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Ci sono cose

Aperto da iano, 25 Febbraio 2018, 00:17:40 AM

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iano

cui non crediamo ,
cui crediamo ,
non essendo evidenti ;
cose per le quali la questione di credere o di non credere non sembra porsi , cose per noi evidenti.
Ognuno di noi può suddividere soggettivamente le cose del mondo entro queste due o tre categorie , e credo non ne occorrano altre.
Se anche ci fosse una di queste tre categorie entro la quale tutti gli uomini mettessero le stesse cose , rimane il fatto che ciò deriva da un processo soggettivo di scelta.
Se questa categoria fosse quella delle cose evidenti , ad esempio , non potremmo dire dunque che si tratti di cose oggettive .
O no?
Cosa ne pensate.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Angelo Cannata

A me sembra che oggi, dopo tutta la filosofia che è stata esplorata, non sia più possibile parlare in questi termini. Già il dire "ci sono cose", non importa se evidenti o meno, non può più essere sostenuto dopo tutte le critiche che ormai sono state fatte all'idea stessa di "essere". Oggi possiamo usare il verbo essere solo in contesti pratici, modesti, quanto può servire per fare la spesa, ma non nel senso fondamentale con cui diciamo filosoficamente "ci sono cose". Il verbo essere è stato ormai smascherato, esso non riesce ad avere niente di fondamentale, niente di chiaro.

Non possiamo neanche adagiarci nel dire che tutto è soggettivo, tutto è relativo, poiché, se tutto diviene, significa che, anche se fosse vero che tutto è soggettivo, tale verità, essendo soggetta a divenire, potrebbe essere sostenuta solo per un attimo e basta. In questo senso oggi non può più essere praticata la filosofia sotto forma di sistemi di pensiero, architetture, castelli: qualsiasi sistema non può evitare di essere soggetto a divenire e quindi è già vecchio, scaduto, sorpassato, subito un attimo dopo che sia stato pensato. È come dire che ore sono: appena lo diciamo è già una cosa scaduta, vecchia, sorpassata, quindi anche falsa, non sappiamo più neanche se sia davvero mai esistita.

Credo che quindi il solo modo di filosofare che oggi ci rimane possa essere un filosofare dinamico, diveniente, predisposto a modificarsi appena sia stato pensato. Credo che quindi, piuttosto che dire "tutto è relativo", o "tutto è soggettivo", o "ci sono cose", sia più adeguato dire "io sto praticando questa relazione, ho dei pensieri in corso, sto facendo delle ricerche", "io sto facendo questa o quest'altra cosa". Questo modo di parlare viene a risultare pronto all'automodifica, perché è chiaro che quando dico "sto facendo questa cosa" sono prontissimo a considerare già scaduto ciò che ho detto e sono sempre pronto a dire "no, ora ne sto facendo un'altra", oppure "mi sono accorto che era meglio pensare in modo diverso". Altri modi di parlare simili possono essere "oggi sto esplorando questi pensieri (avendo già in programma di non fermarmi mai definitivamente in nessuno di essi)", "adesso ho questi progetti", "sto accarezzando queste supposizioni", "sto sottoponendo a critica queste ipotesi", ma sempre in prospettiva di dover poi comunque oltrepassare, procedere, modificare tutto, riformulare, mai con la prospettiva di pervenire ad alcunché di definitivo.


Da qui consegue anche che in particolare le religioni sono destinate a fallire tutte, travolte dal divenire, nella misura in cui pretendono di aver stabilito dei sistemi organici, stabili, su come concepire il mondo, come vanno le cose. In questo momento mi viene da pensare all'idea di impermanenza nel Buddhismo: certo, tutto è impermanente, ma proprio per questo significa che tutte le idee del Buddhismo sono già tutte scadute, tutte sorpassate, tutte vecchie e false. Allo stesso modo anche quelle del Cristianesimo, dell'Islam, dell'Induismo, dell'Ebraismo. Questo non significa che le religioni non valgano niente; tutt'altro: esse contengono tesori di spiritualità, ma solo se si dispongono a un radicale continuo aggiornamento di ogni loro aspetto di pensiero e sistema di pensiero. In fondo questa è la demolizione che Gesù portò nell'Ebraismo: dimostrò loro che se non si aggiornavano erano condannati a fare la figura di ipocriti; il problema è che già Gesù stesso, o chi ce ne ha tramandato il pensiero, cadde nell'identico problema.


Tutto ciò potrebbe sembrare ridursi a niente: se in ogni attimo devo rivoluzionare tutte le mie idee, ne consegue che non posso pensare proprio niente. Ma non credo che sia così, sia perché il divenire ha una sua lentezza, sia perché siamo umani e abbiamo bisogno di soste, stabilità provvisorie, sia perché questo stesso divenire non può essere assunto a ideologia mortificante: in questo modo non sarebbe più un vero divenire. C'è dunque spazio per validissimi pensieri, validissime religioni e spiritualità, credo però che rimanga indispensabile e necessario un contesto di fondo di predisposizione al cambiamento in qualsiasi cosa.



Ecco, al momento io sto esplorando queste idee.  :)

Eutidemo

Caro Cannata,
trovo le tue argomentazioni molto interessanti, ben argomentate, e, nel complesso, abbastanza condivisibili. :)
Però consideroun po' contraddittorio questo tuo specifico ragionamento:
<< "Sto accarezzando queste supposizioni", "sto sottoponendo a critica queste ipotesi", ma sempre in prospettiva di dover poi comunque oltrepassare, procedere, modificare tutto, riformulare, MAI con la prospettiva di pervenire ad alcunché di definitivo.>>
Se ti proponi sempre la prospettiva di dover comunque oltrepassare, procedere e modificare tutte le tue supposizioni ed ipotesi, ne consegue che anche la tua supposizione ed ipotesi di non poter "MAI" pervenire ad alcunché di definitivo, non può essere nemmeno lei definitiva; e, quindi, essendo anch'essa provvisoria, potresti benissimo cambiare idea, e, un domani, decidere che, invece, sei pervenuto a qualcosa di effettivamente definitivo!
Non è un po' un serpente che si morde la coda? :)

Angelo Cannata

Sarebbe contraddittorio se posto all'interno di un ragionare statico, che considera le affermazioni da punti di vista statici. Ma una volta che ho detto che è necessario porsi in contesti dinamici, è chiaro che anche l'affermazione sul "mai" va situata in un contesto dinamico. Cioè, oggi dico che sia bene non fermarsi mai. Sul domani nessuno ha mai dimostrato di avere un potere, tanto meno io.
A questo punto, chi non riesce ad uscire da mentalità statiche, obietterebbe che quel "mai" sia privo di significato, visto che è relativizzato dall'oggi. Ma io ho mostrato che ciò che incorre nell'assenza di significato è proprio il pensare statico. Dunque, è vero che quel "mai" è relativizzato dall'oggi, ma proprio questo gli apre le sole possibilità di significato che abbiamo umanamente disponibili, cioè significati relativi all'oggi.
Allora, una volta che siamo costretti ad accettare che quel "mai" ha un significato, pur avendolo relativo all'oggi, rimane da capire quale sia questo significato. Il significato è esattamente quello di un'affermazione locale nel tempo e nello spazio: io ho detto questo, ho detto quello che sto pensando.
Ne consegue che il significato di quel "mai" va considerato nei limiti in cui è possibile comprenderlo oggi. Considerare quel "mai" come pretesa di estendersi oltre le possibilità dell'oggi significherebbe, al contrario, privare la parola di ogni significato.
Questa privazione di significato è ciò che invece avviene dicendo "ci sono cose", perché le si può obiettare che essa trascura il suo essere situata nel tempo e nello spazio.

iano

#4
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 02:46:36 AM

Tutto ciò potrebbe sembrare ridursi a niente: se in ogni attimo devo rivoluzionare tutte le mie idee, ne consegue che non posso pensare proprio niente. Ma non credo che sia così, sia perché il divenire ha una sua lentezza, sia perché siamo umani e abbiamo bisogno di soste, stabilità provvisorie, sia perché questo stesso divenire non può essere assunto a ideologia mortificante: in questo modo non sarebbe più un vero divenire. C'è dunque spazio per validissimi pensieri, validissime religioni e spiritualità, credo però che rimanga indispensabile e necessario un contesto di fondo di predisposizione al cambiamento in qualsiasi cosa.



Ecco, al momento io sto esplorando queste idee.  :)
Allora non ti rispondo nemmeno , dato che quasi sicuramente avrai già cambiato idea.😅
Scherzo ovviamente.
Direi che hai centrato bene il punto con il tuo elogio della lentezza al cambiamento.
Se possiamo dire di avere delle certezze è solo perché certe idee albergano in noi per un tempo sufficientemente lungo.
Questa naturale inerzia al cambiamento , che nasce anche dalla esigenza di avere dei punti fermi , è la benvenuta , ed è cosa buona e giusta se riesce a coabitare con la coscienza che tutto cambia.
Inoltre le cose cambiano o non cambiano in relazione al punto di vista.
Una velocità che cambia in modo uniforme , laddove si mediano i cambiamenti di velocità, determina una accelerazione costante.
Perfino in un caso apparentemente disperato , dove l'uniformità non sembra aver casa e dove tutto sembra cambiare a causa del puro caso ,come nella fisica quantistica , la media dei singoli eventi conduce sempre a risultati costanti.
Quindi va' tutto bene , ma va' ancora meglio se non ci affezioniamo troppo ai nostri punti fermi.
In definitiva i timori di chi paventa il relativismo risultano infondati.
Fra l'essere solidi e l'essere eterei si consideri anche l'opzione di essere elastici.
Possiamo cambiar forma , anche solo per puro esercizio mentale , sapendo che della forma originaria rimane memoria , e vi si può sempre tornare.
Come diceva Pavese , un paese ci vuole , non fosse altro che per il gusto di andar via , ma , aggiungo io , puoi andare via solo dopo aver preso coscienza che vivi in un paese.
Quando riesci a fare il punto delle tue idee di fatto le hai già superate.
Hai ragione. È opinabile che ci siano cose , ma non che le si possa ipotizzare e , sia che sappiamo di farlo (scienza) sia che non sappiamo di farlo (la realtà in cui crediamo di vivere ) , questo è quello che facciamo , ed essendo le ipotesi arbitrarie , per loro natura, non ci dovremmo meravigliare del fatto che queste cambino.Ma non è nella loro natura invece cambiare , ma nella nostra.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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Eutidemo

Caro Cannata,
il tuo ragionamento circa la "non contraddittorietà del MAI", è molto interessante e sottile; penso che dovrei esaminarlo meglio, di quanto il tempo non mi conceda ora.
Però, se tu stesso dici che sul domani nessuno ha "mai" dimostrato di avere un potere, tanto meno tu, in sostanza è come se tu citassi il famoso film di 007: "MAI DIRE MAI!" ;)
Il che, preso alla lettera, suona un po' come una "contradictio in adjecto"; ma, in effetti, può essere una maniera "icastica" per dire, sia pure ellitticamente, una cosa molto VERA! :)
Se ho ben compreso ciò che intendi! ::)

Angelo Cannata

Può essere utile specificare che il senso della parola "mai" è in realtà sempre falso e sempre illusorio se pensiamo di poterlo intendere in maniera universale, assoluta, capace di oltrepassare ogni tempo e ogni spazio. Il motivo di ciò è il fatto che il concetto di "mai" è sempre pensato da menti umane, le quali sono ben lungi dal potersi porre oltre ogni tempo e oltre ogni spazio: ogni mente umana è sempre situata in un tempo e in uno spazio ben definiti. Perciò la parola "mai" ha sempre un significato ridotto, parziale, relativo. Non esiste un modo di intendere la parola "mai" in senso totale, perché la nostra mente non è capace di totalità, in quanto, essendo posta in un tempo e in uno spazio, neanche sa il significato di totalità.
Perciò l'unica maniera sensata che ci rimane di poter pronunciare la parola "mai" è quella di accontentarci di attribuirgli un senso che sappiamo essere limitato dal tempo e dallo spazio in cui ci troviamo. Si potrebbe dire cosi: "Intendo dire mai nel senso più vasto ed esteso in cui io e tu oggi e qui riusciamo a comprenderlo". Ma senso più vasto ed esteso non significa totale, infinito, assoluto, significa solo il massimo che riusciamo ad immaginare.

Phil

Più o meno, concordo con Angelo: "più" quando parla di processi di cambiamento lenti e la necessità umana di fare soste; "meno" quando sembra intendere il cambiamento come negazione drastica del passato ("radicale continuo aggiornamento" delle religioni o ogni sistema filosofico che "è già vecchio, scaduto, sorpassato, subito un attimo dopo che sia stato pensato"... secondo me, spesso, si tratta di cambiare pazientemente una virgola alla volta, piuttosto che gettare subito al macero l'intero libro  ;) ).

Stando nella sua ottica (travestendomi da lui ;D ) proporrei un appunto: meglio ritenere parole come "mai" o "sempre" sensate solo se riferite al passato ("non sono mai stato in Africa", "ho sempre mangiato almeno una volta al giorno", etc.). Se, per adesso, ho in programma di restare aperto al cambiamento, conviene, per efficacia, evitare equivoci usando quelle due parole che cristallizzano già il futuro di una posizione dinamica, assolutizzandola (innescando così la paradossalità a cui alludeva Eutidemo). 
Basta sostituire a un "mai" un banale "senza", cancellare un "sempre" (che sembra la condanna di Sisifo ;D ) e l'imputazione di contraddittorietà decade (propongo le modifiche):
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 02:46:36 AM"sto sottoponendo a critica queste ipotesi", ma sempre in prospettiva di dover poi comunque oltrepassare, procedere, modificare tutto, riformulare, mai con  senza la prospettiva di pervenire ad alcunché di definitivo.
Il "senza" esprime meglio una temporalità aperta al cambiamento (persino allo stesso abbandono del "senza" ;) ): dire "adesso sono senza quella prospettiva", non implica che sarò sempre estraneo (o che non assumerò mai) quel punto di vista, ovvero non mi precludo nemmeno un cambiamento in quella direzione.

P.s.
@Angelo, scusa per la pedante puntigliosità, ma come hai visto, spesso una sola parola rischia di "svalutare" un intero discorso.

Angelo Cannata

Dipende, come avevo appena detto, se vogliamo intendere le parole in senso assoluto o in senso relativo.
Se vogliamo caricarle di senso assoluto, perfino un "mai" riferito al passato si espone ad una critica di base: chi ti assicura che tu non sia mai stato in Africa? Può sempre darsi il caso di un'amnesia, perfino planetaria. Il fatto che nessuno al mondo, tu incluso, e nessuna traccia materiale dicano che tu sia stato in Africa non è garanzia del tutto indubitabile. Che queste ipotesi non siano dei puri giochi mentali può essere testimoniato se pensiamo ai negazionisti dell'Olocausto o ai vari revisionismi storici che ogni tanto si tentano di compiere nel mondo.

Quindi, se al "mai" vogliamo assegnare un senso assoluto, allora dovremmo cancellarlo dal vocabolario, visto che nessuno ha mai mostrato di essere in grado di pensare cose assolute. Personalmente preferisco mantenere il linguaggio che abbiamo, con tutte le ambiguità e confusioni che comporta, poiché abbiamo solo questo, non ne abbiamo altri. Mi pare che Vattimo abbia detto da qualche parte che per ricostruire qualcosa, dopo che il castello (delle certezze, degli assoluti) è caduto, le sole pietre che abbiamo a disposizione sono quelle del castello caduto.

Fondamentalmente sarei d'accordo quindi con le correzioni che tu apporteresti alle mie frasi, il problema è che queste correzioni sembrano voler salvaguardare un significato assoluto del "mai", considerato come possibile. Cioè, se togli il mai dalle mie frasi, sì sono d'accordo, ma in quali altri frasi pensi di poterlo usare? L'esempio che hai fatto dell'Africa si espone al malinteso che tale esempio riesca a conservare un significato assoluto. Quindi è come se tu avessi detto: "Riserviamo il mai alle frasi assolute". Ma esistono frasi in grado di essere assolute?

Phil

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Fondamentalmente sarei d'accordo quindi con le correzioni che tu apporteresti alle mie frasi, il problema è che queste correzioni sembrano voler salvaguardare un significato assoluto del "mai", considerato come possibile. [...] Quindi è come se tu avessi detto: "Riserviamo il mai alle frasi assolute"
Nessuna salvaguardia, anzi, il "mai" è una di quelle parole di cui, a parer mio, la filosofia attuale può fare a meno (come altre parole ereditate dalla metafisica classica).
Forse ti sarà sembrato controintuitivo, ma alludevo proprio all'abbandono del senso assoluto del "mai", al punto che suggerivo di non usarlo proprio, perché per esprimere il suo senso relativo, in modo meno fuorviante, possiamo usare altre parole :)

Nel parlare quotidiano, ovviamente, tutto il linguaggio è usato in modo più spensierato; per cui se dico di non essere mai stato in Africa, è chiaro che mi baso sulla mia memoria presente, o se dico che non ammazzerò mai nessuno, mi riferisco inevitabilmente alla mia intenzione presente... sono tutte precisazioni che, nel flusso di una conversazione informale (non filosofica), restano fra le righe e non ambiscono certo ad una assoluta verità oggettiva.

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Personalmente preferisco mantenere il linguaggio che abbiamo, con tutte le ambiguità e confusioni che comporta, poiché abbiamo solo questo, non ne abbiamo altri.
Preferenza personale indiscutibile... tuttavia, usare un linguaggio poco ambiguo (di solito) facilita la comprensione per tutti, oltre a evitare le legittime osservazioni che ha suscitato quel "mai" (che sei stato infatti tenuto a spiegare e "giustificare").

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Mi pare che Vattimo abbia detto da qualche parte che per ricostruire qualcosa, dopo che il castello (delle certezze, degli assoluti) è caduto, le sole pietre che abbiamo a disposizione sono quelle del castello caduto.
Salvo voler andare nella cava a sporcarci le mani per trovare altre pietre, con altre caratteristiche e potenzialità, per non continuare a riusare anche quelle che abbiamo scartato perché "difettose" ;)

viator

Salve: Per Angelo Cannata : dici "il verbo essere è già stato smascherato, esso non riesce ad avere niente di fondamentale, niente di chiaro".

Perdona la mia sciocca presunzione. Per me valgono una definizione ed un ruolo piuttosto chiari dell'essere : "LA DIMENSIONE AL CUI INTERNO LE CAUSE GENERANO GLI EFFETTI". Naturalmente quindi l'ESSERE sarebbe la dimensione di tutte le dimensioni, quindi la DIMENSIONE assoluta.

Circa poi la indiretta od indiretta tautologia di una simile definizione (l'essere "è" oppure "sarebbe"......) essa risulta inesorabilmente inclusa nel significato stesso di ciò che stiamo definendo e non ha proprio nulla di contradditorio, in quanto risulta ovvio che anche le figure tautologiche facciano parte dell'ASSOLUTO di cui l'ESSERE rappresenta la funzione per così dire "vitale". Grossi saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Angelo Cannata

Non è sciocca presunzione: considero ogni sforzo serio di riflessione sull'essere un lavoro che merita sempre seria considerazione. La tua obiezione per me è uno di questi sforzi seri e richiede seria considerazione. D'altra parte, i miei modi di pensare non sono un partito preso: li adotto solo finché qualcuno non mi aiuta a trovare di meglio, un meglio che sicuramente c'è e personalmente ne sono sempre in cerca.

Entrando nel merito del discorso, credo che ci si venga a trovare nel confronto delle prospettive, ognuna delle quali è di per sé in grado di inglobare l'altra: la tua prospettiva è in grado di inglobare la mia (nel senso che potresti dirmi che nel mio discorso mi servo comunque del verbo essere), la mia la tua, nel senso che potrei comunque ribattere che per dire questo hai usato la tua mente e quindi non puoi avere certezza di ciò che hai detto.

Come se ne esce?

Secondo me se ne esce esaminando la questione da un punto di vista storico.

Cioè, quando io dico che l'essere non riesce ad avere niente di chiaro, è importante tener presente che questa presa di coscienza avviene a partire proprio da un uso fiducioso del concetto di essere. Cioè, come partenza del discorso, io mi trovo dalla parte di chi ritiene che sia giusto e adeguato dire che effettivamente "ci sono cose"; io parto con l'accettazione che esistono verità fondamentali, esiste l'assoluto, esistono certezze. Quindi in partenza io sono con te, la penso esattamente come te. Il fatto è che poi io voglio vedere dove porta questo discorso.

Hai detto che l'essere è la dimensione assoluta.

Partiamo da qui.

La dimensione assoluta.

La dimensione di tutte le dimensioni.

Se è la dimensione di tutte le dimensioni, tra le dimensioni particolari devo far rientrare me stesso.

Dunque io sono una dimensione particolare, un'espressione particolare di questa dimensione assoluta.

La dimensione particolare (che sono io) è colei che ha individuato questo concetto: l'essere è la dimensione assoluta, di cui io sono dimensione particolare.

Come ha fatto questa dimensione particolare a riuscire a parlare di dimensione assoluta? Ci è riuscita usando sé stessa, cioè il proprio intelletto.

Posso fidarmi di una dimensione particolare, la quale mi dice di essere riuscita ad individuare la dimensione assoluta basandosi su nient'altro che sé stessa? Su quale base mi fiderò?

Ecco il dubbio insuperabile. Ciò che m'interessa far notare è che questo dubbio è interno all'essere, cioè è la fiducia nella certezza che mi porta a un dubbio insuperabile. Insomma, parto adottando la certezza, per vedere dove essa mi conduce, e sono costretto a prendere atto che essa mi conduce alla negazione di sé stessa.

Eravamo partiti dall'accettazione che l'essere è la dimensione assoluta. Siamo stati costretti a concludere che proprio il pensare che l'essere è la dimensione assoluta conduce a concludere che tale affermazione è del tutto inaffidabile. La cosa interessante è che il dubbio, il sospetto di inaffidabilità, non viene suggerito da un extraterrestre, ma esattamente dal principio stesso che abbiamo adottato in partenza.

Insomma, è come se io decidessi di assumere una guardia del corpo, ma proprio la mia guardia del corpo mi dice "Non ti puoi fidare di me". Non è un demone a dirmelo, non sono dei nemici, ma è proprio la persona che avrebbe tutto l'interesse a mostrarsi affidabile.

Se la cosa più affidabile e sicura che ho trovato, cioè il concetto di essere, proprio lui mi dice che non devo fidarmi di esso, mi vedo costretto a dedurre che questa sfiducia merita di essere presa sul serio.

iano

#12
Angelo , se al posto di certezza ci mettiamo ipotesi,e al posto di dubbio contraddizione, allora mi ritrovo del tutto nel tuo discorso.
Infatti se le certezze vengono sistematicamente frustrate dal dubbio potrei smettere di cercarle , interrompendo di fatto le mie ricerche e il mio agire , mentre
le ipotesi possono essere semplicemente cambiate , producendo una teoria dietro l'altra ,potendo ad ognuna di esse decidere e tentare  di conformare il mio agire.
Che ci siano cose mi pare si sia mostrata finora una buona ipotesi , ma se occorre si può sempre cambiare.
Il buon senso mi dice che ci sia qualcosa , ma lo stesso buon senso mi dice che cio' che io penso sia , seppur mi è utile pensarlo , non è cio'che e'. Di fatto non si possono promuovere le ipotesi a teorema , ma è proprio quello che noi facciamo.
Le ipotesi di cose dentro una teoria che funziona , e che funziona nel senso che dal tentativo di uniformare il mio agire ad essa mi sembra di trovare giovamento , quelle cose allora io le promuovo a  "realtà" .
L'opera è completa o incompleta , a seconda dei punti di vista , in relazione a quanta coscienza venga impiegata nel processo.
Noi qui in fondo  stiamo cercando di testimoniare appunto una presa di coscienza su questo processo che porta al senso di realtà quando esprimiamo un dubbio sull'essere.
La realtà è un processo di sedimentazione dove ogni granello che vi partecipa non ha la coscienza di farlo , e non tanto perché si tratta di un insulso granello , ma magari solo perché non dispone di una prospettiva spazio temporale adeguata.Prospettiva che ovviamente nel tempo può cambiare con esiti vari , uno dei quali è questa discussione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Angelo Cannata

Se la questione viene posta in questi termini, essa mi risulta perfettamente accettabile, non presta il fianco a critiche. Infatti hai parlato di buon senso tuo, giovamento per te: nessuno ti può togliere il diritto di effettuare ricerche su ciò che ritieni ti sia di giovamento.
Quando invece si dice "ci sono cose", la frase, se intesa in senso filosofico, cioè il senso più esigente che ci riesca di pensare, non è più riferita al giovamento di qualcuno. Se ci sono vuol dire che ci sono, non si tratta più di ipotesi di buon senso, si tratta di ragionamenti o posizioni di principio che avanzano la pretesa di risultare stringenti per chiunque, così come stringente per chiunque pretende di essere ad esempio la matematica.
Io non ho alcun problema sull'ipotizzare una realtà (o una verità), se essa viene intesa come ipotesi di comodo per risolvere qualche problema. La critica mi nasce quando s'intende che la realtà (o la verità), è qualcosa di appurato che esiste assolutamente (o è vero assolutamente), che noi ci pensiamo o no, che noi ci crediamo o no. Allora mi nasce la critica: ma se siamo stati noi a pensarla, come possiamo stabilire che è indipendente dal nostro pensarla?

iano

Non è economico mettere su una teoria per il mio giovamento personale e ciò non condurrebbe a un senso di realtà.
Si tratta di un processo condiviso nello spazio e nel tempo.
Ciò che io credo esista è ciò che tutti credono esista nella realtà.
Se ci credessi solo io sarei solo un pazzo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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