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Ci sono cose

Aperto da iano, 25 Febbraio 2018, 00:17:40 AM

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Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Il verbo essere/esistere non può essere spiegato
La poni già come una conclusione indubitabile?  ;D
Sostenere che "il verbo essere/esistere non può essere spiegato"(corsivi miei) non è un'autoreferenza piuttosto oscura, in cui si usa ("non può essere" dici) proprio ciò che si ritiene inspiegabile (il verbo "essere")?

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Da qui possiamo passare ad una seconda ragione per cui è impossibile spiegare il verbo essere: perché, ammesso che se ne trovi una spiegazione qualsiasi, questa spiegazione avrebbe a sua volta bisogno di essere spiegata e così all'infinito.
Ogni definizione essendo convenzionale (arbitraria) può essere problematizzata mettendo in discussione gli assunti su cui si basa. Ciò non vale quindi solo per il povero verbo "essere" ;); anzi, vale ancora di più per le parole o i verbi che presuppongono il verbo essere (che, difficile non concordare, non è certo un verbo qualsiasi...).
Eppure abbiamo bisogno di usare un linguaggio, e per usarlo dobbiamo accettarne le definizioni (pur lasciandole diacronicamente modificabili, come direbbe De Saussure).
La "fruibilità" di una definizione viene messa alla prova dal suo utilizzo pragmatico: prova ad usare la definizione che ti ho proposto, se la accetti, incappi in fraintendimenti, aporie, ambiguità, oppure funziona?
Mettiamola pure in discussione (siamo qui per questo  :) ), ma mentre lo facciamo o smettiamo di usare il verbo "essere" (se è vero che non riusciamo a definirlo, e usare parole indefinite non giova certo alla comprensione) oppure ne proponiamo un'altra più "spendibile".


Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
La spiegazione data da Phil permette di far luce su un terzo motivo per cui non è possibile spiegare il verbo essere: le nozioni di spazio e tempo sono nozioni esperienziali e difatti non è difficile renderci conto che il verbo essere è nato per descrivere l'esperienza umana. Ma l'esperienza umana non è nata come riflessione, è nata come semplice esperienza, accompagnata da linguaggi utili a comunicare.
Il fatto che una definizione sia basata su "nozioni esperienziali" è davvero un difetto per la definizione stessa? Se devo definire significati difficili da ingabbiare in spiegazioni, come il dolore, l'amore, o altro, non giova proprio far appello all'esperienza?
Secondo me, l'avere radici esperibili rende una definizione ancora più salda e attendibile (prevenendo sterile astrattismo definitorio).

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Il problema quindi è che la filosofia, con le sue esigenze severissime, si trova in realtà a doversi servire del linguaggio umano, il quale non è nato con tutta questa severità.
Inevitabilmente la filosofia usa il linguaggio umano (non mi pare un "problema", tutte le discipline fondano i loro linguaggio specifici su quello umano, se per "umano", intendi "comune"...).

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
In questo senso il verbo essere non può essere definito perché non è nato con intenzioni di assoluta precisione, come esige la filosofia, ma per scopi semplicemente pratici e quindi intriso di approssimazione e mancanza di chiarezze teoretiche.
Non confonderei la semplice riscontrabilità, l'intuitività, la funzionalità diffusa, con l'approssimazione e la mancanza di chiarezza. Ripensa ancora ad alcune delle definizioni che trovi in giro (per non citare sempre solo la mia  ;D ), alcune definiscono abbastanza chiaramente il verbo essere (non sempre una definizione deve essere stringente o rigida, la forza della lingua è proprio la sua controllata versatilità semantica!).

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
In realtà, che il verbo essere non possa essere definito, è stato già in vari modi sostenuto, più o meno implicitamente, da molta filosofia: cos'hanno sostenuto i sofisti se non l'impossibilità di definire alcunché? Ritengo che il culmine sia stato raggiunto da Heidegger, nel sostenere che non esiste l'essere; l'unica cosa di cui ha più senso parlare è l'essere in quanto esserci, l'esserci nostro, il nostro essere nel mondo. In altre parole, Heidegger ci ha fatto capire che non possiamo definire l'essere perché, trovandoci interamente coinvolti in esso, non abbiamo alcuna alcuna possibilità di distanziarci da esso per poterlo definire. Qualsiasi definizione di essere non può fare a meno di essere viziata, condizionata, inquinata, da sé stessa, dal proprio stesso esistere.
Vogliamo emancipare il linguaggio dal verbo essere? Si può fare... ma useremo pur sempre un linguaggio convenzionale in cui si porrà l'inaggirabile problema di come fondare le definizioni (se si esclude la convenzione stessa che le fonda, dubitandone  ;) ). A questo punto il linguaggio va in stallo autoreferenziale: possiamo usare il linguaggio per criticare se stesso e possiamo anche produrre un linguaggio differente, ma si tratta comundi condividerne le definizioni con le persone con cui lo usiamo.
Tu, quando usi il verbi essere, a cosa ti riferisci? Qual'è l'effetto filosofico collaterale di intendere il verbo essere in quel modo? Puoi ritoccare la definizione per renderla meno inibitoria o confusa?

Su Heidegger farei molta attenzione: è ancora sul terreno metafisico, seppur "in fuorigioco", e la sua analitica dell'Essere (occhio alla maiuscola!) sfocia in un linguaggio poetante di difficile fruizione; non mi pare sia un buon esempio della fertilità della critica al verbo essere... che l'essere sia sempre un esserci aiuta forse a definire meglio l'essere, ma si tratta pur sempre di definirlo (concettualmente) prima di usarlo (semanticamente), il che presuppone che l'indefinibilità che postuli sia solo apparente.

Puoi citare altri nomi (Korzibski, Frege o alcuni analitici di oltre oceano), e comunque scommetto troverai una critica che è rivolta all'uso attento della parola, ma che non destituisce la sua funzione semantica, basata sulla sua definizione (almeno nelle lingue che la usano e che strutturano le loro filosofie usando quelle lingue... il che non toglie che alcune lingue possano farne a meno).

P.s.
Se chiedi la spiegazione di "cosa significa essere-esistere", e poi sostieni che non ti fidi perché la definizione si basa sull'arbitrarietà, vuol dire che era una giocosa domanda-trabocchetto, perché ogni definizione linguistica è inevitabilmente convenzionale; tuttavia, in fondo, se non accettiamo tali convenzioni non abbiamo un linguaggio da usare (né da modificare).

Phil

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
@phil.
Dal semplice,teoremino, se "esisto io allora esistono cose" ho derivato che io e non io sono fatti della,stessa sostanza.
Non capisco... fuoco e non-fuoco sono fatti dalla stessa sostanza? Se esisto io è semmai probabile che ci siano cose sostanzialmente differenti da me...
Intendi "sostanza" come "parolaccia metafisica"  ;D ?

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.
Infatti
Citazione di: Phil il 27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
Se per "cose" intendiamo invece una serie di oggetti esterni autonomi dal mio pensarli, allora ci imbattiamo nell'atavica diatriba fra realismo e idealismo, che potremmo inasprire ulteriormente condendola con una spolverata "orientale" di considerazioni buddiste sulla "convenzionalità"  ;)

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Ma prima o poi le contraddizioni saltano fuori , e quando saltano fuori , bisogna fare un passo indietro e specificare a che livello si discute.
Sottoscrivo:
Citazione di: Phil il 27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
dovremmo, a questo punto, iniziare a distinguere fra i vari tipi (o piani) di esistenza, disambiguando i possibili sensi

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Scherzando sintetizzerei la questione citando Paolo Conte.
Da adulti sbagliamo da professionisti, mentre sono molto più concreti i bambini quando giocano a 
"facciamo che io ero" . 😬
Come ci ricordano i bambini l'esistenza è un gioco.
C'è lo ricordano perché noi una volta lo sapevamo.😊
Allora,se proviamo a tornare bambini ci apparirà chiaro che la realtà nasce dall'immedesimazione in un gioco  che non si sa di star giocando.
Perché non lo abbiamo iniziato noi quel gioco , e non abbiamo neanche deciso di giocarlo , ma ci siamo semplicemente trovati dentro al gioco.
Eppure la consapevolezza di quel gioco è un traguardo filosofico importante, che rende uomo il bambino (e non è detto si viva meglio  ;D ).

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Se però decidiamo di giocare quel gioco le regole le detta la scienza , anche se non sempre sono chiarissime perché sporcate umanamente sempre di metafisica.
La filosofia della scienza è infatti chiamata, nei limiti del possibile, a fare da "lavatrice della scienza"  ;D

Angelo Cannata

#32
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:13:02 PMLa poni già come una conclusione indubitabile?  ;D
Sostenere che "il verbo essere/esistere non può essere spiegato"(corsivi miei) non è un'autoreferenza piuttosto oscura, in cui si usa ("non può essere" dici) proprio ciò che si ritiene inspiegabile (il verbo "essere")?

Penso che qui ci sia un punto cruciale interessante.

Ultimamente mi sta sembrando che il relativismo non sia in realtà una posizione a sé stante, ma punto di arrivo inevitabile, quindi certo, di chi parte dalla certezza.
Per chiarire ciò sarà utile osservare che parlare di essere in un senso filosofico fondamentale, insomma sulla linea di Parmenide, o di Aristotele, implica il parlarne in un contesto di certezza e di universalità: l'essere non può essere tale se non è certo e se non è universale, cioè oggettivo, valido per tutti, indipendente da chi lo prende in considerazione.

Ora, è proprio questa posizione a portare al dubbio relativista e la cosa che trovo più interessante è che, quando si giunge al dubbio, siccome vi si è giunti partendo dalla certezza, si giunge al dubbio quando ancora ci si sta muovendo nell'ambito della certezza, cioè prima di diventare relativisti. Significa che si giunge alla conclusione che è certo che tutto è incerto. Questo ovviamente non può non suonare paradossale, contraddittorio, ma viene ad essere dimostrazione certa della paradossalità di chi intenda muoversi nell'ambito della certezza.

In questo senso, il procedimento è inverso a quello che Cartesio pensava di aver individuato. Cartesio partì dal dubbio metodico per guadagnare, proprio attraverso di esso, una certezza indubitabile (Cogito, ergo sum, anzi, meglio, direi Dubito ergo sum, Dubito quindi posso ottenere una certezza). Ma non esiste dubbio se prima non si ha alcuna certezza, almeno ipotizzata come tale, poiché mancherebbe l'oggetto del dubitare. Quindi il modo di procedere più corrispondente a come ci risulta che le cose siano andate nella storia del pensiero è il modo inverso: si parte dalla certezza per giungere a prendere atto che essa è autocontraddittoria, conduce al paradosso, il che significa certezza che la certezza è paradossale.

Andiamo in dettaglio a come procedono le cose e partiamo dall'essere.

Questa discussione porta il titolo "Ci sono cose".

In astratto possiamo considerarlo simile nient'altro che all'affermazione di Parmenide: l'essere è.

Come ho detto sopra, se l'essere è, è necessario che sia certo. Non può avere senso parlare dell'essere in un senso fondamentale, base e pilastro di ogni altro discorso, se l'essere non potesse godere di certezza.

Allo stesso modo, l'essere dev'essere necessariamente universale.

Ma se è universale, esso deve fare i conti con ogni tipo di esistenza.

In particolare, deve fare i conti con l'esistenza di chi lo sta pensando. Non ci sono ragioni che ci consentano di ignorare a priori questo fatto. Semmai, esso potrà essere ignorato soltanto dopo aver acquisito certezza che esso possa effettivamente essere ignorato, certezza della sua irrilevanza. Ma prima dobbiamo prenderlo in considerazione, per vedere se può essere davvero ignorato.

Il fatto in questione è il seguente: noi non possiamo considerare l'essere se non come pensato da noi. Questo è ciò di cui ho detto diverse volte in passato che è il punto cruciale che invece la metafisica trascura: il fare i conti con il soggetto, cioè il pensante.

Fare i conti con il soggetto pensante significa osservare che per noi umani è impossibile parlare di ciò di cui non stiamo parlando, è impossibile pensare ciò che non stiamo pensando.

Ciò viene trascurato da coloro che dicono che le cose esistono anche quando non pensiamo ad esse: essi non si accorgono che, per poterne parlare adesso, è indispensabile parlarne adesso. Cioè, se anche nel futuro ci sarà un momento in cui una pietra esisterà senza essere pensata da nessuno, il problema è che noi, per poter pensare alla pietra non pensata da nessuno, abbiamo dovuto pensarla. Cioè, viene a risultare umanamente impossibile pensare ad una pietra, pensare al momento in cui nel futuro non sarà pensata da nessuno, senza prima farla rientrare nel gruppo delle cose pensate nel presente da noi. È umanamente impossibile pensare l'essere indipendente dal soggetto senza prima trasformarlo in essere dipendente dal soggetto. È impossibile pensare all'impensato (la pietra che nel futuro non sarà pensata da nessuno) senza trasformarlo in essere pensato. Si potrebbe obiettare: "Sì, ora è un essere pensato, ma tra cinque minuti, quando io non ci penserò, sarà un essere non pensato!". Risposta: il problema non è della pietra, il problema non è se la pietra riesce ad esistere senza bisogno che noi la pensiamo; il problema è nostro: il problema è che noi non abbiamo modo di pensare al momento in cui essa non sarà pensata senza trasformarlo in momento in cui essa viene pensata. Quindi la pietra magari esisterà effettivamente quando nessuno penserà ad essa, ma a noi è stato comunque impossibile pensare a tale stato di pietra non pensata senza trasformarlo in stato di pietra pensata. Per poter pensare ad una pietra non pensata siamo costretti inevitabilmente a trasformarla in pietra pensata. La pietra non ha bisogno di essere pensata per esistere, ma noi abbiamo bisogno di pensarla per poter pensare alla sua esistenza non pensata.
Ora il problema è questo: se per pensarla siamo costretti a pensarla, come possiamo affermare di star parlando della pietra non pensata? Si potrebbe obiettare: pensata nel presente, ma non pensata nel futuro. L'obiezione però rimane: come possiamo sapere cosa significa "pietra non pensata", anche se riferita al futuro, se per parlarne siamo costretti a pensarla, almeno nel presente? Siamo costretti a concludere che quando parliamo di pietra non pensata non sappiamo di cosa stiamo parlando.
Per parlare di essere indipendente siamo costretti a trasformarlo in essere dipendente dal nostro pensarlo. Non ci è possibile avere idea alcuna dell'essere non pensato, perché non possiamo parlare di esso senza trasformarlo in essere pensato.

La cosa interessante è che fin qui non siamo ancora nel relativismo: ci stiamo pur sempre muovendo nel campo della certezza.
Questo è ciò che mi sta sembrando certo: è certo che la certezza è paradosso, l'essere è paradosso.
La certezza può non apparire paradosso soltanto a chi non ne considera queste conseguenze, cioè soltanto a chi la considera in modo non ben considerato.
Lo stesso vale per l'essere: pensare l'essere non può non risultare paradossale a chi lo pensa senza trascurare le conseguenze dell'averlo pensato.

iano

@Angelo.
Ok Angelo , ma se invece di partire dalla certezza , parti dall'ipotesi , non diventa tutto più semplice?
In fondo una ipotesi equivale a fingere una certezza , e quindi tutto il tuo discorso , che condivido , lo si può ripetere in questi nuovi termini.
È vero però che le cose di solito vanno come dici tu.
Si parte , convinti , da una certezza , quindi si giunge a un paradosso , la terra ci manca sotto i piedi e andiamo in crisi , e vai di camomilla ed antidepressivi.😅
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
@phil.
Dal semplice,teoremino, se "esisto io allora esistono cose" ho derivato che io e non io sono fatti della,stessa sostanza.
Non capisco... fuoco e non-fuoco sono fatti dalla stessa sostanza? Se esisto io è semmai probabile che ci siano cose sostanzialmente differenti da me...
Intendi "sostanza" come "parolaccia metafisica"  ;D ?

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.






Si , la stessa sostanza "mentale ".
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Angelo Cannata

Qualcuno potrebbe obiettare a ciò che ho scritto: "Ma io in questo momento non sto pensando alla pietra da me pensata nel presente; ciò che sto pensado è solo ed esclusivamente la pietra che nel futuro non sarà pensata da nessuno: è essa e solo essa l'oggetto del mio pensiero presente".
Questo però farebbe nascere la domanda: chi mi assicura che una pietra che non sia mai stata pensata da nessuno è uguale ad una pietra pensata? Non sarebbe difficile dare una risposta certa: quella pensata da nessuno è uguale a quella pensata proprio perché l'essere è indipendente, abbiamo stabilito di pensarlo indipendente.
Però, a proposito dell'averlo pensato indipendente, si pone lo stesso problema della pietra: come facciamo a stabilire che il pensare un oggetto come indipendente possa essere ritenuto un pensiero indipendente, cioè certo, concepibile come certo, una volta che è umanamente impossibile pensare a tale pensiero senza pensarlo, quindi senza trasformarlo in pensiero non più indipendente dal nostro pensare?

sgiombo

#36
Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2018, 08:25:39 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:13:02 PMLa poni già come una conclusione indubitabile?  ;D
Sostenere che "il verbo essere/esistere non può essere spiegato"(corsivi miei) non è un'autoreferenza piuttosto oscura, in cui si usa ("non può essere" dici) proprio ciò che si ritiene inspiegabile (il verbo "essere")?

Penso che qui ci sia un punto cruciale interessante.

Ultimamente mi sta sembrando che il relativismo non sia in realtà una posizione a sé stante, ma punto di arrivo inevitabile, quindi certo, di chi parte dalla certezza.

CitazioneConcordo se per "relativismo" intendi la consapevolezza razionalistica che qualsiasi conoscenza é inevitabilmente relativa in quanto (per definizione é) predicazione circa la realtà di concetti che la descrivono essere così come (almeno in parte) é o non essere così come (almeno in parte) non é; dal momento che ogni predicazione non é che l' intendere concetti in determinate relazioni reciproche e ogni concetto non é ciò che é se non in quanto definito attraverso determinate relazioni reciproche fra altri concetti.
E inoltre se lo intendi come la consapevolezza scettica dell' incertezza insuperabile di qualsiasi (eventuale) conoscenza (corollario: "razionalismo" e "scetticismo" mi sembrano concetti più adeguati ad intendere queste convinzioni sulle quali concordo, meglio "calzanti" almeno secondo il mio soggettivo modo di vedere la cosa).


Dissento completamente se per "relativismo" intendi, come da parte di non pochi accade di fatto (e aggiungo:) a quanto pare (come "precauzione scettica – razionalistica"), che esisterebbero più "verità" reciprocamente contraddittorie (N.B.: e non: diverse ma reciprocamente compatibili, logicamente coerenti nel loro insieme, cioè "complementari") tutte ugualmente valide oggettivamente come tali (=ugualmente vere oggettivamente, e indiscriminatamente interscambiabili secondo qualsiasi "ghiribizzo", o pregiudizio, o arbitraria preferenza soggettiva).
Questo (quanto ho evidenziato qui sopra in grassetto) é palesemente autocontraddittorio, senza senso: non propriamente frasi o proposizioni, ma mere casuali, insignificanti sequenze di caratteri tipografici.



Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2018, 08:25:39 AMPer chiarire ciò sarà utile osservare che parlare di essere in un senso filosofico fondamentale, insomma sulla linea di Parmenide, o di Aristotele, implica il parlarne in un contesto di certezza e di universalità: l'essere non può essere tale se non è certo e se non è universale, cioè oggettivo, valido per tutti, indipendente da chi lo prende in considerazione.
CitazioneQui bisognerebbe fare una precisazione.
Il concetto di "essere" é molto ampio e vago (molto più ad esempio di quello di "esistere o accadere realmente"), ed implica anche l' "essere (in quanto mero) contenuto di considerazione teorica, supposizione, credenza, dubbio, pensiero, ecc.".
E ciò che é in quanto mero contenuto di considerazione teorica, contrariamente a ciò che é in quanto realmente esiste o accade (che inoltre lo si pensi in qualche modo o meno), non necessariamente è universale, oggettivo, valido per tutti: se realmente penso agli ippogrifi, allora i miei beneamati ippogrifi (colgo l' occasione per salutare cordialmente Maral!) sono fatti ben reali come connotazioni di un concetto che ben realmente accade nell' ambito del mio pensiero, anche se non sono oggettivamente reali come denotati effettivamente esistenti (contrariamente ai cavalli) di ciò che comunque realissimamente penso (se lo penso: "precauzione scettica – razionalistica"); id est: il fatto del mio pensare gli ippogrifi, i concetti di "ippogrifi" da me pensati sono realissimi, oggettivi, valido per chiunque compia le osservazioni appropriate (anche se non possiamo esserne certi).



Ora, è proprio questa posizione a portare al dubbio relativista e la cosa che trovo più interessante è che, quando si giunge al dubbio, siccome vi si è giunti partendo dalla certezza, si giunge al dubbio quando ancora ci si sta muovendo nell'ambito della certezza, cioè prima di diventare relativisti. Significa che si giunge alla conclusione che è certo che tutto è incerto. Questo ovviamente non può non suonare paradossale, contraddittorio, ma viene ad essere dimostrazione certa della paradossalità di chi intenda muoversi nell'ambito della certezza.

In questo senso, il procedimento è inverso a quello che Cartesio pensava di aver individuato. Cartesio partì dal dubbio metodico per guadagnare, proprio attraverso di esso, una certezza indubitabile (Cogito, ergo sum, anzi, meglio, direi Dubito ergo sum, Dubito quindi posso ottenere una certezza). Ma non esiste dubbio se prima non si ha alcuna certezza, almeno ipotizzata come tale, poiché mancherebbe l'oggetto del dubitare. Quindi il modo di procedere più corrispondente a come ci risulta che le cose siano andate nella storia del pensiero è il modo inverso: si parte dalla certezza per giungere a prendere atto che essa è autocontraddittoria, conduce al paradosso, il che significa certezza che la certezza è paradossale.
Citazione
Concordo sull' insuperabilità razionale dello scetticismo, inteso come dubbio circa qualsiasi eventuale conoscenza circa la realtà (giudizi sintetici a posteriori).
Ritengo invece i giudizi analitici a priori certi, ma non costituenti conoscenze circa la realtà, bensì semplicemente conoscenze di relazioni* fra concetti (arbitrariamente stabiliti mettendo in determinate immediate, esplicite relazioni** altri concetti: definizioni, assiomi, postulati) non immediatamente, esplicitamente espresse nelle definizioni stesse, ma in esse implicite ed esplicitabili attraverso procedimenti logici (deduzioni, dimostrazioni di teoremi): non superano comunque razionalmente lo scetticismo.

Per esempio che nella geometria euclidea la somma degli angoli interni di un triangolo é uguale a un angolo piatto é certo; ma ciò non supera lo scetticismo, dal momento che ci dice con certezza qualcosa solo dei nostri arbitrari pensieri (dell' "essere" inteso in quanto "mero contenuto di considerazione teorica, supposizione, credenza, dubbio, pensiero, ecc.", ma nulla dell' "essere" in quanto insieme di ciò che realmente esiste o accade o meno (che inoltre lo si pensi in qualche modo oppure no), cioè nulla della realtà di ciò che non sia mera considerazione teorica, della realtà (eventualmente) eccedente il mero pensiero.
Il teorema dell' uguaglianza fra un angolo piatto e la somma degli angoli interni di un triangolo euclideo non dice per esempio nulla circa il fatto (ipotetico) che nella realtà esistano oggetti più o meno approssimativamente triangolari o meno.
Non supera lo scetticismo inteso come dubbio insuperabile di qualsiasi conoscenza della realtà (eccedente i -gli eventuali- meri oggetti o contenuti di pensiero).



Andiamo in dettaglio a come procedono le cose e partiamo dall'essere.

Questa discussione porta il titolo "Ci sono cose".

In astratto possiamo considerarlo simile nient'altro che all'affermazione di Parmenide: l'essere è.
CitazioneBeh, no: Parmenide dice che la realtà (l' "essere") é una, unica, immutabile, identica a se stessa.
E non che é costituita da più diverse "cose" in divenire.



Come ho detto sopra, se l'essere è, è necessario che sia certo. Non può avere senso parlare dell'essere in un senso fondamentale, base e pilastro di ogni altro discorso, se l'essere non potesse godere di certezza.

Allo stesso modo, l'essere dev'essere necessariamente universale.

Ma se è universale, esso deve fare i conti con ogni tipo di esistenza.

In particolare, deve fare i conti con l'esistenza di chi lo sta pensando. Non ci sono ragioni che ci consentano di ignorare a priori questo fatto. Semmai, esso potrà essere ignorato soltanto dopo aver acquisito certezza che esso possa effettivamente essere ignorato, certezza della sua irrilevanza. Ma prima dobbiamo prenderlo in considerazione, per vedere se può essere davvero ignorato.

Il fatto in questione è il seguente: noi non possiamo considerare l'essere se non come pensato da noi. Questo è ciò di cui ho detto diverse volte in passato che è il punto cruciale che invece la metafisica trascura: il fare i conti con il soggetto, cioè il pensante.
CitazioneNon so a quali metafisiche (ne esistono molte) ti riferisca.
Tantissime non ignorano affatto il soggetto (i primi nomi che mi vengono in mente sono Cartesio, Spinoza e Kant).



Fare i conti con il soggetto pensante significa osservare che per noi umani è impossibile parlare di ciò di cui non stiamo parlando, è impossibile pensare ciò che non stiamo pensando.
CitazioneOttimo esempio di giudizio analitico a priori (anzi: mera tautologia), certo ma sterile in quanto apporto di conoscenze circa la realtà (eccedente il pensiero).



Ciò viene trascurato da coloro che dicono che le cose esistono anche quando non pensiamo ad esse: essi non si accorgono che, per poterne parlare adesso, è indispensabile parlarne adesso. Cioè, se anche nel futuro ci sarà un momento in cui una pietra esisterà senza essere pensata da nessuno, il problema è che noi, per poter pensare alla pietra non pensata da nessuno, abbiamo dovuto pensarla. Cioè, viene a risultare umanamente impossibile pensare ad una pietra, pensare al momento in cui nel futuro non sarà pensata da nessuno, senza prima farla rientrare nel gruppo delle cose pensate nel presente da noi. È umanamente impossibile pensare l'essere indipendente dal soggetto senza prima trasformarlo in essere dipendente dal soggetto.
Citazione
Ma qui non c' é nessuna contraddizione:
"sto pensando a una pietra -ipoteticamente: sul fatto che si tratti di enti-eventi reali o meno, lo scetticismo mi vieta ogni certezza- esistente -forse: per ipotesi!- non solo ora che ci sto pensando ma anche domani quando non ci penserò e ieri quando non ci pensavo" non contiene contraddizioni.

Casomai ne conterrebbe questo:
"sto pensando a una pietra da me pensata -forse: per ipotesi!- non solo ora che ci sto pensando ma anche domani quando non ci penserò e ieri quando non ci pensavo".



È impossibile pensare all'impensato (la pietra che nel futuro non sarà pensata da nessuno) senza trasformarlo in essere pensato.
CitazioneInvece sì.
Non bisogna confondere il pensare qualcosa a un certo istante (che in quanto tale non può non autocontraddittoriamente anche essere impensato a tale istante) con il pensare a un certo istante qualcosa come esistente (eventualmente: anche; oppure soltanto) in un altro determinato istante (nel quale altro determinato istante, oltre ad esistere realmente, invece non accade realmente, oltre alla sua reale esistenza e non contraddittoriamente ad essa, il fatto di pensarlo.


Si potrebbe obiettare:
"Sì, ora è un essere pensato, ma tra cinque minuti, quando io non ci penserò, sarà un essere non pensato!". Risposta: il problema non è della pietra, il problema non è se la pietra riesce ad esistere senza bisogno che noi la pensiamo; il problema è nostro: il problema è che noi non abbiamo modo di pensare al momento in cui essa non sarà pensata senza trasformarlo in momento in cui essa viene pensata. Quindi la pietra magari esisterà effettivamente quando nessuno penserà ad essa, ma a noi è stato comunque impossibile pensare a tale stato di pietra non pensata senza trasformarlo in stato di pietra pensata. Per poter pensare ad una pietra non pensata siamo costretti inevitabilmente a trasformarla in pietra pensata. La pietra non ha bisogno di essere pensata per esistere, ma noi abbiamo bisogno di pensarla per poter pensare alla sua esistenza non pensata.
CitazioneQui stai confondendo due (ipotetici) momenti diversi della realtà diveniente (sei, senza accorgertene, alquanto parmnideo!), in uno dei quali accade realmente solo l' esistenza di "qualcosa" e non il pensiero dei tale "cosa", mentre nell' altro accade realmente sia l' esistenza di tale "cosa" sia il pensiero di essa, o magari anche il solo pensiero di essa (come esistente realmente in un altro istante) senza la sua esistenza in tale istante (come quando si pensa. "domani a pranzo mi mangerò una bella torta che il pasticcere preparerà domattina", e dunque ora, mentre realmente la sto pensano, realmente non esiste: nessuna contraddizione:


"esistere realmente (che si sia anche realmente anche oggetto di pensiero o meno)" =/= "essere realmente pensato", ovvero "esistere realmente come oggetto di pensiero" (che si esista anche realmente indipendentemente dall' -eventuale- fatto reale di essere inoltre anche oggetto di pensiero o meno, di essere realmente anche eventualmente pensato o meno).



Ora il problema è questo: se per pensarla siamo costretti a pensarla, come possiamo affermare di star parlando della pietra non pensata? Si potrebbe obiettare: pensata nel presente, ma non pensata nel futuro. L'obiezione però rimane: come possiamo sapere cosa significa "pietra non pensata", anche se riferita al futuro, se per parlarne siamo costretti a pensarla, almeno nel presente? Siamo costretti a concludere che quando parliamo di pietra non pensata non sappiamo di cosa stiamo parlando.
Citazione"Reale al presente" =/= "reale in passato" o "reale in futuro".

E dunque (per definizione) predicare l' essere (reale) dell' uno non é contraddittorio col predicare il non essere (reale) degli altri da esso diversi concetti (predicare l' essere reale di un cavallo é contradditorio col predicare il non essere reale di un cavallo, ma non col predicare il non essere reale di un ippogrifo, essendo quest' ultimo un concetto alludente a un ipotetico ente reale ben diverso da quello cui allude il concetto di "cavallo".


Per parlare di essere indipendente siamo costretti a trasformarlo in essere dipendente dal nostro pensarlo. Non ci è possibile avere idea alcuna dell'essere non pensato, perché non possiamo parlare di esso senza trasformarlo in essere pensato.
CitazioneNo!
Ci è possibilissimo avere una sensatissima idea dell' "essere reale non pensato" (pensarla), perché i concetti di "essere reale (che si sia inoltre pensati, "contenuti di pensiero" o meno)" e di "essere in quanto considerato teoricamente, in quanto pensato (che si esista anche realmente o meno)" sono reciprocamente ben diversi; e dunque predicare l' essere reale dell' uno non é contraddittorio col predicare il non essere reale dell' altro.
Possiamo benissimo parlare di esso senza pretendere di trasformare questo evento reale del "pensarlo", del "pensare tale cosa" (e non la ben diversa esistenza reale di tale "cosa"!) in evento pensato (e non pensato allo stesso tempo).


La cosa interessante è che fin qui non siamo ancora nel relativismo: ci stiamo pur sempre muovendo nel campo della certezza.
Questo è ciò che mi sta sembrando certo: è certo che la certezza è paradosso, l'essere è paradosso.
La certezza può non apparire paradosso soltanto a chi non ne considera queste conseguenze, cioè soltanto a chi la considera in modo non ben considerato.
Lo stesso vale per l'essere: pensare l'essere non può non risultare paradossale a chi lo pensa senza trascurare le conseguenze dell'averlo pensato.
CitazioneLa certezza non é er nulla paradossale (somma degli angoli interni di un triangolo).


Casomai sarebbe invece paradossale (anzi: autocontraddittorio, senza senso tout court!), contro lo scetticismo, pertendere che ci sia certezza dell' incertezza di ogni conoscenza circa la realtà (eccedente il pensiero).


Lo scetticismo non afferma che certamente nulla si sa, ma che della verità di nessuna conoscenza può aversi certezza (potremmo anche averne, forse, ma non possiamo esserne certi).
Lo scetticismo é infatti sospensione del giudizio (ben altro che giudizio certo di inconoscibilità) !

sgiombo

Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 09:01:29 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.

CitazioneNon vedo come la meccanica quantistica (peraltro certamente molto interessante), che come tutta la fisica si occupa di ciò che empiricamente si percepisce materialmente, esteriormente, c' entri con la questione filosofica della percezione interiore, mentale di noi stessi.

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2018, 10:40:07 AM
Qualcuno potrebbe obiettare a ciò che ho scritto: "Ma io in questo momento non sto pensando alla pietra da me pensata nel presente; ciò che sto pensado è solo ed esclusivamente la pietra che nel futuro non sarà pensata da nessuno: è essa e solo essa l'oggetto del mio pensiero presente".
Questo però farebbe nascere la domanda: chi mi assicura che una pietra che non sia mai stata pensata da nessuno è uguale ad una pietra pensata?
CitazioneE chi mi assicura del contrario?

Si tratta, parimenti in entrambi i casi, di potesi!


Non sarebbe difficile dare una risposta certa: quella pensata da nessuno è uguale a quella pensata proprio perché l'essere è indipendente, abbiamo stabilito di pensarlo indipendente.

CitazioneInfatti per "esistere realmente (essendo eventualmente anche pensato o meno; indipendentemente da ciò)" si intende ben altro che "(esistere realmente in quanto) essere oggetto di considerazione teorica (pensiero, ipotesi, credenza, dubbio, fantasia, eventualmente -e indimostrabilmente, senza certezza!- credenza vera, ecc)".


Però, a proposito dell'averlo pensato indipendente, si pone lo stesso problema della pietra: come facciamo a stabilire che il pensare un oggetto come indipendente possa essere ritenuto un pensiero indipendente, cioè certo, concepibile come certo, una volta che è umanamente impossibile pensare a tale pensiero senza pensarlo, quindi senza trasformarlo in pensiero non più indipendente dal nostro pensare?
Citazione"Certezza" =/= "realtà indipendente dall' essere reale (inoltre, anche, eventualmente) il fatto di essere pensato".

E' umanamente (e non solo: logicamente!) impossibile realmente pensare un certo pensiero senza che realmente si pensi tale certo pensiero; ma non realmente pensare un certo pensiero come (anche inoltre eventualmente) indipendente dal nostro reale pensarlo, cioé come qualcosa che é (pensato essere) reale (nel pensiero allorché lo si pensa) anche se e quando non é reale il fatto che lo si pensi (e non se e quando realmente lo si pensa), dunque non allorché o si pensa, ma invece in altri tempi).

iano

#39
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2018, 11:40:39 AM
Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 09:01:29 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.

CitazioneNon vedo come la meccanica quantistica (peraltro certamente molto interessante), che come tutta la fisica si occupa di ciò che empiricamente si percepisce materialmente, esteriormente, c' entri con la questione filosofica della percezione interiore, mentale di noi stessi.
Volevo appunto mettere in dubbio ciò che affermi . Suggerire che questa distinzione che fai sulle diverse percezioni sia artificiosa.
Immagino che ,sebbene in parte tu ti percepisca come un oggetto, cioè alla stregua di un sasso ,sono certo che la percezione che hai di te non si esaurisca in ciò.
Credo che valga anche il contrario.
Un sasso è qualcosa di più, o comunque di più interessante e profondo di quel che sembra.
La stessa difficoltà che hai a giungere all'assenza di te stesso la trovi se vuoi giungere al l'essenza di un sasso.
Non pretendo però di essere stato chiarissimo.
Provo ad esprimere qui pensieri in corso.☺️
In questo senso intendevo che tu e un sasso siete fatti della stessa sostanza, ma non nel senso che siete fatti di atomi.
Insomma , sostanzialmente tu e il sasso , atomi compresi , siete i prodotti dello stesso percorso percettivo.
Se esiste io allora esiste non io , e siamo fatti della stessa sostanza perché della stessa sostanza sono fatte ipotesi e tesi.
Questo non esclude che ci sia di più e anzi direi che è quasi ovvio che ci sia di più.
Ma questo di più , se c'è , vale per me quanto per il,sasso o per nessuno dei due.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

sgiombo

Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 14:29:19 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2018, 11:40:39 AM
Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 09:01:29 AM
Citazione di: Phil il 28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.

CitazioneNon vedo come la meccanica quantistica (peraltro certamente molto interessante), che come tutta la fisica si occupa di ciò che empiricamente si percepisce materialmente, esteriormente, c' entri con la questione filosofica della percezione interiore, mentale di noi stessi.
Volevo appunto mettere in dubbio ciò che affermi . Suggerire che questa distinzione che fai sulle diverse percezioni sia artificiosa.
Immagino che ,sebbene in parte tu ti percepisca come un oggetto, cioè alla stregua di un sasso ,sono certo che la percezione che hai di te non si esaurisca in ciò.
Credo che valga anche il contrario.
Un sasso è qualcosa di più, o comunque di più interessante e profondo di quel che sembra.
La stessa difficoltà che hai a giungere all'assenza di te stesso la trovi se vuoi giungere al l'essenza di un sasso.
Non pretendo però di essere stato chiarissimo.
Provo ad esprimere qui pensieri in corso.☺️
In questo senso intendevo che tu e un sasso siete fatti della stessa sostanza, ma non nel senso che siete fatti di atomi.
CitazioneConcordo che io, da me percepito, sentito mentalmente come il soggetto delle mie sensazioni ed elle mie azioni, oltre che oggetto di sensazioni mentali (non il mio corpo) e un sasso da me percepito, sentito materialmente soltanto come oggetto delle mie sensazioni "sono fatti della stessa sostanza" fenomenica, nel senso che entrambi sono null' altro che insiemi e successioni di sensazioni fenomeniche, reali in quanto tali e solo fintanto che come tali realmente accadono: "essee st percipi" tanto dell' uno quanto dell' altro.


Insomma , sostanzialmente tu e il sasso , atomi compresi , siete i prodotti dello stesso percorso percettivo.
Se esiste io allora esiste non io , e siamo fatti della stessa sostanza perché della stessa sostanza sono fatte ipotesi e tesi.
CitazioneMa dall' esistenza dell' "io" (esistenza reale, non meramente in quanto concetto pensato-pensabile! E al contrario che in questo senso), non consegue necessariamente l' esistenza anche di altro (non io).


Questo non esclude che ci sia di più e anzi direi che è quasi ovvio che ci sia di più.
Ma questo di più , se c'è , vale per me quanto per il,sasso o per nessuno dei due.
CitazioneE nemmeno lo implica necessariamente, tanto per l' io quanto per il non io.

iano

#41
@Sciombro.
Si tratta di una implicazione secondo la logica corrente.
Se si abbraccia la logica si abbraccia l'implicazione.
A implica non A.
Se intendi che non esistono logiche assolute , allora sono d'accordo.
Ma forse c'è qualcosa di profondo in ciò che dici che mi sfugge.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Phil

Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2018, 15:25:24 PM
Ma dall' esistenza dell' "io" (esistenza reale, non meramente in quanto concetto pensato-pensabile! E al contrario che in questo senso), non consegue necessariamente l' esistenza anche di altro (non io).
Una volta posto l'io, per negazione logica, possiamo porre automaticamente il non-io (se poniamo "A", diventa subito logico anche identificare "non-A"). Fuori dalla logica, passando all'ontologia e all'esistenza cosiddetta empirica (che è il piano a cui ti riferisci, giusto?), mi pare parimenti ragionevole supporre che, se io esisto, plausibilmente non sono l'unica "cosa" che esiste:
Citazione di: Phil il 26 Febbraio 2018, 17:15:46 PM
posso dubitare dell'affermazione "io esisto" (come direbbe Cartesio) ovvero "io ci sono", qualunque "cosa" io sia?
Se così fosse, allora dovremmo considerare possibile il "io non esisto/non ci sono", che è palese non-senso: se non esisto, difficilmente posso pensare qualcosa, fosse anche di non esistere...
[...] A questo punto posso pensare di essere l'unica "cosa" che c'è? No, perché ci sarà almeno un'altra "cosa" che è tutto ciò che io non sono... fosse anche il vuoto cosmico in cui sono immerso sognante, oppure un capello che si stacca dal mio corpo, oppure l'aria che respiro, oppure un'altra dimensione in cui non sono nemmeno consapevole di essere, etc.

Comunque, almeno due cose ci sono: l'io e il non-io (intesi nel senso più indeterminato e "aperto" possibile); quindi, persino rispettando il solipsismo più fantasioso e radicale, direi di si, possiamo essere abbastanza certi che "ci sono cose" (il "quante", il "come" e il "cosa" siano, è poi un'altra storia...).
In fondo, mi basta tagliarmi un'unghia per produrre un "non-io" empirico abbastanza attendibile  ;D

Lou

"In astratto possiamo considerarlo simile nient'altro che all'affermazione di Parmenide: l'essere è.

Come ho detto sopra, se l'essere è, è necessario che sia certo. Non può avere senso parlare dell'essere in un senso fondamentale, base e pilastro di ogni altro discorso, se l'essere non potesse godere di certezza.

Allo stesso modo, l'essere dev'essere necessariamente universale.

Ma se è universale, esso deve fare i conti con ogni tipo di esistenza.

In particolare, deve fare i conti con l'esistenza di chi lo sta pensando."

In che senso? Nel caso che sia lo stesso essere e pensare, come vuole Parmenide? Ma è lo stesso essere e pensare?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

sgiombo

Citazione di: iano il 01 Marzo 2018, 15:57:18 PM
@Sciombro.
Si tratta di una implicazione secondo la logica corrente.
Se si abbraccia la logica si abbraccia l'implicazione.
A implica non A.
Se intendi che non esistono logiche assolute , allora sono d'accordo.
Ma forse c'è qualcosa di profondo in ciò che dici che mi sfugge.

CitazioneCredo si tratti della differenza fra logica (pensiero, reale solo in quanto tale) e realtà (esistente -accadente anche indipendentemente dall' eventuale esistere - accadere reale pure del pensiero di essa).

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