LOGOS

LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: iano il 25 Febbraio 2018, 00:17:40 AM

Titolo: Ci sono cose
Inserito da: iano il 25 Febbraio 2018, 00:17:40 AM
cui non crediamo ,
cui crediamo ,
non essendo evidenti ;
cose per le quali la questione di credere o di non credere non sembra porsi , cose per noi evidenti.
Ognuno di noi può suddividere soggettivamente le cose del mondo entro queste due o tre categorie , e credo non ne occorrano altre.
Se anche ci fosse una di queste tre categorie entro la quale tutti gli uomini mettessero le stesse cose , rimane il fatto che ciò deriva da un processo soggettivo di scelta.
Se questa categoria fosse quella delle cose evidenti , ad esempio , non potremmo dire dunque che si tratti di cose oggettive .
O no?
Cosa ne pensate.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 02:46:36 AM
A me sembra che oggi, dopo tutta la filosofia che è stata esplorata, non sia più possibile parlare in questi termini. Già il dire "ci sono cose", non importa se evidenti o meno, non può più essere sostenuto dopo tutte le critiche che ormai sono state fatte all'idea stessa di "essere". Oggi possiamo usare il verbo essere solo in contesti pratici, modesti, quanto può servire per fare la spesa, ma non nel senso fondamentale con cui diciamo filosoficamente "ci sono cose". Il verbo essere è stato ormai smascherato, esso non riesce ad avere niente di fondamentale, niente di chiaro.

Non possiamo neanche adagiarci nel dire che tutto è soggettivo, tutto è relativo, poiché, se tutto diviene, significa che, anche se fosse vero che tutto è soggettivo, tale verità, essendo soggetta a divenire, potrebbe essere sostenuta solo per un attimo e basta. In questo senso oggi non può più essere praticata la filosofia sotto forma di sistemi di pensiero, architetture, castelli: qualsiasi sistema non può evitare di essere soggetto a divenire e quindi è già vecchio, scaduto, sorpassato, subito un attimo dopo che sia stato pensato. È come dire che ore sono: appena lo diciamo è già una cosa scaduta, vecchia, sorpassata, quindi anche falsa, non sappiamo più neanche se sia davvero mai esistita.

Credo che quindi il solo modo di filosofare che oggi ci rimane possa essere un filosofare dinamico, diveniente, predisposto a modificarsi appena sia stato pensato. Credo che quindi, piuttosto che dire "tutto è relativo", o "tutto è soggettivo", o "ci sono cose", sia più adeguato dire "io sto praticando questa relazione, ho dei pensieri in corso, sto facendo delle ricerche", "io sto facendo questa o quest'altra cosa". Questo modo di parlare viene a risultare pronto all'automodifica, perché è chiaro che quando dico "sto facendo questa cosa" sono prontissimo a considerare già scaduto ciò che ho detto e sono sempre pronto a dire "no, ora ne sto facendo un'altra", oppure "mi sono accorto che era meglio pensare in modo diverso". Altri modi di parlare simili possono essere "oggi sto esplorando questi pensieri (avendo già in programma di non fermarmi mai definitivamente in nessuno di essi)", "adesso ho questi progetti", "sto accarezzando queste supposizioni", "sto sottoponendo a critica queste ipotesi", ma sempre in prospettiva di dover poi comunque oltrepassare, procedere, modificare tutto, riformulare, mai con la prospettiva di pervenire ad alcunché di definitivo.


Da qui consegue anche che in particolare le religioni sono destinate a fallire tutte, travolte dal divenire, nella misura in cui pretendono di aver stabilito dei sistemi organici, stabili, su come concepire il mondo, come vanno le cose. In questo momento mi viene da pensare all'idea di impermanenza nel Buddhismo: certo, tutto è impermanente, ma proprio per questo significa che tutte le idee del Buddhismo sono già tutte scadute, tutte sorpassate, tutte vecchie e false. Allo stesso modo anche quelle del Cristianesimo, dell'Islam, dell'Induismo, dell'Ebraismo. Questo non significa che le religioni non valgano niente; tutt'altro: esse contengono tesori di spiritualità, ma solo se si dispongono a un radicale continuo aggiornamento di ogni loro aspetto di pensiero e sistema di pensiero. In fondo questa è la demolizione che Gesù portò nell'Ebraismo: dimostrò loro che se non si aggiornavano erano condannati a fare la figura di ipocriti; il problema è che già Gesù stesso, o chi ce ne ha tramandato il pensiero, cadde nell'identico problema.


Tutto ciò potrebbe sembrare ridursi a niente: se in ogni attimo devo rivoluzionare tutte le mie idee, ne consegue che non posso pensare proprio niente. Ma non credo che sia così, sia perché il divenire ha una sua lentezza, sia perché siamo umani e abbiamo bisogno di soste, stabilità provvisorie, sia perché questo stesso divenire non può essere assunto a ideologia mortificante: in questo modo non sarebbe più un vero divenire. C'è dunque spazio per validissimi pensieri, validissime religioni e spiritualità, credo però che rimanga indispensabile e necessario un contesto di fondo di predisposizione al cambiamento in qualsiasi cosa.



Ecco, al momento io sto esplorando queste idee.  :)
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Eutidemo il 25 Febbraio 2018, 07:53:06 AM
Caro Cannata,
trovo le tue argomentazioni molto interessanti, ben argomentate, e, nel complesso, abbastanza condivisibili. :)
Però consideroun po' contraddittorio questo tuo specifico ragionamento:
<< "Sto accarezzando queste supposizioni", "sto sottoponendo a critica queste ipotesi", ma sempre in prospettiva di dover poi comunque oltrepassare, procedere, modificare tutto, riformulare, MAI con la prospettiva di pervenire ad alcunché di definitivo.>>
Se ti proponi sempre la prospettiva di dover comunque oltrepassare, procedere e modificare tutte le tue supposizioni ed ipotesi, ne consegue che anche la tua supposizione ed ipotesi di non poter "MAI" pervenire ad alcunché di definitivo, non può essere nemmeno lei definitiva; e, quindi, essendo anch'essa provvisoria, potresti benissimo cambiare idea, e, un domani, decidere che, invece, sei pervenuto a qualcosa di effettivamente definitivo!
Non è un po' un serpente che si morde la coda? :)
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 09:41:46 AM
Sarebbe contraddittorio se posto all'interno di un ragionare statico, che considera le affermazioni da punti di vista statici. Ma una volta che ho detto che è necessario porsi in contesti dinamici, è chiaro che anche l'affermazione sul "mai" va situata in un contesto dinamico. Cioè, oggi dico che sia bene non fermarsi mai. Sul domani nessuno ha mai dimostrato di avere un potere, tanto meno io.
A questo punto, chi non riesce ad uscire da mentalità statiche, obietterebbe che quel "mai" sia privo di significato, visto che è relativizzato dall'oggi. Ma io ho mostrato che ciò che incorre nell'assenza di significato è proprio il pensare statico. Dunque, è vero che quel "mai" è relativizzato dall'oggi, ma proprio questo gli apre le sole possibilità di significato che abbiamo umanamente disponibili, cioè significati relativi all'oggi.
Allora, una volta che siamo costretti ad accettare che quel "mai" ha un significato, pur avendolo relativo all'oggi, rimane da capire quale sia questo significato. Il significato è esattamente quello di un'affermazione locale nel tempo e nello spazio: io ho detto questo, ho detto quello che sto pensando.
Ne consegue che il significato di quel "mai" va considerato nei limiti in cui è possibile comprenderlo oggi. Considerare quel "mai" come pretesa di estendersi oltre le possibilità dell'oggi significherebbe, al contrario, privare la parola di ogni significato.
Questa privazione di significato è ciò che invece avviene dicendo "ci sono cose", perché le si può obiettare che essa trascura il suo essere situata nel tempo e nello spazio.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 25 Febbraio 2018, 12:39:25 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 02:46:36 AM

Tutto ciò potrebbe sembrare ridursi a niente: se in ogni attimo devo rivoluzionare tutte le mie idee, ne consegue che non posso pensare proprio niente. Ma non credo che sia così, sia perché il divenire ha una sua lentezza, sia perché siamo umani e abbiamo bisogno di soste, stabilità provvisorie, sia perché questo stesso divenire non può essere assunto a ideologia mortificante: in questo modo non sarebbe più un vero divenire. C'è dunque spazio per validissimi pensieri, validissime religioni e spiritualità, credo però che rimanga indispensabile e necessario un contesto di fondo di predisposizione al cambiamento in qualsiasi cosa.



Ecco, al momento io sto esplorando queste idee.  :)
Allora non ti rispondo nemmeno , dato che quasi sicuramente avrai già cambiato idea.😅
Scherzo ovviamente.
Direi che hai centrato bene il punto con il tuo elogio della lentezza al cambiamento.
Se possiamo dire di avere delle certezze è solo perché certe idee albergano in noi per un tempo sufficientemente lungo.
Questa naturale inerzia al cambiamento , che nasce anche dalla esigenza di avere dei punti fermi , è la benvenuta , ed è cosa buona e giusta se riesce a coabitare con la coscienza che tutto cambia.
Inoltre le cose cambiano o non cambiano in relazione al punto di vista.
Una velocità che cambia in modo uniforme , laddove si mediano i cambiamenti di velocità, determina una accelerazione costante.
Perfino in un caso apparentemente disperato , dove l'uniformità non sembra aver casa e dove tutto sembra cambiare a causa del puro caso ,come nella fisica quantistica , la media dei singoli eventi conduce sempre a risultati costanti.
Quindi va' tutto bene , ma va' ancora meglio se non ci affezioniamo troppo ai nostri punti fermi.
In definitiva i timori di chi paventa il relativismo risultano infondati.
Fra l'essere solidi e l'essere eterei si consideri anche l'opzione di essere elastici.
Possiamo cambiar forma , anche solo per puro esercizio mentale , sapendo che della forma originaria rimane memoria , e vi si può sempre tornare.
Come diceva Pavese , un paese ci vuole , non fosse altro che per il gusto di andar via , ma , aggiungo io , puoi andare via solo dopo aver preso coscienza che vivi in un paese.
Quando riesci a fare il punto delle tue idee di fatto le hai già superate.
Hai ragione. È opinabile che ci siano cose , ma non che le si possa ipotizzare e , sia che sappiamo di farlo (scienza) sia che non sappiamo di farlo (la realtà in cui crediamo di vivere ) , questo è quello che facciamo , ed essendo le ipotesi arbitrarie , per loro natura, non ci dovremmo meravigliare del fatto che queste cambino.Ma non è nella loro natura invece cambiare , ma nella nostra.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Eutidemo il 25 Febbraio 2018, 14:55:47 PM
Caro Cannata,
il tuo ragionamento circa la "non contraddittorietà del MAI", è molto interessante e sottile; penso che dovrei esaminarlo meglio, di quanto il tempo non mi conceda ora.
Però, se tu stesso dici che sul domani nessuno ha "mai" dimostrato di avere un potere, tanto meno tu, in sostanza è come se tu citassi il famoso film di 007: "MAI DIRE MAI!" ;)
Il che, preso alla lettera, suona un po' come una "contradictio in adjecto"; ma, in effetti, può essere una maniera "icastica" per dire, sia pure ellitticamente, una cosa molto VERA! :)
Se ho ben compreso ciò che intendi! ::)
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 15:02:36 PM
Può essere utile specificare che il senso della parola "mai" è in realtà sempre falso e sempre illusorio se pensiamo di poterlo intendere in maniera universale, assoluta, capace di oltrepassare ogni tempo e ogni spazio. Il motivo di ciò è il fatto che il concetto di "mai" è sempre pensato da menti umane, le quali sono ben lungi dal potersi porre oltre ogni tempo e oltre ogni spazio: ogni mente umana è sempre situata in un tempo e in uno spazio ben definiti. Perciò la parola "mai" ha sempre un significato ridotto, parziale, relativo. Non esiste un modo di intendere la parola "mai" in senso totale, perché la nostra mente non è capace di totalità, in quanto, essendo posta in un tempo e in uno spazio, neanche sa il significato di totalità.
Perciò l'unica maniera sensata che ci rimane di poter pronunciare la parola "mai" è quella di accontentarci di attribuirgli un senso che sappiamo essere limitato dal tempo e dallo spazio in cui ci troviamo. Si potrebbe dire cosi: "Intendo dire mai nel senso più vasto ed esteso in cui io e tu oggi e qui riusciamo a comprenderlo". Ma senso più vasto ed esteso non significa totale, infinito, assoluto, significa solo il massimo che riusciamo ad immaginare.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Phil il 25 Febbraio 2018, 15:38:00 PM
Più o meno, concordo con Angelo: "più" quando parla di processi di cambiamento lenti e la necessità umana di fare soste; "meno" quando sembra intendere il cambiamento come negazione drastica del passato ("radicale continuo aggiornamento" delle religioni o ogni sistema filosofico che "è già vecchio, scaduto, sorpassato, subito un attimo dopo che sia stato pensato"... secondo me, spesso, si tratta di cambiare pazientemente una virgola alla volta, piuttosto che gettare subito al macero l'intero libro  ;) ).

Stando nella sua ottica (travestendomi da lui ;D ) proporrei un appunto: meglio ritenere parole come "mai" o "sempre" sensate solo se riferite al passato ("non sono mai stato in Africa", "ho sempre mangiato almeno una volta al giorno", etc.). Se, per adesso, ho in programma di restare aperto al cambiamento, conviene, per efficacia, evitare equivoci usando quelle due parole che cristallizzano già il futuro di una posizione dinamica, assolutizzandola (innescando così la paradossalità a cui alludeva Eutidemo). 
Basta sostituire a un "mai" un banale "senza", cancellare un "sempre" (che sembra la condanna di Sisifo ;D ) e l'imputazione di contraddittorietà decade (propongo le modifiche):
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 02:46:36 AM"sto sottoponendo a critica queste ipotesi", ma sempre in prospettiva di dover poi comunque oltrepassare, procedere, modificare tutto, riformulare, mai con  senza la prospettiva di pervenire ad alcunché di definitivo.
Il "senza" esprime meglio una temporalità aperta al cambiamento (persino allo stesso abbandono del "senza" ;) ): dire "adesso sono senza quella prospettiva", non implica che sarò sempre estraneo (o che non assumerò mai) quel punto di vista, ovvero non mi precludo nemmeno un cambiamento in quella direzione.

P.s.
@Angelo, scusa per la pedante puntigliosità, ma come hai visto, spesso una sola parola rischia di "svalutare" un intero discorso.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Dipende, come avevo appena detto, se vogliamo intendere le parole in senso assoluto o in senso relativo.
Se vogliamo caricarle di senso assoluto, perfino un "mai" riferito al passato si espone ad una critica di base: chi ti assicura che tu non sia mai stato in Africa? Può sempre darsi il caso di un'amnesia, perfino planetaria. Il fatto che nessuno al mondo, tu incluso, e nessuna traccia materiale dicano che tu sia stato in Africa non è garanzia del tutto indubitabile. Che queste ipotesi non siano dei puri giochi mentali può essere testimoniato se pensiamo ai negazionisti dell'Olocausto o ai vari revisionismi storici che ogni tanto si tentano di compiere nel mondo.

Quindi, se al "mai" vogliamo assegnare un senso assoluto, allora dovremmo cancellarlo dal vocabolario, visto che nessuno ha mai mostrato di essere in grado di pensare cose assolute. Personalmente preferisco mantenere il linguaggio che abbiamo, con tutte le ambiguità e confusioni che comporta, poiché abbiamo solo questo, non ne abbiamo altri. Mi pare che Vattimo abbia detto da qualche parte che per ricostruire qualcosa, dopo che il castello (delle certezze, degli assoluti) è caduto, le sole pietre che abbiamo a disposizione sono quelle del castello caduto.

Fondamentalmente sarei d'accordo quindi con le correzioni che tu apporteresti alle mie frasi, il problema è che queste correzioni sembrano voler salvaguardare un significato assoluto del "mai", considerato come possibile. Cioè, se togli il mai dalle mie frasi, sì sono d'accordo, ma in quali altri frasi pensi di poterlo usare? L'esempio che hai fatto dell'Africa si espone al malinteso che tale esempio riesca a conservare un significato assoluto. Quindi è come se tu avessi detto: "Riserviamo il mai alle frasi assolute". Ma esistono frasi in grado di essere assolute?
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Phil il 25 Febbraio 2018, 18:41:09 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Fondamentalmente sarei d'accordo quindi con le correzioni che tu apporteresti alle mie frasi, il problema è che queste correzioni sembrano voler salvaguardare un significato assoluto del "mai", considerato come possibile. [...] Quindi è come se tu avessi detto: "Riserviamo il mai alle frasi assolute"
Nessuna salvaguardia, anzi, il "mai" è una di quelle parole di cui, a parer mio, la filosofia attuale può fare a meno (come altre parole ereditate dalla metafisica classica).
Forse ti sarà sembrato controintuitivo, ma alludevo proprio all'abbandono del senso assoluto del "mai", al punto che suggerivo di non usarlo proprio, perché per esprimere il suo senso relativo, in modo meno fuorviante, possiamo usare altre parole :)

Nel parlare quotidiano, ovviamente, tutto il linguaggio è usato in modo più spensierato; per cui se dico di non essere mai stato in Africa, è chiaro che mi baso sulla mia memoria presente, o se dico che non ammazzerò mai nessuno, mi riferisco inevitabilmente alla mia intenzione presente... sono tutte precisazioni che, nel flusso di una conversazione informale (non filosofica), restano fra le righe e non ambiscono certo ad una assoluta verità oggettiva.

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Personalmente preferisco mantenere il linguaggio che abbiamo, con tutte le ambiguità e confusioni che comporta, poiché abbiamo solo questo, non ne abbiamo altri.
Preferenza personale indiscutibile... tuttavia, usare un linguaggio poco ambiguo (di solito) facilita la comprensione per tutti, oltre a evitare le legittime osservazioni che ha suscitato quel "mai" (che sei stato infatti tenuto a spiegare e "giustificare").

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Mi pare che Vattimo abbia detto da qualche parte che per ricostruire qualcosa, dopo che il castello (delle certezze, degli assoluti) è caduto, le sole pietre che abbiamo a disposizione sono quelle del castello caduto.
Salvo voler andare nella cava a sporcarci le mani per trovare altre pietre, con altre caratteristiche e potenzialità, per non continuare a riusare anche quelle che abbiamo scartato perché "difettose" ;)
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: viator il 25 Febbraio 2018, 18:55:16 PM
Salve: Per Angelo Cannata : dici "il verbo essere è già stato smascherato, esso non riesce ad avere niente di fondamentale, niente di chiaro".

Perdona la mia sciocca presunzione. Per me valgono una definizione ed un ruolo piuttosto chiari dell'essere : "LA DIMENSIONE AL CUI INTERNO LE CAUSE GENERANO GLI EFFETTI". Naturalmente quindi l'ESSERE sarebbe la dimensione di tutte le dimensioni, quindi la DIMENSIONE assoluta.

Circa poi la indiretta od indiretta tautologia di una simile definizione (l'essere "è" oppure "sarebbe"......) essa risulta inesorabilmente inclusa nel significato stesso di ciò che stiamo definendo e non ha proprio nulla di contradditorio, in quanto risulta ovvio che anche le figure tautologiche facciano parte dell'ASSOLUTO di cui l'ESSERE rappresenta la funzione per così dire "vitale". Grossi saluti.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 19:36:16 PM
Non è sciocca presunzione: considero ogni sforzo serio di riflessione sull'essere un lavoro che merita sempre seria considerazione. La tua obiezione per me è uno di questi sforzi seri e richiede seria considerazione. D'altra parte, i miei modi di pensare non sono un partito preso: li adotto solo finché qualcuno non mi aiuta a trovare di meglio, un meglio che sicuramente c'è e personalmente ne sono sempre in cerca.

Entrando nel merito del discorso, credo che ci si venga a trovare nel confronto delle prospettive, ognuna delle quali è di per sé in grado di inglobare l'altra: la tua prospettiva è in grado di inglobare la mia (nel senso che potresti dirmi che nel mio discorso mi servo comunque del verbo essere), la mia la tua, nel senso che potrei comunque ribattere che per dire questo hai usato la tua mente e quindi non puoi avere certezza di ciò che hai detto.

Come se ne esce?

Secondo me se ne esce esaminando la questione da un punto di vista storico.

Cioè, quando io dico che l'essere non riesce ad avere niente di chiaro, è importante tener presente che questa presa di coscienza avviene a partire proprio da un uso fiducioso del concetto di essere. Cioè, come partenza del discorso, io mi trovo dalla parte di chi ritiene che sia giusto e adeguato dire che effettivamente "ci sono cose"; io parto con l'accettazione che esistono verità fondamentali, esiste l'assoluto, esistono certezze. Quindi in partenza io sono con te, la penso esattamente come te. Il fatto è che poi io voglio vedere dove porta questo discorso.

Hai detto che l'essere è la dimensione assoluta.

Partiamo da qui.

La dimensione assoluta.

La dimensione di tutte le dimensioni.

Se è la dimensione di tutte le dimensioni, tra le dimensioni particolari devo far rientrare me stesso.

Dunque io sono una dimensione particolare, un'espressione particolare di questa dimensione assoluta.

La dimensione particolare (che sono io) è colei che ha individuato questo concetto: l'essere è la dimensione assoluta, di cui io sono dimensione particolare.

Come ha fatto questa dimensione particolare a riuscire a parlare di dimensione assoluta? Ci è riuscita usando sé stessa, cioè il proprio intelletto.

Posso fidarmi di una dimensione particolare, la quale mi dice di essere riuscita ad individuare la dimensione assoluta basandosi su nient'altro che sé stessa? Su quale base mi fiderò?

Ecco il dubbio insuperabile. Ciò che m'interessa far notare è che questo dubbio è interno all'essere, cioè è la fiducia nella certezza che mi porta a un dubbio insuperabile. Insomma, parto adottando la certezza, per vedere dove essa mi conduce, e sono costretto a prendere atto che essa mi conduce alla negazione di sé stessa.

Eravamo partiti dall'accettazione che l'essere è la dimensione assoluta. Siamo stati costretti a concludere che proprio il pensare che l'essere è la dimensione assoluta conduce a concludere che tale affermazione è del tutto inaffidabile. La cosa interessante è che il dubbio, il sospetto di inaffidabilità, non viene suggerito da un extraterrestre, ma esattamente dal principio stesso che abbiamo adottato in partenza.

Insomma, è come se io decidessi di assumere una guardia del corpo, ma proprio la mia guardia del corpo mi dice "Non ti puoi fidare di me". Non è un demone a dirmelo, non sono dei nemici, ma è proprio la persona che avrebbe tutto l'interesse a mostrarsi affidabile.

Se la cosa più affidabile e sicura che ho trovato, cioè il concetto di essere, proprio lui mi dice che non devo fidarmi di esso, mi vedo costretto a dedurre che questa sfiducia merita di essere presa sul serio.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 25 Febbraio 2018, 21:08:28 PM
Angelo , se al posto di certezza ci mettiamo ipotesi,e al posto di dubbio contraddizione, allora mi ritrovo del tutto nel tuo discorso.
Infatti se le certezze vengono sistematicamente frustrate dal dubbio potrei smettere di cercarle , interrompendo di fatto le mie ricerche e il mio agire , mentre
le ipotesi possono essere semplicemente cambiate , producendo una teoria dietro l'altra ,potendo ad ognuna di esse decidere e tentare  di conformare il mio agire.
Che ci siano cose mi pare si sia mostrata finora una buona ipotesi , ma se occorre si può sempre cambiare.
Il buon senso mi dice che ci sia qualcosa , ma lo stesso buon senso mi dice che cio' che io penso sia , seppur mi è utile pensarlo , non è cio'che e'. Di fatto non si possono promuovere le ipotesi a teorema , ma è proprio quello che noi facciamo.
Le ipotesi di cose dentro una teoria che funziona , e che funziona nel senso che dal tentativo di uniformare il mio agire ad essa mi sembra di trovare giovamento , quelle cose allora io le promuovo a  "realtà" .
L'opera è completa o incompleta , a seconda dei punti di vista , in relazione a quanta coscienza venga impiegata nel processo.
Noi qui in fondo  stiamo cercando di testimoniare appunto una presa di coscienza su questo processo che porta al senso di realtà quando esprimiamo un dubbio sull'essere.
La realtà è un processo di sedimentazione dove ogni granello che vi partecipa non ha la coscienza di farlo , e non tanto perché si tratta di un insulso granello , ma magari solo perché non dispone di una prospettiva spazio temporale adeguata.Prospettiva che ovviamente nel tempo può cambiare con esiti vari , uno dei quali è questa discussione.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 21:30:39 PM
Se la questione viene posta in questi termini, essa mi risulta perfettamente accettabile, non presta il fianco a critiche. Infatti hai parlato di buon senso tuo, giovamento per te: nessuno ti può togliere il diritto di effettuare ricerche su ciò che ritieni ti sia di giovamento.
Quando invece si dice "ci sono cose", la frase, se intesa in senso filosofico, cioè il senso più esigente che ci riesca di pensare, non è più riferita al giovamento di qualcuno. Se ci sono vuol dire che ci sono, non si tratta più di ipotesi di buon senso, si tratta di ragionamenti o posizioni di principio che avanzano la pretesa di risultare stringenti per chiunque, così come stringente per chiunque pretende di essere ad esempio la matematica.
Io non ho alcun problema sull'ipotizzare una realtà (o una verità), se essa viene intesa come ipotesi di comodo per risolvere qualche problema. La critica mi nasce quando s'intende che la realtà (o la verità), è qualcosa di appurato che esiste assolutamente (o è vero assolutamente), che noi ci pensiamo o no, che noi ci crediamo o no. Allora mi nasce la critica: ma se siamo stati noi a pensarla, come possiamo stabilire che è indipendente dal nostro pensarla?
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 26 Febbraio 2018, 01:26:49 AM
Non è economico mettere su una teoria per il mio giovamento personale e ciò non condurrebbe a un senso di realtà.
Si tratta di un processo condiviso nello spazio e nel tempo.
Ciò che io credo esista è ciò che tutti credono esista nella realtà.
Se ci credessi solo io sarei solo un pazzo.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 26 Febbraio 2018, 01:43:46 AM
Personalmente trovo che questo criterio serva solo a massificarsi, a seguire il gregge. A questo punto nascerebbe la domanda: che criteri usare allora per individuare il meglio a cui vale la pena di dedicarsi durante la vita? La mia personale risposta è: lavorarci. Il lavoro non garantisce in maniera assoluta che si trovi il meglio, ma è lo strumento che fino ad oggi si dimostra essere il più efficiente per questo scopo. Ci sono poi tanti modi di lavorare, ma anche questo può essere un lavoro che vale la pena di compiere: lavorare, tra l'altro, anche per individuare i modi più efficienti di lavorare, così come uno zappatore non provvede solo a zappare, ma prova anche a pensare a come migliorare la zappa o il modo di usarla, o cambiare completamente mentalità e usare un trattore, eccetera.
Il criterio del lavorare significa, tra l'altro, non dare mai per scontato di aver trovato la soluzione definitiva ad un problema, né porselo come scopo, ma piuttosto riservarsi sempre anche degli spazi per migliorare la ricerca, metterla in discussione, rivederla sin nelle sue fondamenta.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 26 Febbraio 2018, 10:15:58 AM
Non ti seguo.Hai sbagliato a postare?
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 26 Febbraio 2018, 13:02:03 PM
Provo a collegare meglio il discorso.

Siccome hai parlato di "condiviso" e hai detto che ciò che credi esista è ciò che tutti credono, e anche che ti riterresti pazzo se credessi tu solo, allora ho considerato quest'atteggiamento come tendenza, che in realtà tutti abbiamo, ad intrupparci, a seguire il gregge, perché fare ciò che fanno tutti gli altri ci dà sicurezza, conforto, serenità, mentre, viceversa, andare controcorrente comporta il prezzo di sentirsi soli, pazzi, scollegati dalla società, cioè un sentimento che per molti è proprio insopportabile.

Su questo io preferisco reagire, perché personalmente ho un'idea molto negativa della massa, dell'omogeneizzare il proprio pensiero a ciò che tutti gli altri pensano. Perciò preferisco lottare per andare contro corrente.

Poi ho parlato di lavoro come criterio per individuare il meglio. Il criterio del lavorare si contrappone al criterio filosofico del trovare soluzioni definitive, oggettive, conclusive. Non si tratta qui di accusare di pigrizia, di non voler lavorare; si tratta di una mentalità che nega proprio il criterio dell'arrivare. In questo senso ho parlato di lavorare per indicare un'attività che non finisce mai, un lavorare per sempre, naturalmente non per il piacere di faticare, ma un lavorare come arte, come l'artista lavora in continuazione per creare arte e poi crearne altra ancora, sapendo che la sua arte non sarà mai la soluzione definitiva di alcun problema. Dunque intendere la filosofia come arte di un pensare non mirato a concludersi.

Ho parlato di ricerca del meglio perché, una volta che una filosofia dell'essere non ha consistenza, viene a nascere la domanda su cosa debba essere l'oggetto principale delle nostre ricerche, quindi cos'è il meglio da perseguire nel momento in cui proviamo a riflettere: su che cosa è meglio riflettere?
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Eutidemo il 26 Febbraio 2018, 15:14:21 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Febbraio 2018, 01:43:46 AM
Personalmente trovo che questo criterio serva solo a massificarsi, a seguire il gregge. A questo punto nascerebbe la domanda: che criteri usare allora per individuare il meglio a cui vale la pena di dedicarsi durante la vita? La mia personale risposta è: lavorarci. Il lavoro non garantisce in maniera assoluta che si trovi il meglio, ma è lo strumento che fino ad oggi si dimostra essere il più efficiente per questo scopo. Ci sono poi tanti modi di lavorare, ma anche questo può essere un lavoro che vale la pena di compiere: lavorare, tra l'altro, anche per individuare i modi più efficienti di lavorare, così come uno zappatore non provvede solo a zappare, ma prova anche a pensare a come migliorare la zappa o il modo di usarla, o cambiare completamente mentalità e usare un trattore, eccetera.
Il criterio del lavorare significa, tra l'altro, non dare mai per scontato di aver trovato la soluzione definitiva ad un problema, né porselo come scopo, ma piuttosto riservarsi sempre anche degli spazi per migliorare la ricerca, metterla in discussione, rivederla sin nelle sue fondamenta.


Caro Cannata,
poichè questo tuo post richiama l'argomento di cui stavamo trattando nel "thread" "RELATIVISMO ASSOLUTO" (1), mi sono sentito in dovere di intervenire anche qui.
Sono perfettamente d'accordo con te, nel considerare deprecabile la tendenza (soprattuto per quanto concerne il "politically correct") ad intrupparci, a seguire il gregge; e, questo, solo perché fare ciò che fanno tutti gli altri ci dà sicurezza, conforto, serenità, mentre, viceversa, andare controcorrente comporta il prezzo di sentirsi soli, pazzi, scollegati dalla società, cioè un sentimento che per molti è proprio insopportabile.
Anche io detesto l'"omologazione" e non ho paura a lottare per andare contro corrente, però, sempre "a ragion veduta", e non semplicemente per distinguermi dalla massa; se la "massa" ha ragione, io gliela do volentieri, perchè fare il "bastian contrario" per partito preso mi sembra sciocco!
Per cui, per ricollegarmi al mio discorso dell'altro "thread" (1), se ormai da più di tre secoli la totalità degli scienziati ha accettato la dimostrazione fornita da Torricelli con il suo famoso esperimento sul "peso dell'aria", non vedo perchè dovrei esprimere una opinione soggettivamente contraria, solo per "distinguere" dagli altri la mia autonomia di pensiero; soprattutto se non ho alcun effettivo e valido argomento in contrario.
(1)
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/relativismo-assoluto/105/
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Phil il 26 Febbraio 2018, 17:15:46 PM
"Ci sono cose" mi pare una frase piuttosto indubitabile, soprattutto grazie alla vaghezza della parola "cose": posso dubitare dell'affermazione "io esisto" (come direbbe Cartesio) ovvero "io ci sono", qualunque "cosa" io sia? 
Se così fosse, allora dovremmo considerare possibile il "io non esisto/non ci sono", che è palese non-senso: se non esisto, difficilmente posso pensare qualcosa, fosse anche di non esistere... 
Quindi c'è almeno una "cosa", che è ciò che sono (anzi, distinguendo ciò che sono dalla vocina che sento in testa ;D , siamo già in due, ma concediamoci di dubitare pure di questa dualità...).

A questo punto posso pensare di essere l'unica "cosa" che c'è? No, perché ci sarà almeno un'altra "cosa" che è tutto ciò che io non sono... fosse anche il vuoto cosmico in cui sono immerso sognante, oppure un capello che si stacca dal mio corpo, oppure l'aria che respiro, oppure un'altra dimensione in cui non sono nemmeno consapevole di essere, etc.

Comunque, almeno due cose ci sono: l'io e il non-io (intesi nel senso più indeterminato e "aperto" possibile); quindi, persino rispettando il solipsismo più fantasioso e radicale, direi di si, possiamo essere abbastanza certi che "ci sono cose" (il "quante", il "come" e il "cosa" siano, è poi un'altra storia...).

P.s.
La parola "cose" si presterebbe persino anche a considerazioni meno "ontologiche", ma meglio non fare troppo i sofisti  ;)
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 01:02:02 AM
Phil, discutere in questi termini significa dare per scontato che il verbo essere, o esistere, abbia un significato chiaro, mentre invece è proprio esso a non permettere alcuna chiarezza. Se sul verbo essere non abbiamo alcuna chiarezza, che senso ha riflettere su essere contrapposto a non essere, io sono contrapposto a io non sono?
Qualcuno in questo mondo sa spiegarmi cosa significa essere, esistere?
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: epicurus il 27 Febbraio 2018, 11:10:08 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 01:02:02 AM
Qualcuno in questo mondo sa spiegarmi cosa significa essere, esistere?
Provo ad abbozzare una risposta sintetica. "Esistere" significa appartenere al dominio di oggetti presenti in una data teoria (con margini di approssimazione) vera. Dove "teoria (con margini di approssimazione) vera" significa una teoria che racconta (con margini di approssimazione) come stanno le cose. E il come stanno le cose si può accertare in tutta una serie di modi. So questa spiegazione è parziale, ma discuterla oltre aprirebbe un buco nero offtopicoso che inghiottirebbe tutta la discussione.  ;D
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: epicurus il 27 Febbraio 2018, 11:35:13 AM
Citazione di: iano il 25 Febbraio 2018, 00:17:40 AM
cui non crediamo ,
cui crediamo ,
non essendo evidenti ;
cose per le quali la questione di credere o di non credere non sembra porsi , cose per noi evidenti.
Ognuno di noi può suddividere soggettivamente le cose del mondo entro queste due o tre categorie , e credo non ne occorrano altre.
Io adotterei un'altra catalogazione. Innanzitutto la sicurezza con cui noi crediamo qualcosa ha un valore variabile. Per semplificare: possiamo credere debolmente, mediamente e fortemente.

Quindi:
a. ci sono proposizioni che noi crediamo (debolmente, mediamente e fortemente)
b. ci sono proposizioni che noi non crediamo (cioè sulle quali non abbiamo un parere)

Poi, altra dimensione:
a. ci sono credenze che noi riteniamo evidenti
b. ci sono credenze che noi non riteniamo evidenti
c. ci sono credenze che sulle quali abbiamo dei dubbi se siano evidenti o meno

Citazione di: iano il 25 Febbraio 2018, 00:17:40 AMSe anche ci fosse una di queste tre categorie entro la quale tutti gli uomini mettessero le stesse cose , rimane il fatto che ciò deriva da un processo soggettivo di scelta.
Se questa categoria fosse quella delle cose evidenti , ad esempio , non potremmo dire dunque che si tratti di cose oggettive . O no?

Se per "cose oggettive" intendi, in questo contesto, "credenze vere" allora no. Ovviamente potrebbero comunque esserci credenze false. Tuttavia ritengo che, mettendo lo scetticismo radicale da parte, un tale insieme (di credenze forti condiviso da tutti) conterrebbe probabilmente molte verità (ipotizzando un mondo con uomini sufficientemente liberi).
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 27 Febbraio 2018, 18:43:49 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 01:02:02 AM
Phil, discutere in questi termini significa dare per scontato che il verbo essere, o esistere, abbia un significato chiaro, mentre invece è proprio esso a non permettere alcuna chiarezza. Se sul verbo essere non abbiamo alcuna chiarezza, che senso ha riflettere su essere contrapposto a non essere, io sono contrapposto a io non sono?
Qualcuno in questo mondo sa spiegarmi cosa significa essere, esistere?
Sono d'accordo. "Esiste" è una presuppozione forte.
Meglio sostituirlo con "Supponiamo che sia".
In effetti credo che sia proprio così che vadano le cose.
Il problema nasce quando i teoremi che discendono dalle ipotesi risultano così ben funzionali al nostro rapportarci col mondo  , e  così bene per tutti ( questione diversa dal volersi a tutti i costi intruppare) che le ipotesi vengono promosse a realtà.
Così ad esempio si parte dall'ipotesi che esistono particelle , e se il percorso che segue ha successo si arriva alla conclusione che esistono particelle.
Tutto ciò è possibile in quanto stiamo parlando di un percorso diffuso nello spazio e nel tempo e fra diverse generazioni di uomini e che non comporta necessariamente l'uso della coscienza.
Se tutti vediamo sostanzialmente il mondo allo stesso modo è perché ci siamo trovati tutti intruppati senza averlo scelto, e vedere il mondo sostanzialmente tutti allo stesso modo ha i suoi vantaggi,perché diventiamo un tutt'uno capace di agire in sincronismo , perfino indipendentemente da quanto sia acuta la nostra vista. Si sbaglia insieme , ci si corregge insieme e si va avanti insieme.
Inutile aggiungere che è ovvio , quanto sbagliato secondo me , concludere che se tutti vedono le stesse cose allora quelle cose esistono , come se la realtà fosse una questione di democrazia.
Non è quindi che ci si è intruppa , ma ci si trova intruppati , e il fatto di far parte di questo meccanismo ci appare nel momento in cui , per volontà, come fai tu , o per caso , ci si trova fuori dal gregge.
In effetti il gregge in se' non è negativo . Ciò che al massimo può essere considerato negativo è non averne coscienza.Se non hai questa coscienza non puoi decidere di uscirne fuori e uscirne fuori ha i suoi pro , come ho detto, e i suoi contro. Io per natura , ma non per vanto, fuggo i greggi.

Ma ora arriva il passo cruciale.
Se noi , a causa di questo processo di "formazione" della realtà , siamo certi dell'esistenza delle particelle , e poi scopriamo che queste a volte non si comportano da brave particelle , ma come onde (fisica quantistica ) allora il nostro senso di realtà va' in tilt.
Ma il vero motivo per cui va in tilt è perché noi crediamo che esistano le particelle e che si comportano così è cosa'.
Così per ricucire questo strappo nella tela della realtà che noi stessi abbiamo tessuto , senza sapere di farlo , ci inventiamo la natura duale particella onda .
Se però prendiamo coscienza che parliamo di ipotesi , allora le cose diventano forse meno affascinanti , ma anche meno assurde.
Basta ipotizzare qualcosa che a seconda dei contesti si presenta in diverse forme.
A volte come una particella e a volte come un onda.
Non possiamo quindi ipotizzare che sia una particella ne' un onda,e ancor meno quindi una particella onda.
Dobbiamo quindi ipotizzare altro , un qualcosa d'altro che non fa' ancora parte del quadro (fittizio ma utile)  che ci siamo fatti finora della realtà .
Essere e realtà sono dunque sinonimi di fatto e valgono quel che valgono.
P.S. Anche se non ho postato Epicurus penso qui di aver risposto anche a lui😊
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 27 Febbraio 2018, 19:31:10 PM
Citazione di: Phil il 26 Febbraio 2018, 17:15:46 PM
"Ci sono cose" mi pare una frase piuttosto indubitabile, soprattutto grazie alla vaghezza della parola "cose": posso dubitare dell'affermazione "io esisto" (come direbbe Cartesio) ovvero "io ci sono", qualunque "cosa" io sia?
Se così fosse, allora dovremmo considerare possibile il "io non esisto/non ci sono", che è palese non-senso: se non esisto, difficilmente posso pensare qualcosa, fosse anche di non esistere...
Quindi c'è almeno una "cosa", che è ciò che sono (anzi, distinguendo ciò che sono dalla vocina che sento in testa ;D , siamo già in due, ma concediamoci di dubitare pure di questa dualità...).

A questo punto posso pensare di essere l'unica "cosa" che c'è? No, perché ci sarà almeno un'altra "cosa" che è tutto ciò che io non sono... fosse anche il vuoto cosmico in cui sono immerso sognante, oppure un capello che si stacca dal mio corpo, oppure l'aria che respiro, oppure un'altra dimensione in cui non sono nemmeno consapevole di essere, etc.

Comunque, almeno due cose ci sono: l'io e il non-io (intesi nel senso più indeterminato e "aperto" possibile); quindi, persino rispettando il solipsismo più fantasioso e radicale, direi di si, possiamo essere abbastanza certi che "ci sono cose" (il "quante", il "come" e il "cosa" siano, è poi un'altra storia...).

P.s.
La parola "cose" si presterebbe persino anche a considerazioni meno "ontologiche", ma meglio non fare troppo i sofisti  ;)
Se ci sono io , allora ci sono cose che non sono io.
Un teorema breve e conciso, che non comporta necessariamente che ci siano cose.
Ma , se cose,esistono davvero , il teorema ci dice che io e quelle cose siamo fatti della stessa sostanza, o no? 😄
Se ci sono io allora c"è qualcosa che sia un capello o un crine di cavallo.😅
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Phil il 27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
Citazione di: iano il 27 Febbraio 2018, 19:31:10 PM
Se ci sono io , allora ci sono cose che non sono io.
Un teorema breve e conciso, che non comporta necessariamente che ci siano cose.
Certo, alludevo infatti alla diade minima dell'ontologia: "io" e "non-io", le due "cose" (parola di cui "cavalcavo" la vaghezza ;) ) di cui non posso dubitare a cuor leggero; salvo, appunto, ritenere che forse non sto esistendo in nessun modo (!) o che sono l'unico ente ad esistere (?!).
Se per "cose" intendiamo invece una serie di oggetti esterni autonomi dal mio pensarli, allora ci imbattiamo nell'atavica diatriba fra realismo e idealismo, che potremmo inasprire ulteriormente condendola con una spolverata "orientale" di considerazioni buddiste sulla "convenzionalità"  ;)

Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 01:02:02 AM
Qualcuno in questo mondo sa spiegarmi cosa significa essere, esistere?
Così al volo, pensando al senso in cui lo intendo (ma forse non solo io), direi che essere-esistere significa avere una connotazione spazio-temporale: per l'uomo esiste tutto ciò che egli riesce a collocare in uno spazio e/o in un tempo... non solo in senso percettivo (sensazioni, percezioni, etc.), ma anche "interiore": se penso ad un'idea astratta (all'anima, a una chimera, a me in decomposizione fra 100 anni, etc.), quella idea ha comunque una connotazione temporale, ovvero il momento in cui la penso, e spaziale, essendo (apparentemente) "localizzata" nella mia mente (o nella vocina che la abita  ;D ).

Per questo il prospettivismo è, secondo me, un buon punto di partenza per riflettere sull'esistenza: se domani farai una lista della spesa, per me, quella lista della spesa non esisterà; almeno finché non entrerà nella mia prospettiva in un qualche modo. Tuttavia, ora che ne parlo, esiste già, seppur solo come ipotesi... per cui dovremmo, a questo punto, iniziare a distinguere fra i vari tipi (o piani) di esistenza, disambiguando i possibili sensi a cui si riferisce "cose"  ;)
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Il verbo essere/esistere non può essere spiegato e le ragioni di ciò possono essere considerate in tante maniere.

Se ad esempio consideriamo la definizione proposta da epicurus (esistere significa appartenere al dominio di oggetti presenti in una data teoria, con margini di approssimazione, vera), veniamo semplicemente ricondotti al soggetto di qualsiasi frase. Infatti il modo più semplice di esprimere una teoria è esprimere una frase qualsiasi. Ad esempio "i cavalli volano" è una teoria, che per avere un soggetto esistente come soggetto non ha neanche bisogno di essere vera: infatti, anche se pensiamo che i cavalli volanti non esistono nella realtà, come minimo esistono in quella frase sotto forma di soggetto di quella frase. In questo senso perfino il negare l'esistenza di alcunché si trasforma, almeno come formalità grammaticale, nel suo opposto, cioè nell'affermarla. Cioè, se dico "i cavalli volanti non esistono", proprio dicendo ciò li ho portati all'esistenza, come minimo come soggetto di quella frase. Da tutto ciò segue, come avevo detto, che la definizione di epicurus riconduce al soggetto di qualsiasi frase; il problema è che qualsiasi soggetto non può essere spiegato senza ricorrere al verbo essere. epicurus nella sua definizione ha fatto in modo di non ricorrervi perché ha usato il verbo "significare"; ma non sarebbe difficile mostrare che, per capire cosa significa il verbo "significare", dovremmo risalire al verbo essere, il quale rinvia al soggetto, il quale rinvia al verbo essere. In altre parole, il verbo essere è il verbo più radicale di tutti, più fondamentale, più basilare, e per questo non è possibile individuare termini più elementari di esso che siano in grado di darne spiegazione. Ancora peggio se, invece di tentare di spiegarlo con termini più elementari, ricorriamo invece a termini più complessi, che in realtà, piuttosto che essere essi spiegazione del verbo essere, si basano su di esso per poter essere spiegati.

Da qui possiamo passare ad una seconda ragione per cui è impossibile spiegare il verbo essere: perché, ammesso che se ne trovi una spiegazione qualsiasi, questa spiegazione avrebbe a sua volta bisogno di essere spiegata e così all'infinito.

La spiegazione data da Phil permette di far luce su un terzo motivo per cui non è possibile spiegare il verbo essere: le nozioni di spazio e tempo sono nozioni esperienziali e difatti non è difficile renderci conto che il verbo essere è nato per descrivere l'esperienza umana. Ma l'esperienza umana non è nata come riflessione, è nata come semplice esperienza, accompagnata da linguaggi utili a comunicare. Il problema quindi è che la filosofia, con le sue esigenze severissime, si trova in realtà a doversi servire del linguaggio umano, il quale non è nato con tutta questa severità. In questo senso il verbo essere non può essere definito perché non è nato con intenzioni di assoluta precisione, come esige la filosofia, ma per scopi semplicemente pratici e quindi intriso di approssimazione e mancanza di chiarezze teoretiche. Ciò mi sembra in fondo corrispondere a ciò che ha detto iano parlando di onde e particelle.

In realtà, che il verbo essere non possa essere definito, è stato già in vari modi sostenuto, più o meno implicitamente, da molta filosofia: cos'hanno sostenuto i sofisti se non l'impossibilità di definire alcunché? Ritengo che il culmine sia stato raggiunto da Heidegger, nel sostenere che non esiste l'essere; l'unica cosa di cui ha più senso parlare è l'essere in quanto esserci, l'esserci nostro, il nostro essere nel mondo. In altre parole, Heidegger ci ha fatto capire che non possiamo definire l'essere perché, trovandoci interamente coinvolti in esso, non abbiamo alcuna alcuna possibilità di distanziarci da esso per poterlo definire. Qualsiasi definizione di essere non può fare a meno di essere viziata, condizionata, inquinata, da sé stessa, dal proprio stesso esistere.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
@phil.
Dal semplice,teoremino, se "esisto io allora esistono cose" ho derivato che io e non io sono fatti della,stessa sostanza.
Questo è il punto che vorrei sottolineare.
Io posso anche abbracciare liberamente la credenza che esisto , e infatti lo faccio , e che quindi esiste un mondo oltre me.
Ma quello che il teorema ci dice è che è illusorio pensare alla esistenza di un sasso come cosa solida e concreta , qualcosa di indubitabilmente reale ,e a me come qualcosa di problematico ricettacolo di ogni dubbio.
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.
Esistono poi altri livelli , dove il teorema non ha più potere, dove io e il sasso potremmo essere cose totalmente diverse, ma ai quali non possiamo avere accesso attraverso la pura logica che governa il teoremino.
Il problema nasce quando , forse inevitabilmente , confondiamo i due livelli , fisici e metafisici.
Tenendoci al livello basso , dove l'essere è una pura ipotesi , "supponiamo che sia" , ci togliamo da questi problemi.
Usando nel modo usuale il verbo essere in effetti mischiamo fisica e metafisica , e questo fino a un certo punto può essere accettabile l e di fatto lo accettiamo.
Ma prima o poi le contraddizioni saltano fuori , e quando saltano fuori , bisogna fare un passo indietro e specificare a che livello si discute.
Sulla problematicità del verbo essere Angelo ha dunque ragione , ma non c'è da farne un dramma.
Se un sasso , al livello sicuro a cui ci teniamo , è una ipotesi  , quando nascono problemi non c'è da fare drammi , ma solo da aggiustare l'ipotesi.
Il punto è che noi non abbiamo la coscienza di aver fatto questa ipotesi , e i sassi , siano quel che siano , noi li abbiamo ereditati già belli e fatti , quindi per noi i sassi SONO sassi e non c'è altro da dire , almeno finché si comportano da baravi sassi , secondo l'allegato manuale d'uso.
Scherzando sintetizzerei la questione citando Paolo Conte.
Da adulti sbagliamo da professionisti, mentre sono molto più concreti i bambini quando giocano a
"facciamo che io ero" . 😬
Come ci ricordano i bambini l'esistenza è un gioco.
C'è lo ricordano perché noi una volta lo sapevamo.😊
Allora,se proviamo a tornare bambini ci apparirà chiaro che la realtà nasce dall'immedesimazione in un gioco  che non si sa di star giocando.
Perché non lo abbiamo iniziato noi quel gioco , e non abbiamo neanche deciso di giocarlo , ma ci siamo semplicemente trovati dentro al gioco.
Se però decidiamo di giocare quel gioco le regole le detta la scienza , anche se non sempre sono chiarissime perché sporcate umanamente sempre di metafisica.
Così si parte col piede giusto , con un "facciamo che io ero un re" , ma poi i giochi si confondono , e si finisce con "io sono un re".😅
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 28 Febbraio 2018, 08:35:10 AM
CitazioneIano:

Se ci sono io , allora ci sono cose che non sono io.
Un teorema breve e conciso, che non comporta necessariamente che ci siano cose.
Ma , se cose,esistono davvero , il teorema ci dice che io e quelle cose siamo fatti della stessa sostanza, o no? 😄
Se ci sono io allora c"è qualcosa che sia un capello o un crine di cavallo.😅


Sgiombo:

Il ragionamento "non fila".

Confonde "essere" nel senso di "essere intenso concettualmente", "essere pensato", essere oggetto di (possibile) pensiero", o semplicemente di "essere un concetto, una nozione, qualcosa di pensabile a prescindere dalla realtà (che sia pure reale come ente od evento indipendentemente dall' eventuale fatto che, inoltre, sia pure oggetto di pensiero o meno) da una parte ed essere reale, accadere realmente (che accada pure realmente o meno che lo si pensi) dall' altra.

Se c' é il concetto di "io", allora non può non esserci anche il concetto di "altro da me", dal momento che i concetti sono relativi, si definiscono l' un l' altro attraverso relazioni intercorrenti fra di essi, reciprocamente.
Nel senso che la realtà del concetto di "io" si esaurisce nell' essere pensato (pensabile), e che non é pensabile se non in quanto diverso e contrario dal concetto di "altro da me": "omnis determinatio est negatio" (Spinoza).
Ma queste considerazioni non si possono correttamente estendere e applicare alla (eventuale) realtà dell' io, al fatto reale che io esista (divenga) o meno (che qualcuno inoltre pensi il concetto di "io" oppure no): nulla logicamente vieta l' ipotesi, non autocontraddittoria (che dunque é del tutto possibile in quanto tale), che realmente esista - accada solo io e nient' altro.

Dunque:
Se penso (il concetto di) "io", allora necessariamente non posso non pensare anche il (non avere più o meno implicitamente nozione del) concetto di "non io".
Ma se realmente é - accade l' esistenza dell' "io", allora non necessaiamente é - accade realmente anche l' esistenza del "non io".
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 28 Febbraio 2018, 08:51:43 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Il verbo essere/esistere non può essere spiegato e le ragioni di ciò possono essere considerate in tante maniere.

Se ad esempio consideriamo la definizione proposta da epicurus (esistere significa appartenere al dominio di oggetti presenti in una data teoria, con margini di approssimazione, vera), veniamo semplicemente ricondotti al soggetto di qualsiasi frase. Infatti il modo più semplice di esprimere una teoria è esprimere una frase qualsiasi. Ad esempio "i cavalli volano" è una teoria, che per avere un soggetto esistente come soggetto non ha neanche bisogno di essere vera: infatti, anche se pensiamo che i cavalli volanti non esistono nella realtà, come minimo esistono in quella frase sotto forma di soggetto di quella frase. In questo senso perfino il negare l'esistenza di alcunché si trasforma, almeno come formalità grammaticale, nel suo opposto, cioè nell'affermarla. Cioè, se dico "i cavalli volanti non esistono", proprio dicendo ciò li ho portati all'esistenza, come minimo come soggetto di quella frase. Da tutto ciò segue, come avevo detto, che la definizione di epicurus riconduce al soggetto di qualsiasi frase; il problema è che qualsiasi soggetto non può essere spiegato senza ricorrere al verbo essere. epicurus nella sua definizione ha fatto in modo di non ricorrervi perché ha usato il verbo "significare"; ma non sarebbe difficile mostrare che, per capire cosa significa il verbo "significare", dovremmo risalire al verbo essere, il quale rinvia al soggetto, il quale rinvia al verbo essere. In altre parole, il verbo essere è il verbo più radicale di tutti, più fondamentale, più basilare, e per questo non è possibile individuare termini più elementari di esso che siano in grado di darne spiegazione. Ancora peggio se, invece di tentare di spiegarlo con termini più elementari, ricorriamo invece a termini più complessi, che in realtà, piuttosto che essere essi spiegazione del verbo essere, si basano su di esso per poter essere spiegati.

Da qui possiamo passare ad una seconda ragione per cui è impossibile spiegare il verbo essere: perché, ammesso che se ne trovi una spiegazione qualsiasi, questa spiegazione avrebbe a sua volta bisogno di essere spiegata e così all'infinito.

CitazioneConcordo.

Secondo me il tentativo di spiegazione di Epicurus non é che una definizione, ovvero l' uso di un sinonimo (o espressione sinonimica), che semplicemente ribadisce  od esprime in altro modo il medesimo concetto).

Che cosa sia l' esistenza, la realtà (ma anche le eventuali denotazioni reali connotate da altri concetti) non é spiegabile se non in questo modo: se ne può solo avere la nozione in mente e cercare di evocare un' analoga nozione in altri attraverso parole che la descrivono, mettendola in relazione con altri concetti e con cose (indimostrabilmente postulabili essere) intersoggettivamente esperibili, ma che non ci possono dire in assoluto, "di per se" che cosa sia (questo semplicemente, immediatamente lo sentiamo dentro di noi, se pensiamo sensatamente; avverbio pleonastico).


AneloCannata:

La spiegazione data da Phil permette di far luce su un terzo motivo per cui non è possibile spiegare il verbo essere: le nozioni di spazio e tempo sono nozioni esperienziali e difatti non è difficile renderci conto che il verbo essere è nato per descrivere l'esperienza umana. Ma l'esperienza umana non è nata come riflessione, è nata come semplice esperienza, accompagnata da linguaggi utili a comunicare. Il problema quindi è che la filosofia, con le sue esigenze severissime, si trova in realtà a doversi servire del linguaggio umano, il quale non è nato con tutta questa severità.
Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Citazione
Sgiombo:

Ciò non toglie che si possa (e a mio parere si debba, almeno in sede filosofica) procedere ad affinare e "disambiguare" i concetti (compresi, e direi anzi soprattutto, quelli di "essere", accadere", "realtà", ecc.), anche se questi inevitabilmente rimarranno relativi, reciprocamente (per così dire "circolarmente") definentisi gli uni con gli altri attraverso relazioni -concettuali; aggettivo pleonastico- reciproche: "omnis determinatio est neatio" (Spinoza).
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:13:02 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Il verbo essere/esistere non può essere spiegato
La poni già come una conclusione indubitabile?  ;D
Sostenere che "il verbo essere/esistere non può essere spiegato"(corsivi miei) non è un'autoreferenza piuttosto oscura, in cui si usa ("non può essere" dici) proprio ciò che si ritiene inspiegabile (il verbo "essere")?

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Da qui possiamo passare ad una seconda ragione per cui è impossibile spiegare il verbo essere: perché, ammesso che se ne trovi una spiegazione qualsiasi, questa spiegazione avrebbe a sua volta bisogno di essere spiegata e così all'infinito.
Ogni definizione essendo convenzionale (arbitraria) può essere problematizzata mettendo in discussione gli assunti su cui si basa. Ciò non vale quindi solo per il povero verbo "essere" ;); anzi, vale ancora di più per le parole o i verbi che presuppongono il verbo essere (che, difficile non concordare, non è certo un verbo qualsiasi...).
Eppure abbiamo bisogno di usare un linguaggio, e per usarlo dobbiamo accettarne le definizioni (pur lasciandole diacronicamente modificabili, come direbbe De Saussure).
La "fruibilità" di una definizione viene messa alla prova dal suo utilizzo pragmatico: prova ad usare la definizione che ti ho proposto, se la accetti, incappi in fraintendimenti, aporie, ambiguità, oppure funziona?
Mettiamola pure in discussione (siamo qui per questo  :) ), ma mentre lo facciamo o smettiamo di usare il verbo "essere" (se è vero che non riusciamo a definirlo, e usare parole indefinite non giova certo alla comprensione) oppure ne proponiamo un'altra più "spendibile".


Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
La spiegazione data da Phil permette di far luce su un terzo motivo per cui non è possibile spiegare il verbo essere: le nozioni di spazio e tempo sono nozioni esperienziali e difatti non è difficile renderci conto che il verbo essere è nato per descrivere l'esperienza umana. Ma l'esperienza umana non è nata come riflessione, è nata come semplice esperienza, accompagnata da linguaggi utili a comunicare.
Il fatto che una definizione sia basata su "nozioni esperienziali" è davvero un difetto per la definizione stessa? Se devo definire significati difficili da ingabbiare in spiegazioni, come il dolore, l'amore, o altro, non giova proprio far appello all'esperienza?
Secondo me, l'avere radici esperibili rende una definizione ancora più salda e attendibile (prevenendo sterile astrattismo definitorio).

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Il problema quindi è che la filosofia, con le sue esigenze severissime, si trova in realtà a doversi servire del linguaggio umano, il quale non è nato con tutta questa severità.
Inevitabilmente la filosofia usa il linguaggio umano (non mi pare un "problema", tutte le discipline fondano i loro linguaggio specifici su quello umano, se per "umano", intendi "comune"...).

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
In questo senso il verbo essere non può essere definito perché non è nato con intenzioni di assoluta precisione, come esige la filosofia, ma per scopi semplicemente pratici e quindi intriso di approssimazione e mancanza di chiarezze teoretiche.
Non confonderei la semplice riscontrabilità, l'intuitività, la funzionalità diffusa, con l'approssimazione e la mancanza di chiarezza. Ripensa ancora ad alcune delle definizioni che trovi in giro (per non citare sempre solo la mia  ;D ), alcune definiscono abbastanza chiaramente il verbo essere (non sempre una definizione deve essere stringente o rigida, la forza della lingua è proprio la sua controllata versatilità semantica!).

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
In realtà, che il verbo essere non possa essere definito, è stato già in vari modi sostenuto, più o meno implicitamente, da molta filosofia: cos'hanno sostenuto i sofisti se non l'impossibilità di definire alcunché? Ritengo che il culmine sia stato raggiunto da Heidegger, nel sostenere che non esiste l'essere; l'unica cosa di cui ha più senso parlare è l'essere in quanto esserci, l'esserci nostro, il nostro essere nel mondo. In altre parole, Heidegger ci ha fatto capire che non possiamo definire l'essere perché, trovandoci interamente coinvolti in esso, non abbiamo alcuna alcuna possibilità di distanziarci da esso per poterlo definire. Qualsiasi definizione di essere non può fare a meno di essere viziata, condizionata, inquinata, da sé stessa, dal proprio stesso esistere.
Vogliamo emancipare il linguaggio dal verbo essere? Si può fare... ma useremo pur sempre un linguaggio convenzionale in cui si porrà l'inaggirabile problema di come fondare le definizioni (se si esclude la convenzione stessa che le fonda, dubitandone  ;) ). A questo punto il linguaggio va in stallo autoreferenziale: possiamo usare il linguaggio per criticare se stesso e possiamo anche produrre un linguaggio differente, ma si tratta comundi condividerne le definizioni con le persone con cui lo usiamo.
Tu, quando usi il verbi essere, a cosa ti riferisci? Qual'è l'effetto filosofico collaterale di intendere il verbo essere in quel modo? Puoi ritoccare la definizione per renderla meno inibitoria o confusa?

Su Heidegger farei molta attenzione: è ancora sul terreno metafisico, seppur "in fuorigioco", e la sua analitica dell'Essere (occhio alla maiuscola!) sfocia in un linguaggio poetante di difficile fruizione; non mi pare sia un buon esempio della fertilità della critica al verbo essere... che l'essere sia sempre un esserci aiuta forse a definire meglio l'essere, ma si tratta pur sempre di definirlo (concettualmente) prima di usarlo (semanticamente), il che presuppone che l'indefinibilità che postuli sia solo apparente.

Puoi citare altri nomi (Korzibski, Frege o alcuni analitici di oltre oceano), e comunque scommetto troverai una critica che è rivolta all'uso attento della parola, ma che non destituisce la sua funzione semantica, basata sulla sua definizione (almeno nelle lingue che la usano e che strutturano le loro filosofie usando quelle lingue... il che non toglie che alcune lingue possano farne a meno).

P.s.
Se chiedi la spiegazione di "cosa significa essere-esistere", e poi sostieni che non ti fidi perché la definizione si basa sull'arbitrarietà, vuol dire che era una giocosa domanda-trabocchetto, perché ogni definizione linguistica è inevitabilmente convenzionale; tuttavia, in fondo, se non accettiamo tali convenzioni non abbiamo un linguaggio da usare (né da modificare).
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
@phil.
Dal semplice,teoremino, se "esisto io allora esistono cose" ho derivato che io e non io sono fatti della,stessa sostanza.
Non capisco... fuoco e non-fuoco sono fatti dalla stessa sostanza? Se esisto io è semmai probabile che ci siano cose sostanzialmente differenti da me...
Intendi "sostanza" come "parolaccia metafisica"  ;D ?

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.
Infatti
Citazione di: Phil il 27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
Se per "cose" intendiamo invece una serie di oggetti esterni autonomi dal mio pensarli, allora ci imbattiamo nell'atavica diatriba fra realismo e idealismo, che potremmo inasprire ulteriormente condendola con una spolverata "orientale" di considerazioni buddiste sulla "convenzionalità"  ;)

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Ma prima o poi le contraddizioni saltano fuori , e quando saltano fuori , bisogna fare un passo indietro e specificare a che livello si discute.
Sottoscrivo:
Citazione di: Phil il 27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
dovremmo, a questo punto, iniziare a distinguere fra i vari tipi (o piani) di esistenza, disambiguando i possibili sensi

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Scherzando sintetizzerei la questione citando Paolo Conte.
Da adulti sbagliamo da professionisti, mentre sono molto più concreti i bambini quando giocano a 
"facciamo che io ero" . 😬
Come ci ricordano i bambini l'esistenza è un gioco.
C'è lo ricordano perché noi una volta lo sapevamo.😊
Allora,se proviamo a tornare bambini ci apparirà chiaro che la realtà nasce dall'immedesimazione in un gioco  che non si sa di star giocando.
Perché non lo abbiamo iniziato noi quel gioco , e non abbiamo neanche deciso di giocarlo , ma ci siamo semplicemente trovati dentro al gioco.
Eppure la consapevolezza di quel gioco è un traguardo filosofico importante, che rende uomo il bambino (e non è detto si viva meglio  ;D ).

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Se però decidiamo di giocare quel gioco le regole le detta la scienza , anche se non sempre sono chiarissime perché sporcate umanamente sempre di metafisica.
La filosofia della scienza è infatti chiamata, nei limiti del possibile, a fare da "lavatrice della scienza"  ;D
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 01 Marzo 2018, 08:25:39 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:13:02 PMLa poni già come una conclusione indubitabile?  ;D
Sostenere che "il verbo essere/esistere non può essere spiegato"(corsivi miei) non è un'autoreferenza piuttosto oscura, in cui si usa ("non può essere" dici) proprio ciò che si ritiene inspiegabile (il verbo "essere")?

Penso che qui ci sia un punto cruciale interessante.

Ultimamente mi sta sembrando che il relativismo non sia in realtà una posizione a sé stante, ma punto di arrivo inevitabile, quindi certo, di chi parte dalla certezza.
Per chiarire ciò sarà utile osservare che parlare di essere in un senso filosofico fondamentale, insomma sulla linea di Parmenide, o di Aristotele, implica il parlarne in un contesto di certezza e di universalità: l'essere non può essere tale se non è certo e se non è universale, cioè oggettivo, valido per tutti, indipendente da chi lo prende in considerazione.

Ora, è proprio questa posizione a portare al dubbio relativista e la cosa che trovo più interessante è che, quando si giunge al dubbio, siccome vi si è giunti partendo dalla certezza, si giunge al dubbio quando ancora ci si sta muovendo nell'ambito della certezza, cioè prima di diventare relativisti. Significa che si giunge alla conclusione che è certo che tutto è incerto. Questo ovviamente non può non suonare paradossale, contraddittorio, ma viene ad essere dimostrazione certa della paradossalità di chi intenda muoversi nell'ambito della certezza.

In questo senso, il procedimento è inverso a quello che Cartesio pensava di aver individuato. Cartesio partì dal dubbio metodico per guadagnare, proprio attraverso di esso, una certezza indubitabile (Cogito, ergo sum, anzi, meglio, direi Dubito ergo sum, Dubito quindi posso ottenere una certezza). Ma non esiste dubbio se prima non si ha alcuna certezza, almeno ipotizzata come tale, poiché mancherebbe l'oggetto del dubitare. Quindi il modo di procedere più corrispondente a come ci risulta che le cose siano andate nella storia del pensiero è il modo inverso: si parte dalla certezza per giungere a prendere atto che essa è autocontraddittoria, conduce al paradosso, il che significa certezza che la certezza è paradossale.

Andiamo in dettaglio a come procedono le cose e partiamo dall'essere.

Questa discussione porta il titolo "Ci sono cose".

In astratto possiamo considerarlo simile nient'altro che all'affermazione di Parmenide: l'essere è.

Come ho detto sopra, se l'essere è, è necessario che sia certo. Non può avere senso parlare dell'essere in un senso fondamentale, base e pilastro di ogni altro discorso, se l'essere non potesse godere di certezza.

Allo stesso modo, l'essere dev'essere necessariamente universale.

Ma se è universale, esso deve fare i conti con ogni tipo di esistenza.

In particolare, deve fare i conti con l'esistenza di chi lo sta pensando. Non ci sono ragioni che ci consentano di ignorare a priori questo fatto. Semmai, esso potrà essere ignorato soltanto dopo aver acquisito certezza che esso possa effettivamente essere ignorato, certezza della sua irrilevanza. Ma prima dobbiamo prenderlo in considerazione, per vedere se può essere davvero ignorato.

Il fatto in questione è il seguente: noi non possiamo considerare l'essere se non come pensato da noi. Questo è ciò di cui ho detto diverse volte in passato che è il punto cruciale che invece la metafisica trascura: il fare i conti con il soggetto, cioè il pensante.

Fare i conti con il soggetto pensante significa osservare che per noi umani è impossibile parlare di ciò di cui non stiamo parlando, è impossibile pensare ciò che non stiamo pensando.

Ciò viene trascurato da coloro che dicono che le cose esistono anche quando non pensiamo ad esse: essi non si accorgono che, per poterne parlare adesso, è indispensabile parlarne adesso. Cioè, se anche nel futuro ci sarà un momento in cui una pietra esisterà senza essere pensata da nessuno, il problema è che noi, per poter pensare alla pietra non pensata da nessuno, abbiamo dovuto pensarla. Cioè, viene a risultare umanamente impossibile pensare ad una pietra, pensare al momento in cui nel futuro non sarà pensata da nessuno, senza prima farla rientrare nel gruppo delle cose pensate nel presente da noi. È umanamente impossibile pensare l'essere indipendente dal soggetto senza prima trasformarlo in essere dipendente dal soggetto. È impossibile pensare all'impensato (la pietra che nel futuro non sarà pensata da nessuno) senza trasformarlo in essere pensato. Si potrebbe obiettare: "Sì, ora è un essere pensato, ma tra cinque minuti, quando io non ci penserò, sarà un essere non pensato!". Risposta: il problema non è della pietra, il problema non è se la pietra riesce ad esistere senza bisogno che noi la pensiamo; il problema è nostro: il problema è che noi non abbiamo modo di pensare al momento in cui essa non sarà pensata senza trasformarlo in momento in cui essa viene pensata. Quindi la pietra magari esisterà effettivamente quando nessuno penserà ad essa, ma a noi è stato comunque impossibile pensare a tale stato di pietra non pensata senza trasformarlo in stato di pietra pensata. Per poter pensare ad una pietra non pensata siamo costretti inevitabilmente a trasformarla in pietra pensata. La pietra non ha bisogno di essere pensata per esistere, ma noi abbiamo bisogno di pensarla per poter pensare alla sua esistenza non pensata.
Ora il problema è questo: se per pensarla siamo costretti a pensarla, come possiamo affermare di star parlando della pietra non pensata? Si potrebbe obiettare: pensata nel presente, ma non pensata nel futuro. L'obiezione però rimane: come possiamo sapere cosa significa "pietra non pensata", anche se riferita al futuro, se per parlarne siamo costretti a pensarla, almeno nel presente? Siamo costretti a concludere che quando parliamo di pietra non pensata non sappiamo di cosa stiamo parlando.
Per parlare di essere indipendente siamo costretti a trasformarlo in essere dipendente dal nostro pensarlo. Non ci è possibile avere idea alcuna dell'essere non pensato, perché non possiamo parlare di esso senza trasformarlo in essere pensato.

La cosa interessante è che fin qui non siamo ancora nel relativismo: ci stiamo pur sempre muovendo nel campo della certezza.
Questo è ciò che mi sta sembrando certo: è certo che la certezza è paradosso, l'essere è paradosso.
La certezza può non apparire paradosso soltanto a chi non ne considera queste conseguenze, cioè soltanto a chi la considera in modo non ben considerato.
Lo stesso vale per l'essere: pensare l'essere non può non risultare paradossale a chi lo pensa senza trascurare le conseguenze dell'averlo pensato.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 01 Marzo 2018, 08:53:30 AM
@Angelo.
Ok Angelo , ma se invece di partire dalla certezza , parti dall'ipotesi , non diventa tutto più semplice?
In fondo una ipotesi equivale a fingere una certezza , e quindi tutto il tuo discorso , che condivido , lo si può ripetere in questi nuovi termini.
È vero però che le cose di solito vanno come dici tu.
Si parte , convinti , da una certezza , quindi si giunge a un paradosso , la terra ci manca sotto i piedi e andiamo in crisi , e vai di camomilla ed antidepressivi.😅
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 01 Marzo 2018, 09:01:29 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
@phil.
Dal semplice,teoremino, se "esisto io allora esistono cose" ho derivato che io e non io sono fatti della,stessa sostanza.
Non capisco... fuoco e non-fuoco sono fatti dalla stessa sostanza? Se esisto io è semmai probabile che ci siano cose sostanzialmente differenti da me...
Intendi "sostanza" come "parolaccia metafisica"  ;D ?

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.






Si , la stessa sostanza "mentale ".
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 01 Marzo 2018, 10:40:07 AM
Qualcuno potrebbe obiettare a ciò che ho scritto: "Ma io in questo momento non sto pensando alla pietra da me pensata nel presente; ciò che sto pensado è solo ed esclusivamente la pietra che nel futuro non sarà pensata da nessuno: è essa e solo essa l'oggetto del mio pensiero presente".
Questo però farebbe nascere la domanda: chi mi assicura che una pietra che non sia mai stata pensata da nessuno è uguale ad una pietra pensata? Non sarebbe difficile dare una risposta certa: quella pensata da nessuno è uguale a quella pensata proprio perché l'essere è indipendente, abbiamo stabilito di pensarlo indipendente.
Però, a proposito dell'averlo pensato indipendente, si pone lo stesso problema della pietra: come facciamo a stabilire che il pensare un oggetto come indipendente possa essere ritenuto un pensiero indipendente, cioè certo, concepibile come certo, una volta che è umanamente impossibile pensare a tale pensiero senza pensarlo, quindi senza trasformarlo in pensiero non più indipendente dal nostro pensare?
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 01 Marzo 2018, 11:30:07 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2018, 08:25:39 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:13:02 PMLa poni già come una conclusione indubitabile?  ;D
Sostenere che "il verbo essere/esistere non può essere spiegato"(corsivi miei) non è un'autoreferenza piuttosto oscura, in cui si usa ("non può essere" dici) proprio ciò che si ritiene inspiegabile (il verbo "essere")?

Penso che qui ci sia un punto cruciale interessante.

Ultimamente mi sta sembrando che il relativismo non sia in realtà una posizione a sé stante, ma punto di arrivo inevitabile, quindi certo, di chi parte dalla certezza.

CitazioneConcordo se per "relativismo" intendi la consapevolezza razionalistica che qualsiasi conoscenza é inevitabilmente relativa in quanto (per definizione é) predicazione circa la realtà di concetti che la descrivono essere così come (almeno in parte) é o non essere così come (almeno in parte) non é; dal momento che ogni predicazione non é che l' intendere concetti in determinate relazioni reciproche e ogni concetto non é ciò che é se non in quanto definito attraverso determinate relazioni reciproche fra altri concetti.
E inoltre se lo intendi come la consapevolezza scettica dell' incertezza insuperabile di qualsiasi (eventuale) conoscenza (corollario: "razionalismo" e "scetticismo" mi sembrano concetti più adeguati ad intendere queste convinzioni sulle quali concordo, meglio "calzanti" almeno secondo il mio soggettivo modo di vedere la cosa).


Dissento completamente se per "relativismo" intendi, come da parte di non pochi accade di fatto (e aggiungo:) a quanto pare (come "precauzione scettica – razionalistica"), che esisterebbero più "verità" reciprocamente contraddittorie (N.B.: e non: diverse ma reciprocamente compatibili, logicamente coerenti nel loro insieme, cioè "complementari") tutte ugualmente valide oggettivamente come tali (=ugualmente vere oggettivamente, e indiscriminatamente interscambiabili secondo qualsiasi "ghiribizzo", o pregiudizio, o arbitraria preferenza soggettiva).
Questo (quanto ho evidenziato qui sopra in grassetto) é palesemente autocontraddittorio, senza senso: non propriamente frasi o proposizioni, ma mere casuali, insignificanti sequenze di caratteri tipografici.



Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2018, 08:25:39 AMPer chiarire ciò sarà utile osservare che parlare di essere in un senso filosofico fondamentale, insomma sulla linea di Parmenide, o di Aristotele, implica il parlarne in un contesto di certezza e di universalità: l'essere non può essere tale se non è certo e se non è universale, cioè oggettivo, valido per tutti, indipendente da chi lo prende in considerazione.
CitazioneQui bisognerebbe fare una precisazione.
Il concetto di "essere" é molto ampio e vago (molto più ad esempio di quello di "esistere o accadere realmente"), ed implica anche l' "essere (in quanto mero) contenuto di considerazione teorica, supposizione, credenza, dubbio, pensiero, ecc.".
E ciò che é in quanto mero contenuto di considerazione teorica, contrariamente a ciò che é in quanto realmente esiste o accade (che inoltre lo si pensi in qualche modo o meno), non necessariamente è universale, oggettivo, valido per tutti: se realmente penso agli ippogrifi, allora i miei beneamati ippogrifi (colgo l' occasione per salutare cordialmente Maral!) sono fatti ben reali come connotazioni di un concetto che ben realmente accade nell' ambito del mio pensiero, anche se non sono oggettivamente reali come denotati effettivamente esistenti (contrariamente ai cavalli) di ciò che comunque realissimamente penso (se lo penso: "precauzione scettica – razionalistica"); id est: il fatto del mio pensare gli ippogrifi, i concetti di "ippogrifi" da me pensati sono realissimi, oggettivi, valido per chiunque compia le osservazioni appropriate (anche se non possiamo esserne certi).



Ora, è proprio questa posizione a portare al dubbio relativista e la cosa che trovo più interessante è che, quando si giunge al dubbio, siccome vi si è giunti partendo dalla certezza, si giunge al dubbio quando ancora ci si sta muovendo nell'ambito della certezza, cioè prima di diventare relativisti. Significa che si giunge alla conclusione che è certo che tutto è incerto. Questo ovviamente non può non suonare paradossale, contraddittorio, ma viene ad essere dimostrazione certa della paradossalità di chi intenda muoversi nell'ambito della certezza.

In questo senso, il procedimento è inverso a quello che Cartesio pensava di aver individuato. Cartesio partì dal dubbio metodico per guadagnare, proprio attraverso di esso, una certezza indubitabile (Cogito, ergo sum, anzi, meglio, direi Dubito ergo sum, Dubito quindi posso ottenere una certezza). Ma non esiste dubbio se prima non si ha alcuna certezza, almeno ipotizzata come tale, poiché mancherebbe l'oggetto del dubitare. Quindi il modo di procedere più corrispondente a come ci risulta che le cose siano andate nella storia del pensiero è il modo inverso: si parte dalla certezza per giungere a prendere atto che essa è autocontraddittoria, conduce al paradosso, il che significa certezza che la certezza è paradossale.
Citazione
Concordo sull' insuperabilità razionale dello scetticismo, inteso come dubbio circa qualsiasi eventuale conoscenza circa la realtà (giudizi sintetici a posteriori).
Ritengo invece i giudizi analitici a priori certi, ma non costituenti conoscenze circa la realtà, bensì semplicemente conoscenze di relazioni* fra concetti (arbitrariamente stabiliti mettendo in determinate immediate, esplicite relazioni** altri concetti: definizioni, assiomi, postulati) non immediatamente, esplicitamente espresse nelle definizioni stesse, ma in esse implicite ed esplicitabili attraverso procedimenti logici (deduzioni, dimostrazioni di teoremi): non superano comunque razionalmente lo scetticismo.

Per esempio che nella geometria euclidea la somma degli angoli interni di un triangolo é uguale a un angolo piatto é certo; ma ciò non supera lo scetticismo, dal momento che ci dice con certezza qualcosa solo dei nostri arbitrari pensieri (dell' "essere" inteso in quanto "mero contenuto di considerazione teorica, supposizione, credenza, dubbio, pensiero, ecc.", ma nulla dell' "essere" in quanto insieme di ciò che realmente esiste o accade o meno (che inoltre lo si pensi in qualche modo oppure no), cioè nulla della realtà di ciò che non sia mera considerazione teorica, della realtà (eventualmente) eccedente il mero pensiero.
Il teorema dell' uguaglianza fra un angolo piatto e la somma degli angoli interni di un triangolo euclideo non dice per esempio nulla circa il fatto (ipotetico) che nella realtà esistano oggetti più o meno approssimativamente triangolari o meno.
Non supera lo scetticismo inteso come dubbio insuperabile di qualsiasi conoscenza della realtà (eccedente i -gli eventuali- meri oggetti o contenuti di pensiero).



Andiamo in dettaglio a come procedono le cose e partiamo dall'essere.

Questa discussione porta il titolo "Ci sono cose".

In astratto possiamo considerarlo simile nient'altro che all'affermazione di Parmenide: l'essere è.
CitazioneBeh, no: Parmenide dice che la realtà (l' "essere") é una, unica, immutabile, identica a se stessa.
E non che é costituita da più diverse "cose" in divenire.



Come ho detto sopra, se l'essere è, è necessario che sia certo. Non può avere senso parlare dell'essere in un senso fondamentale, base e pilastro di ogni altro discorso, se l'essere non potesse godere di certezza.

Allo stesso modo, l'essere dev'essere necessariamente universale.

Ma se è universale, esso deve fare i conti con ogni tipo di esistenza.

In particolare, deve fare i conti con l'esistenza di chi lo sta pensando. Non ci sono ragioni che ci consentano di ignorare a priori questo fatto. Semmai, esso potrà essere ignorato soltanto dopo aver acquisito certezza che esso possa effettivamente essere ignorato, certezza della sua irrilevanza. Ma prima dobbiamo prenderlo in considerazione, per vedere se può essere davvero ignorato.

Il fatto in questione è il seguente: noi non possiamo considerare l'essere se non come pensato da noi. Questo è ciò di cui ho detto diverse volte in passato che è il punto cruciale che invece la metafisica trascura: il fare i conti con il soggetto, cioè il pensante.
CitazioneNon so a quali metafisiche (ne esistono molte) ti riferisca.
Tantissime non ignorano affatto il soggetto (i primi nomi che mi vengono in mente sono Cartesio, Spinoza e Kant).



Fare i conti con il soggetto pensante significa osservare che per noi umani è impossibile parlare di ciò di cui non stiamo parlando, è impossibile pensare ciò che non stiamo pensando.
CitazioneOttimo esempio di giudizio analitico a priori (anzi: mera tautologia), certo ma sterile in quanto apporto di conoscenze circa la realtà (eccedente il pensiero).



Ciò viene trascurato da coloro che dicono che le cose esistono anche quando non pensiamo ad esse: essi non si accorgono che, per poterne parlare adesso, è indispensabile parlarne adesso. Cioè, se anche nel futuro ci sarà un momento in cui una pietra esisterà senza essere pensata da nessuno, il problema è che noi, per poter pensare alla pietra non pensata da nessuno, abbiamo dovuto pensarla. Cioè, viene a risultare umanamente impossibile pensare ad una pietra, pensare al momento in cui nel futuro non sarà pensata da nessuno, senza prima farla rientrare nel gruppo delle cose pensate nel presente da noi. È umanamente impossibile pensare l'essere indipendente dal soggetto senza prima trasformarlo in essere dipendente dal soggetto.
Citazione
Ma qui non c' é nessuna contraddizione:
"sto pensando a una pietra -ipoteticamente: sul fatto che si tratti di enti-eventi reali o meno, lo scetticismo mi vieta ogni certezza- esistente -forse: per ipotesi!- non solo ora che ci sto pensando ma anche domani quando non ci penserò e ieri quando non ci pensavo" non contiene contraddizioni.

Casomai ne conterrebbe questo:
"sto pensando a una pietra da me pensata -forse: per ipotesi!- non solo ora che ci sto pensando ma anche domani quando non ci penserò e ieri quando non ci pensavo".



È impossibile pensare all'impensato (la pietra che nel futuro non sarà pensata da nessuno) senza trasformarlo in essere pensato.
CitazioneInvece sì.
Non bisogna confondere il pensare qualcosa a un certo istante (che in quanto tale non può non autocontraddittoriamente anche essere impensato a tale istante) con il pensare a un certo istante qualcosa come esistente (eventualmente: anche; oppure soltanto) in un altro determinato istante (nel quale altro determinato istante, oltre ad esistere realmente, invece non accade realmente, oltre alla sua reale esistenza e non contraddittoriamente ad essa, il fatto di pensarlo.


Si potrebbe obiettare:
"Sì, ora è un essere pensato, ma tra cinque minuti, quando io non ci penserò, sarà un essere non pensato!". Risposta: il problema non è della pietra, il problema non è se la pietra riesce ad esistere senza bisogno che noi la pensiamo; il problema è nostro: il problema è che noi non abbiamo modo di pensare al momento in cui essa non sarà pensata senza trasformarlo in momento in cui essa viene pensata. Quindi la pietra magari esisterà effettivamente quando nessuno penserà ad essa, ma a noi è stato comunque impossibile pensare a tale stato di pietra non pensata senza trasformarlo in stato di pietra pensata. Per poter pensare ad una pietra non pensata siamo costretti inevitabilmente a trasformarla in pietra pensata. La pietra non ha bisogno di essere pensata per esistere, ma noi abbiamo bisogno di pensarla per poter pensare alla sua esistenza non pensata.
CitazioneQui stai confondendo due (ipotetici) momenti diversi della realtà diveniente (sei, senza accorgertene, alquanto parmnideo!), in uno dei quali accade realmente solo l' esistenza di "qualcosa" e non il pensiero dei tale "cosa", mentre nell' altro accade realmente sia l' esistenza di tale "cosa" sia il pensiero di essa, o magari anche il solo pensiero di essa (come esistente realmente in un altro istante) senza la sua esistenza in tale istante (come quando si pensa. "domani a pranzo mi mangerò una bella torta che il pasticcere preparerà domattina", e dunque ora, mentre realmente la sto pensano, realmente non esiste: nessuna contraddizione:


"esistere realmente (che si sia anche realmente anche oggetto di pensiero o meno)" =/= "essere realmente pensato", ovvero "esistere realmente come oggetto di pensiero" (che si esista anche realmente indipendentemente dall' -eventuale- fatto reale di essere inoltre anche oggetto di pensiero o meno, di essere realmente anche eventualmente pensato o meno).



Ora il problema è questo: se per pensarla siamo costretti a pensarla, come possiamo affermare di star parlando della pietra non pensata? Si potrebbe obiettare: pensata nel presente, ma non pensata nel futuro. L'obiezione però rimane: come possiamo sapere cosa significa "pietra non pensata", anche se riferita al futuro, se per parlarne siamo costretti a pensarla, almeno nel presente? Siamo costretti a concludere che quando parliamo di pietra non pensata non sappiamo di cosa stiamo parlando.
Citazione"Reale al presente" =/= "reale in passato" o "reale in futuro".

E dunque (per definizione) predicare l' essere (reale) dell' uno non é contraddittorio col predicare il non essere (reale) degli altri da esso diversi concetti (predicare l' essere reale di un cavallo é contradditorio col predicare il non essere reale di un cavallo, ma non col predicare il non essere reale di un ippogrifo, essendo quest' ultimo un concetto alludente a un ipotetico ente reale ben diverso da quello cui allude il concetto di "cavallo".


Per parlare di essere indipendente siamo costretti a trasformarlo in essere dipendente dal nostro pensarlo. Non ci è possibile avere idea alcuna dell'essere non pensato, perché non possiamo parlare di esso senza trasformarlo in essere pensato.
CitazioneNo!
Ci è possibilissimo avere una sensatissima idea dell' "essere reale non pensato" (pensarla), perché i concetti di "essere reale (che si sia inoltre pensati, "contenuti di pensiero" o meno)" e di "essere in quanto considerato teoricamente, in quanto pensato (che si esista anche realmente o meno)" sono reciprocamente ben diversi; e dunque predicare l' essere reale dell' uno non é contraddittorio col predicare il non essere reale dell' altro.
Possiamo benissimo parlare di esso senza pretendere di trasformare questo evento reale del "pensarlo", del "pensare tale cosa" (e non la ben diversa esistenza reale di tale "cosa"!) in evento pensato (e non pensato allo stesso tempo).


La cosa interessante è che fin qui non siamo ancora nel relativismo: ci stiamo pur sempre muovendo nel campo della certezza.
Questo è ciò che mi sta sembrando certo: è certo che la certezza è paradosso, l'essere è paradosso.
La certezza può non apparire paradosso soltanto a chi non ne considera queste conseguenze, cioè soltanto a chi la considera in modo non ben considerato.
Lo stesso vale per l'essere: pensare l'essere non può non risultare paradossale a chi lo pensa senza trascurare le conseguenze dell'averlo pensato.
CitazioneLa certezza non é er nulla paradossale (somma degli angoli interni di un triangolo).


Casomai sarebbe invece paradossale (anzi: autocontraddittorio, senza senso tout court!), contro lo scetticismo, pertendere che ci sia certezza dell' incertezza di ogni conoscenza circa la realtà (eccedente il pensiero).


Lo scetticismo non afferma che certamente nulla si sa, ma che della verità di nessuna conoscenza può aversi certezza (potremmo anche averne, forse, ma non possiamo esserne certi).
Lo scetticismo é infatti sospensione del giudizio (ben altro che giudizio certo di inconoscibilità) !
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 01 Marzo 2018, 11:40:39 AM
Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 09:01:29 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.

CitazioneNon vedo come la meccanica quantistica (peraltro certamente molto interessante), che come tutta la fisica si occupa di ciò che empiricamente si percepisce materialmente, esteriormente, c' entri con la questione filosofica della percezione interiore, mentale di noi stessi.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 01 Marzo 2018, 11:55:07 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2018, 10:40:07 AM
Qualcuno potrebbe obiettare a ciò che ho scritto: "Ma io in questo momento non sto pensando alla pietra da me pensata nel presente; ciò che sto pensado è solo ed esclusivamente la pietra che nel futuro non sarà pensata da nessuno: è essa e solo essa l'oggetto del mio pensiero presente".
Questo però farebbe nascere la domanda: chi mi assicura che una pietra che non sia mai stata pensata da nessuno è uguale ad una pietra pensata?
CitazioneE chi mi assicura del contrario?

Si tratta, parimenti in entrambi i casi, di potesi!


Non sarebbe difficile dare una risposta certa: quella pensata da nessuno è uguale a quella pensata proprio perché l'essere è indipendente, abbiamo stabilito di pensarlo indipendente.

CitazioneInfatti per "esistere realmente (essendo eventualmente anche pensato o meno; indipendentemente da ciò)" si intende ben altro che "(esistere realmente in quanto) essere oggetto di considerazione teorica (pensiero, ipotesi, credenza, dubbio, fantasia, eventualmente -e indimostrabilmente, senza certezza!- credenza vera, ecc)".


Però, a proposito dell'averlo pensato indipendente, si pone lo stesso problema della pietra: come facciamo a stabilire che il pensare un oggetto come indipendente possa essere ritenuto un pensiero indipendente, cioè certo, concepibile come certo, una volta che è umanamente impossibile pensare a tale pensiero senza pensarlo, quindi senza trasformarlo in pensiero non più indipendente dal nostro pensare?
Citazione"Certezza" =/= "realtà indipendente dall' essere reale (inoltre, anche, eventualmente) il fatto di essere pensato".

E' umanamente (e non solo: logicamente!) impossibile realmente pensare un certo pensiero senza che realmente si pensi tale certo pensiero; ma non realmente pensare un certo pensiero come (anche inoltre eventualmente) indipendente dal nostro reale pensarlo, cioé come qualcosa che é (pensato essere) reale (nel pensiero allorché lo si pensa) anche se e quando non é reale il fatto che lo si pensi (e non se e quando realmente lo si pensa), dunque non allorché o si pensa, ma invece in altri tempi).
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 01 Marzo 2018, 14:29:19 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2018, 11:40:39 AM
Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 09:01:29 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.

CitazioneNon vedo come la meccanica quantistica (peraltro certamente molto interessante), che come tutta la fisica si occupa di ciò che empiricamente si percepisce materialmente, esteriormente, c' entri con la questione filosofica della percezione interiore, mentale di noi stessi.
Volevo appunto mettere in dubbio ciò che affermi . Suggerire che questa distinzione che fai sulle diverse percezioni sia artificiosa.
Immagino che ,sebbene in parte tu ti percepisca come un oggetto, cioè alla stregua di un sasso ,sono certo che la percezione che hai di te non si esaurisca in ciò.
Credo che valga anche il contrario.
Un sasso è qualcosa di più, o comunque di più interessante e profondo di quel che sembra.
La stessa difficoltà che hai a giungere all'assenza di te stesso la trovi se vuoi giungere al l'essenza di un sasso.
Non pretendo però di essere stato chiarissimo.
Provo ad esprimere qui pensieri in corso.☺️
In questo senso intendevo che tu e un sasso siete fatti della stessa sostanza, ma non nel senso che siete fatti di atomi.
Insomma , sostanzialmente tu e il sasso , atomi compresi , siete i prodotti dello stesso percorso percettivo.
Se esiste io allora esiste non io , e siamo fatti della stessa sostanza perché della stessa sostanza sono fatte ipotesi e tesi.
Questo non esclude che ci sia di più e anzi direi che è quasi ovvio che ci sia di più.
Ma questo di più , se c'è , vale per me quanto per il,sasso o per nessuno dei due.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 01 Marzo 2018, 15:25:24 PM
Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 14:29:19 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2018, 11:40:39 AM
Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 09:01:29 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.

CitazioneNon vedo come la meccanica quantistica (peraltro certamente molto interessante), che come tutta la fisica si occupa di ciò che empiricamente si percepisce materialmente, esteriormente, c' entri con la questione filosofica della percezione interiore, mentale di noi stessi.
Volevo appunto mettere in dubbio ciò che affermi . Suggerire che questa distinzione che fai sulle diverse percezioni sia artificiosa.
Immagino che ,sebbene in parte tu ti percepisca come un oggetto, cioè alla stregua di un sasso ,sono certo che la percezione che hai di te non si esaurisca in ciò.
Credo che valga anche il contrario.
Un sasso è qualcosa di più, o comunque di più interessante e profondo di quel che sembra.
La stessa difficoltà che hai a giungere all'assenza di te stesso la trovi se vuoi giungere al l'essenza di un sasso.
Non pretendo però di essere stato chiarissimo.
Provo ad esprimere qui pensieri in corso.☺️
In questo senso intendevo che tu e un sasso siete fatti della stessa sostanza, ma non nel senso che siete fatti di atomi.
CitazioneConcordo che io, da me percepito, sentito mentalmente come il soggetto delle mie sensazioni ed elle mie azioni, oltre che oggetto di sensazioni mentali (non il mio corpo) e un sasso da me percepito, sentito materialmente soltanto come oggetto delle mie sensazioni "sono fatti della stessa sostanza" fenomenica, nel senso che entrambi sono null' altro che insiemi e successioni di sensazioni fenomeniche, reali in quanto tali e solo fintanto che come tali realmente accadono: "essee st percipi" tanto dell' uno quanto dell' altro.


Insomma , sostanzialmente tu e il sasso , atomi compresi , siete i prodotti dello stesso percorso percettivo.
Se esiste io allora esiste non io , e siamo fatti della stessa sostanza perché della stessa sostanza sono fatte ipotesi e tesi.
CitazioneMa dall' esistenza dell' "io" (esistenza reale, non meramente in quanto concetto pensato-pensabile! E al contrario che in questo senso), non consegue necessariamente l' esistenza anche di altro (non io).


Questo non esclude che ci sia di più e anzi direi che è quasi ovvio che ci sia di più.
Ma questo di più , se c'è , vale per me quanto per il,sasso o per nessuno dei due.
CitazioneE nemmeno lo implica necessariamente, tanto per l' io quanto per il non io.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 01 Marzo 2018, 15:57:18 PM
@Sciombro.
Si tratta di una implicazione secondo la logica corrente.
Se si abbraccia la logica si abbraccia l'implicazione.
A implica non A.
Se intendi che non esistono logiche assolute , allora sono d'accordo.
Ma forse c'è qualcosa di profondo in ciò che dici che mi sfugge.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Phil il 01 Marzo 2018, 18:06:20 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2018, 15:25:24 PM
Ma dall' esistenza dell' "io" (esistenza reale, non meramente in quanto concetto pensato-pensabile! E al contrario che in questo senso), non consegue necessariamente l' esistenza anche di altro (non io).
Una volta posto l'io, per negazione logica, possiamo porre automaticamente il non-io (se poniamo "A", diventa subito logico anche identificare "non-A"). Fuori dalla logica, passando all'ontologia e all'esistenza cosiddetta empirica (che è il piano a cui ti riferisci, giusto?), mi pare parimenti ragionevole supporre che, se io esisto, plausibilmente non sono l'unica "cosa" che esiste:
Citazione di: Phil il 26 Febbraio 2018, 17:15:46 PM
posso dubitare dell'affermazione "io esisto" (come direbbe Cartesio) ovvero "io ci sono", qualunque "cosa" io sia?
Se così fosse, allora dovremmo considerare possibile il "io non esisto/non ci sono", che è palese non-senso: se non esisto, difficilmente posso pensare qualcosa, fosse anche di non esistere...
[...] A questo punto posso pensare di essere l'unica "cosa" che c'è? No, perché ci sarà almeno un'altra "cosa" che è tutto ciò che io non sono... fosse anche il vuoto cosmico in cui sono immerso sognante, oppure un capello che si stacca dal mio corpo, oppure l'aria che respiro, oppure un'altra dimensione in cui non sono nemmeno consapevole di essere, etc.

Comunque, almeno due cose ci sono: l'io e il non-io (intesi nel senso più indeterminato e "aperto" possibile); quindi, persino rispettando il solipsismo più fantasioso e radicale, direi di si, possiamo essere abbastanza certi che "ci sono cose" (il "quante", il "come" e il "cosa" siano, è poi un'altra storia...).
In fondo, mi basta tagliarmi un'unghia per produrre un "non-io" empirico abbastanza attendibile  ;D
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Lou il 01 Marzo 2018, 18:34:31 PM
"In astratto possiamo considerarlo simile nient'altro che all'affermazione di Parmenide: l'essere è.

Come ho detto sopra, se l'essere è, è necessario che sia certo. Non può avere senso parlare dell'essere in un senso fondamentale, base e pilastro di ogni altro discorso, se l'essere non potesse godere di certezza.

Allo stesso modo, l'essere dev'essere necessariamente universale.

Ma se è universale, esso deve fare i conti con ogni tipo di esistenza.

In particolare, deve fare i conti con l'esistenza di chi lo sta pensando."

In che senso? Nel caso che sia lo stesso essere e pensare, come vuole Parmenide? Ma è lo stesso essere e pensare?
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 01 Marzo 2018, 19:04:50 PM
Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 15:57:18 PM
@Sciombro.
Si tratta di una implicazione secondo la logica corrente.
Se si abbraccia la logica si abbraccia l'implicazione.
A implica non A.
Se intendi che non esistono logiche assolute , allora sono d'accordo.
Ma forse c'è qualcosa di profondo in ciò che dici che mi sfugge.

CitazioneCredo si tratti della differenza fra logica (pensiero, reale solo in quanto tale) e realtà (esistente -accadente anche indipendentemente dall' eventuale esistere - accadere reale pure del pensiero di essa).
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: iano il 01 Marzo 2018, 23:28:53 PM
Citazione di: Lou il 01 Marzo 2018, 18:34:31 PM
"In astratto possiamo considerarlo simile nient'altro che all'affermazione di Parmenide: l'essere è.

Come ho detto sopra, se l'essere è, è necessario che sia certo. Non può avere senso parlare dell'essere in un senso fondamentale, base e pilastro di ogni altro discorso, se l'essere non potesse godere di certezza.

Allo stesso modo, l'essere dev'essere necessariamente universale.

Ma se è universale, esso deve fare i conti con ogni tipo di esistenza.

In particolare, deve fare i conti con l'esistenza di chi lo sta pensando."

In che senso? Nel caso che sia lo stesso essere e pensare, come vuole Parmenide? Ma è lo stesso essere e pensare?
Perché è necessario che sia certo?
L'esigenza di questa certezza da dove nasce?
Di certo è una complicazione.
Partì dalla certezza dell'essere , poi giungi a contraddizioni.
Queste ti costringono a rivedere le tue certezze.
A cosa è servito allora partire da certezze?
Se pensavamo che partire da queste ci garantisse altrettanta certezza di coerenza nello sviluppo della teoria , ci siamo ingannati
Meglio prendere atto  allora che si trattava solo dì ipotesi.
Anche se capisco bene che quando tutti abbracciano le stesse ipotesi , queste possano confondersi con certezze.Ma il fatto che tutti abbraccino le stesse ipotesi , magari perché appaiono evidenti, non le rende meno arbitrarie.
Per Euclide le sue ipotesi ad esempio non dovevano essere spiegate,  perché evidenti , e non si trovava uno che avesse qualcosa da eccepire su ciò.
Per noi , uomini di oggi, che tanto abbiamo imparato da Euclide ,le ipotesi non vanno spiegate , perché questa "non necessita' " è ciò che ne definisce la natura.
Se non si accetta l'evidenza delle ipotesi di Euclide , il considerarle arbitrarie , non solo non toglie valore agli Elememti di Euclide , ma da un lato me amplia il campo di applicazione e dall'altro da il via a tante altre geometrie altrettanto utili.
Partire da evidenti certezze è una esigenza ben scusabile e comprensibile , ma anche una complicazione inutile , se non un errore.Detto ovviamente col senno di poi.
Per non parlare del postulato delle parallele , che evidente non era , a dimostrazione del fatto che la ricerca di evidenze è una esigenza tanto pressante da far accettare compromessi , facendoci accontentare di qualcosa di solo sufficientemente evidente.
Quindi , quello che possiamo dire col senno di poi , è che la mirabile opera di Euclide è consistita nel prendere le conoscenze matematiche del suo tempo , divise e frammentarie , riportandole tutte ad unità logica a partire da ipotesi costruite ad hoc , con l'accidentale complicazione che quelle ipotesi apparivano evidenti , anche se questa evidenza  d'altro canto  tanto sembrava rassicurante.
Ai tempi di Euclide è ancora fino a ieri sapevamo di conoscere delle cose senza sapere come facevamo a conoscerle.Troopp bello per essere vero.
Oggi abbiamo aperto una finestra su come facciamo a comprendere le cose.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
In effetti, nello sforzo di non dilungarmi troppo, non ho descritto abbastanza in dettaglio tutti i passaggi. Ci provo.

Intanto chiariamo cos'è l'essere. Questo non significa che io ora stia provando a definirlo, dopo aver sostenuto che è impossibile. Non è una spiegazione del suo significato, ma un tentativo di consapevolizzazione di com'è successo che in filosofia sia divenuto un argomento così fondamentale.

L'essere è la qualità, l'attributo, la caratteristica, posseduta da tutte le cose a cui riteniamo possibile applicare l'uso del verbo essere. In altre parole, è il risultato di un processo di astrazione. Così come sappiamo che non esiste il colore bianco, ma soltanto oggetti che sono bianchi, e però con la mente riusciamo ad astrarre, da tutti gli oggetti bianchi, la caratteristica comune che chiamiamo colore bianco, allo stesso modo, considerando tutte le cose a cui troviamo modo di applicare il verbo essere, riusciamo ad astrarre l'attributo di essere. In questo senso, così come il bianco non esiste come oggetto autonomo, ma esiste come qualità che noi riusciamo ad astrarre, così anche l'essere non esiste da solo, ma esiste come caratteristica che noi riusciamo ugualmente a pensare. In questo senso quindi credo che Parmenide, sostenendo che l'essere fosse sferico, sia caduto nell'errore di non essersi reso conto del vero meccanismo dei suoi stessi pensieri. In base alla definizione che ne ho dato, è importante notare che l'essere non appartiene soltanto agli oggetti che riusciamo a situare in un tempo e uno spazio, come ad esempio una pietra; l'essere appartiene anche a quanto di più irreale possiamo immaginare, per esempio il cavallo volante: se troviamo modo di applicargli il verbo essere, anche solo per dire che esiste nella nostra fantasia, significa che possiede un suo modo di essere, non importa se limitato alla fantasia: ciò che conta è che risulta possibile usare con esso il verbo essere.
Questo è l'essere.

Nella storia della filosofia l'essere è stato inizialmente pensato come a sé stante cioè capace di essere senza bisogno di essere pensato da noi. L'istinto umano più immediato l'ha immaginato così. Ad esempio, per noi è istintivo pensare che una pietra esiste anche quando non pensiamo ad essa, tant'è vero che a volte vi inciampiamo proprio perché non ci eravamo accorti di essa, non la pensavamo, e invece essa s'impone a noi con prepotenza riuscendo perfino a farci cadere a terra. Questo ha una conseguenza importante: se la pietra dimostra di esistere senza bisogno di essere pensata da alcuno, ciò significa che la sua esistenza è oggettiva, cioè vera. Io posso permettermi di mentire su una mia fantasia, ma sulla pietra non posso mentire, perché essa è capace di smentirmi con prepotenza, provocandomi del male. Se esiste ed è capace di farmi cadere, significa che nessuno può permettersi di dire che non esiste, perché essa è capace di dimostrare la sua esistenza a chiunque, con la stessa forza. Ciò significa che l'esistenza di quella pietra è capace di imporsi con validità universale: essa esiste non solo anche quando nessuno la pensa, ma anche contro chi volesse osare pensarla diversamente da com'è. L'esperienza dimostra che chi volesse osare ignorare l'esistenza di quella pietra, oppure pensarla diversamente da com'è davvero, ci rimette, ne paga le spese, a caro prezzo. Ecco la potenza della verità universale. L'essere è verità universale. Anche quando penso al cavallo volante, la sua esistenza nella mia fantasia è una verità universale. Negare che esso esiste nella mia fantasia magari non avrà le conseguenze di quando neghiamo l'esistenza della pietra, ma ormai abbiamo capito che significherebbe comunque allontanarsi dalla verità, dalla verità oggettiva, la verità universale. Se ho fantasticato sul cavallo bianco, quel fantasticare c'è stato, è esistito, è ormai un fatto innegabile. Ecco in che senso l'essere richiede di essere necessariamente universale. Ho detto anche che è verità. Da qui non dovrebbe essere difficile passare a concludere che l'essere gode anche necessariamente di certezza. Ad esempio, io posso anche dire "Forse domani ci sarà la pioggia". Nonostante le apparenze, ho affermato una certezza: la certezza che forse domani ci sarà la pioggia; è certo che forse domani ci sarà la pioggia. Se non fosse certo non avrei potuto usare il verbo essere. Magari potremo osservare che si tratta di una certezza che viene annullata dal forse, ma questo non importa: abbiamo detto infatti che l'essere non è posseduto solo dagli oggetti reali, ma da qualsiasi situazione in cui riusciamo ad usare grammaticalmente il verbo essere. Non penso sia necessario dilungarmi riguardo al non essere.

Si tratta di vedere adesso come mai l'essere deve fare i conti con colui che lo pensa. Fare i conti significa confrontare, vedere cosa succede se una cosa viene confrontata con un'altra. Come ho detto, non ci devono essere confronti esclusi a priori, perché può sempre accadere che qualche confronto si riveli di vitale importanza per la comprensione oppure la critica della questione.
Se l'essere è universale, significa dunque che è in grado di misurarsi con qualsiasi situazione. Universalità significa tutto, significa sforzo umano di abbracciare il tutto, almeno nel senso più adeguato in cui riusciamo a farcene un'idea. Se tutto significa tutto, deve per forza significare anche noi: noi come minimo facciamo parte del tutto che pensiamo.

A questo punto si profila la possibilità di porre in atto un gioco che in filosofia si usa fare spesso: applicare ciò che si dice al detto stesso, o a colui che lo dice, e vedere se vengono fuori cose interessanti.

Nel nostro caso, si tratta di prendere atto che tutte le cose che finora abbiamo pensato e detto sono, per l'appunto, pensate e dette. Significa che sono inevitabilmente, inestricabilmente, collegate a qualcuno che le ha pensate o dette.

Collegate significa dipendenti.

Ne segue il terribile sospetto che non è affatto vero che l'essere sia indipendente e la cosa curiosa è che ci stiamo arrivando semplicemente portando avanti le conseguenze di averlo pensato indipendente: se è indipendente è universale, se è universale deve misurarsi con chi lo pensa, se deve misurarsi con chi lo pensa viene fuori che non è universale. Abbreviando i passaggi, viene fuori che se l'essere è universale si ha come conseguenza che non è universale.

Da qui deriva in realtà una conseguenza ancora più terribile, perché l'argomento di cui ci siamo occupati non è un argomento qualsiasi, ma la base stessa del pensare. La conseguenza terribile è che, qualunque cosa pensiamo, non possiamo mai essere certi di aver pensato davvero ciò che riteniamo di aver pensato. Ciò è dovuto al fatto che, crollando l'universalità dell'essere, crolla anche l'altra sua caratteristica che avevamo detto, cioè la certezza. Se rifacessimo il percorso avremmo come conclusione che, se la certezza esiste, allora non esiste.
Tornando alla conseguenza terribile, significa che quando io ritengo di aver pensato, ad esempio, ad una pietra, non potrò mai sapere se in realtà ho pensato invece al teorema di Pitagora o al gatto con gli stivali. Quando io ritengo di aver pensato al concetto di verità, nulla mi garantisce che io abbia davvero pensato al concetto di verità; potrei aver pensato invece a Cappuccetto Rosso ed essermi illuso di aver pensato al concetto di verità. Quando dico "Questa cosa è vera" e sono certo di aver pensato ciò che ho detto, nulla mi garantisce che io in realtà abbia pensato a come faceva Picasso a disegnare o a quanti violini ci sono in una sinfonia di Mozart.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 02 Marzo 2018, 09:25:29 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
 In base alla definizione che ne ho dato, è importante notare che l'essere non appartiene soltanto agli oggetti che riusciamo a situare in un tempo e uno spazio, come ad esempio una pietra; l'essere appartiene anche a quanto di più irreale possiamo immaginare, per esempio il cavallo volante: se troviamo modo di applicargli il verbo essere, anche solo per dire che esiste nella nostra fantasia, significa che possiede un suo modo di essere, non importa se limitato alla fantasia: ciò che conta è che risulta possibile usare con esso il verbo essere.
Questo è l'essere.

CitazioneA me importa moltissimo: un cavallo vero può farmi molto male con un sonoro calcione o molto bene portandomi a destinazione per tempo, un cavallo volante no.



Nella storia della filosofia l'essere è stato inizialmente pensato come a sé stante cioè capace di essere senza bisogno di essere pensato da noi.
CitazioneLa storia della filosofia non inizia con Platine.
Nè con Parmenide.

Ma soprattutto non finisce affatto "lì"!



L'istinto umano più immediato l'ha immaginato così. Ad esempio, per noi è istintivo pensare che una pietra esiste anche quando non pensiamo ad essa, tant'è vero che a volte vi inciampiamo proprio perché non ci eravamo accorti di essa, non la pensavamo, e invece essa s'impone a noi con prepotenza riuscendo perfino a farci cadere a terra. Questo ha una conseguenza importante: se la pietra dimostra di esistere senza bisogno di essere pensata da alcuno, ciò significa che la sua esistenza è oggettiva, cioè vera. Io posso permettermi di mentire su una mia fantasia, ma sulla pietra non posso mentire, perché essa è capace di smentirmi con prepotenza, provocandomi del male. Se esiste ed è capace di farmi cadere, significa che nessuno può permettersi di dire che non esiste, perché essa è capace di dimostrare la sua esistenza a chiunque, con la stessa forza. Ciò significa che l'esistenza di quella pietra è capace di imporsi con validità universale: essa esiste non solo anche quando nessuno la pensa, ma anche contro chi volesse osare pensarla diversamente da com'è. L'esperienza dimostra che chi volesse osare ignorare l'esistenza di quella pietra, oppure pensarla diversamente da com'è davvero, ci rimette, ne paga le spese, a caro prezzo. Ecco la potenza della verità universale. L'essere è verità universale. Anche quando penso al cavallo volante, la sua esistenza nella mia fantasia è una verità universale. Negare che esso esiste nella mia fantasia magari non avrà le conseguenze di quando neghiamo l'esistenza della pietra, ma ormai abbiamo capito che significherebbe comunque allontanarsi dalla verità, dalla verità oggettiva, la verità universale. Se ho fantasticato sul cavallo bianco, quel fantasticare c'è stato, è esistito, è ormai un fatto innegabile. Ecco in che senso l'essere richiede di essere necessariamente universale. Ho detto anche che è verità. Da qui non dovrebbe essere difficile passare a concludere che l'essere gode anche necessariamente di certezza. Ad esempio, io posso anche dire "Forse domani ci sarà la pioggia". Nonostante le apparenze, ho affermato una certezza: la certezza che forse domani ci sarà la pioggia; è certo che forse domani ci sarà la pioggia. Se non fosse certo non avrei potuto usare il verbo essere. Magari potremo osservare che si tratta di una certezza che viene annullata dal forse, ma questo non importa: abbiamo detto infatti che l'essere non è posseduto solo dagli oggetti reali, ma da qualsiasi situazione in cui riusciamo ad usare grammaticalmente il verbo essere. Non penso sia necessario dilungarmi riguardo al non essere.

CitazioneE' la certezza tipica dei giudizi analitici a priori: non si può non pensare (per le definizioni dei concetti considerati) che o domani pioverà oppure domani non pioverà (=che forse domani pioverà: espressione sinonimica, che ha esattamente lo stesso significato della disgiunzione immediatamente precedente).

Ma questa certezza, come quella di tutti i giudizi analitici a priori, che infatti sono "conoscitivamente sterili", riguarda non la conoscenza di come stanno le cose reali (non ci dice proprio nulla sull' unico e solo -almeno a un certo istante- tempo che effettivamente farà domani realmente, indipendentemente dall' eventualità che inoltre lo si pensi oppure no), ma solo il modo in cui bisogna mettere in relazione diversi concetti (reali solo in quanto "contenuti di pensiero") secondo regole arbitrariamente stabilite.

La conoscenza del reale possono darcela soltanto giudizi sintetici a posteriori, che però "pagano" inevitabilmente questa loro possibile "fertilità conoscitiva!" con un' insuperabile incertezza, dubitabilità (salvo forse l' effimera, istantanea certezza al momento presente di constatazioni immediate di sensazioni in atto, che però immediatamente viene meno col trascorrere del tempo per diventare oggetto di memoria, la quale può ingannare, e dunque subito diviene assolutamente dubitabile).



Si tratta di vedere adesso come mai l'essere deve fare i conti con colui che lo pensa. Fare i conti significa confrontare, vedere cosa succede se una cosa viene confrontata con un'altra. Come ho detto, non ci devono essere confronti esclusi a priori, perché può sempre accadere che qualche confronto si riveli di vitale importanza per la comprensione oppure la critica della questione.
Se l'essere è universale, significa dunque che è in grado di misurarsi con qualsiasi situazione. Universalità significa tutto, significa sforzo umano di abbracciare il tutto, almeno nel senso più adeguato in cui riusciamo a farcene un'idea. Se tutto significa tutto, deve per forza significare anche noi: noi come minimo facciamo parte del tutto che pensiamo.

A questo punto si profila la possibilità di porre in atto un gioco che in filosofia si usa fare spesso: applicare ciò che si dice al detto stesso, o a colui che lo dice, e vedere se vengono fuori cose interessanti.

Nel nostro caso, si tratta di prendere atto che tutte le cose che finora abbiamo pensato e detto sono, per l'appunto, pensate e dette. Significa che sono inevitabilmente, inestricabilmente, collegate a qualcuno che le ha pensate o dette.
CitazioneSecondo me é certo solo ciò che immediatamente viene esperito e unicamente in quanto tale (immediato sentire, mero manifestarsi fenomenico, insieme e/o sequenza di sensazioni): "esse est percipi"!

Dunque la realtà potrebbe benissimo anche esaurirsi nelle sole sensazioni stesse, senza "in aggiunta ad esse" alcun loro soggetto (nessun "qualcuno che le ha sentite e magari ha sentito il pensarle e il dirle"), che non é certo esista oltre ad esse (né qualcosa di diverso dal soggetto -oggetti- ed esattamente come il soggetto in sé reale anche indipendentemente dall' accadere realmente o meno delle sensazioni stesse): soggetto e oggetti potrebbero anche non essere reali e la realtà non eccedere le sole sensazioni.



Collegate significa dipendenti.

Ne segue il terribile sospetto che non è affatto vero che l'essere sia indipendente e la cosa curiosa è che ci stiamo arrivando semplicemente portando avanti le conseguenze di averlo pensato indipendente: se è indipendente è universale, se è universale deve misurarsi con chi lo pensa, se deve misurarsi con chi lo pensa viene fuori che non è universale. Abbreviando i passaggi, viene fuori che se l'essere è universale si ha come conseguenza che non è universale.
CitazioneNon che certamente non é universale (universalmente presente, nelle "opportune" circostanze-) in tutte le esperienze coscienti di tutti i soggetti (se costoro realmente esistono), ma che potrebbe non esserlo: potrebbe essere sia intersoggettivo, sia meramente soggettivo, e non vi é certezza della sua oggettività (o meno).


Da qui deriva in realtà una conseguenza ancora più terribile, perché l'argomento di cui ci siamo occupati non è un argomento qualsiasi, ma la base stessa del pensare. La conseguenza terribile è che, qualunque cosa pensiamo, non possiamo mai essere certi di aver pensato davvero ciò che riteniamo di aver pensato. Ciò è dovuto al fatto che, crollando l'universalità dell'essere, crolla anche l'altra sua caratteristica che avevamo detto, cioè la certezza. Se rifacessimo il percorso avremmo come conclusione che, se la certezza esiste, allora non esiste.

Tornando alla conseguenza terribile, significa che quando io ritengo di aver pensato, ad esempio, ad una pietra, non potrò mai sapere se in realtà ho pensato invece al teorema di Pitagora o al gatto con gli stivali. Quando io ritengo di aver pensato al concetto di verità, nulla mi garantisce che io abbia davvero pensato al concetto di verità; potrei aver pensato invece a Cappuccetto Rosso ed essermi illuso di aver pensato al concetto di verità. Quando dico "Questa cosa è vera" e sono certo di aver pensato ciò che ho detto, nulla mi garantisce che io in realtà abbia pensato a come faceva Picasso a disegnare o a quanti violini ci sono in una sinfonia di Mozart.
Citazionenon possiamo mai essere certi di aver pensato davvero ciò che riteniamo di aver pensato semplicemente perché la memoria può ingannarci, é degna di dubbio.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Phil il 02 Marzo 2018, 17:13:32 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
L'essere è la qualità, l'attributo, la caratteristica, posseduta da tutte le cose a cui riteniamo possibile applicare l'uso del verbo essere.
Definizione forse "da manuale", che tuttavia mi sembra piuttosto circolare; ovvero presuppone che sia sappia già cosa significhi "essere", altrimenti risulta inintelligibile: parafrasando, "l'essere è ciò che rende applicabile il verbo essere"?
Non aiuta molto a definire chiaramente l'essere, ne descrive solo il campo d'applicazione ;)

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
In altre parole, è il risultato di un processo di astrazione [...] considerando tutte le cose a cui troviamo modo di applicare il verbo essere, riusciamo ad astrarre l'attributo di essere.
Circolarità viziosa in azione: applichiamo il verbo essere perché possiamo astrarre l'attributo di essere, e viceversa... di sicuro logicamente funziona (come tutte le petitio principii), ma non ha molto peso argomentativo né esplicativo.
Come dire "astraiamo la bellezza da ciò che troviamo bello, e troviamo bello ciò da cui astraiamo la bellezza", è senz'altro vero, però non ci agevola molto nel capire cosa sia e come funzioni la bellezza...

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
In base alla definizione che ne ho dato, è importante notare che l'essere non appartiene soltanto agli oggetti che riusciamo a situare in un tempo e uno spazio, come ad esempio una pietra; l'essere appartiene anche a quanto di più irreale possiamo immaginare
Personalmente, prediligo la definizione alternativa (non autoreferenziale) che definisce l'essere (grammaticale) come l'avere un'identità individuata da una connotazione spaziale e/o temporale:
Citazione di: Phil il 27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
direi che essere-esistere significa avere una connotazione spazio-temporale: per l'uomo esiste tutto ciò che egli riesce a collocare in uno spazio e/o in un tempo... non solo in senso percettivo (sensazioni, percezioni, etc.), ma anche "interiore": se penso ad un'idea astratta (all'anima, a una chimera, a me in decomposizione fra 100 anni, etc.), quella idea ha comunque una connotazione temporale, ovvero il momento in cui la penso, e spaziale, essendo (apparentemente) "localizzata" nella mia mente (o nella vocina che la abita  ;D ).

Per questo il prospettivismo è, secondo me, un buon punto di partenza per riflettere sull'esistenza [...] per cui dovremmo, a questo punto, iniziare a distinguere fra i vari tipi (o piani) di esistenza, disambiguando i possibili sensi


Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
se la pietra dimostra di esistere senza bisogno di essere pensata da alcuno, ciò significa che la sua esistenza è oggettiva, cioè vera.
Per poter parlare di quella pietra (e della sua oggettività) senza pensarla, dobbiamo almeno percepirla... altrimenti come "ci dimostra di esistere senza bisogno di essere pensata da alcuno"? Tale oggettività risulta dunque sempre soggettiva (pensata o percepita che sia).

Vecchio (e inflazionato) koan: che suono fa un albero che cade quando non c'è nessuno ad ascoltarlo?
Qui la verificabilità vacilla e non consente risposte "scientifiche" ;D


Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
l'esistenza di quella pietra è capace di imporsi con validità universale: essa esiste non solo anche quando nessuno la pensa, ma anche contro chi volesse osare pensarla diversamente da com'è. L'esperienza dimostra che chi volesse osare ignorare l'esistenza di quella pietra, oppure pensarla diversamente da com'è davvero, ci rimette, ne paga le spese, a caro prezzo. Ecco la potenza della verità universale. L'essere è verità universale. Anche quando penso al cavallo volante, la sua esistenza nella mia fantasia è una verità universale. Negare che esso esiste nella mia fantasia magari non avrà le conseguenze di quando neghiamo l'esistenza della pietra, ma ormai abbiamo capito che significherebbe comunque allontanarsi dalla verità, dalla verità oggettiva, la verità universale.
L'oggettività percepita dai sensi, la verità universale, etc. sono temi cari alla filosofia metafisica occidentale; per confutazioni e decostruzioni in merito, ci si può rivolgere alla fenomenologia, al postmoderno, alle neuroscienze, ad alcune correnti orientali (le lascio qui solo come spunto  :) ).

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
il terribile sospetto che non è affatto vero che l'essere sia indipendente e la cosa curiosa è che ci stiamo arrivando semplicemente portando avanti le conseguenze di averlo pensato indipendente: se è indipendente è universale, se è universale deve misurarsi con chi lo pensa, se deve misurarsi con chi lo pensa viene fuori che non è universale. Abbreviando i passaggi, viene fuori che se l'essere è universale si ha come conseguenza che non è universale.
Mi lascia un po' perplesso la premessa "se è universale deve misurarsi con chi lo pensa": perché deve, se è davvero indipendente?

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
Tornando alla conseguenza terribile, significa che quando io ritengo di aver pensato, ad esempio, ad una pietra, non potrò mai sapere se in realtà ho pensato invece al teorema di Pitagora o al gatto con gli stivali. Quando io ritengo di aver pensato al concetto di verità, nulla mi garantisce che io abbia davvero pensato al concetto di verità; potrei aver pensato invece a Cappuccetto Rosso ed essermi illuso di aver pensato al concetto di verità. Quando dico "Questa cosa è vera" e sono certo di aver pensato ciò che ho detto, nulla mi garantisce che io in realtà abbia pensato a come faceva Picasso a disegnare o a quanti violini ci sono in una sinfonia di Mozart.
Nell'istante dell'autocoscienza del pensiero, se penso intensamente ad una palla rossa, non posso pensare al teorema di Pitagora; l'immagine mentale, nella sua (auto?)evidenza, non lascia molto spazio a dubbi... come diceva Sgiombo, il discorso cambia se invece tiriamo in ballo la memoria (soprattutto dopo una certa età... ;D ).


Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Lou il 02 Marzo 2018, 18:16:11 PM
Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 23:28:53 PM
Citazione di: Lou il 01 Marzo 2018, 18:34:31 PM
"In astratto possiamo considerarlo simile nient'altro che all'affermazione di Parmenide: l'essere è.

Come ho detto sopra, se l'essere è, è necessario che sia certo. Non può avere senso parlare dell'essere in un senso fondamentale, base e pilastro di ogni altro discorso, se l'essere non potesse godere di certezza.

Allo stesso modo, l'essere dev'essere necessariamente universale.

Ma se è universale, esso deve fare i conti con ogni tipo di esistenza.

In particolare, deve fare i conti con l'esistenza di chi lo sta pensando."

In che senso? Nel caso che sia lo stesso essere e pensare, come vuole Parmenide? Ma è lo stesso essere e pensare?
Perché è necessario che sia certo?
L'esigenza di questa certezza da dove nasce?
Di certo è una complicazione.
Partì dalla certezza dell'essere , poi giungi a contraddizioni.
Queste ti costringono a rivedere le tue certezze.
A cosa è servito allora partire da certezze?
Se pensavamo che partire da queste ci garantisse altrettanta certezza di coerenza nello sviluppo della teoria , ci siamo ingannati
Meglio prendere atto  allora che si trattava solo dì ipotesi.
Anche se capisco bene che quando tutti abbracciano le stesse ipotesi , queste possano confondersi con certezze.Ma il fatto che tutti abbraccino le stesse ipotesi , magari perché appaiono evidenti, non le rende meno arbitrarie.
Per Euclide le sue ipotesi ad esempio non dovevano essere spiegate,  perché evidenti , e non si trovava uno che avesse qualcosa da eccepire su ciò.
Per noi , uomini di oggi, che tanto abbiamo imparato da Euclide ,le ipotesi non vanno spiegate , perché questa "non necessita' " è ciò che ne definisce la natura.
Se non si accetta l'evidenza delle ipotesi di Euclide , il considerarle arbitrarie , non solo non toglie valore agli Elememti di Euclide , ma da un lato me amplia il campo di applicazione e dall'altro da il via a tante altre geometrie altrettanto utili.
Partire da evidenti certezze è una esigenza ben scusabile e comprensibile , ma anche una complicazione inutile , se non un errore.Detto ovviamente col senno di poi.
Per non parlare del postulato delle parallele , che evidente non era , a dimostrazione del fatto che la ricerca di evidenze è una esigenza tanto pressante da far accettare compromessi , facendoci accontentare di qualcosa di solo sufficientemente evidente.
Quindi , quello che possiamo dire col senno di poi , è che la mirabile opera di Euclide è consistita nel prendere le conoscenze matematiche del suo tempo , divise e frammentarie , riportandole tutte ad unità logica a partire da ipotesi costruite ad hoc , con l'accidentale complicazione che quelle ipotesi apparivano evidenti , anche se questa evidenza  d'altro canto  tanto sembrava rassicurante.
Ai tempi di Euclide è ancora fino a ieri sapevamo di conoscere delle cose senza sapere come facevamo a conoscerle.Troopp bello per essere vero.
Oggi abbiamo aperto una finestra su come facciamo a comprendere le cose.
Molto bella la domanda genealogica sulla nascita: la direi nascere dalla certezza originaria e immediata di esserci.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
Phil, avevo detto infatti che il mio scopo non era definire l'essere nei modi in cui definiamo le altre cose, visto che io stesso l'avevo dichiarato impossibile da definire. Il mio scopo era spiegare in che senso sia possibile parlare dell'essere come se fosse un sostantivo. Il senso è quello che ho detto: risultato di un processo di astrazione. Questo mi serviva per chiarire che non si tratta solo del riferimento ad esseri sperimentati come reali o materiali.

Quando parlo della pietra che dimostra di esistere senza essere pensata, ne parlo non in un senso filosofico, esatto, esigente, preciso, ma soltanto come istintiva deduzione susseguente all'inciampare: se sono inciampato vuol dire che non ci stavo pensando e quindi la pietra esisteva quando io non pensavo ad essa.

L'essere universale deve misurarsi con chi lo pensa proprio per dimostrare di essere indipendente. Io, ad esempio, potrei sostenere di saper muovere la pietra col pensiero; sarà il misurarmi direttamente con essa a stabilire se è vero o no. Se ritengo le mie affermazioni fortissime, non avrò paura di misurarmi con qualsiasi cosa. Allo stesso l'essere che voglia risultare universale: devo dimostrarlo alla prova dei fatti, così come la pietra, alla prova dei fatti, dimostra di esistere senza bisogno che io debba pensarla.

Pr quanto riguarda la certezza di pensare ciò che riteniamo di pensare, il ricorso alla memoria serve solo ad attenuare la terrificità della situazione: se vogliamo prendere la via della memoria, dobbiamo anche convenire che, trattandosi di una questione di principio, non è possibile stabilire distanze nel tempo. Cioè, non possiamo dire "la memoria può tradirmi solo oltre una settimana; se è passata meno di una settimana ho la certezza di ricordare alla perfezione". No: se stabiliamo che la memoria può tradirci, ne consegue che essa può tradirci anche nell'arco di un milionesimo di secondo. Ne consegue che non si tratta solo del fatto che io non posso mai essere certo di cosa ho pensato; si tratta del fatto che non posso mai essere certo neanche di cosa sto pensando, perché anche nel presente è pur sempre questione di memoria.
Per far capire meglio questa situazione può essere utile richiamare l'esempio delle carte: se dobbiamo contare un mazzo di diecimila carte, è facile alla fine essere colti dal dubbio che durante la conta possiamo esserci distratti e quindi il risultato finale non è affidabile. Ci sentiamo più sicuri se le carte sono di meno. Facciamo cento? Forse sono ancora troppe per essere abbastanza sicuri. Facciamo dieci? Dai, con dieci carte è impossibile pensare di essersi distratti! E invece no, perché la filosofia non guarda alle quantità. Se posso essere tradito dalla memoria, significa che posso essere tradito anche nel contare una sola carta. Ecco quindi la conclusione terribile: non possiamo mai stabilire di star pensando davvero ciò che ci sembra di star pensando. Infatti tu hai parlato di evidenza. Ma l'evidenza, di fronte alle esigenze severissime della filosofia, non ha alcun valore.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 03 Marzo 2018, 09:13:16 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM

Pr quanto riguarda la certezza di pensare ciò che riteniamo di pensare, il ricorso alla memoria serve solo ad attenuare la terrificità della situazione: se vogliamo prendere la via della memoria, dobbiamo anche convenire che, trattandosi di una questione di principio, non è possibile stabilire distanze nel tempo. Cioè, non possiamo dire "la memoria può tradirmi solo oltre una settimana; se è passata meno di una settimana ho la certezza di ricordare alla perfezione". No: se stabiliamo che la memoria può tradirci, ne consegue che essa può tradirci anche nell'arco di un milionesimo di secondo. Ne consegue che non si tratta solo del fatto che io non posso mai essere certo di cosa ho pensato; si tratta del fatto che non posso mai essere certo neanche di cosa sto pensando, perché anche nel presente è pur sempre questione di memoria.
CitazioneDistinguere il presente (istantaneo) dall' immediatamente successivo (e precedente) é un problema pazzesco (mi ricorda i paradossi di Zenone) e preferirei astenermi dal pronunciarmi in proposito.

Ma che la memoria possa ingannarci, a qualsiasi distanza di tempo dai fatti ricordati o pretesi essere ricordati, non é qualcosa che potrebbe darsi o meno.
Semplicemente non é contraddittorio pensare (ergo: é possibile) che la memoria ci inganni, ergo: per "memoria" si intende (per definizione) qualcosa che é (e non: potrebbe darsi o meno che sia) fallibile e dunque i ricordi sono incerti, degni di dubbio (compreso il ricordo stesso che la memoria sia degna di dubbio nonappena questo pensiero non é più presentemente in atto ma invece ricordato); e questo anche senza bisogno di considerare che poiché a volte ci ha ingannato (dal momento che questo é a sua volta un dato di memoria, e dunque dubitabile; e sarebbe un circolo vizioso utilizzarlo come argomento) può benissimo ingannarci in qualsiasi altra occasione.


Per far capire meglio questa situazione può essere utile richiamare l'esempio delle carte: se dobbiamo contare un mazzo di diecimila carte, è facile alla fine essere colti dal dubbio che durante la conta possiamo esserci distratti e quindi il risultato finale non è affidabile. Ci sentiamo più sicuri se le carte sono di meno. Facciamo cento? Forse sono ancora troppe per essere abbastanza sicuri. Facciamo dieci? Dai, con dieci carte è impossibile pensare di essersi distratti! E invece no, perché la filosofia non guarda alle quantità. Se posso essere tradito dalla memoria, significa che posso essere tradito anche nel contare una sola carta. Ecco quindi la conclusione terribile: non possiamo mai stabilire di star pensando davvero ciò che ci sembra di star pensando. Infatti tu hai parlato di evidenza. Ma l'evidenza, di fronte alle esigenze severissime della filosofia, non ha alcun valore.
CitazioneSu questo concordo.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Phil il 03 Marzo 2018, 16:42:38 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
Il mio scopo era spiegare in che senso sia possibile parlare dell'essere come se fosse un sostantivo. Il senso è quello che ho detto: risultato di un processo di astrazione.
Pensavo ti riferissi al verbo "coniugabile", non alla sua forma di infinito sostantivato (la cui "costruzione", nel caso del verbo essere, non mi pare peculiare rispetto agli altri verbi...). Il processo di astrazione si basa comunque sul senso dell'infinito del verbo (la cui definizione resta quindi cruciale).

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
se sono inciampato vuol dire che non ci stavo pensando e quindi la pietra esisteva quando io non pensavo ad essa.
Forse non esisteva prima che la percepissi, direbbe qualcuno... (ok, qui faccio l'avvocato del diavolo ;) ).
Infatti, non la penso ma la sento, ovvero la sua esistenza dipende per me dal mio sentire (fuori dai miei sensi e dal mio pensiero, non posso fare asserzioni di esistenza). In questo senso dicevo:
Citazione di: Phil il 02 Marzo 2018, 17:13:32 PM
Per poter parlare di quella pietra (e della sua oggettività) senza pensarla, dobbiamo almeno percepirla... [...] Tale oggettività risulta dunque sempre soggettiva (pensata o percepita che sia).


Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
la pietra, alla prova dei fatti, dimostra di esistere senza bisogno che io debba pensarla.
La pietra non fa né dà dimostrazioni (suvvia, non umanizziamola, altrimenti passiamo dalla filosofia alla letteratura  ;D ) sono sempre io a poter parlare della sua esistenza, pensandola o percependola (almeno, non vedo altri canali...).

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
non è possibile stabilire distanze nel tempo. Cioè, non possiamo dire "la memoria può tradirmi solo oltre una settimana; se è passata meno di una settimana ho la certezza di ricordare alla perfezione". No: se stabiliamo che la memoria può tradirci, ne consegue che essa può tradirci anche nell'arco di un milionesimo di secondo.
Distinguerei attentamente il "ricordare" dal "pensare". "Penso a una carta" non è "ricordo una carta".
Inoltre, (anche a me, come a Sgiombo, è tornato in mente quell'enigmista di Zenone!) nel parlare di infinita divisibilità del tempo o di milionesimi di secondo, non dovremmo mettere totalmente da parte i "limiti strutturali" dell'essere umano: i milionesimi di secondo esistono solo razionalmente, sulla carta, ma non possono essere percepiti-vissuti coscientemente... se un display me ne mostrasse il fluire in tempo reale, io non vedrei nulla (troppo veloci!), e ovviamente non li identificherei se provassi a contarli (pronuncia troppo lenta!).
Non credo sia possibile avere coscienza del milionesimo di secondo, né tantomeno memoria: fra un milionesimo di secondo e un altro, il mio corpo è quasi immobile, quasi identico al milionesimo di secondo precedente (si sarà mosso al massimo qualche elettrone, o comunque niente di cui io sia minimamente cosciente... oppure è tutta una questione di lentezza percettiva personale?  ;D ).
Mi sembra quindi che ci sia un "tempo minimo" sotto il quale non abbiamo ancora memoria (ma non chiedermi qual'è la sua unità di misura, se siano secondi o decimi...) e tale tempo minimo sancisce la differenza fra pensiero-presente e memoria-presente del passato (differenza squisitamente umana, dovuta al "ritmo" della sua biologia).

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
Ne consegue che non si tratta solo del fatto che io non posso mai essere certo di cosa ho pensato; si tratta del fatto che non posso mai essere certo neanche di cosa sto pensando, perché anche nel presente è pur sempre questione di memoria. [...] Se posso essere tradito dalla memoria, significa che posso essere tradito anche nel contare una sola carta. Ecco quindi la conclusione terribile: non possiamo mai stabilire di star pensando davvero ciò che ci sembra di star pensando.
L'incertezza radicale su cosa sto pensando, nell'atto presente ed (auto)evidente di pensarlo, è inattuabile (se non inattendibile), sia in teoria che in pratica: in teoria, se dovessi dubitare di aver davvero pensato alla "donna di fiori" (l'8 marzo si avvicina  ;) ), dovrei poi dubitare anche di aver davvero pensato di dubitare di aver pensato quella carta, e così via... in pratica, ciò comporterebbe uno stallo catatonico in cui il mio pensiero non sarebbe in grado di guidare un solo gesto, restando intento a dubitare del suo medesimo pensarsi (in una spirale paranoica, inibitoria dell'azione). Se invece fosse un esterno a dirmi che in realtà io non pensavo alla carta, perché non dovrei dubitare anche di lui? E via con altre catene infinite e autoreferenziali di dubbi "esponenziali"...
Direi che l'autoevidenza del pensiero presente (al di sotto del suddetto "tempo minimo") possiamo serenamente lasciarla fuori dal dubbio, almeno se vogliamo continuare a vivere fuori dal manicomio  ;D

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
Infatti tu hai parlato di evidenza. Ma l'evidenza, di fronte alle esigenze severissime della filosofia, non ha alcun valore.
Le "esigenze severissime" le ha la metafisica classica (mossa dalla fede in utopiche perfezioni e assolute trascendenze), mentre la filosofia attuale può essere, di diritto e di fatto, anche più "bonacciona" e "giocosa".
Sostenere che "l'evidenza non ha alcun valore" significa non poter fondare alcuna filosofia (allora, da dove si parte?), e men che meno una qualsivoglia epistemologia (per cui si riaffaccia l'ipotesi della letteratura  ;) ).
Problematizzare l'evidenza, indagandone il valore (senza negarlo), significa fare filosofia (almeno secondo me... e anche secondo Marleau Ponty: "il filosofo deve avere il gusto dell'evidenza e il senso dell'ambiguità").
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 16:59:12 PM
Credo che si creino dei fraintendimenti nel discorso, sempre dovuti alla questione di trattare la filosofia da un punto di vista storico.

Voglio dire, quando parlo della pietra che mi fa inciampare, mi sto riferendo a un modo di trattare la questione che si pone come modo iniziale, cioè intuitivo, esperienziale, in una fase in cui non c'è ancora una riflessione critica. Se queste mie affermazioni vengono invece trattate situandole in un contesto di affermazioni di principio, a cui si richiede applicazione del senso critico, coerenza logica, precisione assoluta di significati, è logico che vengono fraintese.

Ora, per me questo è cruciale, cioè un sacco di questioni vengono fraintese proprio perché non vengono situate nel loro contesto di severità oppure di intuizione esperienziale non riflessa. Ma la filosofia è questo: essa è sempre un decorso dal non riflesso al riflesso; l'esperienza che facciamo di una pietra, sia nella nostra storia personale che in quella della filosofia mondiale, non nasce immediatamente corredata di osservazioni critiche radicali. È questo che mi permette di dire che la pietra dimostra la sua esistenza oggettiva, indipendente dal mio pensare, facendomi cadere. La critica radicale sull'essere è il punto di arrivo del processo e non può essere applicata al punto di partenza; sarebbe come chiedere all'uomo preistorico, che creava le sue pitture rupestri, come mai non si chiedeva se i bisonti che dipingeva esistessero davvero.

Ciò non va confuso con il riferimento che hai fatto alla fine sulla filosofia giocosa. Se la filosofia attuale sceglie di essere più bonacciona, quest'atteggiamento è tutt'altro rispetto all'imprecisione critica che possiamo riscontrare nell'uomo primitivo. Al contrario, essa prende la via di essere bonacciona proprio per un'esigenza critica ancora più radicale rispetto a quella riscontrata nella metafisica; quindi si tratta di un essere bonacciona che in realtà è attentissimo a misurare al millimetro ogni parola che usa e ogni senso comunicato.
Titolo: Re:Ci sono cose
Inserito da: sgiombo il 03 Marzo 2018, 19:09:41 PM
Citazione di: Phil il 03 Marzo 2018, 16:42:38 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AMForse non esisteva prima che la percepissi, direbbe qualcuno... (ok, qui faccio l'avvocato del diavolo ;) ).


CitazioneInfatti non esisteva (in quanto insieme delle sensazioni che la costituiscono; e che quando non la percepisco, ovvero non la sento, non ci sono; e dunque, essendone costituita, non c' é la pietra).
Se qualcosa c' é anche allora (allorché non accadono le sensazioni "della" -ovvero: costituenti la- pietra, per non cadere in contraddizione, dobbiamo pensare che si tratta di altro che le sensazioni (fenomeniche) costituenti la pietra che non stanno accadendo, di qualcosa si diverso da esse, qualcosa di "in sé", non sensibile (non apparente ai sensi; dal greco: non fenomeni) ma solo congetturabile (dal greco: noumeno).


Ma qui stiamo forse andando fuori tema...

Distinguerei attentamente il "ricordare" dal "pensare". "Penso a una carta" non è "ricordo una carta".
Inoltre, (anche a me, come a Sgiombo, è tornato in mente quell'enigmista di Zenone!) nel parlare di infinita divisibilità del tempo o di milionesimi di secondo, non dovremmo mettere totalmente da parte i "limiti strutturali" dell'essere umano: i milionesimi di secondo esistono solo razionalmente, sulla carta, ma non possono essere percepiti-vissuti coscientemente... se un display me ne mostrasse il fluire in tempo reale, io non vedrei nulla (troppo veloci!), e ovviamente non li identificherei se provassi a contarli (pronuncia troppo lenta!).
Non credo sia possibile avere coscienza del milionesimo di secondo, né tantomeno memoria: fra un milionesimo di secondo e un altro, il mio corpo è quasi immobile, quasi identico al milionesimo di secondo precedente (si sarà mosso al massimo qualche elettrone, o comunque niente di cui io sia minimamente cosciente... oppure è tutta una questione di lentezza percettiva personale?  ;D ).
Mi sembra quindi che ci sia un "tempo minimo" sotto il quale non abbiamo ancora memoria (ma non chiedermi qual'è la sua unità di misura, se siano secondi o decimi...) e tale tempo minimo sancisce la differenza fra pensiero-presente e memoria-presente del passato (differenza squisitamente umana, dovuta al "ritmo" della sua biologia).
CitazioneQui siamo perfettamente in tema e concordo pienamente.

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
Ne consegue che non si tratta solo del fatto che io non posso mai essere certo di cosa ho pensato; si tratta del fatto che non posso mai essere certo neanche di cosa sto pensando, perché anche nel presente è pur sempre questione di memoria. [...] Se posso essere tradito dalla memoria, significa che posso essere tradito anche nel contare una sola carta. Ecco quindi la conclusione terribile: non possiamo mai stabilire di star pensando davvero ciò che ci sembra di star pensando.
L'incertezza radicale su cosa sto pensando, nell'atto presente ed (auto)evidente di pensarlo, è inattuabile (se non inattendibile), sia in teoria che in pratica: in teoria, se dovessi dubitare di aver davvero pensato alla "donna di fiori" (l'8 marzo si avvicina  ;) ), dovrei poi dubitare anche di aver davvero pensato di dubitare di aver pensato quella carta, e così via... in pratica, ciò comporterebbe uno stallo catatonico in cui il mio pensiero non sarebbe in grado di guidare un solo gesto, restando intento a dubitare del suo medesimo pensarsi (in una spirale paranoica, inibitoria dell'azione). Se invece fosse un esterno a dirmi che in realtà io non pensavo alla carta, perché non dovrei dubitare anche di lui? E via con altre catene infinite e autoreferenziali di dubbi "esponenziali"...
Direi che l'autoevidenza del pensiero presente (al di sotto del suddetto "tempo minimo") possiamo serenamente lasciarla fuori dal dubbio, almeno se vogliamo continuare a vivere fuori dal manicomio  ;D
CitazioneBen detto!

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
Infatti tu hai parlato di evidenza. Ma l'evidenza, di fronte alle esigenze severissime della filosofia, non ha alcun valore.
Le "esigenze severissime" le ha la metafisica classica (mossa dalla fede in utopiche perfezioni e assolute trascendenze), mentre la filosofia attuale può essere, di diritto e di fatto, anche più "bonacciona" e "giocosa".
Sostenere che "l'evidenza non ha alcun valore" significa non poter fondare alcuna filosofia (allora, da dove si parte?), e men che meno una qualsivoglia epistemologia (per cui si riaffaccia l'ipotesi della letteratura  ;) ).
Problematizzare l'evidenza, indagandone il valore (senza negarlo), significa fare filosofia (almeno secondo me... e anche secondo Marleau Ponty: "il filosofo deve avere il gusto dell'evidenza e il senso dell'ambiguità").
CitazioneSecondo me in ogni tempo una buona filosofia deve cercare la massime evidenza possibile col massimo di rigore e severità possibile.
Criticamente, senza pretendere l' impossibile e dunque rendensìdosi ben conto dei limiti di ogni evidenza acquisibile.