverosamente" la cultura di chi aveva "fatto gli studi alti"; oggi più che il latino si riverisce l'inglese, e in entrambi i casi l'ossequio viene spesso sostituito da una più fertile e demistificante ricerca su google, con annessi pro e contro).
Parafrasando e non citando, come suggerisce un principio della "fisica filologica", «ad ogni citazione corrisponde una controcitazione uguale e contraria»; per cui, in filosofia (soprattutto se teoretica), il citare un autore o una teoria in sé non ha valore probante, perché l'interlocutore potrebbe rispondere citando un autore di impostazione opposta, e più che un dialogo si avrebbe un gioco con "le figurine dei filosofi" (o "il festival del copia e incolla", per dirla in modo meno retrò). Forse nei social il primo che esaurisce le controcitazioni viene eliminato dal quiz, ma a quel punto siamo già ben lontani dalla filosofia, ormai affaccendati fra gli scaffali della filologia (con tutto un altro "filo" a guidarci).
Sul piano metodologico, la citazione, proprio come l'uso del linguaggio specifico, secondo me è solo un "link", un collegamento extra/iper-testuale: rimanda sinteticamente a ciò che non si vuole spiegare in dettaglio, perché già spiegato meglio altrove da altri. Non è dunque il link in sé ad avere un senso chiaro ed utile al discorso, ma è ciò a cui esso rimanda. Se l'interlocutore non segue tale rimando, ma si focalizza superficialmente sul link, sull'aforisma da Bacio Perugina, ricadiamo nella storia del dito e della luna (e anche questa è una citazione, e a sua volta è un dito che rimanda ad una luna...). Detto altrimenti: se si considera la citazione fuori dal (con)testo di cui è parte, si rischia di storpiarne il senso e quindi non renderla una citazione ma, come scrivo spesso, un "rorschach": ognuno ci vede ciò che vuole/può vedere (macchiandosi di un duplice omicidio ai danni di ermeneutica e filologia).
Se invece la citazione, sia essa di un paragrafo, di un autore o una corrente di pensiero, innesca il collegamento con la comprensione di tale paragrafo, autore, etc. allora se ne ricava un plus-valore filosofico, da capitalizzare come argomentazione, confutazione, corollario, etc. sempre augurandosi che la citazione sia davvero pertinente al discorso in atto (precisazione da non dare per scontata).

Certamente è possibile riflettere senza citare e senza conoscere chi è giunto a conclusioni simili o opposte; tuttavia, se si parla ad esempio della percezione del tempo, e osservo l'apparente paradosso per cui il tempo a volte mi sembra accelerare o rallentare, pur sapendo che la sua misurazione ufficiale è costante, se il mio interlocutore mi indirizza verso Bergson, citandomi i suoi concetti di «tempo della scienza» e «tempo della vita», è per me preferibile (e utile spunto di approfondimento) rispetto al suo assecondarmi ed attendere pazientemente finché arrivo magari alle medesime conclusioni di Bergson o, peggio, che egli mi risponda spiegandomi la teoria di Bergson senza citarlo, facendomi credere che sia frutto improvvisato del nostro discorso (impedendomi di avere un riferimento bibliografico da sfruttare). Ancor più utile e stimolante risulta la citazione se sia io che il mio interlocutore stiamo discutendo della questione senza conoscere Bergson e arriva qualcuno che ce ne parla, "allargando i nostri orizzonti" come si suol dire.

Capita infatti di assistere a conversazioni in cui gli interlocutori, pur sinceramente animati dalle migliori intenzioni, si impegnano nel dibattito e nell'argomentazione convinti di "fare filosofia", di disboscare falsità ed erronee prospettive, senza bisogno di documentarsi in merito (che è come andare ad abbattere alberi con il coltellino svizzero), mentre stanno a malapena raschiando la corteccia di una sequoia. Non credo sia un buon esempio pensare ai filosofi di duemila anni fa, che pure si citavano a vicenda (come già ricordato da altri), o quella dei guru che abitano spogli nella foresta (anziché disboscarla): la filosofia è oggi una disciplina con una sua storia tanto ricca quanto eterogenea, per cui pensare che per fare filosofia basti riflettere coerentemente, significa confondere un'attività della mente individuale (riflettere) con il praticare una disciplina altamente storicizzata (la filosofia); non è questione di accademia o peer-review, ma di saper almeno distinguere le case fatte con le Lego da quelle fatte con il cemento. E non sono certo le citazioni a cementificare le seconde: avere strumenti filosofici nella propria cassetta degli attrezzi, siano essi concetti, metodi, spunti, classificazioni, metafore, parole-chiave e persino citazioni-link, etc. non può che giovare all'attività filosofica, se essa non si riduce solo al citare tali strumenti, ma, appunto, ad utilizzarli.
Prima di citare come contro-esempio i filosofi "nati" fuori dagli studi filosofici, chiunque abbia letto un po' di filosofia potrebbe chiedersi se si sia mai accorto quanto sarebbe presuntuoso, leggendo un passo di un libro filosofico, affermare «in fondo, se non lo avessi appena letto, ci sarei di certo arrivato da solo, riflettendoci un po' sopra e dialogando socraticamente con il mio dirimpettaio...». Se poi dalla teoresi si passa ad ambiti che flirtano con le scienze sociali o le scienze empiriche, tale presunzione sconfina nella inconsapevolezza cognitiva (a scanso di equivoci, non mi sto riferendo affatto a davintro: il suo richiamo alla maieutica mi vede concorde, anche se credo vada comunque storicizzata: per me attutire le voci dei giganti, glissando su possibili citazioni e richiami, per far gravitare il dialogo filosofico soprattutto sul dualismo io/altro, teoresi-mia/teoresi-tua, sarebbe un peccato; più o meno veniale a seconda del contesto della conversazione, ad esempio qui sul forum non sarebbe forse nemmeno un peccato...).
Secondo me, più che lasciarsi "intimorire" da una citazione filosofica, c'è motivo di essere intimoriti dall'universo di senso a cui essa rimanda, dai mille link che si diramano da quel (dono del) link di partenza.

iano

#11
Ci sarebbe di che citarvi un po' tutti.
Nel senso buono .  ;D
Ma in particolare Viator.
Una nuda ragione non è un bello spettacolo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Citazione di: iano il 15 Aprile 2020, 01:08:54 AM
Ci sarebbe di che citarvi un po' tutti.

Ed è quello che consapevolmente o inconsapevolmente si fa sempre. Tutti i nostri discorsi sono citazioni di ciò che abbiamo appreso e spesso non è impostura non citare la fonte, ma è che essa è diventata parte di noi troncando il cordone ombelicale con le antiche origini. Questa è tanto più vero per le esternazioni relative ai grandi fondamenti ideologici del pensiero: idealismo, materialismo, teismo, ateismo, naturalismo, misticismo,...

Avere una visione ampia della storia del pensiero rende consapevoli di questi debiti rimossi e restituisce al pensiero la sua legittimità plurale che ci libera da quella ossessione che è lo stallo autocitativo, la pietra d'inciampo in cui siamo noi per primi ad inciampare con una coazione a ripetere degna di miglior causa.

Sposo con piacere pertanto questa posizione:

Citazione di: Phil il 14 Aprile 2020, 21:36:00 PM
Secondo me, più che lasciarsi "intimorire" da una citazione filosofica, c'è motivo di essere intimoriti dall'universo di senso a cui essa rimanda, dai mille link che si diramano da quel (dono del) link di partenza.

... avvisando l'improvvido citatore intimidatorio che la la "fisica filologica" assume sovente il carattere del boomerang. O del volo verso territori filosofici per lui assai perigliosi. Mi pare comunque che in questo forum la citazione abbia un carattere di apertura del discorso, piuttosto che di intimidazione. Apertura che può implicare un sforzo per chi la subisce, ma anche uno stimolo ad allargare la propria visione e conoscenza del mondo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

davintro


concordo sull'utilità delle citazioni come strumento di formazione di occasioni entro cui approfondire determinati temi, anche se resto dell'idea che la conoscenza degli autori del passato non si dia mai come creazione ex nihilo di contenuti all'interno di una coscienza in cui essi non fossero già in alcun modo presenti, come se la coscienza fosse una tabula rasa, ma piuttosto come stimolo che "risveglia" il soggetto, portandolo a rendersi conto di pensieri latenti già precedentemente in lui, su cui non ci si è mai riflettuto, perché l'abitudine porta a orientare l'interesse mentale verso mete più urgenti pragmaticamente. Negando questo livello di latenza, troverei inspiegabile la possibilità di una ricezione attiva, critica, e non passiva dei contenuti di studio appresi dall'esterno. Se leggo un'opera di un autore e riesco, non solo a comprendere il significato di ciò che leggo, ma anche a formarmi un'opinione di condivisione o meno sui contenuti, è proprio perché opero sempre, più o meno inconsapevolmente, un raffronto tra il contenuto esterno e un'idea di verità preesistente e personale, che diventa la pietra di paragone in relazione a cui valutare la distanza del contenuto esterno, il modello regolativo che ogni giudizio teoretico presuppone. Ecco perché non ha alcun senso considerare la quantità di fonti a sostegno di una tesi come autentico criterio di convalida, il criterio di convalida non è quantitativo, ma qualitativo e consiste nell'intuizione, logicamente rielaborata della realtà in se stessa, che ciascuno di noi ha, più o meno chiara, presente nella nostra esperienza diretta delle cose.


Sempre a scanso di equivoci, le motivazioni intimidatorie delle citazioni non le riferivo assolutamente a nessun utente di questo forum, ma a situazioni esterne, sempre gravide di rammarico personale, perché vanno a colpire le insicurezze che si hanno verso la nostra preparazione. In questo ambiente ho sempre riscontrato, al di là dei frequenti e anche molto netti dissensi contenutistici, correttezza intellettuale da parte di tutti, e concorderei con Ipazia sull'idea che le citazioni qua utilizzate siano sempre all'insegna dello stimolo alla reciproca apertura culturale e serena condivisione, senza alcun intento di far sentire qualcuno impreparato (magari questa cosa era scontata da dire, ma per scrupolo preferisco evitare che sorga il minimo sospetto riguardo le mie intenzioni riguardo i pensieri espressi in questa discussione)

paul11

 I dialoghi socratici sono la migliore propedeutica per chi si accinge alla  filosofia.
Adatto che dubito fortemente che si studino tutti, perché sono numerosi, persino nelle sedi universitarie, preferendo vacue circonlocuzioni moderniste piene di rimandi di altri autori, ovvero citazionismo per darsi autorevolezza mancando di originalità.
Il dialogo socratico/platonico presuppone dei personaggi spesso gli interlocutori e una tematica scelta, simile quindi a ciò che avviene in questo forum.
La dialettica è dato dal confronto su opinioni diverse.
I temi seguiti , ne elenco quasi tutti,nei dialoghi sono:
Critone- sul dovere
Cratilo-sulla correttezza dei nomi
Teeteto-sulla scienza
Sofista-sull'essere
Politico-sull'arte di governare
Parmenide-sulle idee, logico
Filebo-sul piacere
Simposio-sull'amore
Fedro-sulla bellezza
Alcibiade maggiore-sulla natura dell'uomo
Alcibiade minore-sulla preghiera
Ipparco-sull'avidità del guadagno
Gli amanti-sulla filosofia
Teagete-sulla filosofia
Carmide-sulla temperanza
Lachete-sul coraggio
Liside-sull'amicizia
Eutidemo-sull'eristica
Protagora-sui sofisti
Gorgia-sulla retorica
Menone-sulla virtù
Ippia maggiore-sul bello
Ippia minore-sulla falsità
Ione-sull'Iliade
Menesseno- l'epitaffio
Clitofonte-protrettico (esortazione allo studio filosofico)


Sono forse argomenti "fuori moda"? Sono forse argomenti che l'uomo di ogni epoca non indaga?
Socrate rappresenta un semplice umano che umilmente indaga per ogni argomento di ogni dialogo.
Cosa ormai persa ,in un modo di parecchi autori moderni e contemporanei che utilizzano ancora i metodi retorici sofistici, con ragionamenti circolari che tendono ad eludere il confronto, pronunciando sentenze invece di indagare. Già, è proprio l'indagine che insegna Socrate, la premessa del filosofo che si pone domande fondamentali sull'uomo, sui rapporti umani, sul mondo, sui modi di essere e di fare. E' il metodo che è fondamentale, l'amare il dialogo e il confronto, per poter giungere ad una definizione del'argomento di volta in volta scelto.
Le citazioni ci sono, e sono utilizzate spesso quando il dialogo si blocca non riuscendo ad avanzare nella tematica.Il ricorso ad altrui conoscenze,le citazioni, possono essere di carattere rafforzativo sulla propria o altrui opinione; contraddittorio per poter mutare il proprio o altrui  punto di vista riflettendo la citazione di un altro autore.
La citazione fine a se stessa nei dialoghi dialettici socratici, che non dimenticherei ha l'arte maieutica, non viene mai utilizzata.