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Che è l'uomo?

Aperto da maral, 15 Aprile 2017, 10:49:56 AM

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sgiombo

#225
Citazione di: maral il 29 Aprile 2017, 00:38:10 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Aprile 2017, 16:46:23 PM
Quel falegname sapeva bene ciò che faceva; e ciò che faceva (il tavolo), contrariamente ad esempio alla scritta "vernice fresca" che ha apposto al tavolo dopo averlo verniciato o la sua probabile frase "questo è un tavolo ben fatto" (che è tutt' altro che il tavolo stesso!), non significava proprio nulla.
Non l'ho capita: cos'è che non significa nulla?
CitazioneNon significa nulla il tavolo, contrariamente alla scritta (su un cartello appostovi dal falegname dopo averlo verniciato) "vernice fresca" e alla proposizione "questo è un tavolo ben fatto".
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CitazioneNon ogni cosa, ma casomai il pensiero, la conoscenza (verbale) di ogni cosa richiede parole (delle quali le cose stesse sono i rispettivi significati, nel senso di denotazioni, e non viceversa), e tu continui proprio imperterrito a confondere questi due ben diversi casi.
Mi fai disperare Sgiombo  ;): come fai a sostenere che la conoscenza della cosa la confondo con la cosa, quando non ho fatto altro che dire il perfetto contrario? Quello che sostengo e mi pare evidentissimo è che ogni cosa nell'uomo richiede parole per conoscerla, dunque parola e cosa sono sempre legate, altrimenti come faccio a dire cos'è, ove il dire cos'è si richiede con il manifestarsi stesso della cosa. Ma nessuna parola può dire la cosa come davvero è, solo la indica proprio come se alzo un dito e indico la luna. La parola e tutte le scienze che non sono che discorsi sono come quel dito che indica la luna e tali restano. La parola che sentiamo di usare però non siamo noi a sceglierla, come potremmo mai? Sono le parole che ci parlano da dentro e accompagnano la cosa nel suo apparire (proprio come il bambino comincia a balbettare in un certo modo vedendo sua madre), pur non essendo mai la cosa stessa.
E per il linguaggio scientifico vale il medesimo, perché anch'esso si basa sul senso del linguaggio comune. Le verifiche che la scienza dispone per comprovare l'oggettività di un suo dire, sono regole in base alle quali si prestabilisce cosa va considerato o meno, come per dire cose scientificamente ci si deve porre di fronte ai fenomeni di modo che ci sia un senso scientifico che però non è l'unico senso possibile e non ha primati assoluti sulla realtà. In laboratorio io non mi avvicino per niente di più all'essenza delle cose che verifico, ma semplicemente seguo un modo di fare codificato precisamente secondo procedura scritta (a fronte di infiniti altri modi di considerare le cose). La verifica è sempre relativa al contesto in cui mi pongo per verificare, alle regole che adotto, agli strumenti che ho a disposizione, ai significati che con quegli strumenti e con le conoscenze che ho mi appaiono. Si è sempre solo nell'ambito dei discorsi e non delle cose in sé, della realtà. E=mc(2) è un discorso, è il segno di una mappa, non la realtà.
CitazioneLa disperazione è reciproca. Infatti a me risulta che tu abbia scritto (copio-incollo):
"Tutto questo è nel mondo delle parole (la nostra vita stessa è nel mondo delle parole e dunque dei significati), non delle cose e io non confondo le cose con le parole, proprio per questo so che "tavolo" è una parola e non una cosa, ma so anche che ogni cosa richiede la parola, un nome che le dà significato di modo da poter apparire chiamandola. In quel nome che però non è e non sarà mai, la cosa è sempre chiamata a partire dalla sensazione che significa  "C'è qualcosa, che cosa è?

Cos' è questo se non proprio per l' appunto confondere le parole che costituiscono la conoscenza della vita (la quale accade indipendentemente dalle parole con le quali -eventualmente- la si consce) con il fatto della vita?
Ogni cosa (per essere ciò che è) richiede necessariamente, contrariamente a quanto continui a pretendere, solo e unicamente di essere tale cosa (fra l' altro della realtà del fatto di esistere/accadere realmente, se si tratta di una cosa reale; oppure della realtà del mero essere pensata, se si tratta di un oggetto di fantasia e non della realtà); ma invece non richiede affatto la parola che la denota, mediante la quale è (eventualmente!) pensata (ed eventualmente veracemente conosciuta), che è invece richiesta dal pensiero (eventualmente la conoscenza vera) della cosa.
"ogni cosa nell'uomo richiede parole per conoscerla [evidenziazione in grassetto mia]", ma non certo per essere reale (accadere realmente).

Che le parole di fatto nascano spesso spontaneamente nella nostra mente non toglie affatto che ("di diritto") possiamo decidere ad libitum di utilizzarle o meno (cioè di scartarle e impiegarne invece altre; accordandoci convenzionalmente con gli altri parlanti la nostra stessa lingua, naturale oppure artificiale): le parole che usiamo le "confezioniamo" e scegliamo noi!
(e se no chi ce le suggerirebbe o imporrebbe? Dio?).

La scienza ovviamente non è l' unica attività umana (e come tutte le altre stabilisce arbitrariamente che cosa essere: è ciò che intende essere). Esistono anche le arti, la politica, la superstizioni, le religioni e infinite altre attività umane (tutte ovviamente scelte ad libitum nel loro essere quel che sono da chi intende praticarle).
Ma nessuna ha nemmeno lontanamente (e molte delle più serie e rispettabili giustamente non se lo propongono nemmeno, anzi direi che si guardano bene dal farlo: poesia, prosa letteraria, musica, teatro, cinema, ecc.) le garanzie razionalmente fondate di conoscenza del mondo materiale – naturale che sono proprie della scienza, la quale di dubitabile in linea di principio assume unicamente un minimo di credenze proprie anche del senso comune, tali che inevitabilmente chiunque è comunemente considerato sano di mente (tutti coloro che lo sono) per lo meno si comporta (-no) come se vi credesse (-ro).

E=mc(2), se la realtà diviene ordinatamente in una concatenazione causale (cosa indimostrabile: Hume!), allora è un discorso confermato da tutte le osservazioni empiriche finora effettuate: fino a eventuale falsificazione empirica futura può essere considerato vero (e di fatto funziona, ragion per cui presenta comunque certamente per lo meno tratti di verità, a meno di credere che funzioni per il solito "puro culo"), al contrario di qualsiasi altra pretesa di conoscenza del mondo materiale – naturale, per larghissimamente condivisa che sia nell' ambito di tradizioni culturali, per antiche e "venerabilissime" che siano, le cui affermazioni sono platealmente falsificate dall' esperienza e in molti casi anche aprioristicamente confutabili per via logica in quanto autocontraddittorie.
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CitazionePosto che lo scetticismo non è razionalmente superabile e allora se si vuole essere razionalisti del tutto conseguenti bisogna limitarsi a dubitare di tutto, sospendere il giudizio su tutto (anche sulla non superabilità dello scetticismo, e allora la discussione è "morta lì"; se invece si assume un minimo di credenze indimostrabili proprie del cosiddetto "senso comune" e tali che chiunque è correntemente considerato sano di mente per lo meno agisce come se vi credesse, allora è falso che qualsiasi credenza su qualsiasi cosa è vera.
Non occorre essere scettici, non si può essere scettici, è un'altra forma di assolutismo essere sempre scettici e quindi è una contraddizione. Basta ammettere che non c'è mai una identità tra quello che diciamo e quello che c'è e quindi siamo costretti ad accontentarci di quello che ci diciamo per poi vedere fin dove riusciamo insieme a condividerlo e trovare una strada comune su cui arrivare insieme senza farci troppo male, perché nessuno conosce la verità, ma ognuno un po', diversamente, la sa vivendola. Non è essere scettici questo, è solo un essere ragionevoli insieme. C'è verità nella scienza, c'è verità nei miti, nelle filosofie, ci sono verità che altri vedono e noi no, verità che si vedevano in passato e ora non più e non perché in passato fossero assolutamente in errore, e verità che si vedranno in futuro e ora no, ma non perché ora siamo assolutamente in errore. Tutti ci si muove sempre a tentoni nella realtà, come ciechi, e i discorsi che ci facciamo sono un po' come i nostri bastoni, i primi bastoni.
CitazioneLo scetticismo, essendo sospensione del giudizio, non è e non può essere autocontraddittorio (per un' impossibilità logica).

Che quello che diciamo e quello che é/accade sono diverse (e non un' identica) cose non implica affatto necessariamente (sempre e comunque, inevitabilmente) che quello che diciamo di ciò che é/accade sia falso, potendone invece anche essere (per o meno in linea di principio) conoscenza vera.
Non è possibile alcuna onniscienza, ma possiamo accontentarci (e chi si accontenta gode).

Nei miti (nella misura in cui pretendono di descrivere la realtà naturale – materiale) ci può al massimo essere qualche limitata verità empirica elementare "da senso comune" (o in alternativa qualche verità "per puro culo"): non pretenderai mica di paragonarli (quanto a conoscenza del mondo naturale) materiale alla scienza?
Te lo sconsiglio vivamente anche perché, onde essere coerente in patica con una simile pretesa, potresti esserti curato, anziché con la medicina scientfica, con la medicina degli sciamani della foresta amazzonica o della Siberia (e avresti "ottime" probabilità di essere già morto da tempo).
La filosofia è altra cosa (per me personalmente più interessante), con altri intenti.

Concordo che la conoscenza scientifica è relativa e limitata (per esempio c' era qualche elemento di conoscenza vera anche nella teoria tolemaica, come ce n' è nella cosmologia copernicana, e questo sarebbe vero anche se in futuro venisse superata da teorie -ancora-  più vere); questo l' ho imparato da Lenin (Materialismo ed empiriocriticismo).
CONTINUA

sgiombo

#226
Citazione
CitazioneTaglio una erronea ripetizione di cose già inviate (già i miei interventi sono lunghissimi, se poi li ripeto...

sgiombo

CONTINUAZIONE


Sgiombo:
Molte sono false e per quanto riguarda la conoscenza del solo mondo materiale che ne è oggetto nessun sistema teorico è neanche minimamente paragonabile per quantità di verità affermate (tutti gli altri ne affermano di gran lunga di meno) e per quantità di falsità affermate (tutti gli altri ne affermano di gran lunga di più) alle scienze, grazie alla critica razionale cui si servono di osservazioni empiriche e ipotesi teoriche.

Maral:
Nella nostra prospettiva teorica, solo nella nostra è così. E ti assicuro che un abitante della Papuasia, del tutto estraneo al nostro sistema teorico, avrebbe del tutto il diritto di dire la stessa cosa con riferimento al suo sistema teorico, nato dalla sua storia e dalla sua cultura e sicuramente più adatto a vivere nel suo ambiente. Il problema è che noi andiamo là, trasformiamo sempre il suo ambiente di riferimento in cui il suo sistema era valido, mentre ovviamente ora non lo è più e prendiamo questo a dimostrazione che il nostro è più valido del suo.
"L'effetto placebo" è anch'esso una definizione che nasce nel nostro modo di pensare, è una parola nostra. Vai a raccontare a uno stregone che lui pratica l'effetto placebo... penserà che vaneggi e sei matto. Ma è così difficile rendersi conto che ognuno vede le cose non per come sono, ma per come il contesto culturale glielo consente? e che questo vale per tutti, noi compresi? Che non abbiamo inventato proprio nulla di così super oggettivo rispetto a tutti gli altri? Non riusciremo mai a liberarci di questa maledetta presunzione che ha fatto e continua a fare catastrofi ovunque, illudendoci di fare tutto al meglio, ossia proprio come la pensiamo noi, così evoluti?


Sgiombo: 
Chiunque, anche un abitante della Papuasia ha il diritto dire ciò che vuole, ovviamente.
Ma ciò non toglie che le sue conoscenze del mondo materiale naturale (se sono quelle tradizionali della sua cultura e non della scienza moderna, cosa peraltro ben possibile e di fatto reale almeno per parte di loro) presentano solo minimi semplicissimi elementi di conoscenza vera e molte "scorie" false, al contrario di quelle della scienza moderna.
L' imperialismo occidentale e i suoi orrendi crimini non scalfiscono minimamente questa verità (ma fanno ben altri danni!).
 
Lo stregone può pensare quel che vuole, ma l'eventuale efficacia delle sue cure può dipendere solo da tre fattori:
a)    conoscenze empiriche di tipo pre- o proto- scientifico;
b)    l' effetto pacebo;
c)    il solito "puro culo".
Ma è così difficile rendersi conto che i diversi contesti culturali vedono le cose diversamente, alcuni più conformemente a come sono (=più veracemente) alcuni meno (o al limite, per lo meno limitatamente a talune loro credenze, per nulla)?
 
La presunzione, che è irrazionale e non scientifica, può fare sempre grossi danni; tendenzialmente tanto più quanto più si associa a maggiori conoscenze scientifiche proprio per la maggiore verità delle conoscenze scientifiche e conseguente maggiore efficacia delle loro applicazioni rispetto a qualsiasi altra pretesa forma di conoscenza del mondo fisico – naturale!.

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Sgiombo:
Se così fosse non si spiegherebbe come sia nata naturalmente (cioè in un mondo naturale nel quale prima non c' era) la cultura umana: poiché per lo meno prima della comparsa dei primati (a voler essere molto prudenti in proposito) non esisteva cultura, come potrebbe essere sorta? Forse perché Dio avrebbe insegnato agli uomini le prime verità, i primi elementi di cultura, le prime conoscenze vere ("pensieri veri") di cui non potevano essere rispettivamente "gli autori" e "i fondatori" per lo meno quanto non potremmo esserli noi dei nostri?

Maral:
La cultura umana c'è da quando è comparso l'uomo, perché l'uomo non esiste senza una cultura di riferimento. Gli ominidi che scheggiavano la pietra, quasi un milione di anni fa, già avevano un forma di cultura. E' come se mi chiedessi come si spiega che gli uccelli hanno cominciato a volare e i pesci a nuotare? 
Un'ipotesi che vale quello che vale ed è sempre in termini relativi (relativi a noi che la pensiamo così) è che la cosa sia collegata con l'assunzione della posizione eretta da parte di alcuni primati usciti nella Savana. La posizione eretta ha liberato gli arti anteriori con i quali si è potuto cominciare a fare e rappresentare delle cose. Ha liberato la bocca dalla sua funzione prensile e con la bocca libera si è potuto cominciare a parlare. Nessun animale si prende cura dei morti con riti funerari, al massimo li custodisce, nessun animale conserva degli attrezzi per un futuro utilizzo, nessun animale si riveste delle pelli di altri animali o si decora e si manipola il proprio corpo, nessun animale prima di andare a caccia scende in fondo a una caverna buia e comincia a pitturare gli animali che andrà a cacciare, nessun animale alza le braccia e prega e nessun animale parla e propriamente danza. E tutto questo è solo in virtù del significare per noi del mondo ed è solo nel significare che viviamo. 


 Sgiombo:
Dissento: l' uomo (le prime specie del genere "homo"; ed eventualmente qualche "precursore di" altri generi di scimmie antropomorfe) si è evoluto da specie precedenti come evento naturale, senza alcuna cultura "innata"; ed ha sviluppato (epigeneticamente, come comportamento acquisito -"ha inventato"- e non geneticamente, come istinto comportamentale innato) la cultura (le culture); è nato con "la capacità potenziale" di fare cultura", non "dotato di cultura in atto".
La cultura delle specie del genere "homo" (ed eventualmente e alquanto limitatamente di qualche specie di scimmia antropomorfa "precorritrice" delle specie "homo") é nata ben diversamente dai comportamenti delle atre specie (come il volo degli uccelli e il nuoto dei pesci): proprio in questo passaggio da un comportamento istintivo stereotipato e uniforme a un comportamento creativo, variabile al variare delle circostanze, sta il "salto di qualità" (un "superamento dialettico" e non una "negazione assoluta") dalla natura alla cultura.
 
Ti faccio notare che vivono (realmente) anche gli altri animali che non hanno cultura e pensiero simbolico: essere reale (anche il nostro, di uomini dotati di pensiero simbolico e cultura) =/= significare!.

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Sgiombo:
Non confondiamo valutazione di fatti constatati con valutazione di giustezza o doverosità di azioni!

Maral:
Come diavolo fai la valutazione dei "fatti constatati" se non hai un metodo di valutazione che stabilisca come procedere, rispetto a cosa valutarli e un metro di misura? E quale metodo valuta il metodo di valutazione dei fatti constatati? E quale constatazione li dichiara constatati? 
Ogni sistema di conoscenza, funzionando, dimostra la sua ragionevolezza.

Il minimo comune denominatore richiesto dal senso comune, c'è nella misura in cui il senso comune di una certa cultura sociale funziona nel contesto in cui si esprime, quando non funziona quella cultura e quella società inevitabilmente si disintegra. La nostra cultura è stato un fattore disintegrante per molte altre, ormai lo è diventata anche per se stessa. 
La sanità mentale la si misura nella misura in cui un individuo non si disintegra psicologicamente, una società non si disintegra culturalmente. L'individuo normalmente sano di mente non è quello che crede nella scienza piuttosto che nei racconti dei miti, ma è quello che vive in consonanza con il contesto culturale in cui si trova, ove il contesto culturale non sia a sua volta in disintegrazione. Quando questo accade, l'individuo, salve rare eccezioni, non ha speranza, muore mentre muore la sua cultura. 
Non è folle ritenere i pipistrelli degli dei: l'uomo ha visto Dei in tantissimi animali, gli animali sono state le sue prime divinità e fin qui è sopravvissuto moltiplicandosi a dismisura e producendo arte, scienza,  tecnologie e filosofie. Forse il problema della sanità mentale non è mai stato vedere un Dio in un pipistrello ... o forse sì e in qualche modo siamo sempre alla ricerca di quel pipistrello. 

 
Sgiombo:
Constatare significa semplicemente osservare empiricamente.
Questo è il metodi di valutazione (falsificazione o conferma) del senso comune e, a un livello molto più sofisticato e sottoposto a critica razionale, delle scienze.
Ma non vorrai mica equiparare il "funzionamento" (e dunque la ragionevolezza e la verità teorica) delle medicine empiriche primitive con quello della medicina scientifica ? ! ? ! ? !
 
La nostra cultura è diventata un fattore potenzialmente (e probabilmente di fatto; anche se l' ottimismo della volontà mi fa sperare che così non sia) distruttivo anche per se stessa non affatto per le verità scientifiche di cui dispone, bensì per l' irrazionalità estrinseca degli assetti sociali capitalistici che condizionano gli impieghi tecnici – pratici distruttivi delle conoscenze scientifiche.
 
Mai scritto che L'individuo normalmente sano di mente è [solo e unicamente] quello che crede nella scienza, ma invece che la scienza ammette di indimostrabile unicamente quello che inevitabilmente ogni individuo comunemente ritenuto sano di mente (tutti) per lo meno si comporta come se ci credesse.
 

E' per lo meno folle oggi, per chi disponga delle conoscenza ormai appartenenti al senso comune di quasi tutte le popolazioni del mondo, ritenere che i pipistrelli siano dei (ma non mi pare che di fatto lo sano sati creduti in passato, contrariamente ad altri animali; ma su questo potrei non essere adeguatamente informato).

maral

Citazione di: sgiombo il 29 Aprile 2017, 12:07:00 PM
Non significa nulla il tavolo, contrariamente alla scritta (su un cartello appostovi dal falegname dopo averlo verniciato) "vernice fresca" e alla proposizione "questo è un tavolo ben fatto".[/font][/size][/color]
E' appunto questo che non capisco. Il tavolo ha un significato, proprio come il cartello e la proposizione. Noi vediamo e intendiamo dei significati. Cos'altro mai? Anche ciò di cui si dice che non significa nulla significa.


CitazioneCos' è questo se non proprio per l' appunto confondere le parole che costituiscono la conoscenza della vita (la quale accade indipendentemente dalle parole con le quali -eventualmente- la si consce) con il fatto della vita?
Non confondo proprio nulla: il significato de "il fatto della vita" non è il fatto della vita, anche se è ancora un fatto della vita che non accade arbitrariamente. Il pensare qualcosa, pur non essendo quel qualcosa, non se ne sta per conto suo, staccato da ciò che si presenta, che appunto si presenta chiedendo di essere vissuto secondo significato, dunque chiede un segno, un nome che lo chiami e lo richiami facendone segno. Non certo chiede di essere quello che è, lo è sempre quello che è, ma cosa è, ossia il significato per dire la cosa.
Questo nome non ce lo suggerisce Dio, ma il nostro modo di vivere, di fare, di vedere e di conoscere nel mondo in cui siamo che è il risultato di una lunga storia di conoscenza sempre in marcia, con noi dentro. E in questa marcia appaiono miti, arti, filosofie e scienze che danno luogo a sempre diversi modi di significare, ossia di fare segno delle cose. Noi non scegliamo proprio nulla, viviamo tutto questo nei nostri modi di pensare, di parlarci l'un l'altro, di progettare e costruire.
La scienza non è affatto un modo privilegiato per conoscere (dire e nominare) il mondo per come è, proprio perché è parte del mondo e quindi ne partecipa insieme alle altre parti e dunque, essendone parte, ne ha una visione parziale, appropriata entro un contorno definito, che non è il contorno del mondo intero. In questa parte il mondo descritto dalla scienza i discorsi scientifici indicano in modo appropriato, ma pur tuttavia richiamano altri modi di dire e di pensare dai quali potranno svilupparsi nuove scienze, nuove arti, persino nuovi miti. Tutti i confini sono permeabili e ciò che oggi significa "un sistema sano di mente", ossia un sistema di riferimento realistico, era follia ieri e sarà follia domani, se non se ne vedrà la contiguità.
Le osservazioni empiriche non sono separate dal contesto di significato in cui si fanno, non c'è nessuna osservazione né falsificazione empirica che non partecipi di un contesto di prassi e modi di intendere (comprendenti miti, superstizioni ecc.) che la rendono possibile. La "falsificazione plateale" è plateale solo rispetto a una platea di contesto e non certo in assoluto. E le platee cambiano continuamente, sono le stesse osservazioni con le loro conseguenze a farle cambiare.

CitazioneLo scetticismo, essendo sospensione del giudizio, non è e non può essere autocontraddittorio (per un' impossibilità logica).
Ma lo scetticismo non è sospensione del giudizio, al contrario giudica che nulla è vero, giudica tutto falso e dire che nulla è vero è un'autocontraddizione.
Nei miti c'è il fondamento dei nostri modi di dare significato alle cose, compresa la nostra scientificità attuale. Il motivo per cui non è oggi opportuno andare dallo stregone per farsi curare è che il mondo in cui viviamo non ci restituisce il significato di "cura" in quello che lui fa, non può in linea di massima restituircelo. E poiché questo mondo è quello in cui viviamo è opportuno attenersi ai significati da esso istituiti per viverci, sapendo bene comunque che non sono assoluti.
CitazioneLa filosofia è altra cosa (per me personalmente più interessante), con altri intenti.
Cos'è per te la filosofia e che intenti ha?

CitazioneConcordo che la conoscenza scientifica è relativa e limitata (per esempio c' era qualche elemento di conoscenza vera anche nella teoria tolemaica, come ce n' è nella cosmologia copernicana, e questo sarebbe vero anche se in futuro venisse superata da teorie -ancora-  più vere); questo l' ho imparato da Lenin (Materialismo ed empiriocriticismo).
Non ci saranno teorie più vere in futuro, ci saranno teorie diverse, ma che trarranno i loro nuovi significati dai nostri spostando le visuali di senso, proprio come noi abbiamo tratto le nostre dalle conoscenze del nostro passato. E tutto questo non sarà a nostro arbitrio, perché le panoramiche cambiano in continuazione, mentre si conosce e nessuna panoramica del tutto è possibile, ne siamo parte.

maral

Citazione di: sgiombo il 29 Aprile 2017, 12:13:08 PM
Chiunque, anche un abitante della Papuasia ha il diritto dire ciò che vuole, ovviamente.
Ma ciò non toglie che le sue conoscenze del mondo materiale naturale (se sono quelle tradizionali della sua cultura e non della scienza moderna, cosa peraltro ben possibile e di fatto reale almeno per parte di loro) presentano solo minimi semplicissimi elementi di conoscenza vera e molte "scorie" false, al contrario di quelle della scienza moderna.
L' imperialismo occidentale e i suoi orrendi crimini non scalfiscono minimamente questa verità (ma fanno ben altri danni!).
Penso invece che le conoscenze della sua cultura siano perfettamente adeguate alla vita che vive variando in rapporto a questa (altrimenti gli abitanti della Papuasia verrebbero a estinguersi)- Il problema è quando una cultura con il significato che essa traduce del mondo in cui si vive, si scontra con un'altra. Allora la più potente può sterminare la prima. Ma "più potente" non significa più vera, la potenza non è un fatto di verità. Accade come quando si introduce un bacillo nuovo in una popolazione che non ne ha le difese immunitarie, solo che in questo caso si verifica uno sterminio culturale che porta a uno sterminio biologico.
La nostra razionalità è tale solo in relazione al nostro modo di vivere nel mondo, non è assoluta.


CitazioneDissento: l' uomo (le prime specie del genere "homo"; ed eventualmente qualche "precursore di" altri generi di scimmie antropomorfe) si è evoluto da specie precedenti come evento naturale, senza alcuna cultura "innata"; ed ha sviluppato (epigeneticamente, come comportamento acquisito -"ha inventato"- e non geneticamente, come istinto comportamentale innato) la cultura (le culture); è nato con "la capacità potenziale" di fare cultura", non "dotato di cultura in atto".
La cultura delle specie del genere "homo" (ed eventualmente e alquanto limitatamente di qualche specie di scimmia antropomorfa "precorritrice" delle specie "homo") é nata ben diversamente dai comportamenti delle atre specie (come il volo degli uccelli e il nuoto dei pesci): proprio in questo passaggio da un comportamento istintivo stereotipato e uniforme a un comportamento creativo, variabile al variare delle circostanze, sta il "salto di qualità" (un "superamento dialettico" e non una "negazione assoluta") dalla natura alla cultura.
Sì, ma questo non spiega per nulla come è avvenuto questo passaggio da un comportamento istintivo a uno creativo. Come da una pre-scimmia si arrivi all'uomo. Non credo comunque lo si possa spiegare. Io ti ho presentato un'ipotesi che sta nell'acquisizione della posizione eretta (ipotesi che rientra in un ambito di interpretazione scientifica attuale), ma anche questa resta solo un'ipotesi a cui si può credere o meno, come a una favola. 

CitazioneTi faccio notare che vivono (realmente) anche gli altri animali che non hanno cultura e pensiero simbolico: essere reale (anche il nostro, di uomini dotati di pensiero simbolico e cultura) =/= significare!.
Certo che vivono e probabilmente meglio di noi! Il significare è una complicazione per vivere. I batteri sono le forme di vita di gran lunga più diffuse e di più lunga esistenza. Non credo che pensino al significato del mondo, ma ci possono far pensare che forse l'evoluzione andrebbe letta alla rovescia.

CitazioneConstatare significa semplicemente osservare empiricamente.
Questo è il metodi di valutazione (falsificazione o conferma) del senso comune e, a un livello molto più sofisticato e sottoposto a critica razionale, delle scienze.
E' vero: "constatare significa osservare empiricamente" (ho sottolineato la parola chiave). Ma osservare empiricamente cosa significa? Se per te significa vedere le cose come sono non sono d'accordo, questo non è possibile. Quanto alla critica razionale delle scienze, va benissimo, ma non per questo la si può intendere come un procedimento che purifichi nel nome della verità in sé il materiale grezzo dell'osservazione.


CitazioneMa non vorrai mica equiparare il "funzionamento" (e dunque la ragionevolezza e la verità teorica) delle medicine empiriche primitive con quello della medicina scientifica ? ! ? ! ? !
Certo che no, vivo nel mondo in cui vivo e vivendoci partecipo della sua ragionevolezza. Non saprei né potrei vivere in un mondo diverso da questo, nemmeno se fosse quello dei miei nonni o trisnonni, non vivo nella foresta amazzonica e se dovessi andarci a vivere dovrei portare con me molte cose del mio mondo per sopravvivere, prendere un pezzettino della foresta e trasformarla in un pezzetto del mio mondo, con le mie medicine, i miei strumenti e via dicendo. Noi siamo i prodotti di contesti e in ragione i questi esistiamo.

CitazioneLa nostra cultura è diventata un fattore potenzialmente (e probabilmente di fatto; anche se l' ottimismo della volontà mi fa sperare che così non sia) distruttivo anche per se stessa non affatto per le verità scientifiche di cui dispone, bensì per l' irrazionalità estrinseca degli assetti sociali capitalistici che condizionano gli impieghi tecnici – pratici distruttivi delle conoscenze scientifiche.
La nostra cultura scientifica non è assisa su un trono separato dalla nostra cultura, dal nostro modo di vivere e di intendere l'esistenza. Modo di intendere che include pure il capitalismo e la necessità di correggerlo, dato che così non funziona, ma non si può credere che la scienza sia separata e a sé stante dal capitalismo, anche il capitalismo ha contribuito a svilupparla proprio nei modi di pensare scientificamente, che infatti sono fondamentalmente quantitativi e relazionali in termini economici che si pretendono oggettivi  in quanto esattamente misurabili e valutabili secondo unità di misura.

CitazioneMai scritto che L'individuo normalmente sano di mente è [solo e unicamente] quello che crede nella scienza, ma invece che la scienza ammette di indimostrabile unicamente quello che inevitabilmente ogni individuo comunemente ritenuto sano di mente (tutti) per lo meno si comporta come se ci credesse.
Eh, ma quello che la scienza ha per indimostrabile è il fondamento della scienza stessa (che non è l'osservazione empirica, ma l'osservazione empirica scientificamente considerata e rielaborata, falsificazione compresa). Questo ovviamente non implica non credere nella scienza, è del tutto opportuno credere nei suoi dettami, anche se su molti aspetti si presentano contraddittori, nell'ambito degli stessi specialisti ognuno dei quali si crede il portatore della vera unica scienza oggettiva. Ma questo, come sempre e fin dall'epoca dei miti, è umano, troppo umano.


sgiombo

X Maral
 
La questione è sempre quella:
Noi vediamo e intendiamo dei significati, conosciamo la realtà pensandola tramite concetti che la significano.
Ma invece, indipendentemente da ciò, la realtà (in generale; in particolare il tavolo) puramente e semplicemente è/diviene; ciò che nel suo ambito significa qualcosa sono solo i nostri pensieri, concetti (o meglio le parole con le quali li intendiamo; o per l' appunto che li significano; in generale e in particolare la scritta sul cartello "vernice fresca").
 
E infatti continui a confondere il fatto della vita con il pensiero, la (eventuale) conoscenza (vera) del "fatto della vita".
 
Il pensare qualcosa, non essendo quel qualcosa, è "tutt' altra cosa" da quel "qualcosa" che si presenta alla coscienza e può venire (eventualmente!) pensato (o meno!), che appunto non si presenta affatto chiedendo di essere vissuto secondo significato, non chiede affatto un segno, un nome che lo chiami e lo richiami facendone segno; siamo invece noi (possibili) soggetti di esperienza e di conoscenza eventualmente, non necessariamente a pensarlo e denominarlo attraverso un nome significante o meno.
 
 
Non vedo proprio come mai la scienza, per essere parte del mondo e quindi parteciparne insieme alle altre parti e per il fatto di esserne ovviamente una conoscenza limitata, relativa, parziale, non possa averne conoscenza vera, anche se alla condizione della verità indimostrabile di alcune tesi proprie del senso comune e tali che chiunque in qualsiasi epoca possa essere ed essere stato comunemente considerato sano di mente si comporta per lo meno come vi credesse, per un istinto comportamentale innato universalmente nell' uomo (salvo gravi patologie mentali).
 
E questo, salvo (rari) casi di "puro culo" o (questi relativamente non infrequenti) di mero senso comune o di "pre-" o "proto-" scientificità, al contrario di qualsiasi altra concezione non altrettanto razionalmente critica ed empiricamente testata con rigore, per diffusa, lunga, "gloriosa" sia la tradizione cultuale di cui faccia parte.
 
Mi dispiace sinceramente che per te la falsificazione della concezione tolemaica non sia plateale che nell' opinione di chi ci crede (alla falsificazione), la quale sarebbe altrettanto valida e vera di quella di chi invece pensa che la terra sia al centro dell' universo: ti sbagli di grosso (e per fortuna che questo errore non ha conseguenze pratiche, contrariamente a quello di seguire le medicine degli sciamani, cosa che oso sperare per la tua salute e sopravvivenza tu non faccia).
 
 
A me risulta che lo scetticismo non sia affatto la (autocontraddittoria, paradossale) affermazione (predicato, giudizio) che nulla è vero, tutto é falso, bensì il dubbio circa la verità di qualsiasi affermazione, ovvero la sospensione (epoché) del giudizio.
 
 
Che la conoscenza scientifica non sia assoluta ma relativa e limitata l' ho sempre affermato a chiare lettere.
Ma ciò non significa affatto che sua verità sia dipendente dal contesto esattamente come quella di qualsiasi altra credenza: infatti purtroppo i bambini curati dagli stregoni (nella misura in cui ancora ciò avviene da qualche parte) o non curati affatto o non adeguatamente (come purtroppo di fatto accade non di rado) hanno vita media molto più breve di quella dei bambini curati con la medicina scientifica, pur vivendo in un contesto culturale che crede alla verità ed efficacia della stregoneria.
 
 
Per me la filosofia è (anche) critica razionale di qualsiasi credenza (anche quelle della scienza), valutazione del loro grado di certezza, del loro effettivo significato, delle loro condizioni di verità; nonché -per lo meno- considerazione della realtà fisica ed eventualmente non fisica (la realtà in toto) nelle sue caratteristiche e aspetti più generali, complessivi, e critica razionale del come dover agire (del "che fare?").
 
 
Poiché ripeti che non ci sono teorie più vere di altre e non ce ne saranno mai in futuro, e in particolare che per te la concezione copernicana del sistema solare è altrettanto vera di quella tolemaica (e di qualsiasi altra esista in un qualsiasi cultura presente o passata; e pure futura), non posso che ribadire quanto già affermato in proposito, che ti sbagli di grosso, per tua fortuna (il solito "puro culo") senza conseguenze pratiche.
 
 
Non basta certo il fatto di non estinguersi per dimostrare che ciò che si crede è altrettanto vero di ciò che dice la scienza moderna: se così paradossalmente fosse, l' umanità si sarebbe già estinta da un bel pezzo, anziché essere oggi a rischio di estinzione per le irrazionalistici impieghi pratici delle conoscenze scientifiche.
 
La razionalità non è mai assoluta per definizione.
 
 
Come è avvenuto il passaggio da un comportamento istintivo a uno creativo, come da una pre-scimmia si arrivi all'uomo lo spiega a mio avviso in maniera soddisfacientissima la teoria scientifica dell' evoluzione biologica (ovviamente si tratta di una valutazione del tutto arbitraria, soggettiva: c' è anche chi non riesce ad essere soddisfatto di una spiegazione che non sia teologica o per lo meno teleologica; comunque scusa ma, per essere sincero e senza intenzioni offensive, non posso non esimermi dal dire che metterla sullo stesso piano delle favole mi sembra decisamente penoso).
 
 
Dunque, se Il significare è una complicazione per vivere e i batteri sono le forme di vita di gran lunga più diffuse e di più lunga esistenza e se Non credi che pensino al significato del mondo, allora come da me sostenuto:
 
essere reale (in generale; e in particolare vivere realmente) =/= significare.
 
 
Constatare significa (banalmente!) vedere le cose come appaiono (come sono in quanto fenomeni).
Ho sempre sostenuto a chiare lettere che vedere (e percepire sensibilmente in generale) le cose in sé non è possibile (è anzi insensato, autocontradddittorio) e che le scienze non possono conoscere e non conoscono le cose in sé ma solo i fenomeni.
 
 
Poiché affermi "Non saprei né potrei vivere in un mondo diverso da questo, nemmeno se fosse quello dei miei nonni o trisnonni, non vivo nella foresta amazzonica e se dovessi andarci a vivere dovrei portare con me molte cose del mio mondo per sopravvivere, prendere un pezzettino della foresta e trasformarla in un pezzetto del mio mondo" constato che per lo meno vivi come se credessi che la scienza moderna è molto più vera delle credenze animistiche degli indigeni dell' Amazzonia anche nell' Amazzonia; ma lo è anche a proposito degli indigeni dell' Amazzonia, in barba alle credenze degli indigeni stessi.
 
 
Ho mai preteso da qualche parte di "porre su un trono" la conoscenza scientifca" ? ! ? ! ? !
Né di scriverla con l' iniziale maiuscola ! ? ! ? ! ?
O che la scienza sia di fatto separata e a se stante dal capitalismo ? ! ? ! ? !
Ma ciò non toglie che sia teoricamente distinguibile da esso e praticamente impiegabile (e impieganda) al di fuori e anche contro di esso ! ! !
 
E da marxista credo che il capitalismo abbia avuto in passato una sua importante fase progressiva e anche rivoluzionaria, nella quale ha potentemente contribuito (fra l' altro) allo sviluppo della scienza e all' estensione e approfondimento delle sue conoscenze vere (anche grazie alla considerazione quantitativa e alle misurazioni della realtà naturale – materiale).
 
 
Ed ho anche sempre affermato (e ascritto a merito imperituro del mio grande a veneratissimo maestro David Hume questa scoperta) che la scienza ha come conditiones sine qua non (delle propria possibilità e della propria verità) alcune tesi indimostrabili né empiricamente constatabili ma credibili solo per fede.
 

Non la scienza si (auto-) contraddice, ma invece reciprocamente varie ipotesi scientifiche ...in attesa di falsificazione delle une/conferma della altre empirica.

maral

Sgiombo,
rigetto di nuovo totalmente l'imputazione che mi fai di confondere la vita con la conoscenza, non avendo nei miei interventi ribadito altro che la loro sostanziale e irriducibile differenza. I nostri discorsi, le parole, i nomi con i loro significati, rientrano nel mondo della conoscenza e non sono la vita in sé, ma la significano, la rappresentano. Semmai chi fa confusione è chi crede che ci sia o sia possibile arrivare a un discorso (filosofico, scientifico o religioso) capace di aderire sempre più alla essenza reale del mondo, fino a essere lo stesso con essa.
Ciononostante che mi è assolutamente chiaro e non ho fatto altro che dirlo, ritengo che tutti i discorsi mostrino aspetti del reale parimenti significativi, anch'essi sono fatti reali e veri nel loro diverso modo di indicare cosa accade: lo sono i miti dei popoli primitivi quanto le teorie astrofisiche più avanzate e comprovate. Sono veri nei termini di contesto prospettico che li esprimono e determinano i nostri modi di vedere e di pensare secondo le nostre sempre parziali prospettive. Questo è il motivo per cui ritengo assurdo credere che la terra sia un piatto immobile al centro dell'universo, ritengo assurdo credere che il faraone sia morto per una maledizione del Dio e non per una infezione batterica, ma lo ritengo assurdo in quanto so che il mio ritenerlo assurdo è il pensiero condiviso di un contesto che è il contesto in cui vivo e che mi esprime, non perché è così. Il perché è così in sé è irraggiungibile ed è irraggiungibile proprio in quanto non faccio alcuna confusione tra ciò che si dice essere e accadere e ciò che è e accade: il primo mostra necessariamente in modo parziale e relativo, il secondo è in modo assoluto e irraggiungibile a ogni conoscenza e l'unica follia è pensare di poter dire questo assoluto come è, sia che lo si intenda esprimere scientificamente, filosoficamente o religiosamente.
Per questo so perfettamente che come per me è assurdo pensare che il faraone sia morto per la maledizione di un Dio, per chi viveva in quella cultura sarebbe stato completamente assurdo pensare che fosse morto per infezione batterica e non posso essere certo io, espressione della mia cultura, a insegnargli ciò che realmente accade, perché io, come lui, non so cosa accade, ma io, come lui, con i miei discorsi lo rappresento in relazione ai contesti in cui vivo e non posso fare altro che questo. Questo significa per me dire (e ti prego di notare che anche questo è solo un dire) che non c'è alcun sapere gerarchico in termini assoluti, mentre vi sono saperi più o meno appropriati per stare meglio nel mondo in cui si vive.

La filosofia (e ce ne sono tante) non può e non deve porsi come discriminante tra i saperi, in nome di una verità filosofica oggettiva che non esiste, essendo pure ogni filosofia solo un discorso e non l'unità di misura di ogni discorso. La filosofia ha senso solo come continua critica verso chi pensa che vi sia un solo modo di dire valido per tutti e per sempre. Per questo la vera filosofia dà fastidio, ha sempre dato fastidio (e oggi in misura massima, tanto da proclamarla futile e inutile) e deve dare fastidio: essa mette continuamente in discussione quello che si deve prendere per buono, perché così si è "normalmente sani di mente". La filosofia ha senso se mette in discussione tutti i "normalmente sani di mente" e fa vedere quanto poco lo siano, quanto poco lo siamo.
Il filosofo però non è uno scettico assoluto, né è uno che si astiene, vivendo, dal giudicare di fatto, ma sa che ogni presa di posizione cognitiva ha una sua verità e un suo errore, per cui non è superiore o inferiore rispetto a un altra che partecipi di contesti di significato diversi e proprio perché è capace di non fare nessuna confusione tra il significato con cui la realtà si mostra sempre in modo prospettico e parziale e la realtà stessa che, al di fuori del suo significare parziale, quindi in qualche misura sempre errato, nessuno vede, ma non può evidentemente non esserci.
In questo ambito (che è cognitivo), esiste pure il fantasticare come gioco dei significati, perché ogni significato rimanda a un altro significato, ogni significato a sua volta significa richiamando la sua negazione che si può presentare, in relazione al nostro esistere, come il significato desiderabile che non c'è. Ed è allora che il significato originario appare come se fosse la cosa reale che c'è, mentre è solo una parola che si dà significando e rimbalza, da un significato all'altro, spostata dal desiderio.
L'essere umano in conclusione non è, né potrà mai essere colui che sa la realtà (gli animali, le piante, le rocce la sanno ben più di lui), ma è colui che continuamente la sogna e la immagina per evocarsela. in altre parole è colui che desiderando parla e conosce e anche questo è solo un modo di dire, lo so.

paul11

Citazione di: maral il 04 Maggio 2017, 13:13:24 PM
Sgiombo,
rigetto di nuovo totalmente l'imputazione che mi fai di confondere la vita con la conoscenza, non avendo nei miei interventi ribadito altro che la loro sostanziale e irriducibile differenza. I nostri discorsi, le parole, i nomi con i loro significati, rientrano nel mondo della conoscenza e non sono la vita in sé, ma la significano, la rappresentano. Semmai chi fa confusione è chi crede che ci sia o sia possibile arrivare a un discorso (filosofico, scientifico o religioso) capace di aderire sempre più alla essenza reale del mondo, fino a essere lo stesso con essa.
Ciononostante che mi è assolutamente chiaro e non ho fatto altro che dirlo, ritengo che tutti i discorsi mostrino aspetti del reale parimenti significativi, anch'essi sono fatti reali e veri nel loro diverso modo di indicare cosa accade: lo sono i miti dei popoli primitivi quanto le teorie astrofisiche più avanzate e comprovate. Sono veri nei termini di contesto prospettico che li esprimono e determinano i nostri modi di vedere e di pensare secondo le nostre sempre parziali prospettive. Questo è il motivo per cui ritengo assurdo credere che la terra sia un piatto immobile al centro dell'universo, ritengo assurdo credere che il faraone sia morto per una maledizione del Dio e non per una infezione batterica, ma lo ritengo assurdo in quanto so che il mio ritenerlo assurdo è il pensiero condiviso di un contesto che è il contesto in cui vivo e che mi esprime, non perché è così. Il perché è così in sé è irraggiungibile ed è irraggiungibile proprio in quanto non faccio alcuna confusione tra ciò che si dice essere e accadere e ciò che è e accade: il primo mostra necessariamente in modo parziale e relativo, il secondo è in modo assoluto e irraggiungibile a ogni conoscenza e l'unica follia è pensare di poter dire questo assoluto come è, sia che lo si intenda esprimere scientificamente, filosoficamente o religiosamente.
Per questo so perfettamente che come per me è assurdo pensare che il faraone sia morto per la maledizione di un Dio, per chi viveva in quella cultura sarebbe stato completamente assurdo pensare che fosse morto per infezione batterica e non posso essere certo io, espressione della mia cultura, a insegnargli ciò che realmente accade, perché io, come lui, non so cosa accade, ma io, come lui, con i miei discorsi lo rappresento in relazione ai contesti in cui vivo e non posso fare altro che questo. Questo significa per me dire (e ti prego di notare che anche questo è solo un dire) che non c'è alcun sapere gerarchico in termini assoluti, mentre vi sono saperi più o meno appropriati per stare meglio nel mondo in cui si vive.

La filosofia (e ce ne sono tante) non può e non deve porsi come discriminante tra i saperi, in nome di una verità filosofica oggettiva che non esiste, essendo pure ogni filosofia solo un discorso e non l'unità di misura di ogni discorso. La filosofia ha senso solo come continua critica verso chi pensa che vi sia un solo modo di dire valido per tutti e per sempre. Per questo la vera filosofia dà fastidio, ha sempre dato fastidio (e oggi in misura massima, tanto da proclamarla futile e inutile) e deve dare fastidio: essa mette continuamente in discussione quello che si deve prendere per buono, perché così si è "normalmente sani di mente". La filosofia ha senso se mette in discussione tutti i "normalmente sani di mente" e fa vedere quanto poco lo siano, quanto poco lo siamo.
Il filosofo però non è uno scettico assoluto, né è uno che si astiene, vivendo, dal giudicare di fatto, ma sa che ogni presa di posizione cognitiva ha una sua verità e un suo errore, per cui non è superiore o inferiore rispetto a un altra che partecipi di contesti di significato diversi e proprio perché è capace di non fare nessuna confusione tra il significato con cui la realtà si mostra sempre in modo prospettico e parziale e la realtà stessa che, al di fuori del suo significare parziale, quindi in qualche misura sempre errato, nessuno vede, ma non può evidentemente non esserci.
In questo ambito (che è cognitivo), esiste pure il fantasticare come gioco dei significati, perché ogni significato rimanda a un altro significato, ogni significato a sua volta significa richiamando la sua negazione che si può presentare, in relazione al nostro esistere, come il significato desiderabile che non c'è. Ed è allora che il significato originario appare come se fosse la cosa reale che c'è, mentre è solo una parola che si dà significando e rimbalza, da un significato all'altro, spostata dal desiderio.
L'essere umano in conclusione non è, né potrà mai essere colui che sa la realtà (gli animali, le piante, le rocce la sanno ben più di lui), ma è colui che continuamente la sogna e la immagina per evocarsela. in altre parole è colui che desiderando parla e conosce e anche questo è solo un modo di dire, lo so.
Mi permetto brevemente, come un pic indolor,
All'inizio fu l'analisi dell'essere o se si vuole degli enti, ed era l'ontologia.
Poi ci rese conto che il soggetto conoscitivo era l'uomo, quindi viene la gnoseologia o epistemologia.
Ancora, quando si cercò di formalizzare i fenomeni naturali, gli eventi ,le manifestazioni analizzate dalla scienza galileana, nasce il rapporto soggetto/oggetto, che porterà alle fenomenologie dove si dedurrà che è impossibile scindere l'osservato dall'osservatore.
Intanto con le nuove formulazioni logiche proposizionali nasceranno i paradossi moderni all'interno dei sistemi.

L'uomo è centrale anche quando si cerca o si vuole esautorarlo dalle forme ontologiche, epistemologiche e fenomenologiche.
perchè è dentro il sistema degli enti metafisici, è dentro il sistema e dominio della natura fisica, perchè è lui l'agente che traspone in schemi logici il mondo della natura nelle formulazioni dei calcoli matematici ,degli algoritmi scientifici.

L'interpretazione del destino umano fece guardare inizialmente il cielo, bandendo la terra; nella modernità si volse alla terra bandendo il cielo. perchè l'uomo è teoretica e pratica e tende a focalizzare e concentrarsi solo un punto dimenticando la totalità

In questo tempo che si dichiara materiale, non c'è mai stata più metafisica dal Novecento in poi più ancora dell'antichità.
il paradosso del disagio e della difficoltà umana sta proprio in questo.
In questo tempo nulla è più immaginifico e privo di materialità come oggetti, nomi, definizioni che sono invenzioni tipicamente e solo umane. 
Dalle scienze naturali e fisiche che sono andate oltre il limite del dimostrabile rappresentando e modellando le forme della conoscenza negli schemi logici, nei calcoli, nei diagrammi, dalle comunicazioni all'informatica fino al cyber spazio, il mondo è bit, è pixel, è olistico, è persin globale.
Pensateci bene  e riflettete, la storia dell'uomo non è mai stata così metafisica come oggi. Perchè persino denaro, bancomat, bonifico, Stato, sovranità, sono tutti termini metafisici,non appartengono alla fisicità,alla natura  tanto da essere convenzioni e quindi linguistiche, comunicative.
Ma il paradosso è credere che sia materiale, oggettivante la realtà, che vi sia una realtà più realistica della visione umana. 

Ma il vero, il verosimile, il falso, la verità e la menzogna, il bianco  il nero, la luce e il buio, il bene e il male, che siano reali o irreali non è tanto questo in sè e per sè che sia contato storicamente.
Ma iil fatto di aver praticato una metafisica anche se non si credeva o non si crede alla metafisica :questo è il paradosso umano della postmodernità.
Non si crede alla metafisica, va bene ,allora come si creano immagini e schemi mentali, a meno che nell'analisi del sangue sorge un algoritmo, un diagramma, un postulato:da: dove vengono? Siamo noi stessi traslatori, codificatori e intepreti  di un'onda elettromagnetica che spostiamo dal dominio fisico allo schema rappresentazionale mentale. Non è vero?Non c si crede?
Ma comì'è che ognuno ha una idea di sè, e del mondo, com'è che ognuno sosteine dei suoi principi, ma com'è che quello che si crede in quegli schemi mentali che ci appartengono diventano le pratiche convenzionali umane, i linguaggi, persino le stesse condizioni esistenziali.

Noi pratichiamo ciò che ci dettano quegli schemi mentali accettati dalla comunità e divenuti convenzioni, linguaggi culture, e non ne è  esente nè il fisico e neppure il metafisco, perchè come ho scritto inizialmente è l'uomo che sta nella centralità dell'atto del conoscere è l'uomo che ha definito ontologie ed epistemologie.E per quanto la sua mente sia straordinaria, ma limitata, seppur cercando continuamente una via della verità, pratica comunque nell'obliquità della sua fallibilità  in questo cammino chiamato storia proprio la sua straordinarietà e la sua limitatezza, semplicemente  vivendo, banalmente esistendo.

Quando al crepuscolo, l'uomo volgendosi alle  spalle vedrà la sua storia, saprà di andare oltre la notte senza aver conosciuto la verità
Ma ci ha provato, ci ha tentato ,ha barcollato si è ripreso e poi caduto, ma è andato avanti............

P.S. scusa Maral se ho preso a pretesto il tuo scritto, ma voleva esser e solo una breve riflessione, niente più

Lou

#233
"Semmai chi fa confusione è chi crede che ci sia o sia possibile arrivare a un discorso (filosofico, scientifico o religioso) capace di aderire sempre più alla essenza reale del mondo, fino a essere lo stesso con essa. "
Però maral in quanto appartenenti al mondo pur ognuno di noi partecipa di questa supposta essenza reale dello stesso, ergo (almeno un po') non vedo perchè non dire che siamo parte di questa famigerata essenza reale e, in più, non vedo perchè pensare che sia inintelligibile d'amblè ?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

maral

#234
Condivido paul11 la tua riflessione e particolarmente la conclusione, non si può fare a meno di continuare sulla strada della conoscenza e proprio perché la conoscenza non è aderenza al reale è un cammino sempre in corso.

Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 17:50:34 PM
Però maral in quanto appartenenti al mondo pur ognuno di noi partecipa di questa supposta essenza reale dello stesso, ergo (almeno un po') non vedo perchè non dire che siamo parte di questa famigerata essenza reale e, in più, non vedo perchè pensare che sia inintelligibile d'amblè ?
Certo, come si potrebbe mai negare che ne siamo parte e perciò in parte il reale è intellegibile, ossia nel contesto della parte in cui ci si trova posti. Per questo concordo perfettamente con la necessità di Sini di porre la domanda: "dove sei (e dove sono) per affermare quello che stai (sto) dicendo?" e il "dove sei", dal suo punto di vista, lui lo propone riferito alle prassi che si praticano e si condividono, con tutta l'esplorazione antropologica che ne consegue. Non basta affermare E=mc(2), ma occorre in primo luogo chiarire quale contesto di pratiche conferisce a questa formula uno specifico significato di verità.
In fondo il nostro cammino di conoscenza è un errare (nel doppio senso di errore e di cammino) che è sempre in qualche modo diversamente nella verità.

sgiombo

#235
Risposta a Maral:


Non era un' imputazione ma un' obiezione.
Comunque chi, facendo confusione, crede che ci sia o sia possibile arrivare a un discorso (filosofico, scientifico o religioso) capace di aderire sempre più alla essenza reale del mondo, fino a essere lo stesso con essa [evidenziazione mia, N.d.R.] non sono di certo io, che invece insisto noiosissimamente a mettere in guardia dal fare questa identificazione.
Tutti i discorsi sono ovviamente (se realmente accadono) fatti reali.
Ma non invece sono parimenti veri: i miti dei popoli primitivi lo sono molto, ma molto diversamente (in minor misura) della scienza moderna in generale (ma non credo invece in particolare delle teorie astrofisiche più accreditate; che peraltro a mio parere hanno ben poco di scientifico, e ancor meno di comprovato).
Possono al massimo (e spesso lo sono di fatto) essere ritenuti veri parimenti (o anche maggiormente) in modo fortemente convinto e generalizzato nelle rispettive culture.


Se ritieni assurdo credere che il faraone sia morto per una maledizione del Dio e non per una infezione batterica, ma lo ritieni assurdo in quanto sai che il tuo ritenerlo assurdo è il pensiero condiviso di un contesto che è il contesto in cui vivi e che ti esprime, e non perché è così, allora é altrettanto assurdo del credere che sia morto per un' infezione batterica da parte dei suoi sudditi non perché sia così ma perché era il pensiero condiviso di un contesto che era il contesto in cui vivevano e che li esprimeva.
Il che è per così dire "assurdo al quadrato"!


Il sapere è sempre limitato, relativo (ma non per questo pari fra tutte le possibili e di fatto reali teorie o credenze: scientifiche, filosofiche, religiose, ecc.): l' ho sempre sostenuto a chiarissime lettere!
Il reale (in generale; non in particolare la conoscenza nel suo ambito) puramente e semplicemente é/accade realmente.


Non so cosa possa essere una "gerarchia di saperi", ma so che vi sono saperi più veri (ovvero meno falsi) e saperi meno veri (ovvero più falsi).
E la scienza moderna si è sviluppata, anche con salti rivoluzionari", ma in continuità, senza "iati ontologici" o "discontinuità (soprannaturali?) nel divenire storico" dalle credenze antiche; il che significa che, più o meno indirettamente (attraverso percorsi di crescita e miglioramento delle conoscenze più o meno lunghi e accidentati) da parte di moltissimi si è imparato di fatto che i faraoni non sono morti per il malocchio ma per cause naturali scientificamente riconoscibili e descrivibili).
D' altra parte ci sono stati (di fatto soprattutto in Cina; e in India, ove ancora presentemente ce n' è qualcuno) non pochi casi di bimbi nati in campagna e formatisi in una cultura sostanzialmente animistica nella prima infanzia, o per lo meno politeistica, poi scolarizzati, che hanno capito e imparato benone che le credenze trasmesse loro dai genitori erano piene di falsità e hanno acquisito conoscenze scientifiche anche avanzatissime; addirittura che hanno dato rilevanti contributi al progresso scientifico.
In generale se non si potessero criticare razionalmente e superare le credenze più primitive e rozze, avvicinandosi maggiormente alla conoscenza vera della realtà (di "ciò che realmente accade"), saremmo ancora all' età della pietra o a prima ancora.


Che tutti i filosofi possano sbagliare mi pare ovvio, ma non significa certo che tutte le filosofie siano ugualmente errate e non si dia verità filosofica!

Credo che La filosofia sia anche (non solo) continua critica verso chi pensa che vi sia un solo modo di dire valido per tutti e per sempre. Per questo la vera filosofia dà fastidio, ha sempre dato fastidio (e oggi in misura massima, tanto da proclamarla futile e inutile) e deve dare fastidio: essa mette continuamente in discussione quello che si deve prendere per buono, perché così le ideologie dominanti pretendono che si sia "normalmente sani di mente".
Il che non toglie che tutti i sani di mente seguono indimostratamente certe limitate credenze (non di tutto di più, non necessariamente tutto quanto pretendono e millantano le ideologie dominanti! Comprese quelle reazionarie, new age, ecc.) e chi non le crede o per lo meno non si comporta come se le credesse non è (normalmente considerato) sano di mente.

Il filosofo non è necessariamente scettico assoluto (mai sostenuto), ma ancor di più non é necessariamente relativista!
Ancor più non ritiene necessariamente che ogni presa di posizione cognitiva abbia una sua verità e un suo errore, per cui non sarebbe superiore o inferiore rispetto a un altra che partecipi di contesti di significato diversi; per lo meno nei casi in cui è capace di non fare nessuna confusione tra realtà e pensiero della realtà.

Non pretenderai mica di "scomunicare" (negare che siano filosofi rispettabili) tutti i filosofi non relativisti?

No, perché dall' affermazione:

"Il filosofo [articolo determinativo; letteralmente: non qualche filosofo, taluni fra gli altri altrettanto rispettabili in quanto tali, N.d.R.] però (omissis) sa che ogni presa di posizione cognitiva ha una sua verità e un suo errore, per cui non è superiore o inferiore rispetto a un altra che partecipi di contesti di significato diversi e proprio perché è capace di non fare nessuna confusione tra il significato con cui la realtà si mostra sempre in modo prospettico e parziale e la realtà stessa che, al di fuori del suo significare parziale, quindi in qualche misura sempre errato, nessuno vede, ma non può evidentemente non esserci"

Sembrerebbe quasi!


L' essere umano vive la sua vita reale altrettanto (non certo di meno!) di qualsiasi altro animale.
Ma incomparabilmente più e meglio di qualsiasi altro animale (attraverso un vero e proprio "salto di qualità" ha conoscenza della realtà (non indiscriminatamente altrettanto vera in tutti i casi, ma ben diversamene da caso a caso).
E questo non è un modo di dire.


*********************
A Paul11:


Mi permetto brevemente come una pozioncina da stregone animista (mi scuso per l' ironia intenzionalmente, ma non malignamente, provocatoria).

Per me L'uomo è centrale anche quando si cerca o si vuole esautorarlo dalle forme ontologiche, epistemologiche e fenomenologiche, ma "solo" soggettivamente, arbitrariamente per se stesso, nei suoi pensieri (per altri uomini che continuano comunque a ritenerlo centrale e probabilmente di fatto, poco o punto consapevolmente, anche per molti di quelli che vorrebbero decentrarlo o del tutto ignorarlo); invece oggettivamente, nella realtà è pari a qualsiasi altro ente/evento.

Credo che vi sia una realtà "più realistica" della visione umana (o meglio: di qualsiasi visione umana; e che non tutte le visioni umane siano ugualmente realistiche, talune avvicinandosi di più, talaltre di meno al "realismo della realtà"; credo che non esista un' unica "visione umana" della realtà).

Credo che chiunque, pur essendo più o meno gravemente limitato per intelligenza e cultura, possa sottoporre a critica razionale quegli schemi mentali accettati dalla comunità e divenuti convenzioni, linguaggi culture, ideologie (anche se di fatto ciò, oggi più o meno come ieri, non accade di frequente).


Sul resto delle tue considerazioni mi trovo sostanzialmente d' accordo.

Gyta

Citazione
 
L'uomo è un pezzo di universo, ma vi appare anche come una singolarità unica nella sua specificità cosciente e questo pianeta, per quanto finora ne sappiamo, è l'unico punto di tutto l'immenso universo in cui l'universo va conoscendo se stesso e questo non è affatto indifferente.
Dunque esiste un punto nell'universo in cui si esprime una disomogeneità radicale e centrale e di questo la fisica e la cosmologia (che restano in ogni caso prodotti del pensiero del soggetto umano) non possono in alcun modo darne conto, probabilmente nessuna forma di conoscenza può darne conto, solo si può dare rappresentazione a noi stessi della nostra fondamentale anomalia, viverla tenendone conto.
Ora la domanda è: cosa implica questo viverla e come possiamo tenerne conto per una corretta conoscenza? Quale posizione estetica, etica ed epistemica è necessario assumere a fronte dell'assoluta discontinuitàche la "natura" va rappresentando in ogni singola e diversa esistenza umana per come si svolge? Come possiamo trovare posto e quale scienza e filosofia si rendono necessarie?                 
Maral

 
 
Non comprendo bene.. Tu ravvisi una sorta di "discontinuità"  laddove io vedo semplice differenziazione.
Sembra tu voglia affermare che il pensiero (umano) sia in virtù della soggettività discontinuo.
Se sostituisci "pensiero (umano)" con "coscienza del pensare (o coscienza di essere -che è lo stesso a mio avviso)"
la situazione non cambia e continuo a non comprendere la discontinuità/disomogeneità di cui parli.
Mi sembra ingenuo non ravvisare nelle pur differenti coscienze lo sviluppo stesso di un pensiero intrinsecamente
unitario in quanto strettamente correlato alla sua stessa funzione.
 
Che l'uomo sia 'un pezzo di universo' ..non saprei.
Sarei comunque più propensa ad affermare che l'universo sia "un pezzo di uomo" in quanto rappresentazione sensoriale 
di una qualche -altrettanto rappresentativa- risultanza relazionale.
           
Quale filosofia e quale scienza si renderebbero necessarie? Quelle medesime che partono dalla consapevolezza
di dover fare i conti con questa dimensione sensoriale esperienziale.  Questa è l'unica oggettività cui dobbiamo
in un certo senso rendere conto: l'unicità del nostro sentire nella sua veste di pluralità di individui e coscienze.
La risposta tangibile è una sola: l'appartenenza ad una determinata cultura (modalità mediamente uniformata del pensare) 
ne determina filosofia e scienza. Se intendiamo con "necessità" l'imprescindibile. 

Possiamo contarcela come meglio ci piace ma oltre l'esperienza che è significato nulla possiamo dire se non riferendoci esclusivamente a quel significare che individuiamo come oggettivo e che perciò identifichiamo in qualità di reale. In questa modalità dell'essere la mappa rappresentativa diviene in un certo senso la realtà medesima ed in assenza di quella il significato stesso cesserebbe di sussistere assieme -immagino- alla capacità di reggere all'esperienza della coscienza.
Probabilmente ciò che supponiamo essere l'inconscio ha la sua funzione proprio nel delimitare la nostra capacità percettiva al fine di rendere l'esperienza singolare. In virtù di questa singolarità allora possiamo concepire quella modalità relazionale che determina ciò che intendiamo come reale.
Forse cercare un significato al significato è come dimostrare un assioma, forse gli assiomi come i significati sono il pacchetto completo 
che questa dimensione ci consegna inseparabile all'esperienza.

Sono d'accordo con paul11 quando senza mezzi termini afferma che non solo la fisica moderna
ma la nostra stessa quotidianità è intrisa di metafisica che di pragmatico tangibile –dico io- forse resta ben poco
(o più probabilmente e sottilmente è sempre stato così).
 

Citazione  Se non avessi imparato a scuola che non è così, ti assicuro Sgiombo che la mia normale sensazione immediata è proprio quella di trovarmi su una terra piatta (salvo monti e colline) e ben ferma (eccetto in caso di terremoto che non è piacevole) e non su una palla che gira vorticosamente su se stessa come una trottola velocissima nel cosmo, di questo non ho proprio nessuna sensazione immediata e ringrazio che sia così, mi gira la testa solo a pensarci a una cosa simile. E ti dirò di più, la mia sensazione immediata, se sono in campagna e vedo il cielo notturno con tutte le sue lucine, è proprio quella di trovarmi al centro di uno spettacolo tutto intorno a me. Poi lo so, mi si è spiegato che non è così, che non ci si deve fidare delle prime sensazioni, le prove ci sono e ci se ne può accorgere (beninteso, quello che si impara è che l'universo non ha centro, non è un grande pallone sferico, quindi il centro può benissimo essere assunto, virtualmente, proprio dove ci si trova, come peraltro sempre facciamo). Questo per dire che, a quanto mi risulta, la conoscenza non è per nulla confermata dall'esperienza sensibile immediata
Questo non è vero. Le tue percezioni sono esatte, non siamo noi a girare come trottole (rispetto alla terra siamo "ben" ancorati) e rispetto a quel cielo stellato che vediamo, noi ne assistiamo lo spettacolo al centro. E' semplice prospettiva.  Forse sarebbe da chiedersi dove -ammesso vi sia un dove- è situata la nostra coscienza visto che nemmeno risente di trottole quantistiche.
 

CitazioneI concetti, leggi di gravitazione compresa restano solo mappe, segni, come il colore blu che indica il mare su una carta geografica, ma non è il mare, sono indispensabili per muoverci, agire e orientarci, ma niente di più.
Forse.. qualcosa di più..
 
Forse l'inconscio sta all'individuo quanto la presunta materia oscura sta al presunto conclamato universo visibile
pur restando ancora una volta entrambi confinati a quel linguaggio dal quale non possiamo prescindere
se non tramite segni ed esclusioni eppure percependo nella coscienza il presagire di una zona nascosta, una realtà, una terra inesplorata che sembra eludere l'usuale linguaggio di senso (forse il confine fra intelligenza e ragione).
 
Però, no, l'etica.. non ce la mettiamo in questo calderone, tanto sappiamo benissimo che è inderogabilmente
la risultanza di ciò che pensiamo essere plausibile, anche laddove risulta essere figlia di lotte e rivoluzioni sofferte,  giustamente fronteggiate, magari pure vinte come coscienza sociale.
 
Cos'è l'uomo?
L'uomo è quel "luogo" dove tutto (o quasi?) è possibile.
Sta a chi legge gioire o.. rattristarsi.  ;)
Di sicuro il "luogo" dove si sperimenta l'arte dello sbilanciamento.. come prassi del reggersi in piedi.
Sta nuovamente a chi legge cogliere o meno tra le righe: i pragmatici (cioè coloro che credono di attenersi al reale!)riferiranno al concetto di baricentro meramente fisico, i meno pragmatici (cioè coloro che credono di non riuscir bene ad attenersi al reale) coglieranno il più fumoso ed intossicante concetto di compromesso politico e/o esistenziale.
 

Un saluto a tutti, vecchi e "nuovi".
 
Gyta
 

 
"Prima di autodiagnosticarti la depressione o la bassa autostima,
assicurati di non essere circondato da idioti"

maral

Innanzitutto un bentornata a Guta, che è un piacere avere di nuovo con noi e alla cui interessante riflessione mi premurerò di dare risposta.
Comincio con Sgiombo, primo in ordine di tempo.
Certamente i miti dei popoli primitivi sono molto diversamente veri dalla scienza moderna, ma in minor misura solo dal punto di vista della scienza moderna appunto, che, come tu stesso dici, non aderisce alla realtà delle cose fino ad essere lo stesso con esse, con la realtà stessa. Se tu ammetti questo (e mi pare che lo ammetti), puoi anche vedere che miti e scienza moderna sono due modi diversi con cui la realtà risuona in noi facendosi discorsi diversamente significanti, ma senza preminenze (quello che ho indicato come "gerarchie"), perché se collochiamo la scienza moderna in una posizione preminente sul significato delle cose, dovremmo essere in una posizione neutra rispetto sia al mito che alla scienza, ma così non è, l'osservatore è sempre in una posizione, dunque gode di una prospettiva di parte e la parte in cui ci troviamo oggi è quella della scienza, non perché siamo tutti scienziati, lo sono pochissimi e anche quei pochissimi lo sono in termini estremamente limitati e specialistici, ma perché il nostro modo di cogliere le cose è nel significato di questa prospettiva che vanifica quella del mito.
In altre parole e come dici, ogni forma di sapere è sempre limitata e relativa, ma noi non siamo sempre in una forma di sapere che è una visione del mondo ed è a partire da questa che giudichiamo le altre rispetto alla nostra che assumiamo come unità di misura valida per tutti, poiché si dà tra noi come condivisibile. E solo in questa condivisibilità soggettiva e delimitata sta ciò che ritieniamo oggettivamente valido, dunque "normale" (ossia secondo norma, ove la "norma" un tempo indicava una specie di squadra che serviva a misurare se l'angolo di costruzione era o meno retto).
Per questo non è che con il tempo si impari qualcosa di più sulla realtà secondo una visione positivistica e a mio avviso molto ingenua del sapere, ma piuttosto che in ogni tempo si praticano le esperienze di quel tempo ("Esse est percipi", ma ancor più l'essere è fare, ossia ci rimbalza come significato dal diverso fare proprio di ogni tempo) e in quelle esperienze si stabilisce un senso retto (quindi normale) prt quel contesto. E proprio perché vivo in questo contesto posso dire pure queste cose, non potrei dirle se vivessi nell'Egitto dei Faraoni o ai tempi di Carlo Magno o in un villaggio del Neolitico. E' la lunga esperienza storica del franare di ogni disegno globale del sapere, per come oggi lo percepisco che mi dice questo e mi permette di vedere che ogni preminenza gerarchica di una forma di sapere sull'altra è solo una superstizione. Ma nello stesso tempo mi permette di pensare che ogni sapere nel suo errare è sempre in un cammino di verità, nel suo errare è sempre una parzialità in atto della realtà.
Se è così allora la verità non sta nell'avvicinarsi fino ad aderire alla realtà in sé delle cose, ma nel procedere di una parzialità di visione che riconosce la propria parzialità e riconosce se stessa vera in ciò che concretamente sa fare, pensare e dire e misura la propria giustezza nella propria postura lungo il percorso che la trasforma. E questo significa a mio avviso oggi farsi filosofi: trovare se stessi nel mondo e in rapporto al mondo in cui si esiste   facendo e pensando insieme con i suoi co-abitanti e per come le nostre pratiche ci permettono di fare e pensare. Sono le cose stesse che maneggiamo che ci parlano e ci ispirano i significati con cui evocarle, non siamo noi ad attribuirglieli ad esse arbitrariamente o casualmente, come da sopra.
Nulla è un puro oggetto passivo che assume forma secondo il nostro progetto, è esso stesso a determinare, con il significato, il nostro stesso progetto, ma un significato è solo un modo della cosa per farci segno e lasciare un segno.
   

paul11

Citazione di: sgiombo il 04 Maggio 2017, 22:54:11 PM
...............
A Paul11:


Mi permetto brevemente come una pozioncina da stregone animista (mi scuso per l' ironia intenzionalmente, ma non malignamente, provocatoria).

Per me L'uomo è centrale anche quando si cerca o si vuole esautorarlo dalle forme ontologiche, epistemologiche e fenomenologiche, ma "solo" soggettivamente, arbitrariamente per se stesso, nei suoi pensieri (per altri uomini che continuano comunque a ritenerlo centrale e probabilmente di fatto, poco o punto consapevolmente, anche per molti di quelli che vorrebbero decentrarlo o del tutto ignorarlo); invece oggettivamente, nella realtà è pari a qualsiasi altro ente/evento.

Credo che vi sia una realtà "più realistica" della visione umana (o meglio: di qualsiasi visione umana; e che non tutte le visioni umane siano ugualmente realistiche, talune avvicinandosi di più, talaltre di meno al "realismo della realtà"; credo che non esista un' unica "visione umana" della realtà).

Credo che chiunque, pur essendo più o meno gravemente limitato per intelligenza e cultura, possa sottoporre a critica razionale quegli schemi mentali accettati dalla comunità e divenuti convenzioni, linguaggi culture, ideologie (anche se di fatto ciò, oggi più o meno come ieri, non accade di frequente).


Sul resto delle tue considerazioni mi trovo sostanzialmente d' accordo.

Hai semplicemente dichiarato l'ambivalenza umana, una sua soggettività dettata da una autoconsapevolezza grazie  a sue facoltà , soggetta ad una oggettività delle condizioni naturali fisiche delle regole dell'universo e del pianeta ospitante.

Quale sarebbe una realtà più vera della visione umana, visto che è il soggetto umano che descrive il mondo e non il mondo che si autodescrive o il mondo che descrive l'uomo?

Se la razionalità vincesse, non avremmo un mondo diviso, uomini divisi, guerre economiche ,militari e politiche.
E' l'irrazionalità che ci governa la cui fonte è la contraddizione umana

p.s. bentornata Gyta

anthonyi

Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2017, 17:21:27 PM
....Se la razionalità vincesse, non avremmo un mondo diviso, uomini divisi, guerre economiche ,militari e politiche.
E' l'irrazionalità che ci governa la cui fonte è la contraddizione umana

p.s. bentornata Gyta

Ne sei proprio convinto? Secondo me può essere l'esatto contrario. Supponi un mondo dove tutti gli individui hanno irrazionalmente fede in un'unica religione che parla di pace e di amore, sarebbe un mondo irrazionalmente pacifico e unito.
Supponi un mondo di individui perfettamente razionali ma con obiettivi conflittuali l'uno con l'altro, sarebbe un mondo di continue guerre.