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Ci sono cose

Aperto da iano, 25 Febbraio 2018, 00:17:40 AM

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Angelo Cannata

Personalmente trovo che questo criterio serva solo a massificarsi, a seguire il gregge. A questo punto nascerebbe la domanda: che criteri usare allora per individuare il meglio a cui vale la pena di dedicarsi durante la vita? La mia personale risposta è: lavorarci. Il lavoro non garantisce in maniera assoluta che si trovi il meglio, ma è lo strumento che fino ad oggi si dimostra essere il più efficiente per questo scopo. Ci sono poi tanti modi di lavorare, ma anche questo può essere un lavoro che vale la pena di compiere: lavorare, tra l'altro, anche per individuare i modi più efficienti di lavorare, così come uno zappatore non provvede solo a zappare, ma prova anche a pensare a come migliorare la zappa o il modo di usarla, o cambiare completamente mentalità e usare un trattore, eccetera.
Il criterio del lavorare significa, tra l'altro, non dare mai per scontato di aver trovato la soluzione definitiva ad un problema, né porselo come scopo, ma piuttosto riservarsi sempre anche degli spazi per migliorare la ricerca, metterla in discussione, rivederla sin nelle sue fondamenta.

iano

Non ti seguo.Hai sbagliato a postare?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Angelo Cannata

Provo a collegare meglio il discorso.

Siccome hai parlato di "condiviso" e hai detto che ciò che credi esista è ciò che tutti credono, e anche che ti riterresti pazzo se credessi tu solo, allora ho considerato quest'atteggiamento come tendenza, che in realtà tutti abbiamo, ad intrupparci, a seguire il gregge, perché fare ciò che fanno tutti gli altri ci dà sicurezza, conforto, serenità, mentre, viceversa, andare controcorrente comporta il prezzo di sentirsi soli, pazzi, scollegati dalla società, cioè un sentimento che per molti è proprio insopportabile.

Su questo io preferisco reagire, perché personalmente ho un'idea molto negativa della massa, dell'omogeneizzare il proprio pensiero a ciò che tutti gli altri pensano. Perciò preferisco lottare per andare contro corrente.

Poi ho parlato di lavoro come criterio per individuare il meglio. Il criterio del lavorare si contrappone al criterio filosofico del trovare soluzioni definitive, oggettive, conclusive. Non si tratta qui di accusare di pigrizia, di non voler lavorare; si tratta di una mentalità che nega proprio il criterio dell'arrivare. In questo senso ho parlato di lavorare per indicare un'attività che non finisce mai, un lavorare per sempre, naturalmente non per il piacere di faticare, ma un lavorare come arte, come l'artista lavora in continuazione per creare arte e poi crearne altra ancora, sapendo che la sua arte non sarà mai la soluzione definitiva di alcun problema. Dunque intendere la filosofia come arte di un pensare non mirato a concludersi.

Ho parlato di ricerca del meglio perché, una volta che una filosofia dell'essere non ha consistenza, viene a nascere la domanda su cosa debba essere l'oggetto principale delle nostre ricerche, quindi cos'è il meglio da perseguire nel momento in cui proviamo a riflettere: su che cosa è meglio riflettere?

Eutidemo

Citazione di: Angelo Cannata il 26 Febbraio 2018, 01:43:46 AM
Personalmente trovo che questo criterio serva solo a massificarsi, a seguire il gregge. A questo punto nascerebbe la domanda: che criteri usare allora per individuare il meglio a cui vale la pena di dedicarsi durante la vita? La mia personale risposta è: lavorarci. Il lavoro non garantisce in maniera assoluta che si trovi il meglio, ma è lo strumento che fino ad oggi si dimostra essere il più efficiente per questo scopo. Ci sono poi tanti modi di lavorare, ma anche questo può essere un lavoro che vale la pena di compiere: lavorare, tra l'altro, anche per individuare i modi più efficienti di lavorare, così come uno zappatore non provvede solo a zappare, ma prova anche a pensare a come migliorare la zappa o il modo di usarla, o cambiare completamente mentalità e usare un trattore, eccetera.
Il criterio del lavorare significa, tra l'altro, non dare mai per scontato di aver trovato la soluzione definitiva ad un problema, né porselo come scopo, ma piuttosto riservarsi sempre anche degli spazi per migliorare la ricerca, metterla in discussione, rivederla sin nelle sue fondamenta.


Caro Cannata,
poichè questo tuo post richiama l'argomento di cui stavamo trattando nel "thread" "RELATIVISMO ASSOLUTO" (1), mi sono sentito in dovere di intervenire anche qui.
Sono perfettamente d'accordo con te, nel considerare deprecabile la tendenza (soprattuto per quanto concerne il "politically correct") ad intrupparci, a seguire il gregge; e, questo, solo perché fare ciò che fanno tutti gli altri ci dà sicurezza, conforto, serenità, mentre, viceversa, andare controcorrente comporta il prezzo di sentirsi soli, pazzi, scollegati dalla società, cioè un sentimento che per molti è proprio insopportabile.
Anche io detesto l'"omologazione" e non ho paura a lottare per andare contro corrente, però, sempre "a ragion veduta", e non semplicemente per distinguermi dalla massa; se la "massa" ha ragione, io gliela do volentieri, perchè fare il "bastian contrario" per partito preso mi sembra sciocco!
Per cui, per ricollegarmi al mio discorso dell'altro "thread" (1), se ormai da più di tre secoli la totalità degli scienziati ha accettato la dimostrazione fornita da Torricelli con il suo famoso esperimento sul "peso dell'aria", non vedo perchè dovrei esprimere una opinione soggettivamente contraria, solo per "distinguere" dagli altri la mia autonomia di pensiero; soprattutto se non ho alcun effettivo e valido argomento in contrario.
(1)
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/relativismo-assoluto/105/

Phil

"Ci sono cose" mi pare una frase piuttosto indubitabile, soprattutto grazie alla vaghezza della parola "cose": posso dubitare dell'affermazione "io esisto" (come direbbe Cartesio) ovvero "io ci sono", qualunque "cosa" io sia? 
Se così fosse, allora dovremmo considerare possibile il "io non esisto/non ci sono", che è palese non-senso: se non esisto, difficilmente posso pensare qualcosa, fosse anche di non esistere... 
Quindi c'è almeno una "cosa", che è ciò che sono (anzi, distinguendo ciò che sono dalla vocina che sento in testa ;D , siamo già in due, ma concediamoci di dubitare pure di questa dualità...).

A questo punto posso pensare di essere l'unica "cosa" che c'è? No, perché ci sarà almeno un'altra "cosa" che è tutto ciò che io non sono... fosse anche il vuoto cosmico in cui sono immerso sognante, oppure un capello che si stacca dal mio corpo, oppure l'aria che respiro, oppure un'altra dimensione in cui non sono nemmeno consapevole di essere, etc.

Comunque, almeno due cose ci sono: l'io e il non-io (intesi nel senso più indeterminato e "aperto" possibile); quindi, persino rispettando il solipsismo più fantasioso e radicale, direi di si, possiamo essere abbastanza certi che "ci sono cose" (il "quante", il "come" e il "cosa" siano, è poi un'altra storia...).

P.s.
La parola "cose" si presterebbe persino anche a considerazioni meno "ontologiche", ma meglio non fare troppo i sofisti  ;)

Angelo Cannata

Phil, discutere in questi termini significa dare per scontato che il verbo essere, o esistere, abbia un significato chiaro, mentre invece è proprio esso a non permettere alcuna chiarezza. Se sul verbo essere non abbiamo alcuna chiarezza, che senso ha riflettere su essere contrapposto a non essere, io sono contrapposto a io non sono?
Qualcuno in questo mondo sa spiegarmi cosa significa essere, esistere?

epicurus

Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 01:02:02 AM
Qualcuno in questo mondo sa spiegarmi cosa significa essere, esistere?
Provo ad abbozzare una risposta sintetica. "Esistere" significa appartenere al dominio di oggetti presenti in una data teoria (con margini di approssimazione) vera. Dove "teoria (con margini di approssimazione) vera" significa una teoria che racconta (con margini di approssimazione) come stanno le cose. E il come stanno le cose si può accertare in tutta una serie di modi. So questa spiegazione è parziale, ma discuterla oltre aprirebbe un buco nero offtopicoso che inghiottirebbe tutta la discussione.  ;D

epicurus

Citazione di: iano il 25 Febbraio 2018, 00:17:40 AM
cui non crediamo ,
cui crediamo ,
non essendo evidenti ;
cose per le quali la questione di credere o di non credere non sembra porsi , cose per noi evidenti.
Ognuno di noi può suddividere soggettivamente le cose del mondo entro queste due o tre categorie , e credo non ne occorrano altre.
Io adotterei un'altra catalogazione. Innanzitutto la sicurezza con cui noi crediamo qualcosa ha un valore variabile. Per semplificare: possiamo credere debolmente, mediamente e fortemente.

Quindi:
a. ci sono proposizioni che noi crediamo (debolmente, mediamente e fortemente)
b. ci sono proposizioni che noi non crediamo (cioè sulle quali non abbiamo un parere)

Poi, altra dimensione:
a. ci sono credenze che noi riteniamo evidenti
b. ci sono credenze che noi non riteniamo evidenti
c. ci sono credenze che sulle quali abbiamo dei dubbi se siano evidenti o meno

Citazione di: iano il 25 Febbraio 2018, 00:17:40 AMSe anche ci fosse una di queste tre categorie entro la quale tutti gli uomini mettessero le stesse cose , rimane il fatto che ciò deriva da un processo soggettivo di scelta.
Se questa categoria fosse quella delle cose evidenti , ad esempio , non potremmo dire dunque che si tratti di cose oggettive . O no?

Se per "cose oggettive" intendi, in questo contesto, "credenze vere" allora no. Ovviamente potrebbero comunque esserci credenze false. Tuttavia ritengo che, mettendo lo scetticismo radicale da parte, un tale insieme (di credenze forti condiviso da tutti) conterrebbe probabilmente molte verità (ipotizzando un mondo con uomini sufficientemente liberi).

iano

#23
Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 01:02:02 AM
Phil, discutere in questi termini significa dare per scontato che il verbo essere, o esistere, abbia un significato chiaro, mentre invece è proprio esso a non permettere alcuna chiarezza. Se sul verbo essere non abbiamo alcuna chiarezza, che senso ha riflettere su essere contrapposto a non essere, io sono contrapposto a io non sono?
Qualcuno in questo mondo sa spiegarmi cosa significa essere, esistere?
Sono d'accordo. "Esiste" è una presuppozione forte.
Meglio sostituirlo con "Supponiamo che sia".
In effetti credo che sia proprio così che vadano le cose.
Il problema nasce quando i teoremi che discendono dalle ipotesi risultano così ben funzionali al nostro rapportarci col mondo  , e  così bene per tutti ( questione diversa dal volersi a tutti i costi intruppare) che le ipotesi vengono promosse a realtà.
Così ad esempio si parte dall'ipotesi che esistono particelle , e se il percorso che segue ha successo si arriva alla conclusione che esistono particelle.
Tutto ciò è possibile in quanto stiamo parlando di un percorso diffuso nello spazio e nel tempo e fra diverse generazioni di uomini e che non comporta necessariamente l'uso della coscienza.
Se tutti vediamo sostanzialmente il mondo allo stesso modo è perché ci siamo trovati tutti intruppati senza averlo scelto, e vedere il mondo sostanzialmente tutti allo stesso modo ha i suoi vantaggi,perché diventiamo un tutt'uno capace di agire in sincronismo , perfino indipendentemente da quanto sia acuta la nostra vista. Si sbaglia insieme , ci si corregge insieme e si va avanti insieme.
Inutile aggiungere che è ovvio , quanto sbagliato secondo me , concludere che se tutti vedono le stesse cose allora quelle cose esistono , come se la realtà fosse una questione di democrazia.
Non è quindi che ci si è intruppa , ma ci si trova intruppati , e il fatto di far parte di questo meccanismo ci appare nel momento in cui , per volontà, come fai tu , o per caso , ci si trova fuori dal gregge.
In effetti il gregge in se' non è negativo . Ciò che al massimo può essere considerato negativo è non averne coscienza.Se non hai questa coscienza non puoi decidere di uscirne fuori e uscirne fuori ha i suoi pro , come ho detto, e i suoi contro. Io per natura , ma non per vanto, fuggo i greggi.

Ma ora arriva il passo cruciale.
Se noi , a causa di questo processo di "formazione" della realtà , siamo certi dell'esistenza delle particelle , e poi scopriamo che queste a volte non si comportano da brave particelle , ma come onde (fisica quantistica ) allora il nostro senso di realtà va' in tilt.
Ma il vero motivo per cui va in tilt è perché noi crediamo che esistano le particelle e che si comportano così è cosa'.
Così per ricucire questo strappo nella tela della realtà che noi stessi abbiamo tessuto , senza sapere di farlo , ci inventiamo la natura duale particella onda .
Se però prendiamo coscienza che parliamo di ipotesi , allora le cose diventano forse meno affascinanti , ma anche meno assurde.
Basta ipotizzare qualcosa che a seconda dei contesti si presenta in diverse forme.
A volte come una particella e a volte come un onda.
Non possiamo quindi ipotizzare che sia una particella ne' un onda,e ancor meno quindi una particella onda.
Dobbiamo quindi ipotizzare altro , un qualcosa d'altro che non fa' ancora parte del quadro (fittizio ma utile)  che ci siamo fatti finora della realtà .
Essere e realtà sono dunque sinonimi di fatto e valgono quel che valgono.
P.S. Anche se non ho postato Epicurus penso qui di aver risposto anche a lui😊
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#24
Citazione di: Phil il 26 Febbraio 2018, 17:15:46 PM
"Ci sono cose" mi pare una frase piuttosto indubitabile, soprattutto grazie alla vaghezza della parola "cose": posso dubitare dell'affermazione "io esisto" (come direbbe Cartesio) ovvero "io ci sono", qualunque "cosa" io sia?
Se così fosse, allora dovremmo considerare possibile il "io non esisto/non ci sono", che è palese non-senso: se non esisto, difficilmente posso pensare qualcosa, fosse anche di non esistere...
Quindi c'è almeno una "cosa", che è ciò che sono (anzi, distinguendo ciò che sono dalla vocina che sento in testa ;D , siamo già in due, ma concediamoci di dubitare pure di questa dualità...).

A questo punto posso pensare di essere l'unica "cosa" che c'è? No, perché ci sarà almeno un'altra "cosa" che è tutto ciò che io non sono... fosse anche il vuoto cosmico in cui sono immerso sognante, oppure un capello che si stacca dal mio corpo, oppure l'aria che respiro, oppure un'altra dimensione in cui non sono nemmeno consapevole di essere, etc.

Comunque, almeno due cose ci sono: l'io e il non-io (intesi nel senso più indeterminato e "aperto" possibile); quindi, persino rispettando il solipsismo più fantasioso e radicale, direi di si, possiamo essere abbastanza certi che "ci sono cose" (il "quante", il "come" e il "cosa" siano, è poi un'altra storia...).

P.s.
La parola "cose" si presterebbe persino anche a considerazioni meno "ontologiche", ma meglio non fare troppo i sofisti  ;)
Se ci sono io , allora ci sono cose che non sono io.
Un teorema breve e conciso, che non comporta necessariamente che ci siano cose.
Ma , se cose,esistono davvero , il teorema ci dice che io e quelle cose siamo fatti della stessa sostanza, o no? 😄
Se ci sono io allora c"è qualcosa che sia un capello o un crine di cavallo.😅
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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Phil

Citazione di: iano il 27 Febbraio 2018, 19:31:10 PM
Se ci sono io , allora ci sono cose che non sono io.
Un teorema breve e conciso, che non comporta necessariamente che ci siano cose.
Certo, alludevo infatti alla diade minima dell'ontologia: "io" e "non-io", le due "cose" (parola di cui "cavalcavo" la vaghezza ;) ) di cui non posso dubitare a cuor leggero; salvo, appunto, ritenere che forse non sto esistendo in nessun modo (!) o che sono l'unico ente ad esistere (?!).
Se per "cose" intendiamo invece una serie di oggetti esterni autonomi dal mio pensarli, allora ci imbattiamo nell'atavica diatriba fra realismo e idealismo, che potremmo inasprire ulteriormente condendola con una spolverata "orientale" di considerazioni buddiste sulla "convenzionalità"  ;)

Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 01:02:02 AM
Qualcuno in questo mondo sa spiegarmi cosa significa essere, esistere?
Così al volo, pensando al senso in cui lo intendo (ma forse non solo io), direi che essere-esistere significa avere una connotazione spazio-temporale: per l'uomo esiste tutto ciò che egli riesce a collocare in uno spazio e/o in un tempo... non solo in senso percettivo (sensazioni, percezioni, etc.), ma anche "interiore": se penso ad un'idea astratta (all'anima, a una chimera, a me in decomposizione fra 100 anni, etc.), quella idea ha comunque una connotazione temporale, ovvero il momento in cui la penso, e spaziale, essendo (apparentemente) "localizzata" nella mia mente (o nella vocina che la abita  ;D ).

Per questo il prospettivismo è, secondo me, un buon punto di partenza per riflettere sull'esistenza: se domani farai una lista della spesa, per me, quella lista della spesa non esisterà; almeno finché non entrerà nella mia prospettiva in un qualche modo. Tuttavia, ora che ne parlo, esiste già, seppur solo come ipotesi... per cui dovremmo, a questo punto, iniziare a distinguere fra i vari tipi (o piani) di esistenza, disambiguando i possibili sensi a cui si riferisce "cose"  ;)

Angelo Cannata

Il verbo essere/esistere non può essere spiegato e le ragioni di ciò possono essere considerate in tante maniere.

Se ad esempio consideriamo la definizione proposta da epicurus (esistere significa appartenere al dominio di oggetti presenti in una data teoria, con margini di approssimazione, vera), veniamo semplicemente ricondotti al soggetto di qualsiasi frase. Infatti il modo più semplice di esprimere una teoria è esprimere una frase qualsiasi. Ad esempio "i cavalli volano" è una teoria, che per avere un soggetto esistente come soggetto non ha neanche bisogno di essere vera: infatti, anche se pensiamo che i cavalli volanti non esistono nella realtà, come minimo esistono in quella frase sotto forma di soggetto di quella frase. In questo senso perfino il negare l'esistenza di alcunché si trasforma, almeno come formalità grammaticale, nel suo opposto, cioè nell'affermarla. Cioè, se dico "i cavalli volanti non esistono", proprio dicendo ciò li ho portati all'esistenza, come minimo come soggetto di quella frase. Da tutto ciò segue, come avevo detto, che la definizione di epicurus riconduce al soggetto di qualsiasi frase; il problema è che qualsiasi soggetto non può essere spiegato senza ricorrere al verbo essere. epicurus nella sua definizione ha fatto in modo di non ricorrervi perché ha usato il verbo "significare"; ma non sarebbe difficile mostrare che, per capire cosa significa il verbo "significare", dovremmo risalire al verbo essere, il quale rinvia al soggetto, il quale rinvia al verbo essere. In altre parole, il verbo essere è il verbo più radicale di tutti, più fondamentale, più basilare, e per questo non è possibile individuare termini più elementari di esso che siano in grado di darne spiegazione. Ancora peggio se, invece di tentare di spiegarlo con termini più elementari, ricorriamo invece a termini più complessi, che in realtà, piuttosto che essere essi spiegazione del verbo essere, si basano su di esso per poter essere spiegati.

Da qui possiamo passare ad una seconda ragione per cui è impossibile spiegare il verbo essere: perché, ammesso che se ne trovi una spiegazione qualsiasi, questa spiegazione avrebbe a sua volta bisogno di essere spiegata e così all'infinito.

La spiegazione data da Phil permette di far luce su un terzo motivo per cui non è possibile spiegare il verbo essere: le nozioni di spazio e tempo sono nozioni esperienziali e difatti non è difficile renderci conto che il verbo essere è nato per descrivere l'esperienza umana. Ma l'esperienza umana non è nata come riflessione, è nata come semplice esperienza, accompagnata da linguaggi utili a comunicare. Il problema quindi è che la filosofia, con le sue esigenze severissime, si trova in realtà a doversi servire del linguaggio umano, il quale non è nato con tutta questa severità. In questo senso il verbo essere non può essere definito perché non è nato con intenzioni di assoluta precisione, come esige la filosofia, ma per scopi semplicemente pratici e quindi intriso di approssimazione e mancanza di chiarezze teoretiche. Ciò mi sembra in fondo corrispondere a ciò che ha detto iano parlando di onde e particelle.

In realtà, che il verbo essere non possa essere definito, è stato già in vari modi sostenuto, più o meno implicitamente, da molta filosofia: cos'hanno sostenuto i sofisti se non l'impossibilità di definire alcunché? Ritengo che il culmine sia stato raggiunto da Heidegger, nel sostenere che non esiste l'essere; l'unica cosa di cui ha più senso parlare è l'essere in quanto esserci, l'esserci nostro, il nostro essere nel mondo. In altre parole, Heidegger ci ha fatto capire che non possiamo definire l'essere perché, trovandoci interamente coinvolti in esso, non abbiamo alcuna alcuna possibilità di distanziarci da esso per poterlo definire. Qualsiasi definizione di essere non può fare a meno di essere viziata, condizionata, inquinata, da sé stessa, dal proprio stesso esistere.

iano

#27
@phil.
Dal semplice,teoremino, se "esisto io allora esistono cose" ho derivato che io e non io sono fatti della,stessa sostanza.
Questo è il punto che vorrei sottolineare.
Io posso anche abbracciare liberamente la credenza che esisto , e infatti lo faccio , e che quindi esiste un mondo oltre me.
Ma quello che il teorema ci dice è che è illusorio pensare alla esistenza di un sasso come cosa solida e concreta , qualcosa di indubitabilmente reale ,e a me come qualcosa di problematico ricettacolo di ogni dubbio.
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.
Esistono poi altri livelli , dove il teorema non ha più potere, dove io e il sasso potremmo essere cose totalmente diverse, ma ai quali non possiamo avere accesso attraverso la pura logica che governa il teoremino.
Il problema nasce quando , forse inevitabilmente , confondiamo i due livelli , fisici e metafisici.
Tenendoci al livello basso , dove l'essere è una pura ipotesi , "supponiamo che sia" , ci togliamo da questi problemi.
Usando nel modo usuale il verbo essere in effetti mischiamo fisica e metafisica , e questo fino a un certo punto può essere accettabile l e di fatto lo accettiamo.
Ma prima o poi le contraddizioni saltano fuori , e quando saltano fuori , bisogna fare un passo indietro e specificare a che livello si discute.
Sulla problematicità del verbo essere Angelo ha dunque ragione , ma non c'è da farne un dramma.
Se un sasso , al livello sicuro a cui ci teniamo , è una ipotesi  , quando nascono problemi non c'è da fare drammi , ma solo da aggiustare l'ipotesi.
Il punto è che noi non abbiamo la coscienza di aver fatto questa ipotesi , e i sassi , siano quel che siano , noi li abbiamo ereditati già belli e fatti , quindi per noi i sassi SONO sassi e non c'è altro da dire , almeno finché si comportano da baravi sassi , secondo l'allegato manuale d'uso.
Scherzando sintetizzerei la questione citando Paolo Conte.
Da adulti sbagliamo da professionisti, mentre sono molto più concreti i bambini quando giocano a
"facciamo che io ero" . 😬
Come ci ricordano i bambini l'esistenza è un gioco.
C'è lo ricordano perché noi una volta lo sapevamo.😊
Allora,se proviamo a tornare bambini ci apparirà chiaro che la realtà nasce dall'immedesimazione in un gioco  che non si sa di star giocando.
Perché non lo abbiamo iniziato noi quel gioco , e non abbiamo neanche deciso di giocarlo , ma ci siamo semplicemente trovati dentro al gioco.
Se però decidiamo di giocare quel gioco le regole le detta la scienza , anche se non sempre sono chiarissime perché sporcate umanamente sempre di metafisica.
Così si parte col piede giusto , con un "facciamo che io ero un re" , ma poi i giochi si confondono , e si finisce con "io sono un re".😅
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

sgiombo

#28
CitazioneIano:

Se ci sono io , allora ci sono cose che non sono io.
Un teorema breve e conciso, che non comporta necessariamente che ci siano cose.
Ma , se cose,esistono davvero , il teorema ci dice che io e quelle cose siamo fatti della stessa sostanza, o no? 😄
Se ci sono io allora c"è qualcosa che sia un capello o un crine di cavallo.😅


Sgiombo:

Il ragionamento "non fila".

Confonde "essere" nel senso di "essere intenso concettualmente", "essere pensato", essere oggetto di (possibile) pensiero", o semplicemente di "essere un concetto, una nozione, qualcosa di pensabile a prescindere dalla realtà (che sia pure reale come ente od evento indipendentemente dall' eventuale fatto che, inoltre, sia pure oggetto di pensiero o meno) da una parte ed essere reale, accadere realmente (che accada pure realmente o meno che lo si pensi) dall' altra.

Se c' é il concetto di "io", allora non può non esserci anche il concetto di "altro da me", dal momento che i concetti sono relativi, si definiscono l' un l' altro attraverso relazioni intercorrenti fra di essi, reciprocamente.
Nel senso che la realtà del concetto di "io" si esaurisce nell' essere pensato (pensabile), e che non é pensabile se non in quanto diverso e contrario dal concetto di "altro da me": "omnis determinatio est negatio" (Spinoza).
Ma queste considerazioni non si possono correttamente estendere e applicare alla (eventuale) realtà dell' io, al fatto reale che io esista (divenga) o meno (che qualcuno inoltre pensi il concetto di "io" oppure no): nulla logicamente vieta l' ipotesi, non autocontraddittoria (che dunque é del tutto possibile in quanto tale), che realmente esista - accada solo io e nient' altro.

Dunque:
Se penso (il concetto di) "io", allora necessariamente non posso non pensare anche il (non avere più o meno implicitamente nozione del) concetto di "non io".
Ma se realmente é - accade l' esistenza dell' "io", allora non necessaiamente é - accade realmente anche l' esistenza del "non io".

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Il verbo essere/esistere non può essere spiegato e le ragioni di ciò possono essere considerate in tante maniere.

Se ad esempio consideriamo la definizione proposta da epicurus (esistere significa appartenere al dominio di oggetti presenti in una data teoria, con margini di approssimazione, vera), veniamo semplicemente ricondotti al soggetto di qualsiasi frase. Infatti il modo più semplice di esprimere una teoria è esprimere una frase qualsiasi. Ad esempio "i cavalli volano" è una teoria, che per avere un soggetto esistente come soggetto non ha neanche bisogno di essere vera: infatti, anche se pensiamo che i cavalli volanti non esistono nella realtà, come minimo esistono in quella frase sotto forma di soggetto di quella frase. In questo senso perfino il negare l'esistenza di alcunché si trasforma, almeno come formalità grammaticale, nel suo opposto, cioè nell'affermarla. Cioè, se dico "i cavalli volanti non esistono", proprio dicendo ciò li ho portati all'esistenza, come minimo come soggetto di quella frase. Da tutto ciò segue, come avevo detto, che la definizione di epicurus riconduce al soggetto di qualsiasi frase; il problema è che qualsiasi soggetto non può essere spiegato senza ricorrere al verbo essere. epicurus nella sua definizione ha fatto in modo di non ricorrervi perché ha usato il verbo "significare"; ma non sarebbe difficile mostrare che, per capire cosa significa il verbo "significare", dovremmo risalire al verbo essere, il quale rinvia al soggetto, il quale rinvia al verbo essere. In altre parole, il verbo essere è il verbo più radicale di tutti, più fondamentale, più basilare, e per questo non è possibile individuare termini più elementari di esso che siano in grado di darne spiegazione. Ancora peggio se, invece di tentare di spiegarlo con termini più elementari, ricorriamo invece a termini più complessi, che in realtà, piuttosto che essere essi spiegazione del verbo essere, si basano su di esso per poter essere spiegati.

Da qui possiamo passare ad una seconda ragione per cui è impossibile spiegare il verbo essere: perché, ammesso che se ne trovi una spiegazione qualsiasi, questa spiegazione avrebbe a sua volta bisogno di essere spiegata e così all'infinito.

CitazioneConcordo.

Secondo me il tentativo di spiegazione di Epicurus non é che una definizione, ovvero l' uso di un sinonimo (o espressione sinonimica), che semplicemente ribadisce  od esprime in altro modo il medesimo concetto).

Che cosa sia l' esistenza, la realtà (ma anche le eventuali denotazioni reali connotate da altri concetti) non é spiegabile se non in questo modo: se ne può solo avere la nozione in mente e cercare di evocare un' analoga nozione in altri attraverso parole che la descrivono, mettendola in relazione con altri concetti e con cose (indimostrabilmente postulabili essere) intersoggettivamente esperibili, ma che non ci possono dire in assoluto, "di per se" che cosa sia (questo semplicemente, immediatamente lo sentiamo dentro di noi, se pensiamo sensatamente; avverbio pleonastico).


AneloCannata:

La spiegazione data da Phil permette di far luce su un terzo motivo per cui non è possibile spiegare il verbo essere: le nozioni di spazio e tempo sono nozioni esperienziali e difatti non è difficile renderci conto che il verbo essere è nato per descrivere l'esperienza umana. Ma l'esperienza umana non è nata come riflessione, è nata come semplice esperienza, accompagnata da linguaggi utili a comunicare. Il problema quindi è che la filosofia, con le sue esigenze severissime, si trova in realtà a doversi servire del linguaggio umano, il quale non è nato con tutta questa severità.
Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Citazione
Sgiombo:

Ciò non toglie che si possa (e a mio parere si debba, almeno in sede filosofica) procedere ad affinare e "disambiguare" i concetti (compresi, e direi anzi soprattutto, quelli di "essere", accadere", "realtà", ecc.), anche se questi inevitabilmente rimarranno relativi, reciprocamente (per così dire "circolarmente") definentisi gli uni con gli altri attraverso relazioni -concettuali; aggettivo pleonastico- reciproche: "omnis determinatio est neatio" (Spinoza).

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